Sezione II civile; sentenza 13 gennaio 1950, n. 107; Pres. Ferranti P., Est. Buscaino, P. M.Loiacono (concl. conf.); Compagnia it. Westinghouse (Avv. Tamburini, Ceccone) c. Boccardi(Avv. Magrone, Bardia)Source: Il Foro Italiano, Vol. 73, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE (1950), pp. 147/148-151/152Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23139586 .
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147 PARTE PRIMA 148
economico di questi soggetti plurimi della speculazione, che la legge n. 1008 del 1938 chiamò consorzi tra i produt tori dell'agricoltura e la legge n. 566 del 1942 qualificò enti
economici agricoli ; si che può escludersi che avessero, esclusivamente o prevalentemente, quelle finalità pubbliche che caratterizzano gli enti creati dallo Stato per svolgere, attraverso organi tecnici, la propria attività e, in modo
particolare, taluni cicli della sua politica economica.
Lo Stato, nel tempo che si usa chiamare regime fa
scista, intensificò il suo intervento regolatore del com
mercio perchè vi scorgeva una fonte di benessere o di
danno sociale. E, facultaniio gli enti economici a organiz zare la conservazione, la trasformazione, la vendita dei
prodotti che i singoli agricoltori avrebbero conservato,
trasformato, venduto disordinatamente o meno bene, lo
Stato affidò agli enti una attività essenzialmente econo
mica e non l'attuazione di una finalità pubblica. Questa sussiste se l'ente attui uno dei compiti essenziali, costanti
della pubblica Amministrazione, sia pur in un determinato
settore, diventando un organo, o, come si ripete, la lunga mano dello Stato. Esempi che si trovano nelle decisioni
delle Sezioni unite sono : il Comitato olimpionico nazio
nale (7 maggio 1947, n. 693, Foro it., Eep. 1947, voce cit.,
n. 174) ; l'Ufficio controllo formaggi (6 agosto 1947, n. 1459,
ibid., voce cit., n. 204) ; l'Istituto per i tabacchi (8 febbraio
1949, n. 198, id., Mass., 41); l'Ente nazionale per la cellulosa
(13 aprile 1949, n. 888, ibid., 188). Ed irrilevante è che le
ripetute leggi n. 1008 del 1938 e n. 566 del 1942 quali fichino gli enti economici agricoli « organi ausiliari » del
Ministero dell'agricoltura e li sottopongano al controllo e
alla vigilanza dello stesso Ministero. Questo esercita la
vigilanza sul credito e quindi su tutte le banche e le
casse di risparmio che svolgono attività creditoria attiva
0 passiva. Tale vigilanza è così penetrante ed ampia da
confondersi con la tutela di ordine amministrativo e far
considerare gli amministratori come pubblici ufficiali.
Tuttavia la Corte suprema con costantissima giurispru denza (da ultimo Sezioni unite 31 gennaio 1948, n. 157,
id., 1948, I, 743; 6 luglio, n. 1237, 16 agosto, n. 1488 del 1948,
id., Mass., 260,309; 20 dicembre 1948, n. 1919, io!., 1949,
I, 130), ha definito le banche e locasse di risparmio «enti
pubblici economici » o « enti pubblici con funzioni econo
miche », affermando che per le loro controversie d'impiego ha giurisdizione il giudice ordinario.
D'altronde la Corte suprema rileva che ambedue le
leggi n. 1008 del 1938 en. 566 del 1942 rivelano la esistenza
dell'inquadramento sindacale, che a norma dell'art. 429, n. 3, cod. proc. civ. determina la competenza giurisdizio nale del giudice ordinario. Come è noto, la legge 18 giugno 1938 n. 1303 soppresse il divieto dell'inquadramento sin
dacale per quegli enti pubblici, comunque denominati,
1 quali agissero nel campo della produzione o svolgessero una attività prevalentemente o essenzialmente economica.
Orbene, in armonia con detta legge; i consorzi tra i pro duttori agricoli furono riuniti in una federazioce nazionale.
Questa fu soppressa dall'art. 1 legge 18 maggio 1942
n. 566, perchè fu creata una associazione nazionale nella
quale furono inquadrati tutti i nuovi enti economici agri
coli, la A.n.e.c.a., alla quale di diritto aderiva la federa
zione nazionale dei consorzi agrari, che (lo si è già ac
cennato) svolgevano attività esclusivamente economica
(Sezioni unite 20 gennaio 1949, n. 130, id., 1949, I, 576
e 25 maggio 1949, n. 1330, id., Mass., 274). La Magistratura del lavoro, della quale si è dimostrata
la competenza giurisdizionale, condividendo l'errore del
Tribunale, affermò che la citazione iniroduttiva della con
troversia dovesse ritenersi ritualmente notificata per posta al Commissario dell'U.n.s.e.a, sebbene questi non si fosse
costituito e l'avviso di ricevimento (detto volgarmente cartolina di ritorno) non fosse alligata all'originale; ed
affermò anche che non sussistesse nullità del giudizio di
primo grado perchè al direttore dell'ufficio statistico pro vinciale economico dell'agricoltura (U.p.s.e.a.) era stata
notificata una ordinanza istruttoria.
Innegabile quanto certa è la violazione dell'art. 149
cod. proc. civ., il qua'e riproduce la disposizione degli
art. 75 e 76 decreto 28 dicembre 1924, n. 2271 (ex art. 5 e 6 decreto 21 ottobre 1923 n. 2393) e dell'art. 177
decreto 18 aprile 1940 n. 689. E tale violazione di legge, che fa accogliere il primo motivo del ricorso, dispensa dal
rilevare la ulteriore violazione delle norme sulla citazione
delle persone giuridiche, commessa dalla Corte di Bari con
l'altra sua argomentazione. Il giudice di rinvio si uniformerà al seguente principio
giuridico, a norma dell'art. 384, p. p., cod. proc. civ. La noti
ficazione degli atti a mezzo del servizio postale può con
siderarsi eseguita nei confronti di chi non siasi costituito
(ipotesi di citazione) o non abbia proposto impugnazione
(ipotesi di sentenza), soltanto se all'originale dell'atto di
notificazione sia allegato l'avviso di ricevimento, dal quale risulti che fu consegnato al notificando il plico contenente
la copia.
L'accoglimento del primo motivo rende superfluo l'esame
del motivo terzo, riguardante la legittimazione passiva, ossia se l'U.n.s.e.a. sia succeduto di diritto agli enti
economici, cui si riferisce il servizio prestato dalla Rossi
gnoli, o se debba rispondere della loro obbligazione con
trattuale per un fatto proprio ; e degli altri motivi, con
cui è dedotta in subordine la violazione delle norme che
regolano i diritti patrimoniali del rapporto di lavoro.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 13 gennaio 1950, n. 107 ; Pres.
Ferranti P., Est. Buscaino, P. M. Loiacono (conci, conf.) ; Compagnia it. Westinghouse (Avv. Tamburini,
Ceccone) c. Boeeardi (Avv. Magrone, Bardia).
(Sentenza denunciata : App. Torino 9 novembre 1948)
Impiego privato — Dimissioni — Liberazione dell'Alta
Italia — Vizio «li violenza nella volontà — Sospensione di latto — Responsabilità del datore di lavoro (Cod civ., art. 1435 ; d. legisl. luog. 21 agosto 1945 n. 523,
provvedimenti a favore dei lavoratori dell'Alta Italia, art. 8 ; d. legisl. 23 agosto 1946 il. 152, disposizioni
per i lavoratori dell'industria dell'Alta Italia, art. 1).
È nullo Vatto di dimissioni formulato da un impiegato su
bito dopi la liberazione dell'Alta Italia, a seguito di mi nacce delle maestranze e di pressioni del comitato di li berazione aziendale integranti gli estremi della violenza
di cui all'art. 1435 cod. civ. ; in tal caso la responsa bilità della violenza non ricade, tuttavia, sul datore di
lavoro che non abbia concorso a coartare la volontà del
l'impiegato. (1) La posizione del dimissionario, nella fattispecie anzidetta, è
equiparabile a quella dei sospesi di fatto, con il conse
guente diritto al trattamento economico ridotto, previsto dal decreto legisl. luog. 21 agosto 1945 n. 523 e succes
sive modificazioni, (2) Cessate, però, le condizioni ambientali di ostilità contro lo
impiegato, questi ha diritto, vigente il blocco dei licen
ziamenti, alla riammissione in servizio o, in mancanza, alla integrale corresponsione delle retribuzioni fino a
quando, una volta ripristinata la normale facoltà di re
cesso, il datore di lavoro non se ne avvalga. (3)
(1-3) Sulla impugnabilità delle dimissioni per vizio di con senso in genere v. Trib. Genova 30 aprile 1947 (Foro it., Rep. 1947, voce Lavoro (rapporto), n. 170).
Circa la responsabilità del datore di lavoro in rapporto al
l'atteggiamento delle maestranze ostili ad un prestatore d'opera efr. Trib. Torino 5 novembre 1946 {ibid., voce cit., nn. 135-139), Trib. Genova 6 ottobre 1946 (ibid., voce cit., n. 145) ; App. To rino 25 luglio 1947 (ibid., voce cit., n. 148), Trib. Firenze 27
giugno 1947 (ibid., voce Impiego privato, n. 74).. Sul trattamento economico dei lavoratori sospesi e sulla
natura della sospensione del rapporto di lavoro degli indesiderabili si vedano, rispettivamente, Casa. 13 maggio 1949, n. 1179 (id.,
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149 GIURISPKUDENZA CIVILE 160
La Corte, ecc. — Il primo mezzo lamenta la viola
zione dell'art. 1435 cod. civ. in quanto la Corte di merito
non avrebbe potuto dichiarare nullo il recesso, perchè
questo non fu determinato da sole minacce, ma da altre
diverse cause di persuasione poste in essere dal Comitato
di liberazione nazionale, come si riconosce nella sentenza.
Questa censura è infondata. La Corte di merito, nel
valutare le risultanze istruttorie, ebbe ad affermare che
trattavasi di un complesso intimidatorio, diretto a coartare
la volontà della Boccardi, dirigendola ad uno scopo non
voluto, veramente imponente e tale da impressionare una
qualsiasi persona assennata e tanto maggiormente quindi una donna sulla soglia della cinquantina, per di più ab
bandonata nella circostanza dai datori di lavoro, i quali,
pur non potendole rimproverare alcunché, men che pro
teggerla, dimostrarono di acquietarsi senz'altro alla prepo tenza delle maestranze e di aderire, anzi, al programma di queste, poi fatto proprio dal C.L.N., di liberarsi del
l'impiegata attraverso «spontanee» dimissioni. Il pensiero della Corte è adunque ben chiarito e precisato nel senso
che tanto le minacce e le prepotenze delle maestranze
come l'opera di persuasione esercitata dai membri del
C.L.N. cooperarono e collimarono nell'unico comune in
tento di determinare la volontà della Boccardi ad un atto
che era contrario alla sua stessa volontà, qual'era quello delle dimissioni.
Nessun vizio logico è quindi da rimproverarsi alla mo
tivazione della sentenza impugnata, posto che la causa
determinante è attribuita egualmente e concorsualmente
alle diverse forze che agirono sulla volontà dell'impiegata, mentre l'apprezzamento di fatto sui caratteri della vio
lenza, a tenore dell'art. 1435 cod. civv rimane incensu
rabile in questa sede. Il primo mezzo va perciò respinto. Il secondo motivo attiene al comportamento della Com
pagnia datrice di la voro, alla quale la sentenza impugnata attribuisce di essere intervenuta nel processo di volontà
della Boccardi, determinandola a quell'atto viziato.
Questa affermazione si presta a censura. Nella sen
tenza infatti si confondono e quasi si unificano due atteg
giamenti della Compagnia che vanno invece considerati e
tenuti distinti in quanto si riferiscono a due momenti e
a due situazioni diverse. Dal rifiuto successivamente op
posto dalla Società di riaccettare al lavoro la Boccardi,
quando questa manifestò, e poi reiterò, con lettera rac
comandata la sua volontà di giovarsi del vizio che inva
lidava il recesso, non può trarsi argomento per ritenere
che la Società avesse pure cooperato nel coartare la vo
lontà della Boccardi a presentare le dimissioni. Nè il fatto
che la Società stessa non fosse ignara delle pressioni che
si esercitavano sulla sua dipendente per costringerla alle
dimissioni e che essa quindi sapesse o dovesse sapere (come si esprime la sentenza) che le dimissioni, in tal modo ot
tenute, non avevano giuridico valore, sono elementi logi camente e giuridicamente sufficienti per attribuire alla
Compagnia un'azione concorrente nel determinare quella volontà viziata. Quegli elementi invero sono per sè soli
equivoci in quanto non escludono che la datrice di lavoro
siasi adagiata per necessità di cose ad accettare una di
chiarazione di dimissioni di una sua dipendente, pur sa
pendole non volontarie, senza che con questo ella si ren
desse solidale e partecipe nell'opera di coartazione della
volontà che era stata esercitata dalle maestranze e, sia
pure a fin di bene, dai componenti il Comitato di libera
zione nazionale aziendale. Che poi tra questi ultimi si tro
vassero pure impiegati della stessa Ditta, non basta certo
a far ritenere che essi agissero, in quell'opera coartatrice
di persuasione, anche quali dipendenti della Società, an
ziché solo come esponenti del Comitato di liberazione
nazionale, nè tanto meno a far risalire alla Società il loro
Mass., 1949, 245) e Cass. 2 ottobre 1948, n. 1661 (ibicl.,
1948, 347). Per ciò che, infine, riguarda i problemi generali inerenti
alla posizione degli indesiderabili, si consultino Torrente, id.,
1947, I, 1039 e Bianco, id., 1948, I, 1041.
operato, tanto più se nella Società la Corte di merito ha
creduto di riscontrare una responsabilità per preteso fatto
proprio, piuttosto che quella incombente a padroni e com
mittenti ravvisata dai primi giudici. Nettamente diverso
e distinto è invece il successivo comportamento della Com
pagnia, per avere, secondo si esprime la Corte di merito,
opposto un illegittimo rifiuto a giovarsi ulteriormente del
l'opera della Boccardi, nonostante la messa in mora della
impiegata, che affermava il suo diritto a veder annullate
le dimissioni, che le f rano state imposte con violenza ben
nota alla Ditta e di fronte all'assenza di ostacoli alla rias
sunzione.
In questo secondo momento, l'affermazione di respon sabilità diretta della Ditta è giuridicamente fondata, per chè, escluso in fatto, come si evince dalla motivazione della sentenza, che permanessero a carico della impiegata
quelle gravi ragioni di ostilità che potevano in origine con
siderarsi come forza maggiore, e ritenuto per certo in con trario che l'ambiente si normalizzò con sufficiente rapi dità e che contro la Boccardi non esistevano accuse spe cifiche apprezzabili, non avrebbe potuto la datrice di la
voro legittimamente rifiutarsi a riammettere in servizio la
sua dipendente, posto che in quell'epoca vigeva ancora in
tutto il suo pieno vigore il blocco dei licenziamenti ed era
quindi sospeso l'esercizio del diritto di recesso unilaterale.
La nullità delle dimissioni adunque, in base alle con siderazioni premesse, deve ritenersi accertata e giuridica mente fondata come effetto della violenza morale eserci
tata da terzi (opera delle maestranze affiancata da quella del C.L.N.), mentre va riesaminata in sede di rinvio come
effetto dell'opera che avrebbe svolto la Società, a mezzo
dei propri dipendenti, contemporaneamente e concorde
mente con quella esercitata dai terzi, ed atta a concor
rere, in modo efficiente, nella determinazione della volontà
viziata Le conseguenze giuridiche sono ovviamente diverse.
Ove rimanesse esclusa ogni attività volontariamente con
corrente da parte della Società, verrebbe meno il fonda
mento della pretesa di danni accampata dalla Boccardi
nei confronti della datrice di lavoro.
La Boccardi, già sospesa di fatto fin dal primo mo
mento, per disposizione del Comitato di liberazione na
zionale aziendale, sarebbe rimasta in quella stessa situa
zione in cui sono venuti a trovarsi i cosiddetti indesidera
bili, impossibilitati a prestare la loro opera per ragioni
egualmente indipendenti dalla volontà loro e da quella dei
datori di lavoro, pur rimanendo in vita il rapporto di
lavoro in conseguenza del regime vincolistico. La stessa
sentenza impugnata, peraltro, è indotta ad affermare che
in definitiva la posizione della Boccardi deve ritenersi
in tutto simile a quella degli altri impiegati temporanea mente sospesi di fronte alle turbolenze originali delle
maestranze, ma poi subito riammessi.
Senonchè è ovvio rilevare che in tale situazione di so
spensione, non è giuridicamente fondato parlare di re
sponsabilità per danni a carico del datore di lavoro. 11
lavoratore, ove ne ricorrano gli estremi, potrà se mai con
seguire quel trattamento economico ridotto, previsto, per ovvie considerazioni di equità, dalla particolare legisla zione per i lavoratori dell'industria dell'Alta Italia (decreto
legisl. luog. 21 agosto 1945 n. 523 e successive modifica
zioni), alla quale fa richiamo la stessa ricorrente nella sua
memoria illustrativa (§ 18).
Eesponsabilità vera e propria per danno subentra in
vece a carico della datrice di lavoro per il rifiuto illegit timamente . opposto alla riammissione in servizio della
Boccardi, risarcimento concretautesi nella integrale corre
sponsione degli emolumenti che la Boccardi avrebbe avuto
diritto di percepire in quel periodo, ove fosse stata riam
messa al lavoro, fino al momento in cui la Compagnia si
fosse avvalsa del diritto di recesso unilaterale legislati vamente ripristinato col decreto 30 settembre 1946 (decreto
legisl. 23 agosto 1946 n. 152). La sussistenza di tali danni
era una conseguenza diretta ed immediata della inadem
pienza del creditore tenuto a ricevere la prestazione. In
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151 PARTE PRIMA 152
tali sensi vanno accolti, per quanto di ragione, il secondo
e il sesto motivo, rimanendo assorbiti il quarto ed il quinto.
(Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
I
Sezione I civile ; sentenza 2 gennaio 1950, n. 4 ; Pres.
Cannada Bartoli P., Est. Gualtieri, P. M. Beale
(conci, diff.) ; Min. trasporti (Att, di Stato Petrini Pal
lotta) c. Polvani (Avv. Vitale, Zola, Porrati, Sal
vago).
{Sent, denunciata: App. Torino 7 dicembre 1948)
Ferrovie e tramvie — Ferrovie dello Statò — Contratto
di trasporto — Avaria e perdita delle merci traspor tate — Presunzione di irresponsabilità — Limiti
(D. legisl. luog. 17 agosto 1944 n. 189, provvedimenti per i trasporti sulle Ferrovie dello Stato, art. 2).
Ferrovie e tramvie — Ferrovie dello Stato— Contratto
di trasporto — Perdita delle merci — Svalutazione
monetaria — Rilevanza (Cod. civ., art. 1224, 1277; r. d. 1. 25 gennaio 1940 n. 9, condizioni e tariffe delle
Ferrovie dello Stato, art. 56, 58, 59, 60).
La presunzione di irresponsabilità delle Ferrovie, posta dal
l'art. 2 decreto legisl. n. 189 del 1944, per la perdita o avaria della merce trasportata nel periodo bellico ivi
indicato, riguarda non la forza maggiore generica mente considerata, ma soltanto gli eccezionali eventi di
natura politica e militare che notoriamente contribui
rono a disorganizzare tutti i pubblici servizi ; pertanto la prova, da darsi dal creditore del trasporto per distrug
gere la presunzione, ha per oggetto il mancato intervento
o il mancato funzionamento di quegli eccezionali eventi
di forza maggiore nelle circostanze e di tempo e di luogo in cui è avvenuto il danno in contestazione. (1)
L'obbligo da parte del vettore di risarcire al mittente il danno
derivante dalla perdita o dall'avaria delle cose traspor tate, costituisce, finché la conversione in danaro non sia
stata compiuta in sede di liquidazione, con sentenza ir
revocabile, non un debito pecuniario bensì un debito di va
lore ; pertanto devest tener conto della svalutazione mone
taria intervenuta fino alla liquidazione. (2) La circostanza che, in caoo di trasporto da parte delle Fer
rovie dello Stato, il danno debba liquidarsi in base a
prezzi unitari inderogabilmente prefissati nelle Condizioni
e tariffe, o in misura non superiore a limiti parimenti
prestabiliti senza possibilità di deroga, non esclude che
trattisi pur sempre di un debito di valore, corrispondente, nella espressioni pecuniaria fissata dalla norma speciale, ad una parte del valore integrale che il vettore dovrebbe
risarcire secondo le norme generali ; pertanto, anche se
non sia stata fatta dal mittente la speciale dichiarazione
di interesse alla riconsegna, la misura dell'indennità fis sata nelle Condizioni e tariffe può essere moltiplicata per il coefficiente di svalutazione monetaria sussistente al mo
mento della liquidazione. (3)
II
Sezione I civile ; sentenza 9 dicembre 1949, n. 2557 ; Pres. Brunelli P., Est. Oggioni, P. M. Criscuoli
(conci conf.) ; Min. trasporti (Avv. di Stato Massari) c. Costantino (Avv. Pacciami).
{Sent, denunciata: Trib. Messina 27 novembre 1947)
Ferrovie e tramvie — Ferrovie dello Stato — Contratto
di trasporto — Avaria o perdita delle merci traspor
tate — Presunzione di Irresponsabilità — Limiti
(D. legisl. luog. 17 agosto 1944 n. 189, art. 2).
La presunzione legale, iuris tantum, di irresponsabilità stabilita a favore delle Ferrovie dello Stato dall'art. 2
decreto legisl. 17 agosto 1944 n. 189, per i trasporti
effettuati dal 1° gennaio 1943 alla data di entrata in
vigore del decreto, va intesa nel senso che deve ritenersi la perdita o avaria delle cose trasportate come dovuta ad eventi di form maggiore, salvo che il mittente o desti
natario comprovi che la causa del danno è consistita in
un fatto imputabile al vettore. (4)
(1-4) 1. — La lettura di queste due sentenze della Suprema corte richiama alla mente le acute osservazioni dell'ANDRIou
(in Riv. dir. proc., 1948, I, 249 e segg.) sul sistema della » giuris prudenza costante » e sulle difficoltà che presenta l'estrazione di « massime » fedelmente rispondenti all'interpretazione data dalla sentenza ad una norma o ad un gruppo di norme, ovvero alla
applicazione fattane nel singolo caso concreto. Si può osservare infatti che la massima, posta dalla seconda delle annotate sen tenze e senz'altro accettata quale espressione della « giurispru denza costante » della Cassazione, risulta essere la massima uf ficiale della sentenza n. 1350 del 25 maggio 1949 (Foro it., Mass., 1949, 278), ma non risponde al contenuto dell'altra n. 279 del 18 febbraio 1949 (id., 1949, I, 682) ; le quali pronunce costi tuiscono — a quanto m i consta — gli unici diretti precedenti della Cassazione nella materia in esame.
Per questo la prima delle due sentenze qui pubblicate — la
quale, tra l'altro, non sembra aver avuto presenti i precedenti testé citati — non rappresenta un mutamento di giurisprudenza, ma più semplicemente costituisce, insieme con le precedenti, una ulteriore prova che i contrastanti indirizzi, già profilatisi sul te ma nella giurisprudenza di merito e nella dottrina, si perpetuano in seno alla Suprema corte, anzi alla medesima Sezione della Corte (tutte le sentenze ricordate sono della prima Sezione).
Per risolvere questi contrasti, non basta, a mio sommesso
avviso, indagare sulla portata della nozione di forza maggiore, oggetto della presunzione dell'art. 2 decreto legisl. 17 agosto 1944 n. 189 — e l'interpretazione restrittiva data dalla recentis sima sentenza della Cassazione sembra non rispondere alla lettera
(chè questa non contiene limitazioni di sorta) e neppure allo spi rito della norma (come, tra l'altro, è fatto palese dalla formula usata dall'art. 1 del decreto in parola per i trasporti eseguiti suc cessivamente alla sua entrata in vigore, accettati « a solo rischio e pericolo del mittente ») — ma è necessario anche inquadrare la
presunzione, ivi posta, della causa fortuita della perdita o del l'avaria delle cose trasportate ovvero del ritardo, nel regime della
responsabilità delle Ferrovie, che è nelle sue linee generali quello della responsabilità ex recepto. Da tale inquadramento risulta infatti — come altra volta credo di aver dimostrato (in Foro it., 1947, I, 992) ■— che la presunzione produce conseguenze d'ordine non solo processuale, ma anche sostanziale : in particolare quella del trasferimento dal vettore al ricevitore della sopportazione dei danni da causa ignota o comunque non provata. Il che fa ritenere come prevista e voluta dal legislatore la situazione — certamente in fatto molto grave, e sulla quale si appunta l'ultima pronuncia del Supremo collegio — in cui viene a trovarsi il ricevitore, che reclama la perdita o l'avaria delle cose trasportate.
Per questo e per altri aspetti della questione faccio rinvio al mio scritto già citato, ove sono esposte anche le ragioni sia del mio dissenso dalla soluzione accolta dalla prima delle annotate
sentenze, la quale riproduce un punto di vista già prospettato nella giurisprudenza di merito e nella dottrina (App. Milano 14 febbraio 1947, Foro it., 1947, I, 638 e ivi la nota di Braccianti), sia del mio consenso alla tesi, che la seconda sentenza qualifica « giurisprudenza costante » della Cassazione.
Vorrei qui solo soffermarmi su un punto, che ricorre più o meno in tutte le sentenze esaminate, come in quelle precedenti (per altri riferimenti cfr. la mia nota cit.). Di fronte alla pratica impossibilità, in cui il ricevitore delle merci trasportate viene a
trovarsi, di provare, come causa del danno, un preciso evento
imputabile alle Ferrovie, si è appalesata la necessità di ricorrere all'ausilio di presunzioni. Da ciò il quesito se possa vincersi con una presunzione di fatto la presunzione dell'art. 2 del decreto del 1944. La risposta (come ho cercato di dimostrare in una nota, di prossima pubblicazione nella Giur. it., su un argomento affine a quello in discussione) deve essere affermativa. Posto infatti che
quella dell'art. 2 è una praesumptio legis, cioè una regola sulla distribuzione dell'onere della prova, è chiaro che con la stessa è
compatibile il ricorso, per l'adempimento dell'onere della prova, ad una praesumptio hominis, che è un mezzo di prova. E non sem bra inutile ricordare, perchè l'esigenza non sempre è rispettata
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