Sezione II civile; sentenza 9 maggio 1948, n. 680; Pres. Piacentini, Est. Vitale, P. M. Vitanza(concl. conf.); Zanotti (Avv. Albertario, Robutti, Maroi) c. Merlo (Avv. Pasino, Funaro)Source: Il Foro Italiano, Vol. 72, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE (1949), pp. 719/720-721/722Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23142600 .
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719 PARTE PRIMA
civ., lamenta in sostanza che la Corte d'appello, dopo aver riconosciuto che la causa andava decisa in base alle norme che regolano il contratto di trasporto di persone, ha erroneamente ritenuto sufficiente l'imprudenza del Pini
per esonerare da ogni responsabilità l'Azienda tramviaria.
Questa, invece, prosegue il ricorrente, per distruggere la
presunzione iuris et de iure stabilita dalla legge contro il vettore nell'articolo predetto, avrebbe dovuto provare nel modo più rigoroso che i danni subiti dal Pini durante il
trasporto si erano verificati per forza maggiore o per caso
fortuito, ovvero per fatto imprudente dello stesso viaggia tore. E nella specie la prova liberatoria era completamente fallita, rimanendo anzi accertata la piena responsabilità dell'Azienda.
La doglianza non ha fondamento. A prescindere dal l'inesattezza enunciata dal ricorrente circa la sussistenza di una presunzione iuris et de iure, circa la responsabilità del vettore, contro la quale tuttavia è ammessa la prova contraria, è da rilevare che nel caso in esame, come giu stamente ha rilevato l'Azienda resistente, non trova ap plicazione l'art. 1681, concernente la responsabilità del
vettore, in quanto non poteva ritenersi sorto un contratto di trasporto.
Invero, nel caso di vetture tramviarie circolanti su strade ordinarie e adibite a servizio pubblico, il contratto si perfeziona nel momento in cui il viaggiatore, accettando l'offerta del vettore, sale sulla vettura ferma al luogo sta
bilito, e si perfeziona altresì quando il viaggiatore mede
simo, pur violando il divieto, riesce a salire sul tram du rante la corsa. Ma se taluno, nell'aggrapparsi alla vettura tramviaria già in moto, rimane danneggiato, potrà sussi stere colpa aquiliana, in quanto il conducente non è
dispensato dal seguire le norme di comune prudenza per
siderare che non sussiste nemmeno l'obbligo del vettore di con trarre. Solo le offerte fatte nella debita forma debbono essere accettate, lo dispone l'art. 1679 : « Coloro che. . . esercitano ser vizi di linea ... sono obbligati ad accettare le richieste di tra sporto ... secondo le condizioni generali > ; • l'espressione « condi zioni generali » non si riferisce soltanto alle tariffe. Vi sarebbe addirittura da chiedersi se l'accettazione da parte del vettore di un'offerta irregolare sarebbe valida...» qualunque deroga alle medesime (condizioni generali)— soggiunge l'art. 1079 — è nulla, e alla clausola difforme è sostituita la norma delle condizioni generali >.
E deve anche tenersi presente che, in un primo momento, non risulta neppure se il viaggiatore, che sale sulla vettura in moto, intenda concludere un contratto di trasporto, o piuttosto godere del servizio precariamente e gratuitamente. L'atto invece di chi sale sulla vettura ferma è, da questo punto di vista, meno equivoco, in quanto ■ regolare».
5. — Interessante è il raffronto tra la prima massima della sentenza annotata ed altra recente decisione della Suprema corte (Sezione III, 10 aprile 1942, Foro it.. Rep. 1942, voce Ferrovie, nn. 107, 108), la quale ha ritenuto che « nel contratto di trasporto di persone con mezzo tram viario circolante su strada ordinaria, l'ofEerta del vettore si intende perfezionata nel momento in cui il convoglio è fermo al luogo designato, mentre l'accettaziore da parte del passeggero, avviene quando egli, collocatosi nella vet tura, dimostra col fatto la propria intenzione di usufruire del mezzo offerto. Da ciò consegue che se il viaggiatore, contro il di vieto della legge, sale prima di quel momento, mentre la vettura è in moto, nessun vincolo obbligatorio sorge a carico del vettore, ed un'eventuale colpa di questi non può essere esaminata sotto il profilo della colpa contrattuale ».
Questa decisione del 1942 se pur concorda, circa il procedi mento di formazione del contratto, con la sentenza annotata e criticata, evita gli errori di questa sugli altri punti tesi,è illustrati.
0. — Esatta mi sembra invece la seconda massima. In so stanza la decisione ha esaminato tre casi : a) il passeggero sale regolarmente alla fermata; 6) sale durante la corsa ; c) si aggrappa esternamente alla vettura. Solo in questo terzo caso, secondo la Cassazione, il contratto non sorge.
Secondo la tesi da me sostenuta in nessuno dei tre casi sorge il contratto per il solo fatto dell'attività del passeggero ; nel pri mo caso però sorge l'obbligo del vettore di accettare, negli altri due non sorge neppure quest'obbligo.
Dott. Amedeo Travi. |
evitare o ridurre le conseguenze dell'imprudenza altrui, ma
non mai responsabilità del vettore ex contractu.
Nella specie il Pini, come insindacabilmente hanno ri
tenuti i giudici di merito, aveva tentato invano di salire
sulla vettura tramviaria che, dopo la fermata, aveva ri
preso la corsa, si dice, in dipendenza di tale comportamento, contrario ad ogni norma di prudenza ed ai termini del
l'offerta del vettore, non poteva considerarsi posto in es
sere un contratto di trasporto.
Comunque la Corte d'appello, con apprezzamento in
sindacabile in questa sede, di cui per altro dà conto nella
sentenza con adeguata motivazione, ha ritenuto in punto di fatto che l'evento dannoso si era verificato esclusiva
mente per l'atto imprudente del Pini, esclusa qualsiasi
colpa del conducente, e che dall'inchiesta testimoniale ri
sultava raggiunta in pieno la prova liberatoria circa la
responsabilità dell'Azienda tramviaria. Di tal che la deci
sione dei giudici di merito resiste sotto ogni aspetto alle
censure del ricorrente, dovendo la resistente, alla stregua dei fatti accertati dai giudici stessi, considerarsi giusta mente dichiarata irresponsabile dei danni sofferti dal Pini sia per le norme che regolano la colpa aquiliana, sia in base ai principi giuridici concernenti la responsabilità del
vettore, stabiliti nell'art. 1681 a proposito del trasporto di persone.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SDPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile; sentenza 9 maggio 1948, n. 680 ; Pres.
Piacentini, Est. Vitale, P. M. Vitanza (conci, conf.) ; Zanotti (Avv. Albertario, Eobutti, Maeoi) c. Merlo
(Avv. Pasino, Funako).
(Sent, denunciata: App. Milano 24 febbraio 1944)
Servitù — Servitù di passaggio — Esenzioni legali —
Divisione giudiziale — Poteri del giudice (Cod. civ., art. 1051).
La norma, secondo la quale sono esenti da servitù di pas saggio coattivo le case, i cortili, i giardini e le vie ad essi attinenti, deve essere rispettata anche dal giudice che,
per avere pronunciato divisione giudiziale di un immo
bile, sia investito del potere di stabilire servitù a favore delle quote intercluse. (1)
La Corte, ecc. — (Omissis). Una seconda censura si
prospetta, poi, col ricorso, sotto due profili strettamente connessi per le loro interferenze sulla unicità del risultato cui si perviene.
Non dando luogo a controversia la materiale divisibi lità del cortile nei due cortiletti, censurano gli Zanotti la sentenza d'appello perchè, nel modo come la divisione è stata eseguita, tutto il vantaggio sarebbe delle Merlo, mentre su di essi Zanotti soltanto ricadrebbe il danno della servitù onde, da una parte, si ha una ragione d'il
legittimità della divisione di cosa non comodamente divi sibile e, dall'altra, una seconda violazione di legge circa la giuridica impossibilità di stabilire un passaggio coat tivo sul cortile.
La comoda divisibilità, sotto l'aspetto giuridico, di un bene in natura esige il concorso di elementi specifici la cui esistenza deve, indubbiamente, essere valutata dal giudice di merito, dando luogo ad un apprezzamento insindaca bile in questa sede, semprechè immune da errori di logica e di diritto.
Ma il vizio che travaglia la decisione della Corte di Milano sta nell'avere essa disattesi i principi per i quali il concetto di comodità è da porsi in relazione alla indi
(1) Non risultano precedenti editi. Per l'estensione delle esen zioni legali dalla servitù di passaggio, v., Trib. Casale Monfer rato, Foro it., 1848, I, 604 con nota di Pier Luigi Calabria.
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121 GIURISPRUDENZA CIVILE 722
I
vidualità delle singole quote, le quali debbono risultare
convenienti all'interesse di tutti i condividenti, in senso
obiettivo o su base economica. In genere, quindi, il giu dice è tenuto ad esaminare se la formazione delle quote, specie se l'una gravata e l'altra avvantaggiantesi da una
servitù, risponda ad un criterio di convenienza e di pro porzione. Ma, in particolare, doveva la Corte di Milano tener presente il divieto della servitù coattiva sulle case, i cortili ecc., codificato nell'art. 1051, ultimo comma, cod.
civ., per la ragione, illustrata nella Relazione ministeriale, dell'eccessiva onerosità cbe verrebbe imposta su codesti
elementi di un immobile la cui libertà da ogni vincolo va,
per cause naturali e civili, integralmente rispettata. Or, nel caso in esame, non si poteva dal giudice non
affrontare l'indagine circa l'onerosità della servitù di pas
saggio coattivo, la quale, risolta nel senso che tale ecces siva onerosità, se in astratto poteva valere a rendere non
comodamente divisibile la cosa, in concreto veniva a per dere ogni importanza per l'impossibilità legale di costitu zione della servitù, avrebbe circoscritto le due questioni della lite al solo punto imperniato intorno al divieto del
l'art. 1051 u. p. Tale norma, per il suo carattere generale, s'impone
sempre al giudice anche quando, per effetto di divisione
giudiziale, egli debba esercitare la potestà spettantegli di creare la servitù a vantaggio e rispettivamente in danno
di quote divise di un immobile le quali siano rimaste, in
conseguenza della loro ripartizione tra i singoli, intercluse in senso assoluto o relativo. Se, infatti, fino al momento
della divisione i condividenti usavano uti domini della cosa comune, avvenuta la separazione delle rispettive quote ed acquistatasene da ciascuno di essi l'assoluta ed esclusiva proprietà, costoro vengono a trovarsi in reci
proca relazione di proprietari confinanti, e da allora la interclusione che deriva dalla divisione fa sorgere il diritto allo sbocco sulla pubblica via attraverso il fondo del vi cino. Diritto che, peraltro, deve, nella particolarità del caso che il passaggio coattivo si voglia esercitarlo sulle
case, sui cortili, sulle vie ecc., del vicino, cedere al di vieto di legge di assoggettarli a siffatta servitù, onde la
esclusione, nella specie, del passaggio coattivo sul corti letto degli Zanotti porta altresì alla giuridica conseguenza della non comoda divisibilità del maggior cortile comune.
I due profili del secondo mezzo convergenti al mede simo risultato dell'annullamento della sentenza, si fondono insieme nel senso che l'accoglimento del ricorso per la
parte concernente la violazione del divieto dell'ultimo comma dell'art. 1051 assorbe ed elimina l'altra censura di non comoda divisibilità, lasciando ferma l'assegnazione delle quote e rinviandosi ad altra Corte d'appello la deci sione in ordine al solo passaggio coattivo.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 17 marzo 1948, n. 423 ; Pres. Azara P., Est. Piacentini, P. M. Verde (conci, conf.) ; Visconti (Avv. Conforti) c. Visconti (Avv. Delle Dokne).
(Sent, denunciata: Trib. Roma 15 ottobre 1946)
Diritti promiscui e usi civici — Università agrarie —
Concessione dell'utenza — Cessione — Effetti —
Competenza.
La cessione ad un terzo dei terreni, dati in utenza da una
Università agraria, comporta la decadenza del- concessio
nario utente. (1) Avverso il provvedimento, con il quale V Università agraria
disconosce al terzo cessionario, ancorché munito dei re
quisiti richiesti dallo statuto, la qualità di nuovo utente, è ammesso ricorso non al giudice ordinario, ma alla giunta
provinciale amministrativa. (2)
La Corte, ecc. — Il ricorso non è fondato.
È pacifico che, nel caso, si trattava non dell'affitto di
un terreno di proprietà privata, ma di un'utenza, a scopo di coltivazione, ed a favore di coltivatori diretti, fdi un
terreno di proprietà di un ente pubblico (l'Università agra ria di Montecompatri). Tali utenze, per le disposizioni vi
genti per tutte le utenze consimili ed in base, altresì, alle norme contenute nello statuto della Università de qua,
(1-2) Nella pratica accade spesso che privati concessionari cedano ad un terzo la concessione amministrativa. È intuitivo, però, come osserva la decisione in esame (ed il rilievo deve ri tenersi ehe abbia valore di principio), che la cessione di una concessione amministrativa « non è nè può essere in alcun modo vincolativa per l'ente concedente ».
Per quanto, infatti, regni molta incertezza sul concetto di concessione amministrativa (cfr. Zanobinì, Corso di dir. amm., Milano, 1945, I, 210-243), è ben certo che trattasi di un istituto i cui effetti caratteristici si concretizzano nel trasferimento al
privato di poteri propri dell'Amministrazione pubblica o, comun
que, nell'attribuzione al privato da parte della stessa Ammini strazione di un diritto che altrimenti egli non avrebbe (sulla pos sibilità di concessioni costitutive: cfr. Vitta, Diritto amm., To
rino, 1948, 348). È ben certo inoltre che anche quando la con
cessione amministrativa possa per certi aspetti configurarsi sub
specie di un rapporto bilaterale, di carattere sinallagmatico (su
questa possibilità la dottrina è discorde ; la questione si inquadra in quella più generale dell'ammissibilità o meno di contratti di
diritto pubblico: cfr. Forti, Dir. amm., Parte generale, Napoli, 1947, II, 83, 89 e, segnatamente, pag. 87, ove è portato come
esempio probante di tale ammissibilità la concessione di pub blico servizio), essa postula, per gli aspetti che attengono alla
sua specifica funzione, dei presupposti la cui valutazione è ri
messa all'apprezzamento discrezionale dell'ente concedente (cfr.
Vitta, op. iit., 347). Tutto ciò significa, come mette in evidenza la decisione an
notata, che il privato in questa materia può richiedere la tutela
unicamente di un interesse legittimo. E significa ancora che una
volta che egli abbia ottenuto la concessione, deve mettere in es
sere una attività bene determinata in relazione al perseguimento dello specifico pubblico interesse insito nella concessione mede
sima (l'imposizione di tale attività serve a distinguere, ad esem
pio, la concessione dalla locazione: cfr. Cass. 26 giugno 1946, Comune Foligno c. Jnnocenzi, Foro it., Rep. 1946, voce Concessione
amm., nn. 9-11). Da quoste premesse balza evidente l'impossibilità della ces
sione della concessione ad un terzo da parte del concessionario
con valore vincolativo per la pubblica Amministrazione. Altri
menti ragionando, infatti, sarebbe come ammettere la facoltà
del concessionario di sostituire il proprio apprezzamento a quello demandato all'ente concedente.
Naturalmente nulla vieta che il cessionario possa ottenere
dall'ente concedente, nella ricorrenza dei necessari presupposti, la concessione invalidamente cedutagli. Non mi sembra, però, che in simili ipotesi possa venire in considerazione l'istituto dèlia ra
tifica. Questo istituto, infatti, nel campo del diritto amministra tivo è diretto a far sì che un determinato organo possa ricono scere ed eliminare i vizi di un atto proprio o di un atto emanato da altro organo incompetente (in questo senso la ratifica è con
cepita quale sottospecie della convalida : cfr. Zanobinì, Corso,
cit., 299-302 ; Vitta, op. cit., 441-442. Questa concezione non
è, però, pacifica. V'è chi sostiene, infatti, che la ratifica do vrebbe tenersi nettamente distinta dalla convalida : ctr. Ravà
P., La convalida degli atti amm., Padova, 1937, 140-141). È ben vero che alcuni autori ammettono la possibilità di ratifica, da
parte degli organi pubblici, anche dell'attività esplicata dai pri vati (vedi citazioni bibliografiche in Bavà P., op. cit., nota n. 1 alla pag. 153). Ma, a parte il fatto che la possibilità di tale ra tifica è vivamente discussa, deve osservarsi che essa appare in
concepibile in riferimento a quegli istituti in cui il privato esplica un'attività ben delimitata.
Iia concessione rientra, appunto, tra questi istituti, in quanto essa si fonda bensì sul consenso del privato, ma ciò è da inten dersi solo nel senso che l'autorità pubblica non può concedere un beneficio a chi non lo richiede o comunque non lo accetta
(cfr. Vitta, cyp. cit., 347). A mio avviso, perciò, il concessionario con l'atto della ces
sione mette in essere semplicemente una manifestazione di volontà
incompatibile con l'esercizio della concessione. Conclusione que sta che porta a ritenere, se non mi inganno, che anche se leggi speciali nella materia in oggetto parlino di «ratifica», questo termine deve, di regola, intendersi usato in senso non tecnico.
G. C.
It ramo Italiano — Volumi LII11 — Part« /-48.
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