ordinanza 6 aprile 1990, n. 180 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 18 aprile 1990, n. 16);Pres. Conso, Est. Gallo; Leardi; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Trib. Biella 16 novembre 1989(G.U., 1 a s.s., n. 2 del 1990)Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 1433/1434-1435/1436Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184656 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 6 aprile 1990, n. 180 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 18 aprile 1990, n. 16); Pres. Conso, Est. Gallo; Leardi; interv. Pres. cons, ministri.
Ord. Trib. Biella 16 novembre 1989 (G.U., la s.s., n. 2 del 1990).
CORTE COSTITUZIONALE;
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Nuovo co
dice di procedura penale — Incompatibilità tra funzioni requi renti e giudicanti — Applicabilità ai procedimenti in corso da
vanti al pretore — Esclusione — Questione manifestamente in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 3; cod. proc. pen. del
1988, art. 34; norme att., coord, e trans, cod. proc. pen. del
1988, art. 241, 245; cod. proc. pen., art. 61, 62, 389; 1. 4 ago sto 1955 n. 848, ratifica ed esecuzione della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamenta
li firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del protocollo addizio
nale alla convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952:
convenzione, art. 6).
È manifestamente infondata, in quanto rientra nella discreziona
lità del legislatore valutare la sorte dei processi in corso al mo
mento dell'entrata in vigore di nuove norme processuali ed i
limiti della loro applicabilità, la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 245 d.p.r. 28 luglio 1989 n. 271, nella parte
in cui non prevede, per i procedimenti in corso alla data di
entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, l'im
mediata applicabilità dell'art. 34, perpetuando per i vecchi pro
cessi la presenza nel giudizio dibattimentale di quello stesso pre
tore che ha compiuto atti di istruttoria, in riferimento agli art.
3 Cost, e 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo. (1)
(1) La Corte costituzionale provvede a reimpostare la questione solle
vata dal Tribunale di Biella, rilevando come l'effetto censurato dal giudi ce (la mancata immediata applicabilità per i giudizi pretorili dell'incom
patibilità dello svolgimento da parte della stessa persona di funzioni re
quirenti e giudicanti desumibile dall'art. 34 c.p.p. del 1988) non discenda
dalla mancata previsione nell'art. 245 d.p.r. 271/89 tra le disposizioni immediatamente applicabili ai processi in corso dell'art. 34 c.p.p., bensì
dall'art. 241 stesso d.p.r., secondo cui i procedimenti in corso alla data
di entrata in vigore del codice proseguono con l'applicazione delle norme
anteriormente vigenti, tra cui l'art. 389, ultimo comma, c.p.p. del 1930, il quale stabilisce che il pretore per i reati di sua competenza procede con istruzione sommaria, quando non procede a giudizio direttissimo o
con decreto. Da apprezzare quindi il comportamento della corte che in
questo caso ha guardato alla sostanza, entrando ugualmente nel merito
dell'eccezione e non ha ceduto alla tentazione di liberarsi della questione
(come ha fatto nelle stesse circostanze in altre occasioni) con una pronun cia di inammissibilità per erronea impostazione della questione da parte del giudice a quo.
La presente decisione della corte è destinata ad incidere, oltre ovvia
mente nel giudizio a quo, anche sul procedimento di cui si è occupata
pure la stampa non specializzata nei confronti di Cesare Romiti e altri
tre dirigenti della Fiat imputati di violazioni in materia antinfortunistica, dal momento che risulta che la Cassazione aveva rinviato la propria deci
sione sull'istanza di ricusazione avanzata dai difensori dell'imputato nei
confronti del pretore procedente, in attesa della decisione della Corte co
stituzionale sulla questione di costituzionalità dell'art. 245 d.p.r. 271/89
sollevata dal Tribunale di Biella. In ordine alla legittimità costituzionale dell'accentramento nella stessa
persona del pretore delle funzioni istruttorie e di quelle giudicanti la Cor
te costituzionale si era espressa negativamente, pur evitando una pronun cia di accoglimento nella considerazione che il nuovo codice non pareva essere cosi lontano «da non giustificare l'opportunità di attendere che
sia lo stesso legislatore a dare al rito pretorile una completa disciplina» e pur non mancando però di rilevare che «la coscienza sociale va sempre
più chiaramente avvertendo l'inderogabilità di una rigorosa tutela della
'terzietà' anche nelle funzioni del giudice-pretore: la corte non potrebbe alla fine non rifletterla nella sua giurisprudenza, se i ritardi del legislatore dovessero perpetuarsi» (sent. 15 dicembre 1986, n. 268, Foro it., 1988,
I, 1115, con nota di richiami). Sulla confusione delle due funzioni nella
persona del pretore, v. pure Corte cost. 15 maggio 1987, n. 172, ibid.,
1078, con nota di richiami.
Per la sussistenza della violazione dell'art. 6, § 1, della convenzione
europea dei diritti dell'uomo, per la parte in cui riconosce il diritto ad
un giudice imparziale, nel caso in cui svolga le funzioni di presidente di organo giudicante un magistrato già facente parte degli uffici del p.m., il quale, per la posizione e le attribuzioni assunti presso tali uffici, avreb
be potuto conoscere della causa già nella veste di p.m., v. Corte europea
diritti dell'uomo 1° ottobre 1982, Piersack, id., 1983, IV, 109, con nota
di richiami. Nel senso che le ragioni di incompatibilità di cui all'art. 61 c.p.p. del
1930 riguardano esclusivamente il giudice, quale organo giurisdizionale
Il Foro Italiano — 1990 — Parte 7-26.
Ritenuto che, con ordinanza 16 novembre 1989, il Tribunale
di Biella sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art.
245 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e tran
sitorie del codice di procedura penale del 1988, testo approvato con d. leg. 28 luglio 1989 n. 271, in riferimento all'art. 3 Cost,
e all'art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti del
l'uomo, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e ratificata dal pre sidente della repubblica in seguito ad autorizzazione conferitagli dalla 1. 4 agosto 1955 n. 848;
— che il tribunale riferiva nell'ordinanza di un procedimento instaurato dal pretore nei confronti del segretario di un sindacato
bancario per il delitto di appropriazione indebita aggravata e con
tinuata, durante il quale, e prima del dibattimento, il pretore ave
va disposto perizia contabile, e sequestro conservativo sui beni
dell'imputato fino alla concorrenza di lire centomilioni, — che nel provvedimento di sequestro il pretore — secondo
l'assunto dell'imputato — avrebbe usato espressioni anticipatrici del giudizio di merito, quali «l'accertata veridicità di quanto as
sunto dalla costituita parte civile» e il «mancato attivarsi (del
l'imputato stesso) per il risarcimento del danno», — che il sequestro veniva annullato dal tribunale, a seguito
di reclamo dell'imputato, per insussistenza del pericolo di pregiu dizio nel ritardo, mentre poi, in vista dell'udienza dibattimentale
fissata per il 10 novembre 1989, l'imputato depositava l'8 prece dente dicharazione di formale ricusazione del pretore che avrebbe
dovuto giudicarlo al dibattimento, trattandosi della stessa perso na fisica che aveva condotto la sommaria istruttoria e disposto il sequestro revocato dal tribunale,
— che il tribunale, dichiarata inammissibile la ricusazione, e
mentre il procedimento principale veniva sospeso dallo stesso pre tore ricusato, riteneva tuttavia di dovere pregiudizialmente solle
vare d'ufficio la già enunciata questione di legittimità costituzio
nale a causa della rilevanza che essa avrebbe ai fini della proce dura di ricusazione, sulla quale lo stesso imputato avrebbe
implicitamente sollevato la questione di legittimità, — che, in proposito, il tribunale richiama la sentenza n. 268
del 1986 (Foro it., 1988, I, 1115) di questa corte, con la quale sarebbe già stata sostanzialmente considerata l'illegittimità della
denunziata situazione, anche se poi la corte, per motivi di oppor
tunità, si sarebbe astenuta dal dichiararla in vista dell'ormai im
minente riforma processuale, — che, difatti, il legislatore del nuovo codice ha espressamente
escluso la concentrazione, nella stessa persona fisica del pretore,
della fase istruttoria e di quella del giudizio, e l'art. 34 prevede
espressamente l'incompatibilità del giudice che abbia esercitato
nello stesso processo funzioni di pubblico ministero (3° comma), — che, però, l'art. 245 delle citate disposizioni transitorie non
dello Stato, e non anche il p.m., che è parte, sia pure pubblica, nel proce dimento penale, v. Cass. 13 gennaio 1984, Savi, id., Rep. 1985, voce
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice, n. 20.
In ordine all'interpretazione ed all'ambito di applicazione dei motivi
di incompatibilità, ai sensi dell'art. 61 c.p.p. del 1930, v., da ultimo, Cass. 25 maggio 1987, Ristagno, 11 marzo 1987, Acanfora, id., Rep.
1988, voce cit., nn. 47, 48; 18 dicembre 1986, Di Mauro, 13 dicembre
1986, Stilo, id., Rep. 1987, voce cit., nn. 46, 45; App. Catania 21 maggio
1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 17; App. Roma, ord. 20 marzo 1985,
id., 1986, II, 492, con nota di richiami e osservazioni di Giacona, in
ordine all'ipotesi di un giudice chiamato a far parte del collegio giudican te di primo grado dopo aver partecipato al riesame di un provvedimento restrittivo della libertà personale quale componente del tribunale della
libertà; Cass. 25 giugno 1987, Ferro, id., Rep. 1988, voce cit., n. 50; 28 aprile 1986, Cipriani e 20 marzo 1986, Paiè, id., Rep. 1987, voce
cit., nn. 47, 48, circa il giudice delegato o il magistrato che ha fatto
parte del collegio nella sentenza dichiarativa di fallimento che si trovino
a giudicare in sede penale per reati fallimentari; Cass. 26 gennaio 1985,
Contento, id., Rep. 1986, voce cit., n. 15, secondo cui non rientra tra
le ipotesi di cui all'art. 61 c.p.p. la partecipazione al giudizio del giudice che senza aver pronunziato o essere concorso a pronunziare ordinanza
di rinvio a giudizio si sia limitato ad emettere nei confronti dell'imputato il mandato di cattura; Cass. 7 dicembre 1983, Rea, id., Rep. 1985, voce
cit., n. 19, che ha escluso la sussistenza di una condizione di incompatibi lità per il magistrato che abbia compiuto singoli atti istruttori.
La Corte costituzionale si era già espressa nel senso che rientra nella
discrezionalità del legislatore dettare norme transitorie intese a mantenere
ferme disposizioni abrogate per situazioni pendenti alla data di entrata
in vigore di nuove disposizioni: v. sent. 11 dicembre 1985, n. 322, id.,
Rep. 1986, voce Impiegato dello Stato, n. 868; 31 dicembre 1986, n. 301,
id., 1987, I, 2962, con nota di richiami.
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1435 PARTE PRIMA 1436
include, fra le norme d'immediata operatività, per i procedimenti
pretorili pervenuti alla fase del dibattimento, la norma di cui al
detto art. 34, — che una siffatta situazione, oltre a porsi in contrasto con
il pure citato art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei di
ritti dell'uomo, che esige un processo affidato ad un giudice im
parziale, violerebbe altresì' apertamente l'art. 3 Cost, per il quale situazioni identiche debbono essere regolate nello stesso modo men
tre, a causa dell'esclusione dell'art. 34 c.p.p. dalle norme imme
diatamente applicabili, per mesi, e forse per anni, gli imputati nei processi pretorili in corso al momento dell'entrata in vigore del nuovo codice si vedranno negato il riconoscimento del diritto
ad essere giudicati al dibattimento da un magistrato diverso da
quello che è intervenuto nell'istruttoria e che attualmente è una
vera e propria «parte» processuale, — che è intervenuto, nel giudizio innanzi a questa corte, il
presidente del consiglio dei ministri, rappresentato dall'avvocatu
ra generale dello Stato, la quale ha chiesto che la questione sia
dichiarata non fondata, considerato che il tribunale dichiara di sollevare d'ufficio la
questione che l'imputato avrebbe implicitamente eccepito e ciò
in quanto essa sarebbe rilevante «ai fini della decisione sulla que stione di ricusazione»,
— che, in realtà, però, la ricusazione, per gli stessi motivi indi
cati dall'imputato, è prevista anche dall'art. 64, 1° comma, n.
6, c.p.p. del 1930, che rimanda appunto ai casi d'incompatibilità
previsti dagli art. 61 e 62, il primo dei quali, al 3° comma, preve de espressamente che non possa esercitarvi ufficio di giudice chi, in un procedimento, ha esercitato, fra l'altro, la funzione di pub blico ministero, esattamente come previsto dall'art. 34, 3° com
ma, del codice attualmente in vigore, di cui si lamenta la manca
ta inclusione nell'art. 245 disp. trans., — che, conseguentemente, non è propriamente a causa di tale
mancata inclusione che l'imputato dovrebbe sottostare allo stesso
giudice pretore che ha compiuto atti dell'istruttoria, perché la
sostanza dell'art. 34 c.p.p. vigente, invocato dall'imputato e dal
l'ordinanza, è tuttora presente nell'ordinamento applicabile alla
fattispecie, ma bensì in quanto l'art. 389, ultimo comma, c.p.p. del 1930 prevede che «il pretore, per i reati di sua competenza,
procede con istruzione sommaria, quando non procede a giudizio direttissimo o con decreto»,
che, peraltro, quest'ultima disposizione è fatta salva, e il pro cedimento in corso alla data di entrata in vigore del codice prose
gue con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti, e quin di con la competenza dibattimentale dello stesso pretore che ha
condotto l'istruzione sommaria, in virtù della disposizione transi
toria di cui all'art. 241, di guisa che la situazione lamentata dal
l'imputato e dall'ordinanza di rimessione si verifica in forza del
combinato disposto degli art. 389, ultimo comma, c.p.p. del 1930, e 241 disp. trans, approvate con d. leg. 28 luglio 1989 n. 271,
— che, però, cosi precisati sul piano formale i termini delle
censure presentate dal tribunale, la sostanza della questione solle
vata risulta, tuttavia, sempre la stessa, giacché ciò che si denun
zia, in definitiva, è che — a causa delle disposizioni transitorie — si perpetui per i vecchi processi la presenza nel giudizio dibat
timentale di quello stesso pretore che ha compiuto atti d'istrutto
ria, e che si ritiene non possa essere imparziale, specie quando ha già compiuto atti significativi, mentre il nuovo codice di pro cedura penale ha eliminato per il regime ordinario siffatta ano
malia istituendo presso le preture l'ufficio della procura della re
pubblica, — che, pertanto, la questione può essere decisa nel merito, — che la doglianza, però, non può essere accolta in quanto
rientra nella discrezionalità del legislatore valutare la sorte dei
processi in corso al momento dell'entrata in vigore di nuove nor
me processuali e i limiti della loro applicabilità attraverso l'ema
nazione di disposizioni che si chiamano «transitorie» appunto per la loro temporanea applicazione (vedi, per tutte, sent. n. 322 del
1985, id., Rep. 1986, voce Impiegato dello Stato, n. 868; n. 301
del 1986, id., 1987, I, 2962), — che, proprio nei processi in corso viene a riscontrarsi quella
situazione di provvisorietà che aveva giustificato, nelle ricordate
sentenze di questa corte, la temporanea sopravvivenza di un siste
ma, peraltro destinato a cessare per tutti i nuovi processi, sicché
la questione dev'essere dichiarata manifestamente infondata.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, visti ed applicati gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2° comma, delle
Il Foro Italiano — 1990.
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 245 delle norme di attuazione, di coordi
namento e transitorie del codice di procedura penale (testo ap
provato con il d. leg. 28 luglio 1989 n. 271), in riferimento agli art. 3 Cost, e 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e ratificata dal
presidente della repubblica in seguito ad autorizzazione conferite
gli dalla 1. 4 agosto 1955 n. 848; questione sollevata dal Tribuna
le di Biella con ordinanza 16 novembre 1989.
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 26 febbraio 1990, n. 93
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 7 marzo 1990, n. 10); Pres.
Saja, Est. Dell'Andro; Coltano; interv. Pres. cons, ministri.
Ord. Trib. mil. Torino 4 ottobre 1989 (11), 5 ottobre 1989 (14), 12 ottobre 1989 e App. mil. Verona 29 settembre 1989 e 13
ottobre 1989 (G.U., la s.s., nn. 49 e 52 del 1989).
Leva militare — Obiezione di coscienza — Rifiuto del servizio
militare per motivi di coscienza e mancanza alla chiamata alle
armi — Trattamento punitivo a seguito di Corte cost. 409/89 — Questioni manifestamente inammissibili di costituzionalità
(Cost., art. 3, 25, 27, 136, 137; cod. pen. mil. pace, art. 151,
173; 1. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale, art. 28, 30; 1. 15 di
cembre 1972 n. 772, norme per il riconoscimento dell'obiezione
di coscienza, art. 8).
Sono manifestamente inammissibili, in quanto il meccanismo del
giudizio incidentale è stato arbitrariamente attivato per eserci
tare, in forma surrettizia, un sindacato di merito di una deci
sione costituzionale di accoglimento ed al fine di eludere la for za cogente della stessa, le questioni di legittimità costituziona
le: a) dell'art. 8, 2° comma, l. 15 dicembre 1972 n. 772, nella
parte in cui, a seguito dell'intervento della Corte costituzionale
con sentenza 409/89, stabilisce per il reato di rifiuto del servi
zio militare per motivi di coscienza una pena da sei mesi a
due anni, in relazione agli art. 151 e 173 c.p. mil. pace, che
fissano le pene per i reati di mancanza alla chiamata e di disob
bedienza, in riferimento agli art. 3 e 25, 2° comma, Cost.;
b) dell'art. 151 c.p. mil. pace, nella parte in cui, a seguito del
l'intervento della Corte costituzionale con sentenza 409/89, sta
bilisce per il reato di mancanza alla chiamata una pena (da sei mesi a due anni) identica a quella prevista per il più grave reato di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza, in riferimento all'art. 3, 1° comma, Cost. (1)
(1) Con ordinanza23 gennaio 1990, n. 27 (G.U., la s.s., n. 5 del 1990), di identico contenuto, la corte ha dichiarato ugualmente manifestamente inammissibile la stessa questione sollevata sempre da Trib. mil. Torino con quarantadue ordinanze di rinvio.
La vicenda relativa alla «ribellione» dei giudici militari alla sentenza 18 luglio 1989, n. 409 della Corte costituzionale (Foro it., 1990, I, 37, con nota di richiami e osservazioni di R. Messina, R. Romboli e E. Ros
si) è ricostruita nella nota di richiami a Trib. mil. Torino, ord. 12 e 5 ottobre 1989 (che hanno sollevato la questione ora decisa da Corte cost. 27 e 93/90) ed a Trib. mil. La Spezia 27 settembre 1989 (che ha invece ritenuto di dover considerare espunto, a seguito di Corte cost.
408/89, il reato di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza di cui all'art. 8, 2° comma, 1. 772/72), ibid., II, 45.
Per altre recenti ipotesi in cui i giudici a quibus hanno ritenuto di non
poter seguire le indicazioni desumibili dalle sentenze della Corte costitu
zionale, v. Trib. Genova, ord. 26 ottobre 1989, in questo fascicolo, con nota di richiami, con cui il tribunale, affermando di non poter condivide re l'interpretazione indicata dalla corte in una pronuncia interpretativa di rigetto, ha di nuovo sollevato la stessa questione nell'ambito dello stes so giudizio svolgentesi tra le stesse parti e Trib. sorv. Torino, ord. 11 settembre 1989, Foro it., 1989, II, 641, con nota di richiami, il quale respinge l'opzione interpretativa fornita da Corte cost. 386/89 (ibid., I, 3340), in quanto trattasi di pronuncia fondata su un «diritto vivente» non più esistente al momento dell'emanazione della sentenza.
La corte ha fondato la propria pronuncia di manifesta inammissibilità sull'uso arbitrario che il giudice a quo avrebbe fatto del giudizio inciden
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