ordinanza 12 maggio 1988, n. 549 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 25 maggio 1988, n. 21);Pres. Saja, Est. Caianiello; Proc. gen. Corte conti c. Bisulca e altri. Ord. Corte conti, sez. giur.reg. Sicilia, 14 novembre 1985 (G.U., 1 a s.s., n. 47 del 1986)Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 2507/2508-2513/2514Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181414 .
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2507 PARTE PRIMA 2508
dente del consiglio provinciale di Bolzano si è servito del mezzo
telegrafico solo per comunicare una rettifica, di portata sostan
ziale non trascurabile, ma formalmente molto ridotta, in quanto si limitava a sostituire — nell'art. 1, 2° comma, del testo origina riamente trasmesso con lettera raccomandata — alla parola «iscrit
te» la frase «soggette a iscrizione».
A questo fine limitato il telegramma, del resto accompagnato dalla trasmissione della prima pagina del disegno di legge col te
sto corretto, era una forma equipollente. In effetti, come ammet
te lo stesso ricorrente, per mezzo del telegramma inviatogli il 5
agosto 1985 il commissario del governo è venuto a conoscenza
del testo esatto del disegno di legge. Da questa data, dunque, è iniziata la decorrenza del termine di trenta giorni, trascorso
il quale, nel silenzio dell'autorità governativa preposta al control
lo, il presidente della giunta provinciale aveva il potere e il dove
re di promulgare la legge. Non ha pregio il rilievo, espresso dal commissario del governo
nel telegramma indirizzato il 29 agosto 1985 al presidente del con
siglio provinciale, che dal testo del telegramma di quest'ultimo in data 5 agosto 1985 non era possibile desumere se si trattasse
di errore materiale. Non poteva trattarsi che della rettifica di un
errore materiale di trascrizione, non essendo possibile l'ipotesi alternativa di un emendamento introdotto nel disegno di legge
già approvato da un nuovo disegno di legge. Una legge modifica
tiva del testo comunicato con la lettera raccomandata del 24 lu
glio 1985 non avrebbe potuto essere approvata se non dopo la
promulgazione di questo. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara che spettava
al presidente della giunta provinciale di Bolzano procedere alla
promulgazione della 1. prov. 20 settembre 1985 n. 14 («elenco delle unità immobiliari non occupate e modifiche alle leggi pro vinciali in materia di edilizia abitativa»), decorsi trenta giorni dalla
comunicazione al commissario del governo di Bolzano, con tele
gramma in data 5 agosto 1985, della rettifica di un errore mate
riale nel testo del disegno di legge precedentemente comunicato
con lettera raccomandata.
I
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 12 maggio 1988, n. 549
('Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 25 maggio 1988, n. 21); Pres. Saja, Est. Caianiello; Proc. gen. Corte conti c. Bisulca
e altri. Ord. Corte conti, sez. giur. reg. Sicilia, 14 novembre 1985 (G.U., la s.s., n. 47 del 1986).
Sicilia — Enti locali — Dipendenti — Estensione della responsa bilità degli amministratori — Esclusione — Questione manife
stamente inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 25, 103; r.d. 3 marzo 1934 n. 383, t.u. della legge comunale e provin ciale, art. 265; 1. reg. Sicilia 15 marzo 1963 n. 16, ordinamento
amministrativo degli enti locali nella regione siciliana, art. 253).
È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costi
tuzionale dell'art. 253 l. reg. Sicilia 15 marzo 1963 n. 16, nella
parte in cui non estende anche ai dipendenti degli enti locali
della regione siciliana la disciplina sostanziale, prevista per gli amministratori dei medesimi enti, della loro responsabilità per avere effettuato spese o contratto impegni di spese non previste in bilancio e non deliberate nei modi o forme di legge, nonché
la giurisdizione al riguardo della Corte dei conti anziché quella del giudice ordinario, in riferimento agli art. 3, 25 e 103 Cost. (1)
(1-3) La sentenza dichiara inammissibili questioni di legittimità costitu zionali sollevate dalle ordinanze delle sezioni I e II della Corte dei conti indicate in epigrafe, e riportate in Foro it., 1987, III, 278, con nota di
richiami, alla quale si rimanda per la loro impostazione, nonché per i
precedenti relativi. La prima delle due massime (n. 2) delinea la questione della mancata
estensione ai dipendenti degli enti locali della disciplina prevista per gli amministratori dei medesimi enti, nel caso in cui questi abbiano trascurato
li Foro Italiano — 1988.
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 7 aprile 1988, n. 411 (Gaz
zetta ufficiale, la serie speciale, 20 aprile 1988, n. 16); Pres.
Saja, Est. Caianiello; Proc. gen. Corte conti c. La Campa e altri; Cataneo e altri. Ord. Corte conti, sez■ II, 8 novembre
1984 (G.U. n. 306 bis del 1985); sez. 111 marzo 1986 (G.U., la s.s., n. 37 del 1987).
Responsabilità contabile e amministrativa — Dipendenti degli en
ti locali — Estensione della responsabilità degli amministratori — Esclusione — Questioni inammissibili di costituzionalità
(Cost., art. 3, 24, 28, 54, 97, 103; r.d. 3 marzo 1934 n. 383,
art. 254, 261, 264, 265).
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.
254 r.d. 3 marzo 1934 n. 383, nella parte in cui non estende
anche ai dipendenti degli enti locali la disciplina sostanziale,
prevista per gli amministratori dei medesimi enti, della loro re
sponsabilità per avere trascurato l'applicazione e la riscossione
di tributi e di entrate regolarmente deliberate, nonché la giu risdizione al riguardo della Corte dei conti anziché quella del
giudice ordinario, in riferimento agli art. 3, 24, 28, 54, 97 e
103 Cost. (2) È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.
261 r.d. 3 marzo 1934 n. 383, sollevata anche in relazione al
precedente art. 254, al fine di estendere anche ai dipendenti
degli enti locali la disciplina sostanziale, prevista per gli ammi
nistratori dei medesimi enti, della loro responsabilità, in parti colare per avere trascurato l'applicazione e la riscossione di tri
buti e di entrate regolarmente deliberate, nonché la giurisdizio ne al riguardo della Corte dei conti anziché quella del giudice
ordinario, in riferimento agli art. 3, 24, 97 e 103 Cost. (3)
I
Ritenuto che nel corso di un giudizio concernente la responsa bilità di alcuni amministratori e dipendenti provinciali citati in
giudizio ai sensi dell'art. 244, lett. a), dell'ordinamento ammini
strativo degli enti locali nella regione siciliana (Orel) approvato con 1. reg. Sicilia 15 marzo 1963 n. 16 per «avere effettuato spese o contratto impegni di spese non previste in bilancio o non deli
berate nei modi o forme di legge», la Corte dei conti, sez. giur.
reg. Sicilia, con ordinanza in data 4 novembre 1985 (r.o. n. 465
del 1986), ha sollevato questione di legittimità costituzionale de
l'applicazione e la riscossione di tributi e di entrate regolarmente delibe
rate, come attinente al suo regime sostanziale, prima che alla devoluzione della giurisdizione al riguardo al giudice ordinario anziché alla Corte dei conti. Per questa parte, la pronuncia di inammissibilità si riferisce al me rito della questione, e richiama le precedenti sentenze 11 e 30 luglio 1984, nn. 189 e 241, id., 1985, I, 38, con nota di Verrienti.
La seconda (n. 3) massima riflette una analoga pronuncia di inammis
sibilità, che, però, è riferita non solo alla stessa questione di merito, ma anche a profili connessi alla articolazione dell'ordinanza di rimessione, e alle norme da questa indicate come oggetto del richiesto sindacato da
parte della Corte costituzionale.
L'ordinanza, anche se a sostegno della pronuncia di inammissibilità della questione fondamentale si limita a richiamare la sentenza senza ag giungervi nuove argomentazioni, merita ugualmente di essere considera
ta, e non solo perché si riferisce ad un testo normativo almeno formal mente diverso dal r.d. 383/34, quale è l'ordinamento amministrativo de
gli enti locali nella regione siciliana: essa, infatti, concerne una ipotesi di responsabilità degli amministratori di tali enti, diversa da quella relati va alla mancata esazione di tributi, ecc., e che il testo unico contempla piuttosto all'art. 252; l'ordinanza, dunque, fa capire che le conclusioni
raggiunte dalla sentenza, del resto in armonia col carattere generale delle sue argomentazioni, varrebbero per ogni tentativo di estendere ai dipen denti degli enti locali la disciplina sostanziale e quindi processuale della
responsabilità prevista solo per gli amministratori di questi enti, in qual siasi delle ipotesi in cui è configurata dal legislatore come loro propria, e nei termini nei quali lo è: come, del resto, è sottolineato dal dispositivo dell'ordinanza stessa, che, pur riferendosi non solo a disposizioni, ma anche a casi normativamente previsti come diversi, ciò nonostante non è solo di inammissibilità, ma addirittura di manifesta inammissibilità del la proposta questione. [A. Romano]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
gli art. 253 del predetto testo legislativo e dell'art. 265 r.d. 3
marzo 1934 n. 383, in relazione agli art. 3, 25, 103, 2° comma,
Cost.;
che le norme impugnate vengono censurate nella parte in cui
non consentono che i dipendenti degli enti locali siano soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti, ove risultino coautori de
gli eventi dannosi espressamente previsti per gli amministratori
dagli art. 244 Orel e 254-259 t.u. legge comunale e provinciale; che tale impedimento contrasterebbe con l'art. 3 Cost., per la
ingiustificata disparità di trattamento che, in relazione ad un me
desimo fatto illecito, si verrebbe a creare tra amministratori e
dipendenti di uno stesso ente locale, attesa la diversità non pura
mente procedurale, dei regimi di accertamento delle relative re
sponsabilità (grado di colpa, termini prescrizionali, iniziative del l'azione, potere riduttivo), nonché per violazione della regola del
simultaneus processus che, tesa ad evitare il rischio di decisioni
contrastanti o di incompletezza nell'esame dei fatti, troverebbe
il suo principale fondamento nel principio di eguaglianza di tutti
i cittadini di fronte alla legge; che le disposizioni impugnate violerebbero altresì gli art. 25
e 103, 2° comma, Cost., in quanto senza alcuna logica giustifica
zione, sottrarrebbero, anche nelle ipotesi di responsabilità con
nesse, i dipendenti degli enti locali alla giurisdizione della Corte
dei conti che, in materia di contabilità pubblica, è il «giudice naturale» precostituito per legge;
che l'art. 265 t.u. com. e prov. è impugnato solo in quanto
l'eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 253
dell'Orel riproduttivo della norma statale, renderebbe quest'ulti
ma immediatamente applicabile ai dipendenti degli enti locali in
Sicilia (sentenza di questa corte n. 189 del 1984, Foro it., 1985,
I, 38); che, fra le parti private, si sono costituite dinanzi a questa Corte
soltanto Salvatore Bisulca e Luigi Caldiero chiedendo che la que
tione venga dichiarata inammissibile o comunque infondata, men
tre, non è intervenuta l'avvocatura generale dello Stato;
Considerato che l'ordinanza di rimessione sostiene che la di
sposizione dell'art. 253 dell'Orel, nell'attribuire alla giurisdizione
ordinaria i giudizi in tema di danni recenti con dolo o colpa gra
ve dagli amministratori ed impiegati degli enti locali impedisce
alla Corte dei conti di conoscere della responsabilità degli impie
gati in un unico processo diretto ad accertare quella tipica degli
amministratori, prevista dall'art. 244, lett. a), dell'Orel;
che con detta prospettazione si tende in sostanza ad ottenere
una pronuncia additiva che consenta di assoggettare alla cogni
zione della Corte dei conti, a titolo di concorso nella fattispecie
contemplata dall'art. 244 dell'Orel, comportamenti di soggetti di
versi dagli amministratori rispetto ai quali tale fattispecie è tipi
camente configurata;
che, come questa corte ha già affermato (sent. n. 411 del 1988,
id., 1988, I, 2508), in relazione ad analoghe questioni, una pro
nuncia del genere è preclusa in sede di giudizio di costituzionali
tà, perché l'art. 244 dell'Orel configura un'ipotesi riferibile esclu
sivamente agli amministratori e quindi il suo ampliamento a sog
getti diversi determinerebbe un inammissbile intervento nella sfera
riservata al legislatore, cui soltanto spetta di stabilire quali com
portamenti possano costituire titolo di responsabilità anche in re
lazione al grado di colpa richiesto;
che devesi altresì rilevare che l'art. 244, lett. a), prevede una
responsabilità che prescinde dal grado di colpa, laddove una esten
sione di essa in via additiva agli impiegati, aggraverebbe il titolo
in base al quale essi sono attualmente tenuti a rispondere in virtù
della generale previsione dell'art. 250 dell'Orel, il che spetta solo
al legislatore; che rimane cosi assorbita la consequenziale questione di legitti
mità costituzionale dell'art. 265 t.u. del 1934 n. 383; visti gli art.
26, 2° comma 1. 11 marzo 1953 n. 87 e n. 9, 2° comma, delle
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manifesta
inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli
art. 253 dell'ordinamento amministrativo degli enti locali nella
regione siciliana, approvato con 1. reg. Sicilia 15 marzo 1963 n.
16 e 265 r.d. 3 marzo 1934 n. 383, in riferimento agli art. 3,
25, 103, 2° comma, Cost., sollevata dalla Corte dei conti, sez.
giur. reg. Sicilia, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Il Foro Italiano — 1988.
II
1.1. - Con ordinanza della seconda sezione giurisdizionale (reg. ord. n. 502 del 1985) la Corte dei conti solleva questione di legit timità costituzionale dell'art. 254 r.d. 3 marzo 1934 n. 383 («ap
provazione del t.u. della legge comunale e provinciale »), il quale
assoggetta a responsabilità gli amministratori per i danni cagio nati ai rispettivi enti di appartenenza, nelle seguenti ipotesi: per
aver proceduto a locazioni, alienazioni, acquisti, somministrazio
ne od appalti senza l'osservanza delle relative disposizioni di leg
ge, per aver trascurato l'applicazione e la riscossione di tributi
e di entrate regolarmente deliberate.
Si sostiene nell'ordinanza di rimessione che la norma denuncia
ta, nel prevedere per tali fattispecie la responsabilità dei soli am
ministratori e non anche dei dipendenti comunali e provinciali
che abbiano concorso con il proprio comportamento alla produ
zione del danno, impedirebbe alla Corte dei conti di valutare uni
tariamente le varie condotte, ai fini dell'affermazione delle ri
spettive responsabilità, in quanto, in virtù del limitato ambito
di applicazione della norma denunciata, solo il giudizio sulla re
sponsabilità degli amministratori spetta alla Corte dei conti, mentre
il giudizio per l'accertamento della responsabilità dei dipendenti
comunali e provinciali, in virtù degli art. 261 e 265 t.u. del 1934
n. 383, appartiene alla giurisdizione ordinaria.
Il giudice a quo, mostrandosi consapevole dell'orientamento
di questa corte, secondo cui la scelta dell'una o dell'altra giurisdi
zione rientra nella discrezionalità del potere legislativo, osserva
però che, se l'art. 254 cit. «sarà emendato dei vizi costituzionali
e ne conseguirà.., una parziale estensione della giurisdizione nelle
materie di contabilità pubblica (per ciò che si riferisce solo al
l'ambito soggettivo di applicazione della norma riguardante la
responsabilità degli agenti pubblici verso l'ente locale, per i danni
causati da omessa applicazione di riscossione di tributi ed altre
entrate) sarà da desumere che non sempre, per attuare, in dire
zione del resto conforme alla sua tendenziale generalità, il dettato
del 2° comma dell'art. 103 Cost., è necessario attendere l'inter
vento del legislatore, essendo talvolta sufficiente — come nel pre
sente caso — la mera espunzione dall'ordinamento di una deter
minata limitazione leglislativa, contrastante, di per sé, con uno
o più valori costituzionali».
Quanto al merito delle questioni, il giudice a quo ritiene che
l'art. 254 t.u. del 1934 n. 383 contrasti: a) con l'art. 3 Cost.,
in quanto all'interno di un'unica vicenda dannosa differenziereb
be ingiustificatamente i regimi di accertamento delle responsabili
tà di soggetti che si trovano in situazioni identiche; b) con l'art.
28 Cost., perché viola il principio della responsabilità dei funzio
nari e dipendenti pubblici che non consentirebbe diseguaglianze
di trattamento per gli autori di uno stesso illecito; c) con l'art.
54, 2° comma, Cost., in quanto la diversità di regole sostanziali
e di sedi processuali, in tema di responsabilità, non porrebbe gli
amministratori in condizioni di poter adempiere «con disciplina
ed onore» alle funzioni pubbliche loro affidate; d) con l'art. 97
Cost., perché risulterebbe violato il principio del buon andamen
to, che imporrebbe l'esigenza di determinare adeguatamente la
responsabilità dei funzionari, nonché il principio di imparzialità, in relazione alle determinazioni che l'ente danneggiato dovrà as
sumere nei confronti degli impiegati responsabili; e) con l'art.
24, 1° e 2° comma, escludendo, dal lato attivo, la responsabilità
per il procuratore generale non solo di agire nei confronti degli
impiegati parimenti responsabili, ma anche di tener conto dell'in
cidenza causata dalle loro condotte in ordine al danno e, dal lato
passivo, ostacolando la difesa degli amministratori che non po
trebbero far valere le loro eccezioni in presenza di altri soggetti
responsabili; f) con l'art. 103, 2° comma, Cost., in quanto viole
rebbe la tendenziale generalità della sfera di attribuzioni giurisdi
zionali della Corte dei conti nella materia della contabilità pubblica.
2. - Con altra ordinanza della prima sezione giurisdizionale (reg.
ord. n. 350 del 1987) la Corte dei conti solleva questione di legit
timità costituzionale dell'art. 261 t.u. del 1934 n. 383, sia in sé
considerato che in relazione agli art. 254 e 264 t.u. cit.
Si assume in sostanza che l'art. 261 cit., prevedendo per gli
impiegati comunali e provinciali solo forme di responsabilità a
titolo di dolo o colpa grave (il cui accertamento è di spettanza
del giudice ordinario come prevede l'art. 265 t.u. cit., che non
costituisce però oggetto di impugnativa né diretta né indiretta)
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2511 PARTE PRIMA 2512
osta alla possibilità che, nel giudizio che si svolge dinanzi alla
Corte dei conti per l'accertamento della responsabilità degli am
ministratori relativamente ai comportamenti contemplati dall'art.
254 t.u. cit., il contraddittorio possa essere integrato con la chia
mata in giudizio anche degli impiegati comunali per l'accerta
mento delle loro responsabilità concorrenti.
Tenuto poi conto che l'art. 264 t.u. cit., prevedendo uno spe
ciale procedimento amministrativo di competenza della g.p.a. per
l'accertamento della responsabilità, non sarebbe oggi più applica
bile, per il sopravvenire dell'ordinamento regionale si sarebbe de
terminata un'area di sostanziale irresponsabilità amministrativa
per gli impiegati degli enti locali. Le questioni cosi prospettate sarebbero rilevanti, secondo il giu
dice a quo, in relazione alla controversia da decidere, sostenen
dosi che non sarebbe possibile emettere un giudizio affermativo
o negativo di responsabilità dei convenuti amministratori senza
accertare quella concorrente degli impiegati.
Quanto al merito delle questioni sollevate, nella seconda ordi
nanza di rimessione, si sostiene che l'art. 261 t.u. del 1934 cit.,
sarebbe in contrasto: a) con l'art. 3 Cost., per l'ingiustificata di
sparità di trattamento che, per un medesimo fatto illecito, si ver
rebbe a creare tra amministratori e dipendenti di uno stesso ente
locale, attesa la diversità non puramente procedurale dei regimi
di accertamento delle relative responsabilità (grado di colpa, ter
mini prescrizionali, iniziativa dell'azione, potere riduttivo); b) con
l'art. 24 Cost., limitando il diritto di difesa degli amministratori
che non possono invocare in giudizio la concorrente responsabili tà dell'impiegato, onde anche l'impossibilità di una esatta appli
cazione da parte del giudice contabile della regola di ripartizione dell'addebito prevista dall'art. 82, 2° comma, r.d. 18 novembre
1923 n. 2440; c) con l'art. 97 Cost., in quanto la diversità del
giudice competente a conoscere la responsabilità di soggetti cor
responsabili dello stesso illecito, creerebbe incongruenze e disfun
zioni tali da compromettere il buon andamento dell'amministra
zione; d) con l'art. 103 Cost., il quale imporrebbe che, quanto meno nella stessa materia, la responsabilità di tutti i concorrenti
vengano accertate nello stesso processo. 3. - I giudizi promossi con le due ordinanze della Corte dei
conti possono essere riuniti e definiti con unica sentenza stante
l'affinità delle questioni prospettate, ancorché nella prima delle
ordinanze la norma direttamente censurata è l'art. 254 t.u. della
legge comunale e provinciale del 1934 n. 383, mentre nella secon
da oggetto diretto della impugnativa è l'art. 261 t.u. cit. in rela
zione agli art. 254 e 264 del medesimo t.u.
Al fine di delimitare poi l'oggetto proprio delle questioni solle
vate, si deve precisare che entrembi i giudizi a quo, concernendo
azioni di responsabilità promosse dal procuratore generale della
Corte dei conti nei confronti di amministratori locali, per danni
cagionati dalla mancata applicazione e riscossione di tributi, fan
no si' che l'art. 254 cit., direttamente impugnato nella prima ordi
nanza ed indirettamente nella seconda, venga in evidenza nel pre sente giudizio per quel che riguarda la seconda delle ipotesi in
esso contemplate e cioè «per aver trascurato l'applicazione e la
riscossione di tributi e di entrate regolarmente deliberati».
4. - La questione relativa all'art. 254 t.u. cit., sollevata con
la prima ordinanza, in riferimento a diversi parametri costituzio
nali, è inammissibile.
Al riguardo va precisato che la questione, per le finalità che
dall'intero contesto dell'ordinanza di rimessione sembrano voler
si perseguire, non tende ad una dichiarazione di illegittimità co
stituzionale in assoluto della norma denunciata, bensì' ad una pro nunzia additiva che consenta di attrarre nella cognizione della
Corte dei conti comportamenti di soggetti diversi dagli ammini
stratori a titolo di concorso nella fattispecie contemplata dall'art.
254 t.u. cit.
Una pronuncia del genere è però preclusa in sede di giudizio di costituzionalità, tenuto conto della natura della norma rispetto alla quale viene invocata nell'intento di ampliare la giurisdizione della Corte dei conti. Innanzitutto va precisato che l'art. 254 cit.
non è norma processuale perché non è diretta a regolare la giuri
sdizione, bensì' è norma di diritto sostanziale, che configura alcu
ne fattispecie tipiche di responsabilità, definendo i comportamen ti ed i soggetti che possono essere chiamati a tale titolo a rispon dere dei danni cagionati.
L'auspicato ampliamento della norma — che nella sua attuale
previsione comprende solo gli amministratori degli enti locali —
Il Foro Italiano — 1988.
anche nei confronti degli impiegati, costituirebbe un inammissibi
le intervento in una materia che rientra invece nella esclusiva di
screzionalità del legislatore, al quale soltanto spetta di stabilire
quali comportamenti possano costituire titolo di responsabilità,
il grado di colpa richiesto, i soggetti cui la responsabilità sia ascri
vibile, e ciò tanto più quando si sia in presenza di fattispecie
tipiche. In proposito devesi in particolare rilevare che la norma riguar
dante i danni cagionati dall'aver trascurato l'applicazione e ri
scossione dei tributi, non prevedendo alcun grado di colpa (come
invece si prevede nell'art. 261 t.u. cit., che limita al dolo ed alla
colpa grave i fatti per i quali in via generale possa essere afferma
ta la responsabilità degli amministratori e degli impiegati), confi
gura una fattispecie di responsabilità imputabile anche a titolo
di colpa lieve o lievissima. Inoltre con il contesto della norma
nel suo complesso che indica il comportamento nell'«avere tra
scurato», si intende appunto richiamare coloro cui spetta la gui
da degli enti locali al massimo della diligenza nell'adoperarsi nei
compiti di indirizzo e di vigilanza per assicurare le entrate tribu
tarie.
Trattandosi dunque di un titolo tipico di responsabilità, una
sua estensione agli impiegati in via additiva, oltre ad apparire
inattuabile per la natura dei comportamenti considerati, determi
nerebbe un aggravamento delle ipotesi rispetto alle quali essi at
tualmente possono essere tenuti a rispondere, il che rientra nell'e
sclusiva discrezionalità del legislatore. 5. - Nella seconda ordinanza la norma direttamente impugna
ta è l'art. 261 t.u. 1934 cit., di cui si chiede «la verifica della
compatibilità costituzionale... sia visto in sé, come singolare ec
cezione residuale al generale assetto ordinamentale alla giurisdi
zione della Corte dei conti, sia in relazione particolare all'art.
254, per il quale — a differenza dei precedenti art. 253 e 255 — non è prevista la possibilità che con la responsabilità degli
amministratori possa concorrere quella dei dipendenti».
In proposito va in primo luogo rilevato che nell'ordinanza di
rimessione si assume come presupposto della questione dedotta
sotto gli anzidetti profili, che tale articolo osti alla chiamata in
causa degli impiegati comunali perché «attribuisce al giudice or
dinario e non alla Corte dei conti... la giurisdizione sugli impie
gati» degli enti locali e degli enti da questi derivati.
Senonché è da rilevare che l'art. 261 non costituisce, secondo
quanto sembrerebbe ritenersi in base alla riferita asserzione, una
norma di carattere processuale, essendo anch'essa norma di dirit
to sostanziale, volta a definire gli elementi e le caratteristiche del
le responsabilità ascrivibili agli amministratori ed agli impiegati
per i danni recati all'ente.
L'attribuzione delle relative controversie al giudice ordinario,
cioè l'aspetto che sembra volersi censurare nell'ordinanza di rin
vio, è contenuta nell'art. 265 t.u. cit., ma questa norma non for
ma oggetto di impugnativa neppure indiretta e quindi la questio
ne in quanto sollevata nei confronti dell'art. 261 cit. è inammissi
bile per irrilevanza essendo diretta a colpire una norma non con
ferente in ordine agli aspetti censurati.
Ma, ammettendosi che si possa seguire la prospettazione della
questione con cui si investe l'art. 261 t.u. cit. «visto in sé», sem
brerebbe che con tale prospettazione si tenda in sostanza ad una
pronuncia demolitoria della norma denunciata nel suo comples
so, al fine di attrarre tutte le controversie in tema di responsabili
tà degli amministratori ed impiegati nell'ambito della giurisdizio ne della Corte dei conti.
Orbene — a parte che per le ragioni anzidette il venire meno
dell'art. 261 in sé non produrrebbe tale effetto perché l'attribu
zione delle controversie al giudice ordinario discende dall'art. 265
che non è oggetto di impugnativa — la questione è parimenti inammissibile per irrilevanza, perché il giudizio a quo attiene ad
una ipotesi di responsabilità che, come si è rilevato in preceden
za, è da un'altra norma di diritto sostanziale (art. 254 t.u. cit.)
configurata come tipica degli amministrtori e, quindi, l'eventuale
venir meno dell'art. 261 cit. non consentirebbe ugualmente di per
seguire dinanzi alla Corte dei conti gli impiegati evantualmente
concorrenti a tale titolo, perché essi non possono essere chiamati
a rispondere per le fattispecie previste dall'art. 254 cit.
In ordine al secondo profilo che investe l'art. 261 «in relazione
particolare all'art. 254», la sua prospettazione sembra invece ten
dere ad una pronunzia additiva della corte, in senso analogo alla
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
prima ordinanza di rimessione, onde, per le stesse considerazioni
svolte relativamente ad essa, la questione è inammissibile.
Quanto infine al rilievo, pur contenuto nella seconda ordinan
za, che sembra ravvisare altro autonomo profilo di illegittimità
costituzionale dell'art. 261 cit., in relazione a quanto dispone l'art.
264 t.u. cit. (che prevede uno speciale procedimento amministra
tivo per l'accertamento delle responsabilità) — a parte che il man
cato esperimento preventivo a tale procedimento non sembra di
ostacolo all'azione giudiziaria (art. 265 t.u. cit.) a carico degli
impiegati pubblici, per danni recati commessi con dolo o colpa
grave (art. 261 t.u. cit.) — non è assolutamente dato di stabilire,
in base alla prospettazione fattane, quale attinenza la questione
cosi prospettata possa avere ai fini della definizione del giudizio
a quo. 6. - Anche sotto gli altri aspetti richiamati nelle due ordinanze
prospettate le questioni sono inammissibili.
Sviluppando un argomento esposto anche nella prima ordinan
za, ai fini della non manifesta infondatezza, si sostiene nella se
conda che la questione sollevata sarebbe rilevante, ai fini della
definizione del giudizio a quo, «poiché non è possibile emettere
un giudizio affermativo o negativo di responsabilità dei convenu
ti amministratori senza valutare in contraddittorio quella — che
può anche essere concorrente e perciò dar luogo a solidarietà nel
la eventuale condanna — del dipendente cui era connesso il com
pito delle operazioni di accertamento ed emissione dei titoli che
dovevano dare luogo alla riscossione delle entrate» e ciò anche
ai fini della applicazione del potere riduttivo proprio dei giudizi di responsabilità dinanzi la Corte dei conti.
L'assunto non può essere condiviso, perché devesi pur sempre
considerare che se le fattispecie previste dall'art. 254 non sono
ascrivibili, sul terreno del diritto sostanziale, agli impiegati per
ché configurano come illecito generatore di responsabilità com
portamenti tipici degli amministratori, ciò non impedisce alla Corte
dei conti — indipendentemente dalla possibilità della chiamata
in giudizio allo stesso titolo (perché non prevista) degli impiegati — la cognizione in via incidentale di tutti gli altri eventi, ivi com
preso il comportamento degli impiegati, che possono condurre
eventualmente ed escludere o ad attenuare la responsabilità degli
amministratori, in ordine ai comportamenti che essi erano tenuti
a porre in essere. Né, come sembra affermarsi, la comune chia
mata in giudizio sarebbe indispensabile ai fini della affermazione
della solidarietà, perché se alcuni soggetti non sono tenuti, in
base al diritto sostanziale, a certi comportamenti, non si vede
in base a quale titolo possa parlarsi di solidarietà fra chi è chia
mato a rispondere e chi non lo è.
Neppure è condivisibile l'assunto secondo cui l'accertamento
dei comportamenti produttivi di danno, posti in essere dagli im
piegati e non assumibili nella fattispecie tipica ed esclusiva degli
amministratori, non potrebbe avvenire se non in contraddittorio
con i primi. Se si considera che, come si è detto, l'accertamento
di tali comportamenti è di natura incidentale — perché diretto
solo a definire l'entità della responsabilità degli amministratori,
nei termini in cui essa è tipicamente configurata dall'art. 254 t.u.
cit. — esso non è certamente precluso alla Corte dei conti che
all'uopo può avvalersi dei normali mezzi probatori a sua disposi
zione per l'accertamento dei fatti.
Né potrebbe seriamente sostenersi l'esigenza della chiamata in
causa degli impiegati ai fini di tale accertamento, per assicurare
loro il diritto di difesa. È difatti proprio il carattere incidentale
di tale accertamento ad escludere l'esigenza del contraddittorio
perché, nei confronti degli impiegati, la sentenza del giudice con
tabile non farebbe in ogni caso stato, in occasione dell'eventuale
accertamento delle loro responsabilità, per dolo o colpa grave
(art. 261 t.u. cit.), dinanzi al giudice ordinario (art. 265 cit.): essi sono terzi rispetto al giudizio svoltosi dinanzi al giudice con
tabile nei confronti degli amministratori, per comportamenti qua
litativamente diversi da quelli ascrivibili a titolo di responsabilità
a carico degli impiegati. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissibi
li le questioni di legittimità costituzionale degli art. 254 e 261,
quest'ultimo anche in relazione agli art. 254 e 264 t.u. com. e
prov. approvato con r.d. 3 marzo 1934 n. 383, sollevate dalla
Corte dei conti in riferimento agli art. 3, 24, 28, 54, 97 e 103
Cost, con le ordinanze indicate in epigrafe (reg. ord. nn. 502
del 1985 e 350 del 1987).
Il Foro Italiano — 1988.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 7 aprile 1988, n. 423 (Gaz
zetta ufficiale, la serie speciale, 13 aprile 1988, n. 15); Pres.
Saja, Est. Casavola; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Pret.
Pinerolo 2 maggio 1987 (G.U., la s.s., n. 32 del 1987).
Azione penale tra congiunti nei delitti contro la proprietà — Fatti
commessi in danno del coniuge non legalmente separato — Non
punibilità — Convivente «more uxorio» — Mancata previsione — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 3; cod.
pen., art. 649).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 649,
n. 1, c.p., nella parte in cui, statuendo la non punibilità dei
reati patrimoniali commessi in danno del coniuge non legal
mente separato, non prevede l'estensione della medesima disci
plina anche per i fatti commessi in danno del convivente more
uxorio, in riferimento agli art. 2 e 3 Cost. (1)
Diritto. — 1. - Il Pretore di Pinerolo, con ordinanza del 2
maggio 1987 (r.o. n. 319/87), solleva questione di legittimità co
stituzionale, in riferimento agli art. 2 e 3 Cost., dell'art. 649,
n. 1, c.p. « nella parte in cui non prevede la non punibilità di
chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dal titolo XIII del
codice penale in danno del convivente more uxorio.
2. - La questione non è fondata.
La non punibilità, prevista dalla norma impugnata, si fonda
sulla presunzione che, ove i coniugi non siano legalmente separa
ti, sussista una comunanza di interessi che assorbe il fatto delit
tuoso. Tant'è che nella ipotesi di separazione legale la punibilità
ricorre, sia pure a querela della persona offesa. Siffatto regime
palesa che il legislatore rimette alla volontà del coniuge legalmen
te separato l'applicazione della legge penale, laddove esclude che
questa possa intervenire in costanza della convivenza coniugale.
Fattispecie tutt'affatto diversa è quella della convivenza more
uxorio, per sua natura fondata sulla affectio quotidiana — libe
ramente e in ogni istante revocabile — di ciascuna delle parti.
Nel caso che ha dato origine alla presente questione di costitu
zionalità, le denuncia-querela della persona offesa, nonché la sot
trazione di mobili suppellettili ed elettrodomestici dall'abitazione
comune ad opera della convivente, che li ha trasportati in altro
alloggio ove si è stabilita con il figlio nato dal rapporto con il
(1) Pret. Pinerolo 2 maggio 1987 si legge in Giur. costit., 1987, II, 614.
In precedenza, nel senso della manifesta infondatezza di una analoga
questione di legittimità costituzionale, Cass. 8 maggio 1980, Salviato (Fo ro it., Rep. 1982, voce Azione penate tra congiunti nei delitti contro la
proprietà, n. 1, e Cass, pen., 1982, 730, con osservazioni critiche di F.
Uccella), per la quale la particolare esimente prevista dall'art. 649, n.
1, c.p. sarebbe radicata nello specifico status familiare riservato al coniu
ge non separato legalmente, onde non sarebbe ravvisabile alcuna dispari tà di trattamento rispetto alla diversa figura del convivente more uxorio.
La sentenza in epigrafe, che per vero sembra respingere l'eccezione di
costituzionalità soprattutto facendo leva sulla inesistenza — nel caso sot
toposto all'esame del giudice di merito — dello stesso presupposto di
fatto della convivenza fra querelante e persona offesa (per cui più che
una pronuncia di infondatezza sarebbe apparsa forse più plausibile una
pronuncia di inammissibilità della questione per difetto di rilevanza), si
inscrive nel solco di un orientamento negativo che la Corte costituzionale
ha espresso ormai da tempo sul punto della possibile equiparazione fra
famiglia di fatto e rapporto di coniugio ai fini della operatività di una
causa di non punibilità. In proposito, cfr., da ultimo, Corte cost. 18
novembre 1986, n. 237, Foro it., 1987, I, 2353 (con nota di richiami
bibliografici e giurisprudenziali cui si rinvia), che ha ritenuto infondata
la questione di legittimità costituzionale degli art. 307, 4° comma, e 384,
1° comma, c.p., nella parte in cui non prevedono che l'operatività dell'e
simente di cui all'art. 384 si estenda altresì al convivente more uxorio.
Sull'ambito di applicazione e sulla natura giuridica della particolare causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 649 c.p., cfr. D'Am
brosio, in Giur. sist. di dir. pen., a cura di F. Bricola e V. Zagrebel
sky, parte speciale, Torino, 1984, II, 1385 ss.
Va segnalato, peraltro, che fuori dallo specifico settore del diritto pena
le, la famiglia di fatto sembra invece essere al centro di un processo di cre
scente valorizzazione della sua rilevanza: in questa direzione, cfr. da ulti
mo, Corte cost. 7 aprile 1988, n. 404, che segue con nota di richiami di Piom
bo, che ha dichiarato illegittimo l'art. 61. 392/78 nella parte in cui non pre
vede la successione nel contratto di locazione del convivente more uxorio
del conduttore; cfr. anche Cass. 17 febbraio 1988, n. 1701, Foro it., 1988,
I, 2306, con nota di E. Calò, La giurisprudenza come scienza inesatta (in
tema di prestazioni lavorative in seno alla famiglia di fatto).
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