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Sentenza 22 aprile 1950; Pres. ed est. Mattera P.; Muollo c. Comune di ChiusanoSource: Il Foro Italiano, Vol. 73, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE (1950), pp.1355/1356-1357/1358Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23140172 .
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1355 PARTE PEIMA 1356
lità, grava sui mezzadri e coloni. Ciò, non solo perchè la
disposizione legislativa non contempla espressamente tale
divieto, come per quanto in precedenza osservato avrebbe
dovuto fare, ma soprattutto perchè, secondo le espressioni usate ed i concetti espressi dal riportato art. 1, il legis latore appare essersi riferito solo alle quote dei contri
buti gravanti sui lavoratori subordinati. Infatti le espres sioni « a decorrere dal primo periodo di paga sarà consi
derata a tale titolo a tutti gli effetti di legge e conteg
giata sulla retribuzione al lordo», «datori di lavoro», le
quali rivelano in modo inequivoco il pensiero del legisla tore, non sono affatto conciliabili col rapporto di mez
zadrìa, ma si addicono esclusivamente al rapporto di la
voro subor inato. In definitiva, con l'esonero dall'obbligo della quota di contributo, che era a carico dei lavoratori
subordinati, si è inteso di aumentare di pari importo la
mercede dei medesimi, in considerazione del diminuito
potere d'acquisto della moneta ; mentre tale esigenza non
ricorre nei riguardi dei mezzadri, i quali, non ancorati, come si è osservato, ad un salario fisso, non risentono,
per effetto della ripartizione in natura dei prodotti, le
conseguenze dello svilimento della moneta. Altra conside razione che conforta la adottata interpretazione è quella che non si spiegherebbe altrimenti come mai il legislatore non abbia esonerato i mezzadri anche dalla quota da loro
dovuta per l'assicurazione contro gli infortuni in agricol tura, la quale pure è inclusa nella unificazione dei contri
buti disposta dal r. decreto legge 28 novembre 1938.
Le argomentazioni dell'appellante mettono particolar mente l'accento sulla voce « lavoratori », sostenendosi che
nella medesima sono compresi anche i mezzadri. Ma se
questo, come già si è osservato, è esatto, ciò non vale a
risolvere la questione. Quello che particolarmente importa ai fini della medesima, è il significato della dizione « da
tori di lavoro », in quanto per effetto del divieto di rivalsa è stato imposto a costoro l'onere relativo. La dizione 0 datore di lavoro » ha per il codice civile un significato tecnico giuridico proprio che la legislazione in materia di assistenza e previdenza sociale (fatta eccezione solo per l'assicurazione malattie, che non consente comunque general lizzazione e per la quale si è già dimostrato essere stata a dizione usata impropriamente) non ha sostanzialmente mo dificato. Di fronte al lavoratore mezzadro non si ha un datore di lavoro che paga una mercede ; ma un conce dente di un fondo agricolo da coltivare, con diritto nel lavoratore mezzadro di dividere i prodotti della colti vazione.
Ulteriore argomentazione si vorrebbe desumere dalla
legislazione immediatamente successiva al decreto legisl. 2 aprile 1946, sostenendosi emergere implicitamente dalla stessa intenzione del legislatore di comprendere nel divieto di rivalsa anche la quota di contributi gravanti sulla fa
miglia mezzadrile. In particolare si osserva che mentre la
prima parte dell'art. 6 decreto legisl. 8 febbraio 1946,
regola la ritenuta da parte degli agricoltori delle quote di contributi da essi anticipati, ma dovuti dai dipendenti sa lariati fissi, giornalieri e mezzadri, e nell'ultima parte dello stesso articolo dichiara « gli agricoltori trattengono inoltre
l'importo dei contributi indicati dall'art. 1 lett. a) b) do vuti eventualmente dal colono o mezzadro in proprio o in conto dei dipendenti assunti per lavori di spettanza dello stesso colono o mezzadro », l'art. 4 decreto legisl. 25 mag gio 1947 n. 631, ed i successivi sulla stessa materia non
riproducono più la prima parte del citato art. 6 e l'ul tima parte del medesimo è così formulata : « I conce denti di fondi condotti a colonia trattengono l'importo dei contributi indicati all'art. 1, lett. a) b), dovuti even tualmente dal colono o mezzadro per conto dei dipendenti assunti dallo stesso ». Si vorrebbe così dedurre che, non essendosi più riprodotta la facoltà del concedente di rite nere le quote dei contributi riflettenti le famiglie mezza drili e soppressa l'ultima parte dell'art. 6 riflettente il diritto di ritenuta dei contributi dovuti dal mezzadro per 1 braccianti fìssi e giornalieri assunti a suo carico, la di zione « in proprio », ciò confermerebbe che intenzione del
legislatore del 2 aprile 1946 fu quella di comprendere nel
divieto di rivalsa anche la quota dei contributi gravante sulla famiglia mezzadrile.
L'argomento non è punto decisivo. A parte il rilievo
che, trattandosi di provvedimenti emessi in virtù di dele
gazione legislativa per la determinazione annuale della
misura dei contributi unificati, il provvedimento deve es sere contenuto nell'ambito della delegazione, la quale non
comprende anche la ripartizione del carico dei contributi ; la mancata riproduzione del diritto di ritenere i contri
buti anticipati per la famiglia mezzadrile può spiegarsi con la superfluità di tale ripetizione, in quanto la dispo sizione relativa è già contenuta nei provvedimenti isti
tutivi delle varie forme di assistenza e previdenza. Op
portuna appare invece la riproduzione della norma, conte
nuta nell'ultima parte dell'art. 6 sopra citato, in quanto riflette un onere del concedente per un rapporto che non
si istituisce direttamente fra esso concedente ed i brac
cianti fissi o giornalieri ma fra costoro ed il mezzadro, ed
occorre una norma che consenta al concedente di rivalersi
dell'onere impostogli per un debito altrui. Infine la man
cata riproduzione della dizione « in proprio» che non ri flette le quote dei contributi gravanti sulla famiglia mezza
drile, ma sul mezzadro per l'assunzione da lui fatta di mano di opera a suo carico, una volta soppresse provvisoriamente il diritto di rivalsa per la quota dei contributi gravanti sui lavoratori assunti dal mezzadro ed essendo l'intero
ammontare dei contributi stessi dovuto dal mezzadro, si rendeva superflua la distinzione fra quelli dovuti in
proprio da questo ultimo per detto titolo e quelli dovuti dai lavoratori da lui assunti.
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI NAPOLI.
Sentenza 22 aprile 1950 ; Pres. ed est. Mattera P. ; Muollo o. Comune di Chiusane).
Impiegato comunale — Licenziamento — Annulla mento da parte del Consiglio di Stato — Diritto a retribuzione — Mancato pagamento — Contro versia — Competenza della giunta prov. amm.
(E. d. 26 giugno 1924 n. 1058, t. u. sulla giunta pro vinciale amministrativa, art. 4).
Intervenuta una decisione del Consiglio di Stato che annulla il licenziamento di un impiegato comunale e dichiara es sere a lui dovuti gli stipendi relativi al periodo di in terruzione, è competente la giunta provinciale ammini strativa a conoscere della successiva controversia che ab bia ad oggetto il pagamento di detti stipendi (1).
La Corte, ecc. — (Omissis). Circa il dichiarato difetto di giurisdizione i primi Giudici hanno fatto esatta appli cazione delle norme di legge vigenti in materia. Il Muollo
per le sue spettanze derivanti dal ricostituito rapporto di
impiego avrebbe dovuto adire la giunta provinciale am ministrativa. Infatti, a norma dell'art. 4 del r. decreto 26 giugno 1924 n. 1058, la giunta prov. amm. giudica con giurisdizione esclusiva sui ricorsi per questioni deri vanti dal rapporto di impiego prodotti da impiegati as sunti in servizio... dai comuni dalle provincie, ecc.
La difesa dell'appellante sostiene che la competenza del
l'organo giurisdizionale amministrativo presuppone sempre una contestazione sulla legittimità di un atto amministra
tivo, contestazione che nella specie mancherebbe, avendo il
Consiglio di Stato già annullato l'atto impugnato, dichia rando essere dovuti gli stipendi arretrati.
(1) Sulla questione di principio, v., in senso conforme, Cass. 27 marzo 1950, n. 822, retro, 700, con nota di richiami.
Sulla delimitazione dei diritti patrimoniali conseguenziali alla pronunzia di legittimità dell'atto impugnato, cui pure si ri ferisce la sentenza riportata, veggasi la nota di M. S. Giannini, Foro it., 1942, III, 145.
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1357 GIURISPRUDENZA CIVILE
Ma è facile vedere come questa tesi confonda la con testazione che si è svolta innanzi il Consiglio di Stato sulla legittimità del licenziamento del Muollo con la con testazione che ora il Muollo ha sollevato sulla legittimità del rifiuto del Comune a pagargli le competenze arretrate. Si tratta di atti amministrativi distinti, che per la loro natura determinano ima distinta competenza : l'una del
Consiglio di Stato, l'altra della giunta provinciale. Non
si dica che a seguito della decisione del Consiglio di Stato, che ha dichiarato essere dovuti gli stipendi arretrati, non
possa sorgere altra contestazione sul diritto alla corre
sponsione degli stipendi stessi. La contestazione non può
sorgere e non è sull'ai debeatur, ma è sorta sul quantum debeatur, per cui la competenza della giunta provinciale
appare fuori di ogni discussione, specie se si consideri
che i chiesti arretrati non si limitano ai soli stipendi, ma comprendono anche indennità varie che i comuni, tenuto conto delle peculiari situazioni locali, erano auto
rizzati a corrispondere in misura inferiore a quella degli
impiegati statali (v. decreto legisl. 25 ottobre 1946 n. 263). Nè si può parlare di competenza dell'autorità giudi
ziaria ordinaria facendo ricorso all'art. 6, capoverso, del
citato decreto 25 giugno 1924, secondo cui sono sempre riservate all'autorità giudiziaria ordinaria le questioni at
tinenti « a diritti patrimoniali conseguenziali alla pronunzia di legittimità dell'atto o provvedimento contro cui si
ricorre ... ». È questa una disposizione che ha dato luogo ad un vivo contrasto di opinioni in dottrina e giurispru denza, in quanto che in un primo momento gli interpreti della legge ritenevano che qualsiasi controversia rela
tiva a diritti patrimoniali andasse soggetta alla giurisdi zione ordinaria, ma ben presto si riconobbe che la let
tera della legge esigeva una distinzione, giacché parlando di « diritti patrimoniali conseguenziali alla pronunzia di
legittimità », essa si riferisce soltanto a quei diritti che
derivano da una decisione che, dichiarando la illegittimità di un atto amministrativo, importa l'ulteriore obbligo dell'Amministrazione di risarcire l'eventuale danno pro dotto da tale atto. In altre parole, ai fini della compe tenza dell'una o dell'altra autorità giudiziaria (ammini strativa o ordinaria) devesi tener presente la distinzione
tra « diritti patrimoniali autonomi » e « diritti patrimo niali conseguenziali » : i primi costituiscono oggetto prin
cipale e diretto del ricorso e rientrano nella competenza del giudice amministrativo, ed i secondi presuppongono una pronunzia di illegittimità, della quale costituiscono
una conseguenza non immediata ed automatica, e sono
soggetti alla giurisdizione ordinaria.
Se la conseguenza patrimoniale fosse immediata, cioè
sorgesse automaticamente nell'atto stesso della pronunzia di illegittimità (principio dell'« automatismo »), allora sif fatta conseguenza sarebbe considerata come elemento della
stessa questione principale riflettente la legittimità del
l'atto amministrativo e non farebbe quindi cèssare la
competenza del giudice amministrativo. Di questo prin
cipio dottrina e giurisprudenza hanno fatto quasi co
stante applicazione, per risolvere il grave problema della
giurisdizione ordinaria nei confronti di quella amministra
tiva in materia di pagamento di stipendi arretrati do
vuti all'impiego licenziato, qualora il licenziamento sia
stato annullato dal giudice amministrativo. L'annulla
mento dell'atto avrebbe effetto retroattivo, in modo che
il diritto agli stipendi arretrati sorgerebbe automatica
mente come se il rapporto d'impiego non fosse stato mai
interrotto.
Nel caso in esame la decisione del Consiglio di Stato,
annullando il provvedimento di dispensa, ha ricostituito
il rapporto impiegatizio del Muollo con effett o dalla data
della dispensa. Da tale situazione non sorgono « diritti
patrimoniali conseguenziali», cioè diritti di natura diversa
dagli stipendi, ma sorgono invece «diritti patrimoniali autonomi » (cioè immediati, perchè dipendenti diret
tamente dal rapporto d'impiego) della stessa natura di
quelli che il Muollo godeva all'atto del licenziamento, e
quindi la cognizione della relativa controversia spetta coinè si è detto, alla giunta prov. amministrativa
(Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI NAPOLI.
Sentenza 10 marzo 1950 ; Pres. Petraccone P. P., Est. Fa vara ; Ministero giustizia c. Ufficiali giudiziari Trib.
Napoli (Avv. Spasiano) e Lamanna ed altri (Avv.
Saldarelli).
Impiego privato *— Commesso di ufficiale giudizia rio —- Istituzione della Cassa unica e nomina del
l'ufficiale giudiziario dirigente — Eiietti — Doman
da di liquidazione della indennità di licenziamento — Legittimazione passiva — Passaggio del com
messo alle dipendenze della Cassa unica — Tras
ferimento di azienda — Insussistenza (Cod. civ., art. 2112 ; 1. 3 giugno 1949 n. 331, disposizioni sul
servizio dei commessi autorizzati degli ufficiali giudi
ziari, art. 1, 6 ; d. legisl. 9 aprile 1948 n. 522, prov vedimenti riguardanti gli ufficiali giudiziari e i loro
commessi, art. 6 ; d. legisl. 5 maggio 1947 n. 380, prov vedimenti a favore degli ufficiali giudiziari e dei com
messi autorizzati, art. 7 ; r. d. 28 dicembre 1924 nu
mero 2271, t. u. sull'ordinamento del personale degli ufficiali giudiziari, art. 85, 103).
Il commesso dell'ufficiale giudiziario è impiegato privato, e
tale qualifica conserva anche dopo la istituzione della
Gassa unica per la ripartizione degli emolumenti e la
nomina dell'ufficiale giudiziario dirigente. (1) Il passaggio del commesso dalle dipendenze del singolo uffi
ciale giudiziario alla Cassa unica non comporta trasfe rimento di azienda. (2)
E' irrilevante rispetto alla configurazione giuridica del rap
porto la avvenuta assunzione da parte dell'Erario dei
maggiori oneri relativi alla concessione di miglioramenti economici a favore dei commessi. (3)
Pertanto nella azione promossa dal commesso per la liqui dazione della indennità di licenziamento la legittimazione
passiva spetta all'ufficiale giudiziario dirigente. (4)
La Corte, ecc. — [Omissis). Devesi esaminare l'altra
eccezione di difetto di legittimazione passiva che oggi
propone il dirigente Tammaro per la prima volta in ap
pello, ma che può ugualmente esaminarsi attenendo la ec
cezione alla formazione stessa del rapporto processuale,
mentre la conseguenza del suo accoglimento potrebbe an
che essere quella invocata dell'integrazione del giudizio ai
sensi dell'art. 354 cod. proc. civile.
Senonchè l'eccezione stessa è infondata. L'art. 85 della
legge organica sugli ufficiali giudiziari di cui al r. decreto
28 dicembre 1924 n. 2271 dispone che «gli ufficiali giu
diziari sotto la loro responsabilità potranno avvalersi, per
i lavori interni dell'ufficio, dell'opera di commessi a ciò
autorizzati dal presidente del collegio giudiziario al quale
sono addetti. I commessi, previa autorizzazione, potranno
essere incaricati della notificazione di tutti gli atti civili
e penali, rimanendo ferma la responsabilità dell'ufficiale
giudiziario ». Il successivo art. 86 soggiunge che « il com
messo è nominato nell'interesse dell'ufficiale giudiziario ed
il compenso a lui assegnato col decreto presidenziale, sta
(1-4) Circa la qualifica di impiegato privato spettante al
commesso dell'ufficiale giudiziario, v., in senso conforme, la sen
tenza citata nella motivazione, Cass. 16 gennaio 1930, Foro it.,
Rep. 1930, voce Usciere (ufficiale giudiziario), n. 9.
In dottrina si consulti S. Borghese, La figura giuridica dei
commessi degli ufficiali giudiziari, in Foro it., 1940 I, 661, in
nota a Trib. Roma 16 novembre 1939.
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