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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Udienza 31 ottobre 1902; Pres. e est. Federici...

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Udienza 31 ottobre 1902; Pres. e est. Federici P., Fedrigoni (Avv. Caperle) c. Giai Tenna (Avv. Ciano) Source: Il Foro Italiano, Vol. 28, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE (1903), pp. 125/126-127/128 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23105219 . Accessed: 18/06/2014 20:21 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.79.21 on Wed, 18 Jun 2014 20:21:24 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Udienza 31 ottobre 1902; Pres. e est. Federici P., Fedrigoni (Avv. Caperle) c. Giai Tenna (Avv.Ciano)Source: Il Foro Italiano, Vol. 28, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1903), pp. 125/126-127/128Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23105219 .

Accessed: 18/06/2014 20:21

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125 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 126

il diritto di usarne, e, nell'autorità governativa, il potere di escluderne l'uso diverso o il non uso.

Difatti, le arcieonfraternite, al pari delle altre cor

porazioni autorizzate dallo Stato, sono riconosciute quali

persone giuridiche in vista dei loro fini, che consistono

nella beneficenza o nel culto, e sono regolate da apposite

leggi, come quella sulle istituzioni pubbliche di benefi

cenza del 17 luglio 1890, che ne riconoscono gli scopi, dichiarandole perfino soggette a trasformazione, quando tali scopi non vengono più raggiunti. Esse non possono

sciogliersi che per ordine della potestà governativa, nè

possono invertire i loro beni ad usi diversi da quelli de

terminati dai loro statuti o regolamenti, debitamente ap

provati, e, finché esistono, sono sottoposte all'impero dello

Stato, che si svolge a mezzo delle autorità tutorie. Ciò

importa che non sia in loro facoltà di aprire o meno al

pubblico i propri oratori o chiese, facendovi o no adem

pire le opere di culto, determinate dai loro statuti o re

golamenti ; imperocché, costituendo tali opere il loro fine

riconosciuto dallo Stato, se ne deve ritenere obbligatorio

l'adempimento, fino al punto che, qualora venga esso tra

scurato, ogni cittadino, appartenente o meno al sodalizio, abbia il diritto di fare richiamo alle competenti autorità

tutorie, per ottenere che se ne ingiunga l'osservanza. Lo

che trova una esplicita conferma nell'art. 91 della citata

legge del 17 luglio 1890, che, nel dichiarare soggette a

trasformazione, secondo le norme stabilite dal precedente art. 70, le confraternite ed altre simili istituzioni, per le

quali siasi verificata una delle condizioni enunciate nella

prima parte dell'art. 70, soggiunge che, in quanto esse "

provvedano al culto necessario ad una popolazione o

agli edifizì necessari al culto, cotesti loro fini saranno

mantenuti „ e nel dichiarare altresì soggette a trasfor

mazione, nella medesima ipotesi dell'art. 70, le opere pie di culto, ne esclude quelle

" che corrispondono ad un

bisogno delle popolazioni „.

Se, dunque, a differenza degli oratori privati, gli edi

fizì delle arcieonfraternite, destinati al culto divino, rien

trano nella categoria dei beni di uso pubblico, si fa ma

nifesto che, al pari di quelli di appartenenza degli isti

tuti ecclesiastici, siano essi fuori commercio, e quindi inalienabili ed insuscettivi di forzata esecuzione fino a

quando questa loro destinazione venga conservata.

Ciò posto, niun dubbio può muoversi che la chiesa, della quale si tratta, sia fuori commercio, e però non

passibile di spropriazione, quando risulta dall'esibito cer

tificato della Curia arcivescovile di Napoli, che in essa

siasi sempre esercitato e si continui ad esercitare il culto

pubblico, e quando è pur provato dalle prodotte antiche

regole dell'arciconfraternita, sanzionate col dispaccio di

Ferdinando IV del 14 maggio 1792, che fra i fini della stessa siavi precipuamente quello delle opere di culto.

Nè può egualmente mettersi in dubbio che fuori com

mercio e non suscettivi di spropriazione siano altresì i

locali annessi, comechè accessori della chiesa ed inser

vienti anch'essi all'esercizio del culto. Illegalmente per tanto l'una e gli altri sono stati dagli eredi Vosa mi

nacciati di spropriazione con l'opposto precetto. Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI VENEZIA. Udienza 31 ottobre 1902 ; Pres. e est. Federici P., Fe

dri goni (Aw. Caperle) c. Giai Tenna (Avv. Ciano).

Società — Terzi — Azione contro la società — Pre

scrizione — Termine (Cod. comm., art. 917, 919, n. 1).

Nelle " azioni derivanti dal contratto di società o dalle

operazioni sociali che a tenore dell'art. 919 n. 1 cod.

comm. si prescrivono in cinque anni, non sono com

prese le azioni dei terzi verso la società per l'esecuzio

ne di contratti con essa conclusi. (1)

La Corte, ecc. — Considerato che la parte appellante

pone a fondamento delle sue argomentazioni l'asserto

che l'art. 919 n. 1 cod. comm. assoggetti alle conseguenze della prescrizione quinquennale anche le azioni che i terzi

possono esercitare contro la società per l'esecuzione di

contratti con questa conclusi; donde dedusse che l'azio

ne del Giai Tenna, direttore ed istruttore tecnico nella

Società Fedrigoni, vente fra gli altri corrispettivi un

percento sugli utili (art. 86 cod. comm.), per essere stata

da lui esercitata dopo il decorso di cinque anni dalla

cessazione del servigio suddetto debba ritenersi prescritta.

Una tale interpretazione dell'art. 919 cod. comm. non

si presenta però fondata. La citata disposizione di legge,

plasmata nella tornata 24 gennaio 1872 della Commis

sione pel codice di commercio, passò poi nel progetto Finali del 25 ottobre 1874 (art. 16), nella relazione Vi

gliani 8 dicembre 1874, nella relazione Lampertico per

l'ufficio centrale del Senato e nell'art. 15 del relativo

progetto approvato nel 26 maggio 1875, e finalmente nel

progetto Mancini 23 giugno 1881, e rimase sempre colla

stessa forma ed espressione : " Si prescrivono col decorso

di cinque anni: 1° le azioni derivanti dal contratto di so

cietà o dalle operazioni sociali, qualora sieno state ese

guite regolarmente le pubblicazioni ecc. „. Soltanto il

progetto Corsi, relatore della Commissione alla Camera

dei deputati intorno al progetto Pepoli, del 9 giugno

1862, aveva specificato che la prescrizione quinquennale di cui trattasi correva " contro la società, i soci, loro

eredi o aventi causa da essi „. Ciò premesso, questa Corte ritiene che nè i diversi

progetti surriferiti che contenevano un articolo identico

a quello del codice attuale, nè l'art. 919 n. 1 di questo, abbia inteso di stabilire la prescrizione quinquennale siccome estintiva delle azioni dei terzi creditori contro

le società di commercio.

(1) Contrario a questa massima è l'insegnamento dei più autorevoli scrittori. Cfr. Vidari, Trattato, vol. II, n. 1619, e

nel Diritto comm., 1892, p. 27 e seg.; Sraffa, La liquidazione delle società commerciali, 2a ediz., p. 501 in nota; Vivantk, nella

Temi, 1901, p. 77 e seg., e nel Trattato, vol. IY, parte II, p. 167

e seg.; Vighi, nota a questa sentenza, nella Temi 1903, p. 9 e

seg., il quale dimostra come in favore dell'opinione degli scrit tori stanno anche i lavori preparatori del codice di com

mercio. Nella giurisprudenza la Cassazione di Napoli 7 aprile 1990

(Foro it., Rep. 1900, voce Società, n. 167) decise che la prescri zione quinquennale è opponibile anche ai terzi per qualsivo glia specie di obbligazione della società, intendendosi che pel le obbligazioni non scadute allo scioglimento della società il

termine decorre dalla pubblicazione dell'atto di scioglimento o dalla dichiarazione di liquidazione. Conf. anche App. Torino 7 marzo 1898 (Foro it., Rep. 1898, voce Società, n. 187), decisio ne confermata dalla Cassazione con sentenza 11 luglio di quel l'anno^ieZ., 1898, I, 1231).

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127 PAETE PRIMA 128

E ciò ritiene per i seguenti motivi :

1° Se fosse stata sancita la prescrizione quinquennale contro i terzi nei rapporti colle società commerciali, ciò

avrebbe certamente costituito (come osservò l'appellante) una grande innovazione, in quanto avrebbe sottratto in

ogni caso le società di commercio alla prescrizione or

dinaria sancita dall'art. 917, attribuendo alle società

stesse il privilegio singolarissimo cbe i loro creditori non

avessero che cinque anni per esercitare le loro azioni, mentre ne hanno dieci per esercitarle contro i singoli

commercianti. Ora non si comprende come di una così

grave riforma non fosse fatto cenno e non ne fossero in

dicate le ragioni, almeno la prima volta in cui fu for

mulata la disposizione di cui si tratta, nel 24 gennaio 1872.

Ed altresì non si comprende come non ne avesse fatto

cenno il Corsi quando nel 1862 fece la indicata specifi

cazione, nella quale la prescrizione contro i terzi, quella cioè delle azioni esercitate da essi contro la società, non

era ricordata, con che sarebbero stati modificati i progetti

precedenti. Invece di tale innovazione non fu fatta mai

parola e ciò fa credere che nella realtà la innovazione

non sia mai avvenuta.

2° Se è giusto e conveniente, come osservò, prima an

cora dei nostri codici, il Pardessus (Cours eie droit com

mercial, tomo secondo, Bruxelles 1836 n. 1090), che l'azio

ne dei terzi contro i singoli soci, dopo che la società non

può più rispondere della sua obbligazione, si estingua colla

prescrizione di minor durata, tale ragione di giustizia e

di convenienza non esiste per ridurre a soli cinque anni

anche la prescrizione delle azioni dei terzi contro la so

cietà. Anzi non si saprebbe per qual fondamento le so

cietà di commercio avessero a godere di una prescrizione diversa e minore di quella che vale ad estinguere le stesse

azioni esercitate dai terzi contro i commercianti singoli. 3° Ma vi ha di più. L' interpretazione vera e sicura

dell'art. 919 n. 1 fu data esplicitamente dal verbale CXXV

della Commissione pel codice di commercio, ove si legge: " che la prescrizione più breve si applica a tutte le azioni

che derivano dal contratto di società, non potendo dubi

tarsi che questa locuzione comprenda tanto le azioni della

società verso i soci e le azioni di questi fra loro e verso

di quella, quanto le azioni dei terzi contro i soci come

tali „. Chiaro è adunque che le azioni dei terzi contro

la società non sono colpite dalla prescrizione quinquen nale di cui si tratta, perchè le azioni dei terzi verso i

soci come tali, di cui parlò la Commissione, sono soltanto

quelle cui si riferisce l'art. 108 cod. comm. Ne conse

gue che non è dato ammettere la prescrizione quinquen nale per le azioni dei terzi creditori contro la società.

4° Ma anche il tenore del citato art. 919 non am

mette una diversa interpretazione, perchè parlandosi in

esso delle azioni derivanti dalle operazioni sociali, non

possono essere contemplate che quelle operazioni che in

teressano soltanto i soci e la società, o quelle per cui i

soci singoli rispondono verso i terzi in luogo della so

cietà, delle quali parla il citato art. 106. Sarebbe infatti

improprio il dire che colui che vendette una partita di

merci ad una società commerciale sia creditore per una

operazione sociale, mentre egli è creditore per un con

tratto di vendita da lui concluso e quindi per una ope razione propria. Vero è che in quella operazione con

corse anche la società, ma è certo che l'azione di credito

rispetto al creditore che la esercita si presenta come

conseguenza di un fatto proprio e non di un fatto della

società compratrice. Sarebbe jpure strano ed ingiustifi

cato che l'azione derivante da una tale vendita doves

se avere due prescrizioni diverse, secondo che il com

pratore sia stato un negoziante singolo od una società di

commercio, e ciò senza una espressa disposizione di legge che sancisca siffatta divei-sità e senza una ragione della

medesima. Da tutto ciò consegue che l'azione di Giai

Tenna, non socio, verso la Società Fedrigoni, quale cre

ditore di una somma in dipendenza al percento sugli utili concessogli nel contratto a termini dell'art. 86 cod.

comm., non è soggetta alla prescrizione quinquennale di

cui l'art. 919 n. 1, ed ò quindi nel suo pieno vigore; laon

de non occorre tampoco esaminare se la Società Fedrigoni abbia (coli'attestato cancelleresco dimesso) debitamente

provato d'avere pubblicato il proprio atto costitutivo.

Per questi motivi, ecc.

RIVISTA DI GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE

Successione — Coningr superstite — Successione te

stamentaria — Lucro dotale — Imputazione (Cod.

civ., art. 820).

Anche in caso di successione testamentaria il coniuge

superstite deve imputare nella propria quota ciò che gli sia pervenuto a titolo di lucro dotale (nella specie, deve

imputare nell'usufrutto lasciatogli col testamento l'usu

frutto spettantegli a titolo di lucro dotale). (1)

(Cassazione Torino, 15 luglio 1902; Pres. Bozzi, Est.

Massazza, P. M. Mazza (conci, conf.) ; Delpiano (Avv. Vil

lavecchia, Abbode) c. Delpiano (Avv. Bruno, Costa) ; Giu

rispr. Torino, 1902, 1413).

(1) Ricordiamo la sentenza 10 ottobre 1899 della Corte d'ap pello di Palermo (Foro it., 1900, I, 245. con richiami in nota), confermata da quella Corte di cassazione con decisione 7 ago sto 1900 (id., Rep. 1900, voce Successione, n. 66), la quale am mise l'obbligo assoluto del coniuge d'imputare nella sua quota di riserva ciò che riceve per testamento dal defunto, salvo ma nifesta volontà contraria di lui.

Alle sentenze richiamate in detta nota aggiungiamo : App. Torino 30 settembre 1893 (Foro it, Rep. 1893, voce Successione, n. 33), la quale escluse l'obbligo d'imputare i legati nella quo ta di proprietà spettante al coniuge nella successione legitti ma; e Trib. Roma 6 febbraio 1901 (id., Rep. 1901, voce predetta, n. 85), che ritenne dover il coniuge imputare nella sua quota legittima il lucro dotale convenuto sotto l'impero della, pre cedente legislazione, se la successione siasi aperta vigente il codice civile italiano.

La Suprema Corte di Torino nella surriassunta sentenza ha osservato :

" Per l'art. 820 cod. civ. il coniuge superstite deve impu tare nella quota di usufrutto a lui attribuita tutto ciò che gli sia pervenuto per eifetto delle convenzioni matrimoniali; di

sposizione questa generica, che non distingue punto fra obietto e obietto, e può quindi estendersi anche a quelle convenzioni che abbiano per obietto lucri dotali. Yero che detto art. 820 non accenna punto a detti lucri, mentre se ne fa esplicito cenno nel precedente art. 756; ma è ovvio come quest'ultima dispo sizione, che ha riscontro nell'art. 960 cod. civ. Albertino, debba riferirsi a quei lucri che in forza del diritto allora vigente po tevano aver luogo per esplicita disposizione di legge, senza

d'uopo di convenzione qualsiasi. " Errò dunque la Corte quando ritenne che il diritto del

Delpiano sulle lire 10000, pur risolvendosi in usufrutto, non

potesse conglobarsi coll'usufrutto che spetta ad esso Delpiano sull'asse ereditario della moglie, sul riflesso che, per essersi

stipulato colla scrittura del 1854, avesse una causa ben di stinta e diversa. Non potendosi invero contestare il carat tere di quella convenzione, stipulatasi appunto in occasione di matrimonio, era evidente l'applicabilità alla specie del succitato art. 820

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