ordinanza 10 dicembre 1987, n. 504 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 23 dicembre 1987, n.54); Pres. Saja, Est. Caianiello; Corradi ed altri c. Provincia autonoma di Trento; interv. Pres.cons. ministri. Ord. Pret. Tione 15 marzo 1985 (G.U. n. 196 bis del 1985)Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 2545/2546-2549/2550Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181421 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sa da una teste (Baccari) — era stata solo vagamente riferita da
altro teste, tanto che il Leoni aveva chiesto nuovamente, in ordi
ne a tale circostanza, una prova peraltro non ammessa dal giudi ce dell'appello: il quale era, pertanto, incorso nella violazione
dell'art. 115 c.p.c., avendo posto a fondamento della propria de cisione circostanze non desumibili dagli atti processuali, né diret
tamente né sotto forma di risultato di un procedimento di dedu zioni o di presunzioni (censura questa volta svolta nel secondo
mezzo di gravame). Con il terzo motivo, la ricorrente — dopo avere rammentato
che, nella specie, era da fare applicazione all'art. 8 1. 23 maggio 1950 n. 253 (come modificato dall'art. 2 quinquies 1. 12 agosto 1974 n. 351) e non all'art. 60 1. 27 luglio 1978 n. 392 — osserva
che il termine di sei mesi entro il quale avrebbe dovuto destinare
l'immobile ad abitazione del genitore, avendo come dies a quo la data del rilascio (19 luglio 1978), doveva ritenersi interrotto nel periodo invernale per comprovato caso di forza maggiore, consistente nella mancata erogazione del riscaldamento. Inoltre era sufficiente che il beneficiario avesse destinato definitivamente
l'immobile a sua abitazione (con la materiale presa di possesso di esso e con attività «inequivocabilmente destinate a tale perso nale abitazione»), senza necessità di una continuativa presenza in esso: in tal senso è la richiamata norma che usa la dizione
«destinare ad abitazione effettiva» e non quella di «abitare effet
tivamente». Il giudice dell'appello era, conseguentemente, incor
so nella violazione delle norme sopra richiamate.
Siffatte censure, ad avviso della corte, non hanno pregio. Devesi invero osservare — con riferimento alle doglianze svolte
nel terzo mezzo di censura, aventi priorità logico-giuridica — che, con riferimento al tema che qui interessa, la normativa anteriore alla legge dell'equo canone prevedeva che il provvedimento di
rilascio avrebbe perduto la sua efficacia — con conseguente dirit
to del conduttore al ripristino del contratto di locazione e, in
ogni caso, al risarcimento dei danni — qualora il locatore avesse
dato in locazione l'immobile del quale aveva ottenuto il rilascio
per necessità ad altro conduttore, o comunque non lo avesse adi
bito all'uso per il quale aveva agito (art. 8 1. n. 253 del 1950).
Veniva, successivamente, specificato: «si ritiene che il locatore
abbia adibito l'immobile all'uso in relazione al quale aveva agito,
quando lo destini ad abitazione effettiva... entro il termine di
sei mesi dal giorno in cui ha riacquistato la disponibilità dell'im
mobile stesso, salvo comprovate ragioni di forza maggiore» (art. 2 quinquies 1. n. 351 del 1974).
L'art. 60 1. n. 392 del 1978 — oltreché quantificare la misura
del risarcimento (da 12 a 48 mensilità del canone) e prevedere il pagamento di una somma a favore del comune nel cui territo
rio è sito l'immobile — lascia fermo il termine di sei mesi entro
il quale il locatore ha l'obbligo di destinare l'immobile all'uso
per il quale aveva agito, senza tuttavia fare più riferimento alle
ragioni di forza maggiore, idonee a scriminare il comportamento del locatore.
Orbene, nel caso di specie, non par dubbio che il Tribunale
di Brescia ha considerato il comportamento della Todisco sulla
base dei parametri della «vecchia» normativa, pur essendo il se mestre «scaduto» nella vigenza della 1. n. 392 del 1978. In parti colare, ha tenuto conto dell'art. 2 quinquies 1. n. 351 del 1974, soffermandosi sulla destinazione dell'immobile ad abitazione del
padre della locatrice (come si dirà più avanti). Non è però da condividere la tesi della ricorrente secondo la
quale ad imprimere all'immobile la destinazione indicata nel re
cesso sarebbe sufficiente la «presa di possesso dell'alloggio» ed
il compimento di «attività inequivocabilmente destinate a tale per sonale abitazione, anche se manchi ancora... la presenza fisica
di colui che deve abitare l'immobile». Invero, la necessità — che
l'art. 4 della richiamata (e, nella specie, applicata) 1. n. 253 del
1950 voleva «urgente ed improrogabile» — di destinare l'immo
bile ad abitazione propria del locatore o di un suo congiunto ha per presupposto proprio un bisogno di abitazione primaria, un alloggio cioè dove vivere abitualmente. Certamente non è in
dispensabile una ininterrotta presenza, essendo ben possibile l'al
lontanamento temporaneo per i più diversi motivi, senza che ciò
faccia venir meno l'occupazione dell'alloggio stesso; tuttavia que sto deve costituire la casa di normale abitazione, il luogo dove
quello abitualmente vive (cfr., sia pure con riferimento ad altra
situazione, Cass. 27 maggio 1982, n. 3282, Foro it., 1983,1, 1987; 14 dicembre 1985, n. 6338, id., Rep. 1985, voce Locazione, n. 745).
Nel caso in esame, siffatta mancata destinazione dell'immobile
Il Foro Italiano — 1988.
ad abitazione (nel senso anzidetto) del padre della Todisco, entro
i sei mesi susseguenti al rilascio, è fuori discussione, incentrando
si le doglianze di quella — svolte nei primi due mezzi di censura
che, stante la loro connessione, vanno esaminate congiuntamente — sulla esclusione, da parte del giudice dell'appello, della sussi stenza di motivi di forza maggiore, giustificanti un tale compor tamento.
Orbene, osserva questa corte che il Tribunale di Brescia ha rile
vato che le «ragioni addotte a giustificazione del ritardo» si era
no rivelate «pretestuose», sulla base delle seguenti considerazio ni: a) i lavori da effettuare erano modesti (ritinteggiatura delle
pareti e pulizia dei pavimenti); b) l'occupazione dell'alloggio era avvenuta dopo che il Leoni aveva iniziato l'azione per il ripristi no del contratto; c) la mancata erogazione del riscaldamento si
era ripetuta nella stagione invernale 1979-80, senza per questo
impedire al padre della Todisco di abitare nell'appartamento. Si tratta di una valutazione delle risultanze di causa che si sot
trae al sindacato di legittimità in quanto immune da vizi logici od errori di diritto; in particolare, essendo a carico dell'odierna
ricorrente l'onere di «comprovare» i motivi di forza maggiore, avrebbe dovuto essa dimostrare eventuali malattie del genitore, una particolare rigidità di quell'inverno, l'eccezionalità della man
canza di erogazione del riscaldamento nella stagione 1978-79: per ché, ove un tale servizio non fosse usuale in quel condominio, è da credere che la Todisco — avendo esercitato l'azione di ne
cessità per destinare l'immobile ad abitazione del padre — repu tasse che tale mancanza non impediva la destinazione divisata.
La circostanza che il padre della Todisco abbia occupato l'im
mobile nel successivo inverno, non è poi data immotivatamente
per scontata dal giudice dell'appello (come afferma la ricorrente
nel secondo motivo), ma è collegata alla constatazione — che si legge nella narrativa della sentenza — che la stessa convenuta
aveva precisato essere stato l'appartamento regolarmente abitato
nell'aprile 1979.
Tali considerazioni comportano il rigetto del ricorso della To
disco.
I
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 10 dicembre 1987, n.
504 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 23 dicembre 1987, n.
54); Pres. Saja, Est. Cala niello; Corradi ed altri c. Provincia
autonoma di Trento; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Pret.
Tione 15 marzo 1985 (G.U. n. 196 bis del 1985).
Sanzioni amministrative e depenalizzazione — Processo verbale di contravvenzione — Valore di fede privilegiata — Questione manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 24; cod.
civ., art. 2700; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al siste
ma penale, art. 23).
È manifestamente infondata, in riferimento all'art. 24 Cost., per ché non comporta alcuna limitazione del diritto di difesa del
l'interessato, la questione di legittimità costituzionale dell'art.
23 l. 24 novembre 1981 n. 689, sulla efficacia probatoria ex
art. 2700 c.c. dell'atto pubblico attribuita al processo verbale
di contravvenzione. (1)
(1-2) Il Pretore di Roma ha risolto direttamente e con ragionata moti vazione (ma in contrasto con la Corte costituzionale) il problema della vis probatoria dell'atto pubblico nel procedimento ex 1. 689/81 che era stato rimesso alla Corte costituzionale da Pret. Tione 15 marzo 1985, Foro it., 1986, I, 2968, con nota di richiami; per altri utili riferimenti, v. Corte cost., ord. 4 novembre 1987, n. 376, id., 1988, I, 1754, con nota di richiami, che ha dichiarato manifestamente infondata la questio ne di costituzionalità dell'art. 635, 2° comma, c.p.c. nella parte in cui
qualifica come prove idonee gli accertamenti eseguiti dai funzionari degli enti di previdenza e assistenza; per indicazioni di carattere generale, v. L. Montesano, Limiti dell'efficacia probatoria nel processo civile dei verbali
ispettivi redatti da funzionari del ministero dell'industria nel
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2547 PARTE PRIMA 2548
II
PRETURA DI ROMA; sentenza 14 gennaio 1987; Giud. Fiore;
Fossà ed altra (Avv. FossÀ) c. Prefettura di Roma.
Sanzioni amministrative e depenalizzazione — Processo verbale
di contravvenzione — Valore di fede privilegiata — Esclusione
(Cod. civ., art. 2700; 1. 24 novembre 1981 n. 689, art. 23).
Nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa rego
lato dalla I. 689/81 non può essere attribuita al processo verba
le di contravvenzione l'efficacia probatoria privilegiata di cui
all'art. 2700 c.c., in quanto il giudizio del pretore è fondato
sul diverso principio del libero apprezzamento del materiale pro batorio. (2)
I
Ritenuto che con ordinanza emessa il 15 marzo 1985 (reg. ord.
n. 289 del 1985), il Pretore di Tione ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell'art. 23 1. 24 novembre 1981 n. 689
(«modifiche al sistema penale») in riferimento all'art. 24 Cost.;
che ad avviso del giudice a quo la norma impugnata, consen
tendo che anche nel giudizio di opposizione all'ordinanza
ingiunzione l'atto pubblico esplichi la sua tipica efficacia proba
toria (art. 2700 c.c.), verrebbe a violare il diritto alla difesa del
cittadino opponente, il quale, per contestare i fatti a lui addebita
ti non avrebbe, a sua disposizione, altro strumento processuale
che la querela di falso;
che, secondo tale giudice, in un giudizio avente ad oggetto pro
prio l'atto pubblico o comunque un provvedimento ad esso stret
tamente conseguenziale, quale l'ordinanza-ingiunzione, il valore
probatorio privilegiato di cui all'art. 2700 c.c. finirebbe con lo
svuotare di contenuto il diritto di difesa dell'opponente costrin
gendolo ad iniziare una procedura ben più gravosa e lunga di
quella che il legislatore ha previsto per il giudizio di opposizione;
che la presidenza del consiglio dei ministri è intervenuta ecce
pendo l'inammissibilità o comunque la non fondatezza della que
stione; Considerato che in relazione all'eccezione dedotta dall'avvoca
tura dello Stato, la motivazione sulla rilevanza contenuta nell'or
dinanza di rinvio appare sufficiente;
che per quel che riguarda il merito della questione va rilevato
che l'efficacia probatoria privilegiata prevista dall'art. 2700 c.c.
è sancita a tutela del superiore interesse alla certezza giuridica
dell'attività svolta dai pubblici ufficiali, e sotto questo aspetto
risponde anche ad esigenze di garanzia del buon andamento della
p.a., sicché la riconosciuta falsità di un atto pubblico comporta
conseguenze che trascendono quelle attinenti ad un più oneroso
esercizio dei diritti di difesa dell'opponente, comunque garantiti
attraverso la querela di falso;
che pertanto la questione è manifestamente infondata perché
il maggior onere cui va incontro in sede processuale il cittadino
che intenda negare la veridicità dei fatti attestati da un pubblico
ufficiale, mentre da un lato, trova il suo fondamento nella tutela
di interessi pubblici anche costituzionalmente garantiti dall'altro,
non limita il diritto di difesa dell'interessato, non essendo preclu so a quest'ultimo attraverso un apposito procedimento, il ricorso
ai normali mezzi di prova. Visti gli art. 26 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9 delle norme integra
tive per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale;
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara manifesta
mente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
23 1. 24 novembre 1981 n. 689 («modifiche al sistema penale»)
sollevata, in riferimento all'art. 24 Cost., dal Pretore di Tione
con ordinanza n. 289 del 1985.
l'esercizio dei compiti di vigilanza sull'attività assicurativa, in Giur. it.,
1986, IV, 385.
Sull'oggetto del giudizio di opposizione all'ordinanza-ingiunzione e sui
poteri del giudice al fine dell'accertamento della sua illegittimità, v. Pret.
Milano 6 febbraio 1987, Foro it., 1987, I, 1930, con nota di richiami.
Sulla necessità di motivazione della ordinanza-ingiunzione, v. Cass. 29
luglio 1986, n. 4863 e Pret. Torino 24 giugno 1986, ibid., 1191, con nota
di richiami.
Il Foro Italiano — 1988.
II
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato in data
30 novembre 1985, l'avv. Gianguido Fossà e Bianca Fossà propo
nevano opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione n. 3457/85
del prefetto della provincia di Roma in data 18 settembre 1985,
con cui era stato loro ingiunto il pagamento della somma di lire
180.000 a titolo di sanzione amministrativa per la violazione del
l'art. 102 codice della strada, accertata con sommario processo
verbale del 27 aprile 1983, li dove i carabinieri verbalizzanti af
fermavano che nella stessa data la Bianca Fossà, alla guida del
l'autovettura tg. Roma K77385 di proprietà del Gianguido Fossà,
transitava nel viale Angelico di Roma «senza ottemperare alle
misure di sicurezza sulla strada, omettendo il segnale di direzione
e passando l'incrocio pericolosamente per sé e per altri».
I ricorrenti contestavano in fatto ed in diritto la sussistenza
della violazione posta a fondamento della ordinanza ingiuntiva
del prefetto. In fatto, rilevavano che l'incrocio era stato impe
gnato a velocità moderata e previa segnalazione con l'apposito
dispositivo. In diritto, osservavano che l'omissione del segnale
di direzione rientrava nella previsione dell'art. Ili codice della
strada, non già in quella dell'art. 102, contestato col sommario
processo verbale di contravvenzione senza indicazione, però, del
la velocità del veicolo, essenziale e propria di questa previsione.
Pertanto, previo espletamento di prova testimoniale in ordine ai
fatti di causa, chiedevano la revoca dell'ordinanza-ingiunzione op
posta, col favore delle spese processuali, maggiorate dagli esborsi
postali di notifica, arbitrariamente posti al loro carico.
La prefettura di Roma, nel costituirsi, in persona del prefetto
pro tempore, resisteva all'opposizione e ne chiedeva il rigetto,
con vittoria delle spese, contestando l'avversaria ricostruzione dei
fatti e richiamando segnatamente le attestazioni contenute nel som
mario processo verbale di contravvenzione, che affermava sorret
to dalla fede privilegiata, propria dell'atto pubblico, inattaccabile
se non con querela di falso. All'occorrenza, indicava a testi gli
stessi verbalizzanti. (Omissis) Motivi della decisione. — L'opposizione va accolta. Infatti, e
in primo luogo, il fatto attribuito ai ricorrenti non poteva essere
sussunto sotto la violazione contestata dell'art. 102 codice della
strada. In secondo luogo, poi, dello stesso fatto non risultano
esservi prove sufficienti in giudizio. Ed invero, quanto alla riconducibilità del fatto alla fattispecie
illecito amministrativo, prevista dall'articolo citato e contestata
ai ricorrenti, s'osserva che il sommario processo verbale di con
travvenzione, inglobato nell'ordinanza-ingiunzione opposta, non
contiene alcuna indicazione circa la velocità del veicolo, essenzia
le e propria di questo illecito, com'è reso evidente dalla stessa
lettera dell'art. 102, rubricato appunto «velocità»; bensì' attesta
il fatto di non aver ottemperato «alle misure di sicurezza sulla
strada, omettendo il segnale di direzione e passando l'incrocio
pericolosamente per sé e per altri», che, giusta la funzione moda
le e specificativa della proposizione retta dal gerundio e giusta
l'assenza di ulteriori specificazioni oltre quella dell'omissione del
segnale di direzione, è fatto da assumersi sotto la previsione nor
mativa dell'art. Ili codice della strada, disciplinante appunto le
inosservanze delle segnalazioni dovute nel caso di cambiamento
di direzione dei veicoli. L'accertata non riconducibilità del fatto nella previsione dell'il
lecito contestato si traduce in una illogicità della motivazione del
provvedimento amministrativo, dell'ordinanza-ingiunzione op
posta, e, quindi, ne determina l'annullamento perché illegit
tima.
Quanto, poi, all'insussistenza di prove sufficienti in ordine allo
stesso fatto, espressamente prevista dall'art. 23, 12° comma, 1.
689/81, come motivo di accoglimento dell'opposizione a sanzio
ne amministrativa, qual è quella in oggetto, si osserva che i due
testi indicati dai ricorrenti hanno affermato univocamente che —
nell'impegnare l'incrocio — il veicolo aveva acceso l'apposito se
gnale di cambiamento di direzione, cosi svalutando della forza
di prova adeguata la diversa testimonianza del carabiniere verba
lizzante, confermativa del sommario processo verbale di contrav
venzione.
Le argomentazioni contrarie, formulate dalla parte resistente
in forza della fede privilegiata, quale atto pubblico, che vuole
propria del sommario processo verbale di contravvenzione in pa
rola, non sono condivisibili.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Non ritiene, infatti, il giudicante, che quest'atto, quand'anche
pubblico sul piano formale, possa avere nel presente giudizio di
opposizione a sanzione amministrativa l'efficacia probatoria pri
vilegiata di cui all'art. 2700 c.c. e, specificamente, che possa far
fede, fino a querela di falso, dei fatti che il pubblico ufficiale
attesta avvenuti in sua presenza. L'assunto trae fondamento dalla specialità del giudizio di op
posizione a sanzione amministrativa, cosi come disciplinato dalla
citata 1. 689/81, che, per oggetto e natura e struttura e finalità
proprie, non consente in quanto incompatibile l'applicazione del
metodo della prova legale, e, per l'appunto, della valutazione pro batoria prefigurata dal legislatore, di cui è espressione concreta
l'art. 2700.
Ed invero, il metodo della prova legale, proprio di un sistema
tendente all'affermazione della «verità formale», appare inconci
liabile col sistema processuale introdotto dalla 1. 689/81 in tema
di giudizio di opposizione a sanzione amministrativa. Appare in
conciliabile nella misura in cui questo sistema, nuovo rispetto ai
precedenti (leggi 317/67 e 706/75) e privo di disciplina specifica della materia de qua, tende all'affermazione della «verità mate
riale», propria dei giudizi fondati sul diverso metodo della prova
libera, sul principio, cioè, del libero apprezzamento del materiale
probatorio, non vincolato a valutazioni prefigurate dal legislatore. Siffatta tendenza di affermazione della verità materiale è com
provata dal riconoscimento in capo al pretore di amplissimi pote ri istruttori. Riconoscimento questo espressamente operato dalla
1. 689/81, li dove, all'art. 23, stabilisce che «nel corso del giudi zio il pretore dispone, anche d'ufficio, i mezzi di prova che ritie
ne necessari e può disporre la citazione di testimoni anche senza
la formulazione di capitoli». Riconoscimento che è proprio di
un sistema di investigazione e di accertamento dei fatti ad opera del giudice, cui è connaturale il detto principio del libero apprez zamento delle prove.
Che questa dell'affermazione della verità materiale sia la fina
lità e l'oggetto stesso del giudizio di opposizione in parola, e,
conseguentemente, che questo giudizio debba essere espresso se
condo il metodo della prova libera, è evidenziato, del resto, dalla
incontestabile tipizzazione dell'illecito amministrativo della 1.
689/81 sullo schema dell'illecito penale nonché dall'incondiziona
ta sindacabilità di questo illecito amministrativo, anche nel meri
to, da parte del pretore investito della relativa opposizione ex
art. 23, che, non a caso, supera la tradizionale presunzione di
legittimità dell'atto amministrativo sancendo addirittura — con
indubbia evocazione dell'istituto dell'assoluzione per insufficien
za di prove, preesistente e proprio del processo penale — che
il dubbio sulla responsabilità dell'opponente determina l'accogli mento dell'opposizione.
Se infatti è vero, com'è vero, che la 1. 689/81 nello stabilire
col suo capo I il corpo generale delle norme sull'illecito ammini
strativo ha preso a modello l'illecito penale, ricalcandone i prin
cipi regolatori della legalità (art. 1) e della responsabilità (art.
2-4) e della specialità (art. 9) e della commisurazione della sanzio
ne (art. 11), ha mutuato, cioè, da un sistema sostanziale di nor
me cui è connaturale un sistema processuale fondato sul metodo
della prova libera; se è vero, com'è vero, che la stessa legge ha
conferito al giudice di questo illecito amministrativo un sindacato
incondizionato, tant'è che ha previsto una pronuncia di annulla
mento totale o parziale del provvedimento sanzionatorio dell'au
torità e, ancor più, una pronuncia di semplice modifica del prov vedimento anche limitatamente all'entità della sanzione; non può non essere vero, altresì, che questo sindacato debba essere svolto
secondo il principio del libero apprezzamento delle prove, l'unico
che effettivamente consente, tra l'altro, la dovuta valutazione della
congruità della sanzione inflitta a mente dei criteri previsti della
gravità della violazione commessa, dell'opera svolta dall'agente
per l'eliminazione o l'attenuazione delle conseguenze di questa, della personalità dello stesso agente e delle sue condizioni econo
miche (art. 11). Tipizzazione dell'illecito amministrativo sullo schema dell'ille
cito penale e sindacabilità incondizionata dello stesso illecito da
parte del giudice avvalorano, dunque, la scelta del metodo della
prova libera nei termini esposti. D'altro canto, la stessa 1. 689/81 dà un'indicazione implicita
ma non meno univoca al riguardo, allorquando dispone all'art.
24 che «qualora l'esistenza di un reato dipenda dall'accertamento
di una violazione non costituente reato, e per questa non sia sta
to effettuato il pagamento in misura ridotta, il giudice penale
Il Foro Italiano — 1988.
competente a conoscere del reato è pure competente a decidere
sulla predetta violazione e ad applicare con la sentenza di con
danna la sanzione stabilita dalla legge per la violazione stessa».
Ed invero, l'avere attratto — quand'anche in ipctesi di connes
sione — la cognizione per ogni suo aspetto ed effetto dell'illecito
amministrativo nella cognizione dell'illecito penale, che inconte
stabilmente si svolge secondo il principio della prova libera, non
può non significare la scelta generale di questo principio, in ter
mini di razionalità e non contraddittorietà del sistema previsto dalla 1. 689/81: ché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una pale se ed ingiustificata disparità di trattamento tra l'accertamento del
l'illecito amministrativo costituente presupposto dell'illecito pe nale e l'accertamento dell'illecito amministrativo, che tale non sia.
S'è detto che il metodo della prova libera è pur sempre un
metodo previsto e disciplinato dal legislatore, e, più specifica
mente, che non può prescindere del tutto dalla disciplina della
legge onde non può ritenersi sufficiente un minimo limite alla
libertà di ricerca del giudice perché il processo di accertamento
della verità materiale, cui esso tende, muti in processo di affer
mazione della verità formale.
L'affermazione non può che essere condivisa, ma non si con
viene alla nuova disciplina del giudizio di opposizione a sanzione
amministrativa, prevista dalla 1. 689/81, che, appunto, nessun li
mite espresso pone nella materia in esame.
Anzi, il limite alla libertà di ricerca, costituito dalla prospettata
qualificazione del verbale di accertamento della violazione come
atto di efficacia probatoria privilegiata ex art. 2700 c.c. quanto ai fatti che il pubblico ufficiale verbalizzante attesta avvenuti in
sua presenza e che normalmente sostanziano l'illecito ammini
strativo contestato, è un limite ben lungi dall'essere minimo, è
un limite ben grande invece ed incidente in concreto sullo stesso
principio della tutela giurisdizionale dei diritti del cittadino, po sto dall'art. 24 Cost, e di cui — nella parte qua — la 1. 689/81
è indiscusso che sia sicura espressione (i lavori preparatori della
legge in parola esprimono in modo emblematico la tendenza più
garantista rispetto al passato che con essa si vuole assicurare al
cittadino nei rapporti con la p.a.). Una tutela giurisdizionale, che si esplichi nel segno dell'effetti
vità, secondo il combinato disposto degli art. 3, 2° comma, e
24 Cost., non può ragionevolmente esprimersi con un sistema
processuale che conferisca ad una delle parti in conflitto — nella
specie, la p.a. — il potere di confezionare «unilateralmente» un
documento avente l'efficacia probatoria dell'atto pubblico in or
dine ai fatti di causa.
La tutela giurisdizionale dei diritti della contro-parte — nella
specie, il cittadino — sarebbe irrimediabilmente compromessa nella
misura in cui la stessa parte verrebbe a trovarsi in posizione di
netta inferiorità rispetto all'altra perché costretta o ad una rinun
cia, «forzata» sul piano delle utilità conseguibili, della contesta
zione giudiziale della pretesa punitiva di questa o allo svolgimen to della contestazione innanzi al pretore, ma con assunzione del
l'onere gravosissimo di promuovere innanzi ad altro giudice —
il tribunale — un giudizio incidentale di falso sul «processo ver
bale di contravvenzione-atto pubblico». E tanto, contro la stessa
formulazione del modulo procedurale, previsto dalla 1. 689/81
per il giudizio di opposizione a sanzione amministrativa; modulo, che per quanto ispirato ai principi della concentrazione, imme
diatezza ed oralità è inconciliabile con un giudizio incidentale del
tipo esposto, di formalità e complessità e durata particolari. Di qui, dalla specialità propria del giudizio di opposizione a
sanzione amministrativa, disciplinato dalla 1. 689/81, e non già da una sua fuorviante e problematica riconduzione nell'ambito
del giudizio civile o del giudizio penale, consegue l'accertata in
configurabilità del sommario processo verbale di contravvenzione
quale atto di fede privilegiata ex art. 2700 c.c. in ordine ai fatti
che il pubblico ufficiale verbalizzante attesta avvenuti in sua pre senza.
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