ordinanza 31 marzo 1988, n. 395 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 13 aprile 1988, n. 15);Pres. Saja, Est. Caianiello; Enpas. Ord. Tar Lazio 8 maggio 1980 (G.U. n. 207 del 1981)Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2421/2422-2423/2424Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184135 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tenza n. 223 del 1983). Né, quindi, a maggior ragione, quando la nuova disciplina presenti carattere di stabilità.
Il far «rivivere norme già divenute inefficaci in conseguenza del loro annullamento da parte della corte» contrasta con «il ri
gore del precetto racchiuso nel 1° comma dell'art. 136 Cost.», che impone al legislatore ordinario di uniformarsi alla «immedia
ta cessazione dell'efficacia giuridica della norma illegittima» (sen tenza n. 73 del 1963), cosi escludendo sia che se ne possa
«prolungare la vita» sia che la si possa «far risorgere». Non è,
infatti, consentito «ridare nuova efficacia giuridica ad una nor
ma che ha perduto efficacia in conseguenza della sentenza di ille
gittimità», a meno che, tenuto conto di tutte le circostanze, «il
quadro normativo in cui si è inserito l'articolo» subentrante risul
ti «mutato rispetto a quello in cui si colloca (e dal quale traeva
argomento) la pronuncia della corte» (sentenza n. 223 del 1983).
Va, cioè, evitato che una nuova legge valuti fatti, atti o sitazioni
«come se la dichiarazione di illegittimità costituzionale non fosse
intervenuta» (sentenza n. 88 del 1966). 5. - Per questo complesso unitario di ragioni dev'essere dichia
rata l'illegittimità costituzionale dell'art. 399, 1° comma, c.p.p.,
quale sostituito ad opera dell'art. 11 1. 31 luglio 1984 n. 400, nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre ap
pello, ai fini e nei limiti dell'art. 152, 2° comma, c.p.p., avverso
la sentenza del pretore che lo abbia prosciolto per estinzione del
reato per amnistia, parte già dichiarata illegittima, nel testo pre cedente alla sostituzione operata dalla 1. n. 400 del 1984, con
la sentenza n. 224 del 1983.
Restano, pertanto, assorbiti gli altri motivi di illegittimità pro spettati dalle ordinanze di rimessione.
6. - Una volta dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art.
399, 1° comma, c.p.p., nei termini dei quali si è detto, va dichia rata d'ufficio, ai sensi dell'art. 27 1. 11 marzo 1953, n. 87, l'ille
gittimità costituzionale dell'art. 399, 1° comma, c.p.p., come
sostituito ad opera dell'art. 11 1. 31 luglio 1984 n. 400, nella par te in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello, ai
fini e nei limiti dell'art. 152, 2° comma, c.p.p., avverso la sen
tenza del pretore che lo abbia prosciolto per estinzione del reato
per prescrizione. Anche a questo proposito valgono tutte le con
siderazioni svolte in ordine al proscioglimento per amnistia, sia
per ciò che attiene al testo oggetto della declaratoria di illegittimi tà risalente alla sentenza n. 224 del 1983, sia per ciò che attiene
ai rapporti dell'art. 399, 1° comma, c.p.p. con l'art. 387, 3° com
ma, dello stesso codice.
Per questi motivi, la Corte costituzionale a) dichiara l'illegitti
mità costituzionale dell'art. 399, 1° comma, c.p.p., come sosti
tuito ad opera dell'art. 11 1. 31 luglio 1984 n. 400 (norme sulla
competenza penale e sull'appello contro le sentenze del pretore),
nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre ap
pello, ai fini e nei limiti dell'art. 152, 2° comma, c.p.p., avverso
la sentenza del pretore che lo abbia prosciolto per estinzione del
reato per amnistia; b) dichiara d'ufficio, ai sensi dell'art. 27 1.
11 marzo 1953 n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 399,
1° comma, c.p.p., come sostituito ad opera dell'art. 11 1. 31 lu
glio 1984 n. 400 (norme sulla competenza penale e sull'appello
contro le sentenze del pretore), nella parte in cui esclude il diritto
dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti dell'art. 152, 2° comma, c.p.p., avverso la sentenza del pretore che lo abbia
prosciolto per estinzione del reato per prescrizione.
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 31 marzo 1988, n. 395 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 13 aprile 1988, n. 15); Pres. Saja, Est. Caianiello; Enpas. Ord. Tar Lazio 8 maggio 1980 (G.U. n. 207 del 1981).
Giustizia amministrativa — Ottemperanza al giudicato — Ricor
so al Consiglio di Stato in unico grado — Questione manifesta mente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 125; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribunali amministrativi regionali, art. 37).
Il Foro Italiano — 1989.
È manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3 e 125 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 37, 2° e 3°
comma, I. 6 dicembre 1971 n. 1034, nella parte in cui prevede che alcuni ricorsi al giudice amministrativo per ottenere l'ot
temperanza dell'amministrazione ad un giudicato civile o am
ministrativo, vengano proposti al Consiglio di Stato in unico
grado. (1)
Ritenuto che nel corso di un giudizio di ottemperanza ad una
sentenza di condanna al pagamento di somme, emanata dal giu dice ordinario a carico dell'Enpas, il Tar Lazio, con ordinanza
in data 8 maggio 1980, ha sollevato questione di legittimità costi
tuzionale dell'art. 37 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, nella parte in
cui (commi 2° e 3°) attribuisce esclusivamente al Consiglio di Stato in unico grado la competenza in ordine ad alcuni ricorsi
diretti ad ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'autorità am
ministrativa di conformarsi al giudicato, per contrasto con gli art. 3 e 125, 2° comma, Cost.;
che nella fattispecie sottoposta all'esame del giudice a quo, l'ente
tenuto ad eseguire la sentenza, emanata dall'autorità giudiziaria
ordinaria, esercita la sua attività oltre i limiti della circoscrizione
territoriale del tribunale adito; che in tali ipotesi, ai sensi del 2° comma del citato art. 37,
la cognizione e l'esecuzione dell'obbligo di conformarsi al giudi cato spetta al Consiglio di Stato in unico grado, donde la rilevan
za della questione sollevata, dovendo il giudice a quo declinare
la propria competenza ove venisse meno la disposizione impugnata; che oggetto dell'incidente di legittimità costituzionale è anche
il 3° comma dello stesso art. 37, nella parte in cui (individuando il giudice competente all'attuazione dei giudicati amministrativi)
attribuisce, in relazione al comma successivo, sempre al Consi
glio di Stato la competenza in ordine ai giudizi di ottemperanza relativi a decisioni emesse dal medesimo organo giudiziario, pur
ché non confermative delle pronunce di primo grado;
che, aderendo all'ormai consolidata giurisprudenza amministra
tiva che ammette l'appellabilità delle sentenze per l'esecuzione del
giudicato, l'attribuzione di una parte dei relativi ricorsi al Consi
glio di Stato in unico grado, porrebbe in essere, ad avviso del
(1) Acquisito nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in parti colare con i precedenti puntualmente richiamati in motivazione, che il
principio della necessità in generale di un doppio grado di giurisdizione
(di merito) non è stato accolto in Costituzione, la questione rimane circo
scritta eil giudizio amministrativo: e, quindi, alla lettura da dare al 2°
comma dell'art. 125 Cost., che qualifica come di primo grado gli organi di giustizia amministrativa, che la norma disponeva come istituendi in
ogni regione. In proposito, la corte aveva preso posizione, oltre che col passo della
sentenza n. 62/81, Foro it., 1981, I, 1497, con nota di richiami, riportato in motivazione, soprattutto con la sentenza 1° febbraio 1982, n. 8, id.,
1982, I, 329, con nota di richiami (che ha dato occasione a numerosi
scritti, tra cui le note di Bardusco, in Regioni, 1982, 369; di Bellomia
e di Carullo, in Giur. costit., 1982, I, 41 e 398; di Favara, in Ross,
avv. Stato, 1982, I, 226; di Garbagnati, in Nuove leggi civ., 1982, 1268): la sentenza ha dichiarato l'incostituzionalità, per violazione dell'art. 125, 2° comma, Cost., dell'art. 5, ultimo comma, 1. 3 gennaio 1978 n. 1, nella parte in cui esclude l'appellabilità al Consiglio di Stato delle ordi
nanze dei tribunali amministrativi regionali, pronunciate sulla domanda
di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato; la corte è
arrivata a tale conclusione sulla base dell'affermazione del principio che
la norma costituzionale citata impone nel giudizio amministrativo il dop
pio grado di giurisdizione, nel senso della necessità della appellabilità al
Consiglio di Stato delle pronunce dei tribunali amministrativi regionali: su cui v., da ultimo, i rilievi di C.E. Gallo, Appello nel processo ammi
nistrativo, voce del Digesto pubbl., I, 316, 317, anche con valutazione
della dottrina ivi richiamata, in tono piuttosto dubitativo, specie se l'in
terpretazione della norma venisse spinta fino a ritenere doverosa la confi
gurazione del giudizio di appello come di revisione completa delle sentenze
di primo grado. L'ordinanza ora riportata, comunque, circoscrive nei termini cosi pre
cisati la portata della garanzia costituzionale del doppio grado di giurisdi zione nel giudizio amministrativo; cosi, può dichiarare la manifesta
infondatezza della questione, impostata in modo capovolto: escludendo
che la norma costituzionale imponga in ogni caso un primo grado davan
ti ai tribunali amministrativi regionali, e quindi impedisca che il Consi
glio di Stato possa talvolta fungere come da giudice in unico grado: come
in dottrina è stato auspicato, in particolare per i provvedimenti di Mag
giore rilevanza sociale (A. Romano, Riflessioni sulle regioni, in Atti del
Convegno in memoria di F. Levi, 1983, 25).
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2423 PARTE PRIMA 2424
tribunale rimettente, una ingiustificata disparità di trattamento
«tra controversie» aventi la medesima natura;
che, a differenza di quanto avviene per tutte le altre giurisdi
zioni, per le quali si esclude il principio della costituzionalizzazio ne del doppio grado, per la «giustizia amministrativa ordinaria»,
la costituzionalizzazione dell'anzidetto principio troverebbe il suo
specifico fondamento nella norma dell'art. 125, 2° comma, Cost.,
la quale avrebbe sancito per tutte le controversie da sottoporre al giudice amministrativo «l'ineluttabilità di un primo grado» di giurisdizione;
che è intervenuta l'avvocatura generale dello Stato chiedendo
che la questione sia dichiarata infondata e dubitando della sua
rilevanza, in quano l'eventuale eliminazione delle norme impu
gnate non comporterebbe l'automatico insorgere della competen za del Tar Lazio, dovendosi escludere l'applicabilità al caso di
specie dei criteri territoriali dettati dall'art. 3, 3° comma, 1. n.
1034 del 1971, e, più in generale, trattandosi di materia proces
suale, la possibilità di integrazioni analogiche; Considerato che il dubbio di rilevanza prospettato dall'avvoca
tura generale dello Stato appare privo di fondamento in quanto, una volta esclusa, in ordine alla fattispecie in esame, la compe tenza funzionale del Consiglio di Stato, ben potrebbe il Tar adito
definire il giudizio a quo, non risultando, dall'ordinanza di ri
messione, la proposizione del regolamento di competenza;
che, ai fini del merito, va osservato che questa corte ha più volte escluso l'esistenza di una norma costituzionale che garanti sca il principio del doppio grado di giudizio (sent. 41 del 1965 Foro it., 1965, I, 1124; 22 e 117 del 1973, id., 1973, I, 1344 e 2682; 186 del 1980, id., 1981, I, 1957; 78 del 1984, id., 1984, I, 1191, e 80 del 1988, id., 1989, I, 1058);
che per quanto riguarda la giurisdizione amministrativa non
può indurre a conclusioni diverse la norma di cui all'art. 125, 2° comma, Cost, che, prevedendo nella regione, l'istituzione di
organi di giustizia amministrativa di primo grado, «disciplina in nanzitutto una modalità che deve assumere il sindacato giurisdi zionale sugli atti amministrativi della regione ... in un sistema
di giustizia amministrativa nel quale, in base all'art. Ili, ultimo
comma, Cost., non si dà ricorso in Cassazione per violazione
di legge» (sent. n. 62 del 1981, id., 1981, I, 1497); che tale norma comporta soltanto l'impossibilità di attribuire
al Tar competenze giurisdizionali in unico grado e la conseguente necessaria appellabilità di tutte le sue pronunce, e, quindi, una
garanzia del doppio grado riferita alle controversie che il legisla tore ordinario attribuisca agli organi locali della giustizia ammi
nistrativa; che solo in tal senso assume rilevanza costituzionale, come af
fermato dalla sentenza di questa corte n. 8 del 1982 (id., 1982,
I, 329), il predetto principio del doppio grado di giudizio, non potendo, l'art. 125 Cost, comportare l'inverso, perché nessun'al
tra norma della Costituzione indica il Consiglio di Stato come
giudice solo di secondo grado;
che, pertanto, sotto tale profilo la questione va dichiarata ma
nifestamente infondata; che ad identica conclusione deve pervenirsi anche in relazione
alla lamentata violazione dell'art. 3 Cost., non potendosi ritenere
sperequate le posizioni giuridiche tutelabili, con possibilità di im
pugnazione, davanti al Tar e quelle di cui conosce, invece, diret
tamente il Consiglio di Stato, in ragione della posizione di vertice
che riveste nel complesso della giurisdizione amministrativa; che questa corte, del resto, in presenza di norme che attribui
scono direttamente all'istanza superiore controversie che spette rebbero di norma al giudice di primo grado, ne ha giustificato la sottrazione a questi in ragione della «peculiarità del contesto»
in cui i giudizi si collocano (sent. 62 del 1981 e 80 del 1988), peculiarità che sono certamente ravvisabili nelle fattispecie di cui
all'art. 37, 2° e 3° comma, 1. n. 1034 del 1971; Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art.
37, 2° e 3° comma, 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, in riferimento
agli art. 3 e 125 Cost., sollevata dal Tar Lazio, con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
Il Foro Italiano — 1989.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 23 marzo 1988, n. 370
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 13 aprile 1988, n. 15);
Pres. Saja, Est. Dell'Andro; interv. Pres. cons, ministri (Aw.
dello Stato Tallaiuda). Ord. Pret. Pizzo 23 ottobre 1985 (G.U.,
la s.s., n. 11 del 1986); Pret. Mascalucia 10 giugno 1986 (G.U., la s.s., n. 57 del 1986); Pret. Catania 9 febbraio 1987 (G.U., la s.s., n. 19 del 1987); Pret. Avola 19 dicembre 1986 (G.U.,
la s.s., n. 19 del 1987).
Edilizia e urbanistica — Costruzioni abusive — Procedimento di
sanatoria — Sospensione dell'azione penale — Questione in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 32, 101, 102, 112;
1. 28 febbraio 1985 n. 47, norme in materia di controllo dell'at
tività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle
opere edilizie, art. 22). Edilizia e urbanistica — Costruzioni abusive — Concorrènti nel
reato — Legittimazione a proporre domanda in sanatoria —
Limiti — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art.
3; 1. 28 febbraio 1985 n. 47, art. 22).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 22
l. 28 febbraio 1985 n. 47, nella parte in cui dispone la sospen sione dell'azione penale per reati urbanistici in attesa della de
finizione del procedimento amministrativo di sanatoria previsto dall'art. 13 della stessa legge, in riferimento agli art. 2, 32,
101, 102 e 112 Cost, (nella motivazione, si chiarisce che la quie
scenza del procedimento penale si potrae soltanto per il breve
periodo di sessanta giorni, necessario — ex art. 13, 2° comma,
l. 47/85 — ai fini dello svolgimento del procedimento ammini
strativo — non giurisdizionale — in sanatoria). (1) È infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legitti
mità costituzionale dell'art. 22 I. 28 febbraio 1985 n. 47, nella
parte in cui non prevede che la sospensione del giudizio e l'e
stinzione del reato possano applicarsi ai soggetti non legittimati a richiedere la concessione in sanatoria ex art. 13 della stessa
legge (nella motivazione, si chiarisce che, nel caso di reato ur
banistico plurisoggettivo, la concessione in sanatoria giova an
che al concorrente che non ne abbia fatto formale richiesta
in sede amministrativa). (2)
(1-2) Con la sentenza riportata la Corte costituzionale ha fornito una
propria peculiare risposta rispetto alle principali questioni ermeneutiche
sorte (in dottrina e giurisprudenza) a proposito dell'istituto della conces
sione edilizia in sanatoria, introdotto ex novo dagli art. 13 e 22 1. 28
febbraio 1985 n. 47 (e su cui cfr. la nota di G. Giorgio a Pret. Torino
11 marzo 1986, in Foro it., 1988, II, 541). Innanzitutto, la Corte costituzionale ha ritenuto che la temporanea quie
scenza del procedimento penale per reati edilizi conseguente alla presenta zione dell'istanza di sanatoria di cui all'art. 13 1. 47/85 non contrasti, ex se, con il disposto normativo dell'art. 112 Cost.
Invero, come si legge in motivazione, «il danno inerente al ritardato
svolgimento del processo (. . .) ben compensato dall'acquisizione, in sede
penale, di un atto amministrativo che, 'per sua natura e per essere desti nato dalla legge a completare' la fattispecie estintiva dei reati contravven
zionali, consente la rapida conclusione del giudizio». La scelta legislativa risulta, quindi giustificata dai «fini razionali» ap
pena evidenziati. In proposito, va ricordato che in una recente sentenza la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'ipotesi di so
spensione dell'azione penale contemplata — in materia tributaria — dal
l'art. 50, 4° comma, d.p.r. 633/72, proprio perché — in virtù di essa — si determinava «una deroga senza giustificazione al principio consa
crato dall'art. 112 Cost.» (sent. 12 maggio 1982, n. 89, id., 1982, I, 2737). Tuttavia, evidenziando che un blocco delle attività processuali per lun
ghi tempi si porrebbe in contrasto con il principio di cui all'art. 112 Cost., la corte precisa che la sospensione dell'azione penale si protrae solo per il breve periodo di sessanta giorni previsto dall'art. 22, 1° comma, 1.
47/85, cosi aderendo ad una tesi ermeneutica restrittiva, fondata sul dic
tum letterale della norma. Occorre ora evidenziare che — secondo la Corte costituzionale — la
concessione in sanatoria costituisce un'ipotesi di causa estintiva del reato
sui generis, suscettibile di estendersi a tutti i concorrenti nel reato.
A tale conclusione, si perviene sul presupposto che la fattispecie giuri dica in esame implichi un accertamento — se pur ex post — «dell'inesi stenza del danno urbanistico» e cioè dell'«inesistenza — ex tunc —
dell'antigiuridicità sostanziale del fatto di reato». Sicché, rilevando nella causa estintiva de qua non la posizione dei singoli, ma la mancaza di un disvalore oggettivo del fatto, l'estinzione del reato gioverebbe a tutti i concorrenti.
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