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Udienza 8 maggio 1919; Pres. Mortara P. P., Est. Petrone, P. M. Nonis (concl. conf.); Istitutoprovinciale di credito edilizio (Avv. Dovizielli, Brofferio) c. Donati (Avv. Rossi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 44, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1919), pp. 627/628-629/630Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23119976 .
Accessed: 28/06/2014 10:48
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PARTE PRIMA
quirenti dello stesso immotile dovrebbesi sempre preferire
chi prima ha trascritto il proprio titolo, anche quando la
seconda alienazione sia stata fatta dall'erede di chi ha
venduto la prima volta. Ma in questa delicata materia di
vari acquirenti che hanno per autori immediati persone
diverse le quali pur fanno capo ad un autore comune,
le ragioni indubbiamente gravi di rispetto alla buona fede
dei terzi e di esigenze sociali della pubblicità immobiliare
non si possono spingere al punto da applicare ciecamente
il principio dell'anteriorità della trascrizione anche quando
essa sia in contrasto con altri principi fondamentali della
legge civile. In realtà la trascrizione anteriore ha la pre
valenza solo a parità di condizioni in pari conto ; essa in
tanto costituisce una preferenza in quanto è una condi
zione in più che si riscontra nell'uno piuttosto che nel
l'altro acquirente dal precedente proprietario, come è detto
anche nell'art. 1942 cod. civ., il quale non parla di pre
cedenti proprietari, come qualche altro codice. Ma allorché
la parità della condizione manchi pìr la differenza degli
autori immediati e dei titoli di acquisto, non si può pre
scindere dalla differente conseguenza giuridica dei vari
trapassi. Allora nel nostro sistema di trascrizione, inne
gabilmente imperfetto e non rigorosamente coerente, è
dovere dell' interprete di armonizzare le varie disposizioni
del codice civile, anche per non giungere a conseguenze mo
ralmente e giuridicamente ripugnanti e per non legitti
mare inique spoliazioni. In base a tutto ciò si conclude che la prova testimo
niale disposta dal Tribunale non è inutile ai fini della
causa, non già per accertare l'usurpazione, ma per cor
roborare anche con quel mezzo le affermazioni della con
venuta Lampis ; ed è poi giustificata sotto altro aspetto,
poiché, dimostrato il diuturno possesso legittimo dei 'Lam
pis padre e figlio, che nel piccolo paese di Gruspini non
poteva essere ignoto ad alcuno e tanto meno al Pinna
Cabitza, si mettono nella luro vera luce la seconda ven
dita e la causa attuale, iniziata dopo ventisei anni dal
primo acquisto. Per questi mutivi, rigetta ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA.
Udienza 8 maggio 1919; Pres. MoKTABA P. P., Est.
Petrone, P. M. Nonis (conci, conf.) ; Istituto pro
vinciale di credito edilizio (Avv. Dovizielli, Bkof
ferio) c. Donati (Avv. .Rossi).
Guerra (provvedimenti eccezionali) — Militare — So
spensione «lei termini perentori — Termini pro
cessuali Appello (li. D. 23 maggio 1015, n. 718,
art. 1 ; D. luogot. 27 maggio 1915, n. 739; D. luogot.
25 luglio stesso anno, n. 1143, art. 1. 2).
L'art. 1 del regio decreto 23 maggio 1915 contempla ì
termini perentori di diritto sostanziale, non quelli
procedurali, che non restano sospesi di diritto a fa
vore dei militari in attività di servizio e dille per
sone assimilate, ma sono soggetti soltanto alla so
spensione facoltativa disposta dai successivi decreti
luogotenenziali 27 maggio e 25 luglio dello stesso
anno 1915, nn. 739 e 1143. (1) . \
(1) La Corte di cassazione di Roma, pronunciandosi per la
prima volta sulla tanto agitate questione — poiché non sem
bra che possa essere riguardato come un precedente il decreto
della Prima Presidenza della stessa Suprema Corte, altra volta
Quindi deve dichiararsi inammissibile l'appello propo
sto da un militare dopo decorso il termine normale
di legge, se egli non ne abbia chiesto la proroga a
norma dell'ultimo dei citati decreti o non l'abbia
ottenuta.
La Corte, ecc. — Osserva che il Tribunale ha dichia
rato ammissibile l'appello prodotto dal militare in attività
di servizio Umberto Donati quando era già trascorso il
termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza
del pretore, perchè ha ritenuto applicabile ;,la disposizione dell'art. 1° del regio decreto 23 maggio 1915, n. 718, che stabilisce : « Il corso delle prescrizioni e quello dei
termini perentori, tanto legali quanto convenzionali, por tanti decadenza da un'azione, eccezione o diritto qualsia
si, che fossero per scadere dal giorno della dichiarazione
di guerra fino a quello in cui la guerra sarà finita e pub blicata la pace, contro i militari in attività di servizio,
gli impiegati presso l'esercito e l'armata navale, o contro
qualunque altra persona che si trovi per ragione di ser
vizio al seguito dell'esercito o dell'armata navale, sono
sospesi sino a tutto il sessantesimo giorno successivo a
quello in cui la pace sarà pubblicata. I termini rimasti
sospesi ripigleranno il loro corso contro i militari e le
persone anzidette, pei quali sia cessato, durante la guerra, il servizio militare per congedo o per altra causa; ma il
loro compimento non avrà luogo prima del sessantesimo
giorno successivo alla cessazione del servizio medesimo».
Ma a ragione il ricorrente deduce chs nella specie deve applicarsi non la su trascritta disposizione, ma quella dell'art. 2 del decreto luogotenenziale 27' maggio 1915, n. 739, in cui si sancisce : « In quanto le condizioni
dello stato di guerra la rendano necessaria, potrà essere
concessa una proroga per qualsiasi termine procedurale, osservata del resto la disposizione dell'art. 47 del codice
di procedura civile ».
Il predetto art. 2 non contempla (come talvolta fu
opinato) i soli termini processuali che siano per loro na
tura prorogabili, ma regola tutta la materia dei detti ter
mini, siano i medesimi prorogabili ó perentori, perchè esso dispóne che « la proroga può essere concessa per
qualsiasi termine ». E non è inopportuno rilevare che la
*prefata" disposizione, se avesse dovuto riguardare i soli
termini prorogabili, sarebbe stata del tutto inutile, essen
do la facoltà di prorogare tali termini già data al giu dice nell'art. 47 cod. proc. civ., il cui richiamo nel de
creto non sta a denotare altro che la domanda di proroga
deve essere fatta prima della scadenza del termine.
Non è nemmeno esatto quanto trovasi affermato nella
sentenza denunciata, che, cioè, il decreto del 27 maggio
non si riferisca ai termini processuali decorrenti contro
i militari in attività di servizio e le persone ad essi assi
milate, a favore di cui erano già stati sospesi i termini
dal precedente decreto del 23 maggio. Imperocché il de
creto del 2"' maggio non fa distinzione fra termini riguar
danti i militari in attività di servizio e tèrmini riflettenti
ricordato (nota a col. 557 del precedente volume di questa Eac
colta) — conforta con la sua autorità e con novità di argomen
tazioni, desunte in ispecie dal richiamo e coordinamento delle
varie disposizioni legislative anteriori e posteriori in tema di
sospensione di termini perentori, l'interpretazione largamente
prevalsa nelle più recenti decisioni delle nostre magistrature di merito e da ultimo adottata anche dalla Cassazione di To
rino contro 1' interpretazione precedentemente seguita. Cfr. sent.
10 dicembre 1918, in questo stesso volume, retro col. 123, e le
citazioni ivi.
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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE
altri cittadini, ma nella sua ampia e generica dizione tutti
li comprende. L'essersi nel suindicato decreto contemplati eresi pro
rogabili a favore della generalità dei cittadini (militari e
non militari) tutti i termini processuali, senza alcuna di stinzione e senza il benché menomo accenno all'altro
decreto emanato appena quattro giorni innanzi, dimostra
chiaramente come di tali termini non si fosse occupato
il decreto 23 maggio. E del resto, che il decreto del 23 maggio non riguardi
i termini procedurali, ma soltanto quelli perentori di di
ritto sostanziale, è confermato da due altre considera
zioni.
La prima che il legislatore, pur nell'emanare provve
dimenti resi necessari da calamità pubbliche o eventi
straordinari, dopo avere (con formula identica a quella
usata nell'art. 1° del regio decreto 23 maggio 1915) di
sposto che « il corso delle prescrizioni e quello dei ter
mini perentori, tanto legali quanto convenzionali, portanti
decadenza da un'azione, eccezione o diritto qualsiasi, sono
sospesi, ecc. », si è occupato con distinte disposizioni e
alle volte con successivi decreti dei termini processuali.
Basta all'uopo ricordare l'art. 2 del regio decreto 1° gen
naio 1909, n. 6, e l'art. 7 del regio decreto 5 febbraio
dello stesso anno, n. 37, emessi in occasione del terre
moto delle pro^incie di Messina e di Reggio Calabria
La seconda è che nella stessa vigente legislazione di
guerra, quando si è voluto provvedere con una sola dispo
sizione e in modo identico tanto'ai termini perentori le
gali o convenzionali quanto ai termini processuali, si è
fatta distinta menzione degli uni e degli altri, come
emerge dall'art. 17 del decreto luogotenenziale del 1°
febbraio 1918, n. 102, in cui è scritto : « E' sospeso il
corso delle prescrizioni e quello dei termini perentori
legali, convenzionali o processuali, portanti decadenza da
un'azione, eccezione o diritto qualsivoglia contro enti,
ditte e privati aventi la loro residenza nei Comuni occu
pati dal nemico, ecc. ».
Il legislatore, se da una parte ha avuto in mira la
tutela dei diritti dei militari chiamati alle armi e delle
persone ad essi assimilate, non ha voluto dall'altra parte
protrarre indefinitamente i giudizi con una illimitata so
spensione di termini procedurali, la quale alle volte po
trebbe essere ingiustificata e vessatoria. Ha perciò cre
duto conveniente attenersi al criterio, già adottato nel
decreto emanato nel 7 maggio 1859 in occasione della
gueri a della indipendenza italiana e, pur rendendo proro
gabili i termini perentori, ha attribuito al magistrato la
facoltà di concedere caso per caso una proroga, che sia
proporzionata al bisogno.
E' poi notevole che anche col decreto luogotenenziale
22 novembre 1917, n. 1881, contenente i provvedimenti
a favore dei Comuni invasi dal nemico, venne senz'altro
(art. 1°) sospeso il corso della prescrizione e dé? termini
perentori di diritto sostanziale, ma per quanto riguarda
il diritto formale si dette solamente (art. 3) facoltà al
giudice, di sospendere le azioni contro quelle popolazioni,
se le condizioni di guerra lo rendessero necessario. Fu
soltanto più tardi che, in vista principalmente della disor
ganizzazione e della paralisi da cui erano stati colpiti in
quella regione gli organi giurisdizionali, venne, con la
summentovata disposiziono dell'art. 17 del decreto 1° feb
braio 1918, estesa la sospensione di diritto ai termini pe
rentori processuali. Dalle premesse considerazioni deriva che il Donati,
per poter legittimamente proporre il suo appello dopo il
decorso dei trenta giorni dal a notificazione della sentenza
del"pretore, avrebbe dovuto domandare (nei modi pre
scritti negli art. 1 e 2 del decreto luogotenenziale 25 lu
glio 1915, n. 11<*8) e ottenere la proroga. Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA.
Sezioni unite ; udienza 24 aprile 1919 ; Pres. Mortara
P. P., Est. Biscaro, P. M. De Notaristefani (conci,
conf.); Finanze dello Stato (Avv. erar. Giannini) c.
'Bodo (Avv. Grillo, Cavasola).
Acque pUHhllclie — Trlhunnlc delle ncque — Com
petenza —- , Contestazioni su opere riguardanti il
buon regime delle acque — Provvedimento del
l'autorità amministrativa — Opposizione alla ese
cuzione delle opere — Sentenza dell'autorità giu
diziaria (D-. luogot. 20 novembre 1916, sulle acque
pubbliche, art. 35).
E' sempre di competenza del Tribunale delle acque de
cidere su contestazioni relative alla esecuzione di
opere che si ritengono nocive al buon regime delle
acque pubbliche, anche quando non vi sia al riguar
do un provvedimento positivo della pubblica ammi
nistrazione, ma solo una opposizione da parte sua
alla esecuzione delle opere stesse, e ancorhè la esecu
zione di queste sia stata già ordinata con sentenza
dal magistrato ordinario. (1)
La Corte, ecc. (Omissis). —La sentenza respinge la
eccezione sollevata dalla convenuta Amministrazione dei
canali demaniali, che la cognizione della causa apparten
ga al Tribunale delle acque pubbliche, chiamato dall'art.
35, lett. f, del decreto luogotenenziale 20 novembre 1916,
n. 1664, a decidere tutte le azioni per risarcimento di
danni dipendenti da alcuno dei provvedimenti emessi
dall'autorità amministrativa a termini dell'art. 124 della
legge 20 marzo 1865, n. 2248, alleg. F, osservando che
la disputa non cade sulla demanialità dèi naviglio d'Ivrea,
■la niuno mai contestata, ma unicamente sopra certi lavori
di colmatura del fondo di proprietà dell'attore Bodo, atti
guo al canale, disposti a carico dell'Amministrazione conve
nuta da sentenze divenute irrevocabili e che il Bodo afferma
essere stati malamente e solo in parte eseguiti, e sopra
i danni che al Bodo medesimo sono da ciò derivati.
Adunque, soggiunge la Corte d'appello, unica indagine a
proporsi nella causa è se i lavori siano stati eseguiti e
se la esecuzione abbia o non cagionato danno al fondo
Bodo. Nessun provvedimento è stato emesso dall'autorità
amministrativa per il buon regime del naviglio, o per la
difesa e conservazione delle sponde, al quale si pretenda
far risalire la causa dei danni querelati. Non basta l'al
legazione che lo scolo di pochi ettari di terreno possa
nuocere al buon regime di un canale lungo 73 chilometri,
quale è il naviglio d'Ivrea, per togliere al magistrato
(1) Non ci risultano precedenti precisi sulla questione spe
cifica. Per la competenza del Tribunale delle acque a conoscere di
ogni azione di danni risentiti da un privato per opere su corsi
d'acqua pubblica, anche se eseguite dalla pubblica amministra
zione, cfr. Cass. Roma óO dicembre 1918 (retro, col. 293).
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