decreto 14 giugno 1988; Pres. Battistacci, Rel. Morani; Iaconisi e Biscarini (Avv. Di Gravio,Laureati), Adriani (Avv. Bellingacci), Paloni (Avv. Cesarini) c. Giovannini (Avv. Gatti, Pazzaglia)Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2937/2938-2939/2940Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184232 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
È bensì vero che in quell'assemblea si decise di imporre a tutti
i soci una determinata prestazione personale e che tale decisione
fu certamente — come poi accertò in altro giudizio la Corte d'ap
pello di Roma con sentenza del 1980 passata in giudicato — una
delle concause, sia pure indirette, della successiva espulsione del
Trasmondi dalla cooperativa (disposta due giorni dopo quell'as semblea anche per il proposito da lui manifestato di non voler
adempiere quella prestazione personale ivi deliberata), tuttavia nep
pure l'omessa considerazione di tale circostanza nella motivazio
ne dell'impugnata sentenza può portare ora alla sua cassazione,
non trattandosi di circostanza decisiva, tale, cioè, da poter presu mere che, se fosse stata presa in considerazione, avrebbe potuto
capovolgere l'esito del giudizio. Dalle carte processuali, invero, già risulta irrefutabilmente che:
A) l'espulsione fu motivata anche per una ragione diversa ed
autonoma rispetto all'inadempimento del Trasmondi alle obbli
gazione derivantigli dalla delibera del 22 dicembre 1970, e cioè
per avere egli tenuto in assemblea un contegno eccessivamente
aggressivo, come tale intollerabile a prescindere dalla fondatezza
delle tesi sostenute per aver «innescato un pericoloso processo
di lacerazione del tessuto sociale»;
B) l'espulsione è stata già oggetto di un apposito giudizio, chiu
sosi definitivamente in sfavore del Trasmondi a seguito delle sen
tenze di questa stessa corte del 1976 e del 1982 emesse l'una in
relazione all'impugnazione per nullità e l'altra a quella per revo
cazione del lodo arbitrale del 10 luglio 1971.
Orbene, anche a voler ammettere la possibilità per il Trasmon
di di impugnare il predetto lodo nuovamente per revocazione in
base a motivi diversi da quelli in precedenza fatti valere, deve
considerarsi che in forza dell'art. 831 c.p.c. la sentenza arbitrale
è soggetta a revocazione soltanto nei casi indicati nei nn. 1, 2,
3 e 6 dell'art. 395 c.p.c. (cioè, rispettivamente, quando la senten
za sia effetto del dolo di una delle parti ovvero quando, dopo
la sentenza, siano stati trovati uno o più documenti decisivi ri
spetto alle questioni trattate nel giudizio non potuti produrre pri
ma per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario ovvero
quando la sentenza sia effetto del dolo del giudice) e che l'even
tuale accertamento compiuto ora dell'illegittimità della delibera
assembleare del 20 dicembre 1970 non rientrerebbe in nessuno
dei casi di revocazione sopra-indicati.
CORTE D'APPELLO DI PERUGIA; decreto 14 giugno 1988; Pres. Battistacci, Rei. Morani; Iaconisi e Biscarini (Avv. di
Gravio, Laureati), Adriani (Avv. Bellingacci), Paloni (aw.
Cesarini) c. Giovannini (Avv. Gatti, Pazzaglia).
CORTE D'APPELLO DI PERUGIA;
Fallimento — Società di capitali — Socio sovrano — Estensione
— Esclusione (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del falli mento, art. 147).
Il socio che assume, all'interno di una società di capitali, la posi
zione di detentore del pacchetto di maggioranza della società
in modo da essere arbitro delle scelte sociali ovvero di chi uti
lizza lo schermo della struttura societaria per l'esercizio della
propria attività economica, nel caso in cui sia dichiarato il fal
limento dell'ente sociale, non è assoggettabile alla procedura
concorsuale. (1)
(1) La sentenza, affrontando sommariamente il tema dell'estensione del
fallimento sociale al socio-padrone, si inserisce nel più rigoroso filone
interpretativo, secondo il quale le elaborate nozioni del socio-sovrano e
del socio-tiranno (Bigiavi, L'imprenditore occulto, Padova, 1954 e Re
sponsabilità illimitata de! socio tiranno, in Foro it., 1960, I, 1180) riman
gono prive di pratica applicazione, dovendosi escludere la configurabilità
del fallimento del socio nell'ipotesi di fallimento sociale, posto che non
vi sarebbe alcun modo per superare lo schermo della personalità giuridica
(Cass. 9 dicembre 1982, n. 6712, id., Rep. 1982, voce Società, n. 285;
7 ottobre 1982, n. 5143, id., 1982, I, 2410, con nota di G. Silvestri,
cui acide, Trib. Genova 12 febbraio 1986, id., Rep. 1987, voce Fallimen
to, n. 121; Trib. Roma 6 luglio 1984, id., Rep. 1986, voce Società, n.
Il Foro Italiano — 1989.
Diritto. — (Omissis). Non sembra da condividere — in secon
do luogo — neppure l'altra tesi che i reclamanti sviluppano sui
tre profili del rapporto sociale apparente, del rapporto sociale
occulto e del socio sovrano o tiranno.
Assolutamente indimostrata, anzitutto, è la qualità di socio di
fatto dei soggetti dichiarati falliti attribuita al Giovannini. Come è noto, la società apparente — la cui configurabilità,
ammessa dalla giurisprudenza dominante è respinta da gran parte della dottrina — è quella che si rivela esistente nei confronti dei
terzi, pur non sussistendo alcuno effettivo vincolo sociale.
In applicazione del principio dell'apparenza (situazione di fatto
che manifesta come reale una situazione giuridica non reale), prin
312; Trib. Roma 2 agosto 1983, id., Rep. 1983, voce Fallimento, n. 121). Come è noto, contrariamente alle affermazioni della corte regolatrice, secondo la quale «la limitazione di responsabilità al capitale sociale me
diante la costituzione di una società avente personalità giuridica è scopo ritenuto perfettamente meritevole di tutela nel nostro ordinamento giuri
dico», ampi e autorevoli settori della dottrina, continuando la «batta
glia» di Bigiavi, insistono nel ritenere superabile lo schermo della struttu
ra societaria, quando nella conduzione della società si manifesta il totale
disprezzo delle regole che dovrebbero governare tale tipo di soggetti, con
un sistematico abuso della «rendita» di posizione costituita dalla dissocia
zione fra responsabilità legale e responsabilità di fatto (Galgano, Il falli mento delle società, in Trattato dir. comm. e dir. pubbl. econ., Padova,
1988, 84; Di Francia, Personalità giuridica di società di capitali, abusi
della stessa e fallimento del socio tiranno, in Giur. merito, 1985, 358). Secondo Galgano sono maturi i tempi per il superamento del diaframma
fra società aventi personalità giuridica e società di persone (sull'argomen to si rinvia anche alla nota a Cass. 14 dicembre 1988, n. 6810, Foro
it., 1989, 1, 1130), anche attraverso l'estensione analogica dell'art. 2362
c.c. dettato a proposito della responsabilità dell'unico azionista; recente
mente, Cass. 29 novembre 1983, n. 7152, id., Rep. 1983, voce Società, n. 384, afferma che l'art. 2362 c.c., lungi dal costituire una norma di
rango eccezionale, rappresenta, invece, il ritorno alla regola generale del
l'art. 2740 c.c.; la decisione apre, cosi, un varco a favore della tesi del
l'applicazione analogica della disposizione in tema di unico azionista, per tutti i casi in cui un socio (ancorché formalmente non unico) degradi la società a suo mero strumento. In questa ottica paiono muoversi Trib.
Ravenna 28 marzo 1987, Dir. fallim., 1988, II, 138, che ha dichiarato
il fallimento, in estensione, del socio titolare del 95% del pacchetto azio
nario (quando nel caso deciso da Cass. n. 5143/82, cit., era stato escluso
il fallimento del socio proprietario del 99,15% delle azioni) e App. Mila
no 23 settembre 1986, Giur. comm., 1988, II, 889, che ha reputato appli cabile l'art. 2362 c.c. — al di fuori del fallimento — al socio titolare
del 99,96% delle azioni e del controllo delle residue (quando, in un caso
consimile, Cass. 9 gennaio 1987, n. 73, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 547, ha escluso l'invocabilità di tale norma per l'appartenenza del 99%
del pacchetto azionario ad un unico socio). Per superare gli ostacoli frapposti dalla prevalente giurisprudenza, Bron
zini, «Dominus» di società a responsabilità limitata e suo fallimento per sonale: presupposti, in Dir. fallim., 1988, II, 138, ha osservato che il
fallimento del socio tiranno può essere dichiarato, previo accertamento
della simulazione della società mascherata; secondo Izzo, Il socio sovra
no e il socio tiranno: prospettive di superamento della tradizionale solu
zione del problema, in Fallimento, 1986, 432, si potrebbe pervenire al
fallimento del socio che comanda, considerando nulla la società, in quan to il contratto sociale sarebbe realizzato in frode alla legge.
Il richiamo delle tesi ora esposte, ai concetti di frode e di simulazione,
impone ulteriori osservazioni, per ricordare che, il tema in oggetto, si
correla, direttamente, alla questione della evaporazione del dogma della
personalità giuridica (Galgano, La società per azioni, in Trattato, cit.,
105; Marziale, Brevi note sul principio della responsabilità limitata nelle
società di capitali e sul suo superamento, in Foro it., 1982, I, 2898),
e, in particolare, a quella della configurabilità della simulazione delle so
cietà di capitali, su cui, di recente, Cass. 1° dicembre 1987, n. 8939,
id., Rep. 1987, voce Agricoltura, n. 137 (annotata, in senso critico da
D'Alessandro, Contratto sociale simulato e superamento della persona lità giuridica in una sentenza della Corte suprema, in Giust. civ., 1989,
I, 1201 e da Iozzelli, S.p.a. simulata e comunione dissimulata, in Giur.
comm., 1988, II, 495), affermando che è possibile la simulazione dell'at
to costitutivo, sembra rappresentare l'occasione per una «svolta coperni
cana» (al tema della simulazione nelle società, con specifico riferimento
alla prospettiva fallimentare, è dedicata parte della nota redazionale a
Trib. Verona 14 ottobre 1986, Foro it., 1987,1, 1903). Infine, ricordando
che, talora, per il coinvolgimento del socio-padrone, si è fatto ricorso
alla finzione dell'accertamento dell'esistenza di una società di fatto fra
società di capitali e persona fisica (lo ha escluso, espressamente, App.
Bari 26 aprile 1984, id.. Rep. 1984, voce Fallimento, n. 124), neppure
è estraneo al tema, il dibattito, tutt'ora assai aperto, sull'ammissibilità
di una partecipazione nelle società di persone da parte delle società di
capitali, su cui da ultimo, in senso negativo, Cass. 17 ottobre 1988, n.
5636, id., 1988, I, 3248, con osservazioni di Marziale.
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2939 PARTE PRIMA 2940
cipio ispirato all'esigenza di tutela della buona fede dei terzi, la
giurisprudenza è unanime nel ritenere che l'apparenza esteriore
di un rapporto sociale equivalga all'esistenza della società.
Ora, nella specie, non solo mancano prove dirette specifica
mente riguardanti i requisiti essenziali del contratto sociale {af
fect io societatis, costituzione di un fondo comune, partecipazione
agli utili e alle perdite) ma neppure sono emerse manifestazioni
esteriori dell'attività del Giovannini che, per obiettiva sintomati
cità e sicura concludenza, possano ritenersi indici rivelatori di
un vincolo sociale tra il resistente e i soggetti falliti.
In particolare, proprio con riferimento agli atti considerati più
significativi dai reclamanti, non può dedursi il preteso consegui
mento di uno scopo di comune interesse per le seguenti conside
razioni: 1) la prestazione della fideiussione bancaria di lire 35
milioni concessa all'Alitalia per il pagamento dei debiti dell'Um
bria Travel e dell'agenzia nei confronti dell'Alitalia stessa, fideius
sione che costituiva esecuzione di un obbligo derivante dall'ac
cordo di risoluzione del preliminare e, quindi, adempimento di
un'obbligazione contrattuale autonoma, non può ritenersi atto
volto al raggiungimento di una comune finalità sociale; 2) la vol
tura della concessione lata a favore della Nuova Umbria viaggi
s.r.l., voltura che non riguardava direttamente il Giovannini ma
la società Nuova Umbria s.r.l. (che prendeva il posto della socie
tà Spoleto viaggi s.r.l.) di cui era amministratore Antonella Gio
vannini, rientrava nell'attuazione del piano di gestione dell'agen zia da parte della società affittuaria; 3) la cessione del credito
di lire 70 milioni effettuata il 15 aprile 1985 dallo Jaconisi in
favore del Giovannini può considerarsi il pagamento di eguale somma capitale dovuta dal cedente al cessionario in virtù di rap
porti patrimoniali prima costituiti; 4) la conclusione del già citato
contratto di affitto di azienda, avente ad oggetto la locazione
dell'esercizio di agenzia di viaggi e turismo e stipulato dallo Jaco
nisi, quale legale rappresentante delle società Umbria Travel s.n.c.
e dell'Umbria viaggi s.r.l., e dalla società Spoleto viaggi, è, asso
lutamente, priva di rilevanza ai fini suindicati; 5) la riscossione
di somme di pertinenza dell'Umbria Travel da parte di Antonella
Giovannini, socio della Spoleto viaggi e amministratore della Nuo
va Umbria viaggi appare altrettanto irrilevante; 6) la dichiarazio
ne di cessione di azienda fatta il 22 aprile 1985 dallo Jaconisi
in favore della Nuova Umbria viaggi costituisce atto unilaterale
del reclamante, diretto alla lata per l'espletamento della pratica relativa alla voltura della concessione in favore della Nuova Um
bria viaggi; 7) l'atto di costituzione d'ipoteca in favore della Gio
vannini, da parte della madre dello Jaconisi, coi propri beni im
mobili, è atto diretto a garantire al Giovannini il pagamento della
somma di lire 150 milioni di cui il figlio si riconosceva debitore
verso il resistente detto; 8) lo stesso unico pagamento diretto di
lire 1.200.000 effettuato dal Giovannini ad Aldo Bevilacqua cre
ditore dell'agenzia, pagamento eseguito con riferimento al con
tratto di affitto dell'agenzia locata alla Spoleto viaggi di cui il
resistente era legale rappresentante, non ha valore sintomatico
decisivo ai fini suindicati. Inoltre, neppure può dedursi l'asserita gestione comune dell'a
genzia: dalla presenza personale del Giovannini negli uffici del
l'agenzia, presenza (secondo l'attendibile testimonianza di Altero
Clementini — cui va accordata preferenza rispetto alle contrarie
dichiarazioni di altri testi, soggetti interessati e meritevoli di scar
so credito, anche perché il Giovannini non aveva interesse e com
petenza per la gestione diretta — consistente in tre, quattro visite
nell'agenzia senza alcuna ingerenza nella gestione), che ben può
spiegarsi, avendo riguardo sia ai rapporti tuttora in corso tra lo
Jaconisi e il Giovannini dopo lo scioglimento del preliminare (il Giovannini era rimasto creditore verso lo Jaconisi della somma
di lire 60 milioni versatigli a titolo di caparra e si era impegnato per la concessione della fideiussione bancaria di lire 35 milioni
in favore dello Jaconisi) sia all'esistenza del contratto di affitto
dell'agenzia concluso il 19 aprile 1985; o dai conferimenti di capi
tali, conferimenti apoditticamente affermati dai reclamanti e del
tutto indimostrati.
Alla luce dell'espletata indagine, insomma, è opinione della corte
che, non solo, non risultano né l'assunzione da parte del Giovan
nini di obbligazioni sociali in nome e per conto dei soggetti falliti né l'espletamento, ad opera del resistente, di attività direttiva o
amministrativa dell'agenzia con assunzione del rischio dell'impre
sa, ma che, addirittura, sono evidenti e costanti, invece, tanto
Il Foro Italiano — 1989.
l'estraneità del Giovannini alla gestione dell'agenzia quanto la sua
ferma cura di cautelarsi, di non correre alcuna alea e di non veni
re pregiudicato dai rapporti con lo Jaconisi, circostanze sicura
mente incompatibili con la pretesa sussistenza di una società di
fatto tra il resistente e i soggetti falliti.
Egualmente indimostrata è la qualità — in capo al Giovannini — di socio occulto dei soggetti già dichiarati falliti.
Come è noto, la società occulta — che è ipotesi diversa ed
opposta rispetto a quella della società apparente ove c'è solo l'e
steriorizzazione di fronte ai terzi di una società di fatto in realtà
inesistente nei rapporti tra i soci — ricorre quando tra i soci esi
ste un rapporto sociale che, in forza di accordo tra i soci stessi,
non viene rivelato all'esterno ove si presenta solamente un singo
lo che agisce. Secondo l'opinione prevalente e concorde in dottri
na e giurisprudenza (la quale interpreta estensivamente l'art. 147
1. fall, che prevede in modo espresso il fallimento del socio occul
to di società palese), la società occulta è valida sia nel rapporto
sociale sia nella clausola relativa alla segretezza e gli effetti sociali
si producono non solo tra i soci ma anche verso i terzi.
Poiché, a differenza della società apparente, per la società oc
culta non è necessaria l'esteriorizzazione di essa, incombe a chi
deduce la ricorrenza della società occulta l'onere della prova del
la reale esistenza tra i soci del rapporto sociale occulto.
Nel caso in esame, tale onere non è stato assolto dai reclaman
ti, giacché la compiuta istruzione non fornisce, neppure in via
presuntiva e logico-critica, i necessari elementi per ritenere che
il Giovannini sia stato socio occulto dei soggetti falliti.
Non meno apodittica e priva di seria consistenza è — da ulti
mo — la prospettazione dell'ipotesi del socio sovrano e tiranno,
prospettazione del tutto nuova, formulata in questa fase di gra vame dai coniugi reclamanti che attribuiscono al resistente pure la qualità predetta.
Va ricordato, anzitutto, che, secondo autorevole dottrina, la
differenziazione tra socio sovrano e socio tiranno consiste nel fatto
che il socio sovrano sarebbe il detentore del pacchetto di maggio
ranza e, quindi, arbitro della volontà sociale e come tale sfuggi rebbe al fallimento personale e che il socio tiranno sarebbe quello che si è servito della struttura societaria quale schermo per l'eser
cizio della propria attività economica, sovrapponendosi costante
mente all'ente collettivo, confondendo il proprio patrimonio con
quello sociale, onde sarebbe assoggettabile alla procedura con
corsuale.
Va ricordato, altresì', che l'assoggettabilità del socio sovrano
o tiranno al fallimento è stato oggetto di vivi contrasti in dottrina
e in giurisprudenza, ed è stata negata dalla Suprema corte che
ha escluso la configurabilità di una società di fatto tra società
di capitali e socio sovrano ed ha affermato che quest'ultimo può essere dichiarato fallito se è imprenditore autonomo e cioè nella
misura in cui eserciti un'attività commerciale in proprio. Ciò premesso, deve, principalmente, osservarsi che, nella spe
cie, l'ultimo assunto dei reclamanti si pone come un'ipotesi astratta
e del tutto avulsa dalle acquisizioni processuali raccolte, un'ipo tesi inaccettabile siccome sfornita interamente del concreto sup
porto della necessaria prova. Se la domanda di estensione del fallimento formulata in via
principale dai coniugi Jaconisi Biscarini è, senza dubbio, infon
data, la domanda dagli stessi avanzata in via subordinata e volta
ad ottenere l'estensione al Giovannini del fallimento della società
Giovannini viaggi s.r.l. dichiarato con sentenza 17 novembre 1987
della stessa sezione fallimentare del Tribunale di Spoleto, oltre
che domanda inammissibile siccome formulata per la prima volta
in questa fase di gravame, è pure domanda improponibile in quan to riguarda un soggetto ed una sentenza dichiarativa diversi ri
spetto ai soggetti falliti e alla sentenza emessa in data 3 luglio 1986 dalla sezione fallimentare. (Omissis)
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