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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || ordinanza 18 dicembre 1987; Giud. Bonaccorsi;...

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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || ordinanza 18 dicembre 1987; Giud. Bonaccorsi; Marzotto (Avv. Massaro) c. Soc. Ciuffa editore e Nasso (Avv. Marafioti)

ordinanza 18 dicembre 1987; Giud. Bonaccorsi; Marzotto (Avv. Massaro) c. Soc. Ciuffa editore eNasso (Avv. Marafioti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 569/570-573/574Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183824 .

Accessed: 28/06/2014 17:47

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

PRETURA DI ROMA; ordinanza 18 dicembre 1987; Giud. Bo

naccorsi; Marzotto (Avv. Massaro) c. Soc. Ciuffa editore e

Nasso (Aw. Marafioti).

PRETURA DI ROMA;

Provvedimenti di urgenza — Diritto alla riservatezza — Opera di fantasia — Lesione — Insussistenza — Provvedimento ur

gente — Revoca (Cod. civ., art. 2043; cod. proc. civ., art. 700;

1. 22 aprile 1941 n. 633, protezione del diritto d'autore e di

altri diritti connessi al suo esercizio, art. 93).

Va revocato il provvedimento inibitorio emesso su istanza di chi

lamenti la lesione del diritto alla riservatezza che deriverebbe

dalla pubblicazione di un epistolario in un libro (nella specie, «Il nome della mimosa» di Vincenzo Nasso) ove risulti che tali

lettere siano opera di fantasia dell'autore e non parte del car

teggio tra chi deduce la violazione e un celebre pittore. (1)

(1) Non constano precedenti in termini. Il provvedimento «dribbla» una serie di punti caldi nell'ambito del di

ritto alla riservatezza. Le difficoltà sorgono anzitutto perché si è in pre senza di una newsworthy person, un personagio che, per varie vicende

(e con alterne fortune), è balzato agli onori della cronaca. Si tratta, dun

que, di trovare il momento di equilibrio tra le opposte esigenze, del sin

golo al mantenimento del riserbo sulle vicende più intime della sua vita

privata, e della collettività a veder riconosciute le garanzie costituzionali

relative al diritto di cronaca: problema risolto da una giurisprudenza or

mai consolidata sancendo il principio per cui il diritto alla riservatezza

incontra un limite nell'interesse sociale alla conoscenza (arg. ex art. 96

e 97 legge sul diritto d'autore, che, pur riferendosi letteralmente alla sola

esposizione del ritratto, costituiscono l'espressione di un principio gene rale e sono applicabili, per analogia, a qualsiasi opera narrativa o rappre sentativa degli avvenimenti della vita altrui; per i necessari riferimenti, v. Pret. Firenze, ord. 3 marzo 1986, Foro it., 1986, I, 2019; Trib. Napoli 8 novembre 1984, id., 1985, I, 857; Pret. Roma 6 maggio 1983, id., 1984,

I, 299; in dottrina, da ultimo, C. Scognamiglio, Il diritto alla utilizzazio ne economica del nome e dell'immagine delle persone celebri, in Dir.

informazione e informatica, 1988, 1). Tuttavia, nella vicenda in questione il carteggio che si assume violato

è in realtà frutto di mistificazione (se si preferisce, invenzione letteraria); ciò toglie dal novero delle norme applicabili l'art. 93 della legge sul dirit

to d'autore e sposta la direzione della ricerca sul terreno della «fictionali

zation», che solo nel mondo giuridico nordamericano sembra aver trovato

una collocazione precisa. Cfr., da ultimo, Archishop Marcinkus v. NAL

Publishing, 14 Med. L. Rptr. 2094 (N.Y. S. Ct. 1987), in cui si ribadisce

la definizione del fenomeno, adottata nel caso Spahn, alla stregua di eventi

della vita di persone famose reali ma inquinati, «infected with material

and substantial falsification», con conseguente «ricaduta» vuoi sul ver

sante della defamation, vuoi su quello del tort di «falsa luce» (cfr., per una prima ricognizione, — costruita a ridosso della decisione resa dal

7.mo Circuito in Pring v. Penthose International, Ltd, 625 2d 438 (10th Cir. 1982), cert, denied, 103 S. Ct. 3112 (1983), con riguardo alle «pro dezze» attribuite da una nota rivista per soli uomini ad una tale Miss

Wyoming, nella quale l'attrice non stentava a riconoscersi — la Note, Fictionalized Publications: When Should Defamation and Privacy Be a

Bar), 1984 Utah L. Rev. 411, in cui vengono individuati, nella falsa af

fermazione su fatti concreti (e non opinioni) e nella riconoscibilità del

personaggio romanzato, gli elementi costitutivi dell'azione; e per una ri

flessione a compasso più allargato, A. Gambaro, Ancora in tema di falsa luce agli occhi del pubblico, in Quadrimestre, 1988, 2). Rigorosa è poi la morale scandita dai giudici della Corte suprema della California in

Gugliemi D. Spelling v. Goldberg Productions, 25 Cai. 3d 860, 160 Cai.

Rptr 352 (1979), laddove auspicano che l'allusione in un romanzo ad

un personaggio celebre quale Rodolfo Valentino, piuttosto che legittima re una reazione contro caricature e parodie, divenga invece stimolo a

riflessione creativa. Ritornando ai problemi di casa nostra, è comunque giocoforza consta

tare come il tiro venga considerevolmente ridotto. Alla schematica e lim

pida rappresentazione, operata dalla dottrina nordamericana delle ipotesi di torts nell'àmbito della privacy («public disclosure of private facts, in

trusion in private fracts, false light in public eyes, appropriation of one's

marne or likeness»: cfr., riassuntivamente, Prosser & Keeton, The Law

of Torts, 5.a ed., St. Paul, Minn., 1984, 849 ss.), cui corrispondono articolati mezzi di tutela, fa riscontro, in Italia, una caratterizzazione del

le situazioni astrattamente tutelabili alquanto vaga e ambigua. Infatti, il diritto sotteso all'azione civile a tutela dell'identità personale nato sulle

fondamenta della diffamazione, è ricaduto ben presto in schemi penalisti

ci, finendo con l'identificarsi con l'onore e la reputazione (ne è conferma

il fatto che nessun giudice sia stato chiamato a scrutinare la pretesa di

chi assumesse di avere una identità diversa, non peggiore o migliore, ma

semplicemente diversa da quella che gli era stata attribuita). Non sfugge a tale considerazione la nota e risalente sentenza della corte di legittimità

(Cass. 31 maggio 1966, n. 1446, Foro it., 1967, I, 591), a cui dire non

esiste, nel nostro ordinamento, una disposizione che imponga l'assoluta

Il Foro Italiano — 1989.

Fatto. — Con ricorso ex art. 700 c.p.c. in data 24 novembre

1987 Marta Marzotto Vacondio, facendo riferimento ad un suo

precedente ricorso del 7 febbraio 1987 con il quale aveva chiesto

a questo stesso pretore che fosse inibita l'utilizzazione indebita

di lettere inviatele dal maestro Renato Guttuso e ad essa sottratte

in tempi diversi (lettere acquisite, in parte, nel corso del procedi mento instaurato, e sequestrate), lamentava che alcuni giornali avevano pubblicato la notizia della imminente diffusione di un

libro dal titolo «Il nome della mimosa», attribuito a tale Enzo

Nasso (editore Ciuffa, via Borgognona n. 12), libro che costitui

va, a suo dire, una raccolta, con intenti evidentemente e mera

mente speculativi, di lettere indirizzate ad essa ricorrente dal

maestro Renato Guttuso, facenti parte, con tutta evidenza, di

quelle sottratte.

Ciò posto, e considerata chiaramente illecita la utilizzazione

delle lettere stesse per le ragioni già prospettate nel precedente

ricorso, nonché per la palese violazione dell'art. 93 1. 22 aprile 1941 n. 633, mentre risultavano evidenti la irreparabilità e l'im

minenza del pregiudizio dedotto, con riguardo alla violazione del

diritto alla riservatezza, la Marzotto chiedeva che il pretore ini

bisse, con decreto immediato, all'editore Ciuffa e al distributore

la pubblicazione, diffusione e, comunque, utilizzazione di qual siasi lettera indirizzata da Renato Guttuso ad essa ricorrente, e

di qualunque riproduzione o trascrizione, anche parziale, di esse,

e disponesse altresì il sequestro, inibendone ogni uso, di tutto

il materiale utilizzato o predisposto per la realizzazione della rac

colta di lettere intitolate «Il nome della mimosa».

Il pretore, con decreto emesso, inaudita altera parte, in pari data (24 novembre 1987), disponeva, in via provvisoria, e urgen

te, la sospensione, fino all'udienza fissata per la comparizione

delle parti, della diffusione della raccolta di lettere di cui al ricor

so, ordinando nel contempo, a fini istruttori, alla casa editrice

Ciuffa, di depositare un esemplare della raccolta intitolata «Il

nome della mimosa», gli orginali delle lettere riprodotte ed even

tuali documenti attestanti il consenso alla pubblicazione. All'udienza di comparizione, mentre la ricorrente insisteva nel

ricorso, le altre parti (Ciuffa editore srl e Vincenzo Nasso) si op

ponevano alla domanda. La casa editrice produceva copia del

libro «Il nome della mimosa», e, quanto agli originali dell'episto

lario, faceva presente l'impossibilità della loro produzione, non

avendo mai avuto la disponibilità né di originali, né di fotocopie,

né di fac-simili delle lettere d'amore attribuite dalla ricorrente

al defunto mestro Guttuso. Da parte sua, l'autore del libro, Vin

cenzo Nasso, in un suo memoriale depositato in atti e in sede

di interrogatorio libero, dichiarava che non esisteva alcun episto

lario, tutte le riproduzioni delle lettere a firma Re o Ren essendo

dovute al suo estro creativo, avendo egli imitato le lettere del

Guttuso, sia per la parte grafica, sia nell'aspetto contenutistico,

il tutto nel contesto di una pura invenzione letteraria.

Cosi instauratosi il contraddittorio, il pretore si riservava di

decidere, concedendo alle parti congruo termine per il deposito

di note e documenti.

corrispondenza della rappresentazione dei fatti alla verità storica; il solo

limite all'attività creativa (o mistificatrice) sarebbe quello del rispetto del

l'onore e del decoro della persona (in senso sostanzialmente conforme, v. App. Milano 22 maggio 1964, id., 1964, I, 1239 e Pret. Roma 17

giugno 1963, id., Rep. 1964, voce Persona propria, n. 5, nonché App.

Napoli 16 febbraio 1962, ibid., n. 12, in cui la tutela è subordinata

alla dimostrazione dell'animus di far apparire i fatti diversi dalla

realtà). Resta il problema di specificare il concetto di onore e reputazione; Gam

baro, cit., suggerisce di delimitare l'area delle posizioni soggettive tutela

te a quelle relazioni sociali che ciascuno si costruisce attraverso quello

che, con significativa espressione, gli americani chiamano «excertion of

talent», intendendosi con ciò tutte le utilità (non solo patrimoniali) che

costituiscono frutti dell'esercizio del talento personale (sembra cosi chia

rita la connotazione relazionale del diritto alla identità personale, seppel lendo nell'arcaismo giuridico la stonata espressione del «diritto ad essere

riconosciuti per quello che effettivamente si è», caratteristica della passa ta esperienza giuridica; e sembra altresì negata ogni rilevanza giuridica alla personalità profonda).

Ma sullo sfondo campeggia il monito scandito dalla pronunzia che de

cise il celebre caso Caruso (Cass. 22 dicembre 1956, n. 4487, id., 1957,

I, 4): «chi non ha saputo tenere celati i fatti della propria vita non può

pretendere che il segreto sia mantenuto dalla discrezione altrui».

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PARTE PRIMA

Diritto. — I resistenti deducono che l'epistolario amoroso og

getto del ricorso Marzotto è un semplice inserto del libro, dal

l'autore non dichiarato né rivendicato come vero e reale (vale a dire come riproduzione di originale e autentico carteggio Guttuso

Marzotto). Il Nasso, in particolare, nega di avere utilizzato, nella

redazione del libro di cui trattasi, corrispondenza originale e real

mente intercorsa tra i due protagonisti della recente vicenda Gut

tuso, spiegando che l'epistolario è frutto di imitazione. Si

tratterebbe, in sostanza, di un'operazione di mistificazione lette

raria, attuata mediante interpolazione, nel testo di un'opera di

fantasia, di una serie di lettere d'amore prive di data, firma e

destinatario, attribuite dall'autore a tal Renato, o Ren, e dirette

a tale Marcolfa. Non si è in presenza, perciò, di una raccolta

di lettere destinate alla Marzotto e abusivamente riprodotte, trat

tandosi, invece, di brani frutto di imitazione e manipolazione gra fica e di contenuto.

In effetti, le risultanze del processo inducono a ritenere trattar

si, nella specie, di una «spiritosa invenzione» (per dirla col Gol

doni, che definisce il protagonista della sua commedia «Il

Bugiardo» come autore di «spiritose invenzioni»), e cioè di un

artificio e raggiro letterario, facilmente riconoscibile. Dallo stesso

contenuto complessivo del romanzo (testo, note e postille), è age vole rilevare, infatti, come l'autore, lungi dallo spacciare come

autentiche le lettere del «Ren», si preoccupi di sottolineare in

diversi punti, direttamente o parlando attraverso i personaggi, che il tutto è frutto della sua fantasia (v. pag. 45, ove si definisce

il romanzo «apologo, satira, fantascienza, autobiografia»; altro

ve si parla di «volubile esercizio di scrittura»: pag. 316; nelle

postille — pag. 292 — si qualifica chiaramente il libro, a scanso

di equivoci, «prodotto di evidente falsità», esaltandosi, in altro

passaggio, la «piacevolezza della frode, che è assai più eccitante

della verità della scrittura»: pag. 114, ove si conferma, altresì, di aver «manipolato l'epistolario di Renato falsando il senso del

la storia d'amore con Marcolfa»). E tale assunto, di mera invenzione letteraria del falso epistola

rio, inserito in un prodotto di fantasia, in un «metaromanzo»,

come lo definisce l'autore, appare credibile.

Effettivamente, non c'è alcuna prova dell'autenticità delle let

tere riprodotte in fac-simile o trascritte nel libro, laddove, ad una

lettura, appena attenta, dell'opera, risulta evidente la ricostruzio

ne di pura fantasia delle lettere del Guttuso, abilmente camuffate

e contraffatte, il cui contenuto, peraltro generico, non è idoneo

a ledere l'onore o la reputazione di chicchessia.

Non vi è quindi alcun segreto epistolare da tutelare, o alcun

sentimento privato da proteggere di fronte ad un preteso attenta

to all'intimità di un uomo e di una donna che per circa venti

anni sono stati legati da un rapporto difficile. Non può applicar

si, perciò, l'invocata vigente normativa in materia (in particolare, l'art. 93 legge sul diritto d'autore), la quale presuppone la effetti

va paternità della corrispondenza epistolare dei soggetti cui è at

tribuita. È appena il caso di rilevare che, se fosse autentico,

l'epistolario meriterebbe piena tutela contro l'abusiva pubblica

zione, che, di per sé, non potrebbe trovare giustificazione scrimi

nante nell'esercizio del diritto di manifestazione del pensiero di

cui all'art. 21 Cost., il quale, come è noto, sancisce la libertà

di divulgazione delle proprie opinioni, cioè del pensiero proprio e non di quello altrui.

Il solo dubbio nell'autenticità delle lettere del Guttuso esclude,

però, ogni possibilità di protezione in questa sede cautelare. Ba

sterebbe, forse, come indice non superficiale della probabile fal

sità delle stesse, il semplice rilievo che nelle missive contenute

in questo singolare romanzo epistolare il mittente continua a fir

marsi Ren (Renato), mentre il nome della destinataria, Marta (anzi

Martina, come affettuosamente la chiamava il pittore) non trova

alcun riscontro in esse, perché sostituito con quello di Marcolfa,

appellativo che non risulta essere stato usato dal Guttuso (anche in una delle lettere autentiche, fra quelle esaminate, come scrittu

re di comparazione, dal consulente di parte ricorrente, Crivelli, il Guttuso definisce la sua donna «dolce nuvola d'oro che si chia

ma Marta»). Né può farsi luogo ad alcuna consulenza tecnica

di ufficio, la quale — a parte la dubbia utilità di un accertamento

tecnico condotto sulla base di semplici riproduzioni, per gli incer

ti risultati probatori raggiungibili, stante la mancanza di un dato

necessario, ossia degli originali da cui sono state tratte le riprodu zioni di fac-simile riportate nel libro — mal si concilierebbe, per la complessità delle indagini grafiche, con la sommarietà della

Il Foro Italiano — 1989.

cognizione propria di questo procedimento. È ciò ad onta delle

ipotesi di analogia di scruttura formulate dal consulente di parte,

Ruggero Crivelli, il quale ritiene comunque necessaria una perizia

collegiale per un esauriente risposta tecnica: il che conferma l'in

compatibilità di siffatta indagine con i rito della presente proce

dura d'urgenza. Ma vi sono sufficienti elementi per ritenere la totale falsità del

l'epistolario in oggetto, costituente inserto, e componente essen

ziale, di una narrazione condotta sul filo dell'assurdo, del

paradosso, dell'avventura surrealistica, del divertimento, dello

scherzo, in chiave satirica ed umoristica con allusioni ed allegorie

ispirate alla nota vicenda Guttuso, con riferimenti anche politici,

ove il carteggio assume chiaramente la funzione di un espediente

narrativo, come principale ingrediente, necessario allo schema del

racconto (che ruota, appunto, attorno al rinvenimento, smarri

mento e ritrovamento di un epistolario). Appare evidente, allora,

che l'opera del Nasso — compilata dichiaratamente sulla falsari

ga del fortunato libro di Umberto Eco, «Il nome della rosa»,

di cui vuole essere una pedissequa imitazione, sia pure con inten

to e tono ironico e dissacratorio, con finalità fin troppo esplicite

(«per ridurre un archetipo in uno stereotipo o per riciclare un

modello-guida in un prodotto di evidente falsità o per sfruttare

fin dal titolo l'eco del successo di Umberto Eco», come dice lo

stesso autore a pag. 292) — si inserisce in un filone letterario

di grande attualità. Non è compito del giudicante apprezzare e

mettere in luce i pregi e le ascendenze letterarie della fatica del

Nasso, bene illustrati dal difensore dei resistenti. Certo è che essa

si allinea alla moda corrente sulla rivalutazione del falso come

operazione culturale, in relazione al grande interesse manifestato

recentemente dagli intellettuali alla possibilità «creativa» dell'uo

mo attraverso il falso: falsare, si dice, è anche inventare e quindi

scoprire dei lati inediti e imprevisti nella stessa verità delle cose, dovendo essere superata la schematica contrapposizione tra vero

e non vero.

Da notizie di stampa si apprende che un gruppo di studiosi

si è riunito recentemente in quel di Arezzo per discutere, come

in una sorta di cenacolo intellettuale, sui rapporti tra la menzo

gna, nella sua immagine non negativa, come realtà notturna al

pari del sogno, e la verità, per definizione luminosa, solare. La

bugia è considerata, nella sua funzione sociale, come l'anima del

la storia; la frode come creatrice di cultura e di verità; la insosti

tuibile menzogna come elemento propulsore della vita, come «forza

progettuale» in ogni settore dell'attività umana, dalla letteratura

alla politica. La menzogna, si afferma ancora, «influisce sulla

realtà e può essere addirittura creatrice di verità», in quanto si

arriva alla verità mentendo.

È questo un tema attuale nella storiografia contemporanea: c'è

stato di recente un convegno a Monaco, inaugurato proprio da

Umberto Eco, su questo problema, che suscita crescente interesse.

In altre sedi, si è discusso pure della menzogna nella cultura

popolare. È dei giorni scorsi (giusta informazioni portate dai quo tidiani del 9 dicembre 1987) la notizia di un congresso internazio

nale e a carattere interdisciplinare, su tale argomento, promosso dalla cattedra di antropologia culturale della facoltà di lettere e

filosofia dell'università di Palermo, che si dice (falsamente) pre sieduto da Leonardo Sciascia, e svoltosi presso la sede della so

cietà siciliana per la storia patria. L'oggetto di quest'ultimo

congresso è stato proprio «la menzogna» nella sua più vasta ac

cezione, come comportamento umano che ha sempre costituito

motivo di notevole interesse per storici, logici, linguisti, semiolo

gici, psicologi e antropologi. In tale prospettiva culturale, appare funzionale all'intento nar

rativo l'inserzione nell'opera di Nasso di un epistolario «falso», come espressione della libertà, che non gli può essere negata, del

la invenzione letteraria, e come manifestazione del diritto dello

scrittore di rielaborare, con gli strumenti del fantastico, anche

temi e motivi che traggono spunto da clamorosi fatti di cronaca.

Un certo grado di arbitrarietà e di irresponsabilità è proprio della letteratura, soprattutto di quella c.d. creativa. In tutti i ge neri letterari l'autore ricerca la sua «verità» all'insegna dell'arbi

trio, inteso come fantasia svincolata dai dati della realtà, e in

ciò egli si ispira contemporaneamente all'arbitrario e al rigoroso. Il rigore sta nel collegamento dei vari passaggi scelti con assoluta

arbitrarietà. L'oscurità, alternata a illusoria chiarezza, l'errore, la menzogna, la frode sono tutti elementi essenziali alla composi zione letteraria. Ciò vale anche, e soprattutto, per i capolavori

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

di tutti i tempi, dovuti all'ingegno di maestri della finzione. Basti

pensare — si parva licet componere magnis — al sommo poema

dantesco, massimo esempio di opera di fantasia, di pura inven

zione. Assai significativo è, poi, con riguardo ad altro capolavo

ro più recente, il pensiero di un intellettuale dei nostri giorni,

il quale ritiene che è compito meraviglioso dei critici «leggere l'er

rore, la notte, il nero in un romanzo fintamente esatto e mentita

mente chiaro come i «Promessi Sposi» (Giorgio Manganelli, al

quale si deve pure l'affermazione icastica che «la letteratura si

affida alle braccia salde dell'irresponsabilità»: v. articolo pubbli

cato sul settimanale «Epoca», n. 1936 del 15 novembre 1987,

pag. 165). Tutto ciò, per dimostrare quanto attuale sia il tema

sfruttato dal Nasso.

Si deve concludere per la piena liceità della creazione di un

finto epistolario, posto al centro di un'operazione letteraria, la

quale, pur se rinverdisce il gusto della satira sulla base della fin

zione e della menzogna, non può indurre nessuno in errore, e

che non contiene apprezzamenti o rappresentazione di fatti lesivi

della personalità di alcuno.

In definitiva, va condivisa la valutazione critica espressa dallo

stesso Nasso nell'ultima parte del memoraiale prodotto in atti,

laddove precisa conclusivamente che il suo libro, contenente per

sonificazioni allegoriche finalizzate a creare idee (su un certo tipo

di società odierna) e non figure umane in senso anagrafico, «non

intendeva essere altro che una modesta (ma forse troppo ambi

ziosa) prova di laboratorio, che dimostrasse la possibilità di co

struire, con vari artifici, un sottoprodotto del romanzo di Umberto

Eco capace di interessare il pubblico e di trovare un piccolo spa

zio nel difficile mercato editoriale».

Alla luce di tale ricostruzione dei fatti di causa, che ridimensio

na notevolmente la portata dell'opera compiuta dal Nasso (essen

do rimasta incerta la stessa consistenza materiale, la realtà storica

del carteggio, che si assume abusivamente utilizzato e riprodotto

in pagine del libro in esame), il ricorso della Marzotto merita

di essere disatteso (e il decreto provvisorio revocato), pur con

l'equa compensazione delle spese del giudizio tra le parti (appa

rendo giustificata l'originaria doglianza della ricorrente per le dif

fuse notizie di stampa che davano per certa l'autenticità

dell'epistolario).

Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

Istruzione pubblica — Docenti supplenti di educazione fisica sprov

visti di titolo di studio — Immissione in ruolo — Applicabilità dei benefici per i docenti supplenti di educazione fisica diplo

mati — Esclusione — Scelte discrezionali riservate al legislato

re — Questione manifestamente inammissibile di costituzionalità

(Cost., art. 3, 33, 51, 97; 1. 20 maggio 1982 n. 270, revisione

della disciplina del reclutamento del personale docente della scuo

la materna, elementare, secondaria ed artistica, ristrutturazione

degli organici, adozione di misure idonee ad evitare la forma

zione di precariato e sistemazione del personale precario esi

stente, art. 43).

È manifestamente inammissibile, in quanto implica scelte di

screzionali riservate al legislatore, la questione di legittimità co

stituzionale dell'art. 43 1. 20 maggio 1982 n. 270, nella parte in

cui esclude dalla riassunzione, dal mantenimento in servizio fino

al conseguimento dell'abilitazione e, subordinatamente a tale con

seguimento, fino alla immissione in ruolo, i docenti di educazio

ne fisica che hanno prestato servizio nei modi e nei tempi indicati

dalla norma, con il possesso del titolo di studio specifico conse

guito anteriormente alla sessione estiva dell'anno 1980/81, in ri

ferimento agli art. 3, 33, 51, 97 Cost. (1)

Corte costituzionale; ordinanza 28 luglio 1988, n. 945 (Gazzet

ta ufficiale, la serie speciale, 10 agosto 1988, n. 32); Pres. Saja,

Est. Cheli; Bellinaso c. Provveditorato studi di Venezia; Furnari

c. Min. pubblica istruzione; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Tar

Il Foro Italiano — 1989.

Lazio, sez. Ili, 16 maggio 1983 (G.U., la s.s., n. 49 del 1987) e 28 ottobre 1985 (G.U., la s.s., n. 8 del 1988).

(1) Le ordinanze di rinvio Tar Lazio, sez. Ili, 16 maggio 1983 e 28

ottobre 1985 sono massimate in Foro it., Rep. 1984, voce Istruzione pub

blica, n. 129 e Rep. 1986, voce cit., n. 175.

Questioni del tutto analoghe sono state sollevate da Tar Liguria, ord.

20 gennaio 1986, n. 7, ibid., n. 176, circa la mancata estensione della

possibilità di partecipare ai corsi previsti dall'art. 43 1. 270/82 ai fini

del conseguimento dell'abilitazione agli insegnanti di educazione fisica

di scuole parificate o pareggiate e da Tar Lazio, sez. Ili, ord. 16 maggio

1983, id., 1985, III, 409, con nota di richiami, circa l'esclusione operata

dall'art. 43 1. 270/82 dei docenti di attività musicali in servizio per l'anno

1980-81. La Corte costituzionale rileva come «l'estensione dei benefici previsti

dall'art. 43 1. 270/82 a favore di altre categorie di insegnanti che non

si trovino nella particolare condizione presa in esame da tale norma è

rimessa esclusivamente alla scelta discrezionale del legislatore.

Il Consiglio di Stato (sez. VI 5 maggio 1987, n. 290, id., Rep. 1987,

voce cit., n. 158) ha invece superato la questione ora affrontata dalla

corte attraverso un'interpretazione estensiva dell'art. 43 1. 270/82, ritenu

to applicabile, a maggior ragione, ai docenti di educazione fisica già in

servizio ed in possesso del titolo.

Per l'illegittimità, ai sensi dell'art. 43 1. 270/82, dell'atto con cui il

provveditore agli studi impone ai presidi di scuole private pareggiate o

parificate di risolvere il rapporto con i docenti di educazione fisica non

in possesso del titolo prescritto per tale insegnamento, v. Tar Liguria

20 gennaio 1986, n. 7, id., Rep. 1986, voce cit., n. 177.

In tema di legittimità costituzionale della disciplina contenuta nella 1.

270/82 ai fini della immissione in ruolo del personale docente, v., da

ultimo Corte cost. 7 aprile 1988, n. 399 e 23 luglio 1987, n. 282, id.,

1988, I, 2053 e 26, con note di richiami.

I

Ambiente (tutela dell') — Pubblici dipendenti — Responsabilità — Giurisdizione della Corte dei conti — Limitazione ai danni indiretti — Questione manifestamente infondata di costituzio

nalità (Cost., art. 3, 5, 24, 25, 97, 103; d.p.r. 10 gennaio 1957

n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 22; 1. 8 luglio 1986 n. 349, istituzione del ministero dell'ambiente e norme

in materia di danno ambientale, art. 18).

È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 18, 2° comma, 1. 8 luglio 1986 n. 349, nella parte

in cui riserva alla giurisdizione della Corte dei conti i giudizi rela

tivi alla responsabilità dei pubblici dipendenti per i danni arrecati

all'ambiente, limitatamente a quelli concernenti i soli danni indi

retti, in riferimento agli art. 3, 5, 24, 25, 97 e 103 Cost. (1)

Corte costituzionale; ordinanza 26 luglio 1988, n. 898 (Gazzet

ta ufficiale, la serie speciale, 3 agosto 1988, n. 31); Pres. Saja,

Est. Greco; Proc. gen. Corte conti c. Di Zitti e altri. Ord. Corte

conti, sez. I, 16 giugno 1987 (G.U., la s.s., n. 3 del 1988).

II

Ambiente (tutela dell') — Pubblici dipendenti — Responsabilità

— Giurisdizione della Corte dei conti — Esclusione — Que

stione manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art.

3, 24, 25, 97, 103; 1. 8 luglio 1986 n. 349, art. 18).

È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 18 1. 8 luglio 1986 n. 349, nella parte in cui sot

trae alla giurisdizione della Corte dei conti la materia della

responsabilità per la produzione di danno ambientale, devolven

dola al giudice ordinario anche in caso di comportamenti deri

vanti da violazione di obblighi di servizio di funzionari e dipendenti

pubblici, in riferimento agli art. 3, 24, 25, 97 e 103 Cost. (2)

Corte costituzionale; ordinanza 23 giugno 1988, n. 719 (Gaz

zetta ufficiale, la serie speciale, 29 giugno 1988, n. 26); Pres.

Saja, Est. Greco; Proc. gen. Corte conti c. Del Vecchio e altri

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