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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || ordinanza 12 maggio 1988, n. 549 (Gazzetta...

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ordinanza 12 maggio 1988, n. 549 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 25 maggio 1988, n. 21); Pres. Saja, Est. Caianiello; Proc. gen. Corte conti c. Bisulca e altri. Ord. Corte conti, sez. giur. reg. Sicilia, 14 novembre 1985 (G.U., 1 a s.s., n. 47 del 1986) Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1988), pp. 2507/2508-2513/2514 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181414 . Accessed: 28/06/2014 17:07 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.175 on Sat, 28 Jun 2014 17:07:18 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || ordinanza 12 maggio 1988, n. 549 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 25 maggio 1988, n. 21); Pres. Saja, Est. Caianiello;

ordinanza 12 maggio 1988, n. 549 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 25 maggio 1988, n. 21);Pres. Saja, Est. Caianiello; Proc. gen. Corte conti c. Bisulca e altri. Ord. Corte conti, sez. giur.reg. Sicilia, 14 novembre 1985 (G.U., 1 a s.s., n. 47 del 1986)Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 2507/2508-2513/2514Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181414 .

Accessed: 28/06/2014 17:07

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2507 PARTE PRIMA 2508

dente del consiglio provinciale di Bolzano si è servito del mezzo

telegrafico solo per comunicare una rettifica, di portata sostan

ziale non trascurabile, ma formalmente molto ridotta, in quanto si limitava a sostituire — nell'art. 1, 2° comma, del testo origina riamente trasmesso con lettera raccomandata — alla parola «iscrit

te» la frase «soggette a iscrizione».

A questo fine limitato il telegramma, del resto accompagnato dalla trasmissione della prima pagina del disegno di legge col te

sto corretto, era una forma equipollente. In effetti, come ammet

te lo stesso ricorrente, per mezzo del telegramma inviatogli il 5

agosto 1985 il commissario del governo è venuto a conoscenza

del testo esatto del disegno di legge. Da questa data, dunque, è iniziata la decorrenza del termine di trenta giorni, trascorso

il quale, nel silenzio dell'autorità governativa preposta al control

lo, il presidente della giunta provinciale aveva il potere e il dove

re di promulgare la legge. Non ha pregio il rilievo, espresso dal commissario del governo

nel telegramma indirizzato il 29 agosto 1985 al presidente del con

siglio provinciale, che dal testo del telegramma di quest'ultimo in data 5 agosto 1985 non era possibile desumere se si trattasse

di errore materiale. Non poteva trattarsi che della rettifica di un

errore materiale di trascrizione, non essendo possibile l'ipotesi alternativa di un emendamento introdotto nel disegno di legge

già approvato da un nuovo disegno di legge. Una legge modifica

tiva del testo comunicato con la lettera raccomandata del 24 lu

glio 1985 non avrebbe potuto essere approvata se non dopo la

promulgazione di questo. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara che spettava

al presidente della giunta provinciale di Bolzano procedere alla

promulgazione della 1. prov. 20 settembre 1985 n. 14 («elenco delle unità immobiliari non occupate e modifiche alle leggi pro vinciali in materia di edilizia abitativa»), decorsi trenta giorni dalla

comunicazione al commissario del governo di Bolzano, con tele

gramma in data 5 agosto 1985, della rettifica di un errore mate

riale nel testo del disegno di legge precedentemente comunicato

con lettera raccomandata.

I

CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 12 maggio 1988, n. 549

('Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 25 maggio 1988, n. 21); Pres. Saja, Est. Caianiello; Proc. gen. Corte conti c. Bisulca

e altri. Ord. Corte conti, sez. giur. reg. Sicilia, 14 novembre 1985 (G.U., la s.s., n. 47 del 1986).

Sicilia — Enti locali — Dipendenti — Estensione della responsa bilità degli amministratori — Esclusione — Questione manife

stamente inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 25, 103; r.d. 3 marzo 1934 n. 383, t.u. della legge comunale e provin ciale, art. 265; 1. reg. Sicilia 15 marzo 1963 n. 16, ordinamento

amministrativo degli enti locali nella regione siciliana, art. 253).

È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costi

tuzionale dell'art. 253 l. reg. Sicilia 15 marzo 1963 n. 16, nella

parte in cui non estende anche ai dipendenti degli enti locali

della regione siciliana la disciplina sostanziale, prevista per gli amministratori dei medesimi enti, della loro responsabilità per avere effettuato spese o contratto impegni di spese non previste in bilancio e non deliberate nei modi o forme di legge, nonché

la giurisdizione al riguardo della Corte dei conti anziché quella del giudice ordinario, in riferimento agli art. 3, 25 e 103 Cost. (1)

(1-3) La sentenza dichiara inammissibili questioni di legittimità costitu zionali sollevate dalle ordinanze delle sezioni I e II della Corte dei conti indicate in epigrafe, e riportate in Foro it., 1987, III, 278, con nota di

richiami, alla quale si rimanda per la loro impostazione, nonché per i

precedenti relativi. La prima delle due massime (n. 2) delinea la questione della mancata

estensione ai dipendenti degli enti locali della disciplina prevista per gli amministratori dei medesimi enti, nel caso in cui questi abbiano trascurato

li Foro Italiano — 1988.

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 7 aprile 1988, n. 411 (Gaz

zetta ufficiale, la serie speciale, 20 aprile 1988, n. 16); Pres.

Saja, Est. Caianiello; Proc. gen. Corte conti c. La Campa e altri; Cataneo e altri. Ord. Corte conti, sez■ II, 8 novembre

1984 (G.U. n. 306 bis del 1985); sez. 111 marzo 1986 (G.U., la s.s., n. 37 del 1987).

Responsabilità contabile e amministrativa — Dipendenti degli en

ti locali — Estensione della responsabilità degli amministratori — Esclusione — Questioni inammissibili di costituzionalità

(Cost., art. 3, 24, 28, 54, 97, 103; r.d. 3 marzo 1934 n. 383,

art. 254, 261, 264, 265).

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.

254 r.d. 3 marzo 1934 n. 383, nella parte in cui non estende

anche ai dipendenti degli enti locali la disciplina sostanziale,

prevista per gli amministratori dei medesimi enti, della loro re

sponsabilità per avere trascurato l'applicazione e la riscossione

di tributi e di entrate regolarmente deliberate, nonché la giu risdizione al riguardo della Corte dei conti anziché quella del

giudice ordinario, in riferimento agli art. 3, 24, 28, 54, 97 e

103 Cost. (2) È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.

261 r.d. 3 marzo 1934 n. 383, sollevata anche in relazione al

precedente art. 254, al fine di estendere anche ai dipendenti

degli enti locali la disciplina sostanziale, prevista per gli ammi

nistratori dei medesimi enti, della loro responsabilità, in parti colare per avere trascurato l'applicazione e la riscossione di tri

buti e di entrate regolarmente deliberate, nonché la giurisdizio ne al riguardo della Corte dei conti anziché quella del giudice

ordinario, in riferimento agli art. 3, 24, 97 e 103 Cost. (3)

I

Ritenuto che nel corso di un giudizio concernente la responsa bilità di alcuni amministratori e dipendenti provinciali citati in

giudizio ai sensi dell'art. 244, lett. a), dell'ordinamento ammini

strativo degli enti locali nella regione siciliana (Orel) approvato con 1. reg. Sicilia 15 marzo 1963 n. 16 per «avere effettuato spese o contratto impegni di spese non previste in bilancio o non deli

berate nei modi o forme di legge», la Corte dei conti, sez. giur.

reg. Sicilia, con ordinanza in data 4 novembre 1985 (r.o. n. 465

del 1986), ha sollevato questione di legittimità costituzionale de

l'applicazione e la riscossione di tributi e di entrate regolarmente delibe

rate, come attinente al suo regime sostanziale, prima che alla devoluzione della giurisdizione al riguardo al giudice ordinario anziché alla Corte dei conti. Per questa parte, la pronuncia di inammissibilità si riferisce al me rito della questione, e richiama le precedenti sentenze 11 e 30 luglio 1984, nn. 189 e 241, id., 1985, I, 38, con nota di Verrienti.

La seconda (n. 3) massima riflette una analoga pronuncia di inammis

sibilità, che, però, è riferita non solo alla stessa questione di merito, ma anche a profili connessi alla articolazione dell'ordinanza di rimessione, e alle norme da questa indicate come oggetto del richiesto sindacato da

parte della Corte costituzionale.

L'ordinanza, anche se a sostegno della pronuncia di inammissibilità della questione fondamentale si limita a richiamare la sentenza senza ag giungervi nuove argomentazioni, merita ugualmente di essere considera

ta, e non solo perché si riferisce ad un testo normativo almeno formal mente diverso dal r.d. 383/34, quale è l'ordinamento amministrativo de

gli enti locali nella regione siciliana: essa, infatti, concerne una ipotesi di responsabilità degli amministratori di tali enti, diversa da quella relati va alla mancata esazione di tributi, ecc., e che il testo unico contempla piuttosto all'art. 252; l'ordinanza, dunque, fa capire che le conclusioni

raggiunte dalla sentenza, del resto in armonia col carattere generale delle sue argomentazioni, varrebbero per ogni tentativo di estendere ai dipen denti degli enti locali la disciplina sostanziale e quindi processuale della

responsabilità prevista solo per gli amministratori di questi enti, in qual siasi delle ipotesi in cui è configurata dal legislatore come loro propria, e nei termini nei quali lo è: come, del resto, è sottolineato dal dispositivo dell'ordinanza stessa, che, pur riferendosi non solo a disposizioni, ma anche a casi normativamente previsti come diversi, ciò nonostante non è solo di inammissibilità, ma addirittura di manifesta inammissibilità del la proposta questione. [A. Romano]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

gli art. 253 del predetto testo legislativo e dell'art. 265 r.d. 3

marzo 1934 n. 383, in relazione agli art. 3, 25, 103, 2° comma,

Cost.;

che le norme impugnate vengono censurate nella parte in cui

non consentono che i dipendenti degli enti locali siano soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti, ove risultino coautori de

gli eventi dannosi espressamente previsti per gli amministratori

dagli art. 244 Orel e 254-259 t.u. legge comunale e provinciale; che tale impedimento contrasterebbe con l'art. 3 Cost., per la

ingiustificata disparità di trattamento che, in relazione ad un me

desimo fatto illecito, si verrebbe a creare tra amministratori e

dipendenti di uno stesso ente locale, attesa la diversità non pura

mente procedurale, dei regimi di accertamento delle relative re

sponsabilità (grado di colpa, termini prescrizionali, iniziative del l'azione, potere riduttivo), nonché per violazione della regola del

simultaneus processus che, tesa ad evitare il rischio di decisioni

contrastanti o di incompletezza nell'esame dei fatti, troverebbe

il suo principale fondamento nel principio di eguaglianza di tutti

i cittadini di fronte alla legge; che le disposizioni impugnate violerebbero altresì gli art. 25

e 103, 2° comma, Cost., in quanto senza alcuna logica giustifica

zione, sottrarrebbero, anche nelle ipotesi di responsabilità con

nesse, i dipendenti degli enti locali alla giurisdizione della Corte

dei conti che, in materia di contabilità pubblica, è il «giudice naturale» precostituito per legge;

che l'art. 265 t.u. com. e prov. è impugnato solo in quanto

l'eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 253

dell'Orel riproduttivo della norma statale, renderebbe quest'ulti

ma immediatamente applicabile ai dipendenti degli enti locali in

Sicilia (sentenza di questa corte n. 189 del 1984, Foro it., 1985,

I, 38); che, fra le parti private, si sono costituite dinanzi a questa Corte

soltanto Salvatore Bisulca e Luigi Caldiero chiedendo che la que

tione venga dichiarata inammissibile o comunque infondata, men

tre, non è intervenuta l'avvocatura generale dello Stato;

Considerato che l'ordinanza di rimessione sostiene che la di

sposizione dell'art. 253 dell'Orel, nell'attribuire alla giurisdizione

ordinaria i giudizi in tema di danni recenti con dolo o colpa gra

ve dagli amministratori ed impiegati degli enti locali impedisce

alla Corte dei conti di conoscere della responsabilità degli impie

gati in un unico processo diretto ad accertare quella tipica degli

amministratori, prevista dall'art. 244, lett. a), dell'Orel;

che con detta prospettazione si tende in sostanza ad ottenere

una pronuncia additiva che consenta di assoggettare alla cogni

zione della Corte dei conti, a titolo di concorso nella fattispecie

contemplata dall'art. 244 dell'Orel, comportamenti di soggetti di

versi dagli amministratori rispetto ai quali tale fattispecie è tipi

camente configurata;

che, come questa corte ha già affermato (sent. n. 411 del 1988,

id., 1988, I, 2508), in relazione ad analoghe questioni, una pro

nuncia del genere è preclusa in sede di giudizio di costituzionali

tà, perché l'art. 244 dell'Orel configura un'ipotesi riferibile esclu

sivamente agli amministratori e quindi il suo ampliamento a sog

getti diversi determinerebbe un inammissbile intervento nella sfera

riservata al legislatore, cui soltanto spetta di stabilire quali com

portamenti possano costituire titolo di responsabilità anche in re

lazione al grado di colpa richiesto;

che devesi altresì rilevare che l'art. 244, lett. a), prevede una

responsabilità che prescinde dal grado di colpa, laddove una esten

sione di essa in via additiva agli impiegati, aggraverebbe il titolo

in base al quale essi sono attualmente tenuti a rispondere in virtù

della generale previsione dell'art. 250 dell'Orel, il che spetta solo

al legislatore; che rimane cosi assorbita la consequenziale questione di legitti

mità costituzionale dell'art. 265 t.u. del 1934 n. 383; visti gli art.

26, 2° comma 1. 11 marzo 1953 n. 87 e n. 9, 2° comma, delle

norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manifesta

inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli

art. 253 dell'ordinamento amministrativo degli enti locali nella

regione siciliana, approvato con 1. reg. Sicilia 15 marzo 1963 n.

16 e 265 r.d. 3 marzo 1934 n. 383, in riferimento agli art. 3,

25, 103, 2° comma, Cost., sollevata dalla Corte dei conti, sez.

giur. reg. Sicilia, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Il Foro Italiano — 1988.

II

1.1. - Con ordinanza della seconda sezione giurisdizionale (reg. ord. n. 502 del 1985) la Corte dei conti solleva questione di legit timità costituzionale dell'art. 254 r.d. 3 marzo 1934 n. 383 («ap

provazione del t.u. della legge comunale e provinciale »), il quale

assoggetta a responsabilità gli amministratori per i danni cagio nati ai rispettivi enti di appartenenza, nelle seguenti ipotesi: per

aver proceduto a locazioni, alienazioni, acquisti, somministrazio

ne od appalti senza l'osservanza delle relative disposizioni di leg

ge, per aver trascurato l'applicazione e la riscossione di tributi

e di entrate regolarmente deliberate.

Si sostiene nell'ordinanza di rimessione che la norma denuncia

ta, nel prevedere per tali fattispecie la responsabilità dei soli am

ministratori e non anche dei dipendenti comunali e provinciali

che abbiano concorso con il proprio comportamento alla produ

zione del danno, impedirebbe alla Corte dei conti di valutare uni

tariamente le varie condotte, ai fini dell'affermazione delle ri

spettive responsabilità, in quanto, in virtù del limitato ambito

di applicazione della norma denunciata, solo il giudizio sulla re

sponsabilità degli amministratori spetta alla Corte dei conti, mentre

il giudizio per l'accertamento della responsabilità dei dipendenti

comunali e provinciali, in virtù degli art. 261 e 265 t.u. del 1934

n. 383, appartiene alla giurisdizione ordinaria.

Il giudice a quo, mostrandosi consapevole dell'orientamento

di questa corte, secondo cui la scelta dell'una o dell'altra giurisdi

zione rientra nella discrezionalità del potere legislativo, osserva

però che, se l'art. 254 cit. «sarà emendato dei vizi costituzionali

e ne conseguirà.., una parziale estensione della giurisdizione nelle

materie di contabilità pubblica (per ciò che si riferisce solo al

l'ambito soggettivo di applicazione della norma riguardante la

responsabilità degli agenti pubblici verso l'ente locale, per i danni

causati da omessa applicazione di riscossione di tributi ed altre

entrate) sarà da desumere che non sempre, per attuare, in dire

zione del resto conforme alla sua tendenziale generalità, il dettato

del 2° comma dell'art. 103 Cost., è necessario attendere l'inter

vento del legislatore, essendo talvolta sufficiente — come nel pre

sente caso — la mera espunzione dall'ordinamento di una deter

minata limitazione leglislativa, contrastante, di per sé, con uno

o più valori costituzionali».

Quanto al merito delle questioni, il giudice a quo ritiene che

l'art. 254 t.u. del 1934 n. 383 contrasti: a) con l'art. 3 Cost.,

in quanto all'interno di un'unica vicenda dannosa differenziereb

be ingiustificatamente i regimi di accertamento delle responsabili

tà di soggetti che si trovano in situazioni identiche; b) con l'art.

28 Cost., perché viola il principio della responsabilità dei funzio

nari e dipendenti pubblici che non consentirebbe diseguaglianze

di trattamento per gli autori di uno stesso illecito; c) con l'art.

54, 2° comma, Cost., in quanto la diversità di regole sostanziali

e di sedi processuali, in tema di responsabilità, non porrebbe gli

amministratori in condizioni di poter adempiere «con disciplina

ed onore» alle funzioni pubbliche loro affidate; d) con l'art. 97

Cost., perché risulterebbe violato il principio del buon andamen

to, che imporrebbe l'esigenza di determinare adeguatamente la

responsabilità dei funzionari, nonché il principio di imparzialità, in relazione alle determinazioni che l'ente danneggiato dovrà as

sumere nei confronti degli impiegati responsabili; e) con l'art.

24, 1° e 2° comma, escludendo, dal lato attivo, la responsabilità

per il procuratore generale non solo di agire nei confronti degli

impiegati parimenti responsabili, ma anche di tener conto dell'in

cidenza causata dalle loro condotte in ordine al danno e, dal lato

passivo, ostacolando la difesa degli amministratori che non po

trebbero far valere le loro eccezioni in presenza di altri soggetti

responsabili; f) con l'art. 103, 2° comma, Cost., in quanto viole

rebbe la tendenziale generalità della sfera di attribuzioni giurisdi

zionali della Corte dei conti nella materia della contabilità pubblica.

2. - Con altra ordinanza della prima sezione giurisdizionale (reg.

ord. n. 350 del 1987) la Corte dei conti solleva questione di legit

timità costituzionale dell'art. 261 t.u. del 1934 n. 383, sia in sé

considerato che in relazione agli art. 254 e 264 t.u. cit.

Si assume in sostanza che l'art. 261 cit., prevedendo per gli

impiegati comunali e provinciali solo forme di responsabilità a

titolo di dolo o colpa grave (il cui accertamento è di spettanza

del giudice ordinario come prevede l'art. 265 t.u. cit., che non

costituisce però oggetto di impugnativa né diretta né indiretta)

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2511 PARTE PRIMA 2512

osta alla possibilità che, nel giudizio che si svolge dinanzi alla

Corte dei conti per l'accertamento della responsabilità degli am

ministratori relativamente ai comportamenti contemplati dall'art.

254 t.u. cit., il contraddittorio possa essere integrato con la chia

mata in giudizio anche degli impiegati comunali per l'accerta

mento delle loro responsabilità concorrenti.

Tenuto poi conto che l'art. 264 t.u. cit., prevedendo uno spe

ciale procedimento amministrativo di competenza della g.p.a. per

l'accertamento della responsabilità, non sarebbe oggi più applica

bile, per il sopravvenire dell'ordinamento regionale si sarebbe de

terminata un'area di sostanziale irresponsabilità amministrativa

per gli impiegati degli enti locali. Le questioni cosi prospettate sarebbero rilevanti, secondo il giu

dice a quo, in relazione alla controversia da decidere, sostenen

dosi che non sarebbe possibile emettere un giudizio affermativo

o negativo di responsabilità dei convenuti amministratori senza

accertare quella concorrente degli impiegati.

Quanto al merito delle questioni sollevate, nella seconda ordi

nanza di rimessione, si sostiene che l'art. 261 t.u. del 1934 cit.,

sarebbe in contrasto: a) con l'art. 3 Cost., per l'ingiustificata di

sparità di trattamento che, per un medesimo fatto illecito, si ver

rebbe a creare tra amministratori e dipendenti di uno stesso ente

locale, attesa la diversità non puramente procedurale dei regimi

di accertamento delle relative responsabilità (grado di colpa, ter

mini prescrizionali, iniziativa dell'azione, potere riduttivo); b) con

l'art. 24 Cost., limitando il diritto di difesa degli amministratori

che non possono invocare in giudizio la concorrente responsabili tà dell'impiegato, onde anche l'impossibilità di una esatta appli

cazione da parte del giudice contabile della regola di ripartizione dell'addebito prevista dall'art. 82, 2° comma, r.d. 18 novembre

1923 n. 2440; c) con l'art. 97 Cost., in quanto la diversità del

giudice competente a conoscere la responsabilità di soggetti cor

responsabili dello stesso illecito, creerebbe incongruenze e disfun

zioni tali da compromettere il buon andamento dell'amministra

zione; d) con l'art. 103 Cost., il quale imporrebbe che, quanto meno nella stessa materia, la responsabilità di tutti i concorrenti

vengano accertate nello stesso processo. 3. - I giudizi promossi con le due ordinanze della Corte dei

conti possono essere riuniti e definiti con unica sentenza stante

l'affinità delle questioni prospettate, ancorché nella prima delle

ordinanze la norma direttamente censurata è l'art. 254 t.u. della

legge comunale e provinciale del 1934 n. 383, mentre nella secon

da oggetto diretto della impugnativa è l'art. 261 t.u. cit. in rela

zione agli art. 254 e 264 del medesimo t.u.

Al fine di delimitare poi l'oggetto proprio delle questioni solle

vate, si deve precisare che entrembi i giudizi a quo, concernendo

azioni di responsabilità promosse dal procuratore generale della

Corte dei conti nei confronti di amministratori locali, per danni

cagionati dalla mancata applicazione e riscossione di tributi, fan

no si' che l'art. 254 cit., direttamente impugnato nella prima ordi

nanza ed indirettamente nella seconda, venga in evidenza nel pre sente giudizio per quel che riguarda la seconda delle ipotesi in

esso contemplate e cioè «per aver trascurato l'applicazione e la

riscossione di tributi e di entrate regolarmente deliberati».

4. - La questione relativa all'art. 254 t.u. cit., sollevata con

la prima ordinanza, in riferimento a diversi parametri costituzio

nali, è inammissibile.

Al riguardo va precisato che la questione, per le finalità che

dall'intero contesto dell'ordinanza di rimessione sembrano voler

si perseguire, non tende ad una dichiarazione di illegittimità co

stituzionale in assoluto della norma denunciata, bensì' ad una pro nunzia additiva che consenta di attrarre nella cognizione della

Corte dei conti comportamenti di soggetti diversi dagli ammini

stratori a titolo di concorso nella fattispecie contemplata dall'art.

254 t.u. cit.

Una pronuncia del genere è però preclusa in sede di giudizio di costituzionalità, tenuto conto della natura della norma rispetto alla quale viene invocata nell'intento di ampliare la giurisdizione della Corte dei conti. Innanzitutto va precisato che l'art. 254 cit.

non è norma processuale perché non è diretta a regolare la giuri

sdizione, bensì' è norma di diritto sostanziale, che configura alcu

ne fattispecie tipiche di responsabilità, definendo i comportamen ti ed i soggetti che possono essere chiamati a tale titolo a rispon dere dei danni cagionati.

L'auspicato ampliamento della norma — che nella sua attuale

previsione comprende solo gli amministratori degli enti locali —

Il Foro Italiano — 1988.

anche nei confronti degli impiegati, costituirebbe un inammissibi

le intervento in una materia che rientra invece nella esclusiva di

screzionalità del legislatore, al quale soltanto spetta di stabilire

quali comportamenti possano costituire titolo di responsabilità,

il grado di colpa richiesto, i soggetti cui la responsabilità sia ascri

vibile, e ciò tanto più quando si sia in presenza di fattispecie

tipiche. In proposito devesi in particolare rilevare che la norma riguar

dante i danni cagionati dall'aver trascurato l'applicazione e ri

scossione dei tributi, non prevedendo alcun grado di colpa (come

invece si prevede nell'art. 261 t.u. cit., che limita al dolo ed alla

colpa grave i fatti per i quali in via generale possa essere afferma

ta la responsabilità degli amministratori e degli impiegati), confi

gura una fattispecie di responsabilità imputabile anche a titolo

di colpa lieve o lievissima. Inoltre con il contesto della norma

nel suo complesso che indica il comportamento nell'«avere tra

scurato», si intende appunto richiamare coloro cui spetta la gui

da degli enti locali al massimo della diligenza nell'adoperarsi nei

compiti di indirizzo e di vigilanza per assicurare le entrate tribu

tarie.

Trattandosi dunque di un titolo tipico di responsabilità, una

sua estensione agli impiegati in via additiva, oltre ad apparire

inattuabile per la natura dei comportamenti considerati, determi

nerebbe un aggravamento delle ipotesi rispetto alle quali essi at

tualmente possono essere tenuti a rispondere, il che rientra nell'e

sclusiva discrezionalità del legislatore. 5. - Nella seconda ordinanza la norma direttamente impugna

ta è l'art. 261 t.u. 1934 cit., di cui si chiede «la verifica della

compatibilità costituzionale... sia visto in sé, come singolare ec

cezione residuale al generale assetto ordinamentale alla giurisdi

zione della Corte dei conti, sia in relazione particolare all'art.

254, per il quale — a differenza dei precedenti art. 253 e 255 — non è prevista la possibilità che con la responsabilità degli

amministratori possa concorrere quella dei dipendenti».

In proposito va in primo luogo rilevato che nell'ordinanza di

rimessione si assume come presupposto della questione dedotta

sotto gli anzidetti profili, che tale articolo osti alla chiamata in

causa degli impiegati comunali perché «attribuisce al giudice or

dinario e non alla Corte dei conti... la giurisdizione sugli impie

gati» degli enti locali e degli enti da questi derivati.

Senonché è da rilevare che l'art. 261 non costituisce, secondo

quanto sembrerebbe ritenersi in base alla riferita asserzione, una

norma di carattere processuale, essendo anch'essa norma di dirit

to sostanziale, volta a definire gli elementi e le caratteristiche del

le responsabilità ascrivibili agli amministratori ed agli impiegati

per i danni recati all'ente.

L'attribuzione delle relative controversie al giudice ordinario,

cioè l'aspetto che sembra volersi censurare nell'ordinanza di rin

vio, è contenuta nell'art. 265 t.u. cit., ma questa norma non for

ma oggetto di impugnativa neppure indiretta e quindi la questio

ne in quanto sollevata nei confronti dell'art. 261 cit. è inammissi

bile per irrilevanza essendo diretta a colpire una norma non con

ferente in ordine agli aspetti censurati.

Ma, ammettendosi che si possa seguire la prospettazione della

questione con cui si investe l'art. 261 t.u. cit. «visto in sé», sem

brerebbe che con tale prospettazione si tenda in sostanza ad una

pronuncia demolitoria della norma denunciata nel suo comples

so, al fine di attrarre tutte le controversie in tema di responsabili

tà degli amministratori ed impiegati nell'ambito della giurisdizio ne della Corte dei conti.

Orbene — a parte che per le ragioni anzidette il venire meno

dell'art. 261 in sé non produrrebbe tale effetto perché l'attribu

zione delle controversie al giudice ordinario discende dall'art. 265

che non è oggetto di impugnativa — la questione è parimenti inammissibile per irrilevanza, perché il giudizio a quo attiene ad

una ipotesi di responsabilità che, come si è rilevato in preceden

za, è da un'altra norma di diritto sostanziale (art. 254 t.u. cit.)

configurata come tipica degli amministrtori e, quindi, l'eventuale

venir meno dell'art. 261 cit. non consentirebbe ugualmente di per

seguire dinanzi alla Corte dei conti gli impiegati evantualmente

concorrenti a tale titolo, perché essi non possono essere chiamati

a rispondere per le fattispecie previste dall'art. 254 cit.

In ordine al secondo profilo che investe l'art. 261 «in relazione

particolare all'art. 254», la sua prospettazione sembra invece ten

dere ad una pronunzia additiva della corte, in senso analogo alla

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Page 5: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || ordinanza 12 maggio 1988, n. 549 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 25 maggio 1988, n. 21); Pres. Saja, Est. Caianiello;

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

prima ordinanza di rimessione, onde, per le stesse considerazioni

svolte relativamente ad essa, la questione è inammissibile.

Quanto infine al rilievo, pur contenuto nella seconda ordinan

za, che sembra ravvisare altro autonomo profilo di illegittimità

costituzionale dell'art. 261 cit., in relazione a quanto dispone l'art.

264 t.u. cit. (che prevede uno speciale procedimento amministra

tivo per l'accertamento delle responsabilità) — a parte che il man

cato esperimento preventivo a tale procedimento non sembra di

ostacolo all'azione giudiziaria (art. 265 t.u. cit.) a carico degli

impiegati pubblici, per danni recati commessi con dolo o colpa

grave (art. 261 t.u. cit.) — non è assolutamente dato di stabilire,

in base alla prospettazione fattane, quale attinenza la questione

cosi prospettata possa avere ai fini della definizione del giudizio

a quo. 6. - Anche sotto gli altri aspetti richiamati nelle due ordinanze

prospettate le questioni sono inammissibili.

Sviluppando un argomento esposto anche nella prima ordinan

za, ai fini della non manifesta infondatezza, si sostiene nella se

conda che la questione sollevata sarebbe rilevante, ai fini della

definizione del giudizio a quo, «poiché non è possibile emettere

un giudizio affermativo o negativo di responsabilità dei convenu

ti amministratori senza valutare in contraddittorio quella — che

può anche essere concorrente e perciò dar luogo a solidarietà nel

la eventuale condanna — del dipendente cui era connesso il com

pito delle operazioni di accertamento ed emissione dei titoli che

dovevano dare luogo alla riscossione delle entrate» e ciò anche

ai fini della applicazione del potere riduttivo proprio dei giudizi di responsabilità dinanzi la Corte dei conti.

L'assunto non può essere condiviso, perché devesi pur sempre

considerare che se le fattispecie previste dall'art. 254 non sono

ascrivibili, sul terreno del diritto sostanziale, agli impiegati per

ché configurano come illecito generatore di responsabilità com

portamenti tipici degli amministratori, ciò non impedisce alla Corte

dei conti — indipendentemente dalla possibilità della chiamata

in giudizio allo stesso titolo (perché non prevista) degli impiegati — la cognizione in via incidentale di tutti gli altri eventi, ivi com

preso il comportamento degli impiegati, che possono condurre

eventualmente ed escludere o ad attenuare la responsabilità degli

amministratori, in ordine ai comportamenti che essi erano tenuti

a porre in essere. Né, come sembra affermarsi, la comune chia

mata in giudizio sarebbe indispensabile ai fini della affermazione

della solidarietà, perché se alcuni soggetti non sono tenuti, in

base al diritto sostanziale, a certi comportamenti, non si vede

in base a quale titolo possa parlarsi di solidarietà fra chi è chia

mato a rispondere e chi non lo è.

Neppure è condivisibile l'assunto secondo cui l'accertamento

dei comportamenti produttivi di danno, posti in essere dagli im

piegati e non assumibili nella fattispecie tipica ed esclusiva degli

amministratori, non potrebbe avvenire se non in contraddittorio

con i primi. Se si considera che, come si è detto, l'accertamento

di tali comportamenti è di natura incidentale — perché diretto

solo a definire l'entità della responsabilità degli amministratori,

nei termini in cui essa è tipicamente configurata dall'art. 254 t.u.

cit. — esso non è certamente precluso alla Corte dei conti che

all'uopo può avvalersi dei normali mezzi probatori a sua disposi

zione per l'accertamento dei fatti.

Né potrebbe seriamente sostenersi l'esigenza della chiamata in

causa degli impiegati ai fini di tale accertamento, per assicurare

loro il diritto di difesa. È difatti proprio il carattere incidentale

di tale accertamento ad escludere l'esigenza del contraddittorio

perché, nei confronti degli impiegati, la sentenza del giudice con

tabile non farebbe in ogni caso stato, in occasione dell'eventuale

accertamento delle loro responsabilità, per dolo o colpa grave

(art. 261 t.u. cit.), dinanzi al giudice ordinario (art. 265 cit.): essi sono terzi rispetto al giudizio svoltosi dinanzi al giudice con

tabile nei confronti degli amministratori, per comportamenti qua

litativamente diversi da quelli ascrivibili a titolo di responsabilità

a carico degli impiegati. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissibi

li le questioni di legittimità costituzionale degli art. 254 e 261,

quest'ultimo anche in relazione agli art. 254 e 264 t.u. com. e

prov. approvato con r.d. 3 marzo 1934 n. 383, sollevate dalla

Corte dei conti in riferimento agli art. 3, 24, 28, 54, 97 e 103

Cost, con le ordinanze indicate in epigrafe (reg. ord. nn. 502

del 1985 e 350 del 1987).

Il Foro Italiano — 1988.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 7 aprile 1988, n. 423 (Gaz

zetta ufficiale, la serie speciale, 13 aprile 1988, n. 15); Pres.

Saja, Est. Casavola; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Pret.

Pinerolo 2 maggio 1987 (G.U., la s.s., n. 32 del 1987).

Azione penale tra congiunti nei delitti contro la proprietà — Fatti

commessi in danno del coniuge non legalmente separato — Non

punibilità — Convivente «more uxorio» — Mancata previsione — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 3; cod.

pen., art. 649).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 649,

n. 1, c.p., nella parte in cui, statuendo la non punibilità dei

reati patrimoniali commessi in danno del coniuge non legal

mente separato, non prevede l'estensione della medesima disci

plina anche per i fatti commessi in danno del convivente more

uxorio, in riferimento agli art. 2 e 3 Cost. (1)

Diritto. — 1. - Il Pretore di Pinerolo, con ordinanza del 2

maggio 1987 (r.o. n. 319/87), solleva questione di legittimità co

stituzionale, in riferimento agli art. 2 e 3 Cost., dell'art. 649,

n. 1, c.p. « nella parte in cui non prevede la non punibilità di

chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dal titolo XIII del

codice penale in danno del convivente more uxorio.

2. - La questione non è fondata.

La non punibilità, prevista dalla norma impugnata, si fonda

sulla presunzione che, ove i coniugi non siano legalmente separa

ti, sussista una comunanza di interessi che assorbe il fatto delit

tuoso. Tant'è che nella ipotesi di separazione legale la punibilità

ricorre, sia pure a querela della persona offesa. Siffatto regime

palesa che il legislatore rimette alla volontà del coniuge legalmen

te separato l'applicazione della legge penale, laddove esclude che

questa possa intervenire in costanza della convivenza coniugale.

Fattispecie tutt'affatto diversa è quella della convivenza more

uxorio, per sua natura fondata sulla affectio quotidiana — libe

ramente e in ogni istante revocabile — di ciascuna delle parti.

Nel caso che ha dato origine alla presente questione di costitu

zionalità, le denuncia-querela della persona offesa, nonché la sot

trazione di mobili suppellettili ed elettrodomestici dall'abitazione

comune ad opera della convivente, che li ha trasportati in altro

alloggio ove si è stabilita con il figlio nato dal rapporto con il

(1) Pret. Pinerolo 2 maggio 1987 si legge in Giur. costit., 1987, II, 614.

In precedenza, nel senso della manifesta infondatezza di una analoga

questione di legittimità costituzionale, Cass. 8 maggio 1980, Salviato (Fo ro it., Rep. 1982, voce Azione penate tra congiunti nei delitti contro la

proprietà, n. 1, e Cass, pen., 1982, 730, con osservazioni critiche di F.

Uccella), per la quale la particolare esimente prevista dall'art. 649, n.

1, c.p. sarebbe radicata nello specifico status familiare riservato al coniu

ge non separato legalmente, onde non sarebbe ravvisabile alcuna dispari tà di trattamento rispetto alla diversa figura del convivente more uxorio.

La sentenza in epigrafe, che per vero sembra respingere l'eccezione di

costituzionalità soprattutto facendo leva sulla inesistenza — nel caso sot

toposto all'esame del giudice di merito — dello stesso presupposto di

fatto della convivenza fra querelante e persona offesa (per cui più che

una pronuncia di infondatezza sarebbe apparsa forse più plausibile una

pronuncia di inammissibilità della questione per difetto di rilevanza), si

inscrive nel solco di un orientamento negativo che la Corte costituzionale

ha espresso ormai da tempo sul punto della possibile equiparazione fra

famiglia di fatto e rapporto di coniugio ai fini della operatività di una

causa di non punibilità. In proposito, cfr., da ultimo, Corte cost. 18

novembre 1986, n. 237, Foro it., 1987, I, 2353 (con nota di richiami

bibliografici e giurisprudenziali cui si rinvia), che ha ritenuto infondata

la questione di legittimità costituzionale degli art. 307, 4° comma, e 384,

1° comma, c.p., nella parte in cui non prevedono che l'operatività dell'e

simente di cui all'art. 384 si estenda altresì al convivente more uxorio.

Sull'ambito di applicazione e sulla natura giuridica della particolare causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 649 c.p., cfr. D'Am

brosio, in Giur. sist. di dir. pen., a cura di F. Bricola e V. Zagrebel

sky, parte speciale, Torino, 1984, II, 1385 ss.

Va segnalato, peraltro, che fuori dallo specifico settore del diritto pena

le, la famiglia di fatto sembra invece essere al centro di un processo di cre

scente valorizzazione della sua rilevanza: in questa direzione, cfr. da ulti

mo, Corte cost. 7 aprile 1988, n. 404, che segue con nota di richiami di Piom

bo, che ha dichiarato illegittimo l'art. 61. 392/78 nella parte in cui non pre

vede la successione nel contratto di locazione del convivente more uxorio

del conduttore; cfr. anche Cass. 17 febbraio 1988, n. 1701, Foro it., 1988,

I, 2306, con nota di E. Calò, La giurisprudenza come scienza inesatta (in

tema di prestazioni lavorative in seno alla famiglia di fatto).

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