ordinanza 6 luglio 1987; Giud. Settimj; Ceciarelli (Avv. Giacomini) c. Soc. Rizzoli periodici (Avv.Ninni, Pesenti), Soc. Rusconi (Avv. Assumma, Scoca) e Soc. Doimo (Avv. Ozzola)Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 3463/3464-3475/3476Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181577 .
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3463 PARTE PRIMA 3464
meno della giurisdizione del giudice ordinario. In conseguenza di tutto quanto sopra considerato, mentre risulta univoca la sus
sistenza della giurisdizione di questo pretore a decidere la presen te controversia, appare altresì la necessità di proseguire la relativa
istruttoria, al fine di accertare punti essenziali della causa, facen
do espressa riserva di effettuare, se del caso, accesso all'archivio, onde accertare le condizioni dei luoghi e del materiale cartaceo, nonché l'idoneità, o meno, dello stato di consistenza, quale com
pilato dall'amministrazione, a dare effettiva tutela ai diritti (di
proprietà e di riservatezza) del ricorrente.
I
PRETURA DI ROMA; ordinanza 6 luglio 1987; Giud. Settimj;
Ceciarelli (Aw. Giacomini) c. Soc. Rizzoli periodici (Aw. Ninni,
Pesenti), Soc. Rusconi (Avv. Assumma, Scoca) e Soc. Doimo
(Avv. Ozzola).
Provvedimenti di urgenza — Persona fisica e diritti della perso nalità — Lesione — Competenza (Cod. proc. civ., art. 700, 701).
Provvedimenti di urgenza — Persona fisica e diritti della perso nalità — Diritto all'immagine — Persone che godono di noto
rietà — Sfruttamento a fini pubblicitari dell'immagine di un
sosia — Inibitoria — Ammissibilità (Cod. civ., art. 10; cod.
proc. civ., art. 700; 1. 22 aprile 1941 n. 633, protezione del
diritto di autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, art.
96, 97).
Qualora sia invocato un provvedimento d'urgenza a tutela di un
diritto della personalità, è competente il giudice del luogo in
cui risiede l'istante, perché è in tale luogo che può prodursi il temuto pregiudizio. (1)
Può disporsi con provvedimento d'urgenza l'inibitoria dello sfrut tamento a scopi pubblicitari dell'immagine del sosia di persona
nota, avvenuta senza il consenso di quest'ultima, nel caso in
cui il messaggio pubblicitario sia articolato in modo da trarre
in errore i destinatari sulla vera identità del soggetto ritratto,
ovvero anche solo in modo da far supporre la non estraneità
della persona nota all'operazione pubblicitaria. (2)
(1,3) I principi di cui alle massime costituiscono espressione di una
giurisprudenza ormai consolidata della Pretura di Roma e di numerosi
altri giudici di merito (cfr., da ultimo, Pret. Roma, ord. 7 aprile 1987, Foro it., 1987, I, 2878, ed i riferimenti in nota).
Era sembrato, per un momento, che anche la Cassazione volesse, infi
ne, aderire a tale orientamento, facendo riferimento, per l'individuazione del giudice compentente ad emettere il provvedimento urgente ante cau sam (nella specie si trattava della sospensione del trasferimento di un lavoratore dipendente), al luogo di produzione dell'evento dannoso (cfr. Cass. 20 dicembre 1986, n. 7819, id., 1987, I, 388), ma le cose sono state subito rimesse al loro posto, o, almeno, cosi si è tentato di fare: Cass. 7 gennaio 1987, n. 11, id., Rep. 1987, voce Provvedimenti di ur
genza, n. 47; 25 febbraio 1987, n. 1984, id., 1987, I, 2755, e, da ultimo, sez. un. 6 aprile 1987, n. 3315, ibid., 2771, sono tornate ad incardinare
la competenza nel luogo in cui si svolge l'attività pregiudizievole sulla
quale deve incidere il provvedimento. Alla stregua di tale orientamento,
quando il timore del danno si riferisce ad una pubblicazione a stampa, è competente il pretore del luogo ove sono stampati il giornale, la rivista o il libro (in termini si è espressa, infatti, Cass. 11 febbraio 1985, n.
1119, id., Rep. 1985, voce cit., n. 41). La sezione lavoro, però, non ha ritenuto di dover tornare sui suoi passi
e, con le sent. 16 dicembre 1987, n. 9370, id., Rep. 1987, voce cit., n.
55; 15 giugno 1987, n. 5266, ibid., n. 52; 11 giugno 1987, n. 5121, ibid., n. 56; 5 giugno 1987, n. 4924, ibid., n. 57; 28 aprile 1987, n. 4117, ibid., n. 59, e in Corriere giur., 1987 , 681, con nota di Vitali, Problemi di
competenza per la tassa sulla salute, quest'ultima citata in motivazione, ha ribadito che ai fini della competenza territoriale deve farsi riferimento al luogo di produzione dell'evento pregiudizievole temuto dall'istante.
(2,5) Nel complesso quadro della tutela dell'immagine delle persone note (ampiamente illustrato da R. Moccia, Diritto all'immagine: verso il «right of pubblicity», nota a App. Roma 8 settembre 1986, Foro it., 1987, I, 919, sotto il particolare profilo della tutela di tale diritto nei casi di illecito sfruttamento commerciale dell'immagine) la prima delle
Il Foro Italiano — 1988.
II
PRETURA DI ROMA; ordinanza 3 luglio 1987; Giud. Bonac
corsi; Marzotto (Avv. Massaro) c. Soc. Rizzoli periodici (Avv. '
Jarach, Gueli) e Granata (Avv. Leone, Vrenna).
Provvedimenti di urgenza — Persona fisica e diritti della perso nalità — Lesione — Competenza (Cod. proc. civ., art. 700, 701).
Provvedimenti di urgenza — Inibitoria di pubblicazione a stampa — Ammissibilità (Cost., art. 21; cod. proc. civ., art. 700).
Persona fisica e diritti della personalità — Diritto all'immagine — Notorietà della persona ritratta — Sussistenza del diritto — Estensione — Fattispecie (Cod. civ., art. 10; 1. 22 aprile 1941 n. 633, art. 96, 97).
Qualora sia invocato un provvedimento d'urgenza a tutela di un
diritto della personalità, è competente il giudice del luogo in
cui risiede l'istante, perché è in tale luogo che può prodursi il temuto pregiudizio. (3)
Non è precluso dall'art. 21 Cost, il provvedimento d'urgenza a
carattere inibitorio, inteso a far cessare temporaneamente o a
contenere il pregiudizio, che potrebbe derivare da una pubbli
cazione non ancora edita ai diritti altrui, soprattutto quando si tratta della tutela di diritti della personalità. (4)
Nel nostro ordinamento, la notorietà della persona ritratta non
giustifica la pubblicazione, senza il suo consenso, di immagini attinenti a quella sfera di interessi e di attività personali che
nulla hanno a che vedere con le esigenze pubbliche di informa
zione, in quanto estranee ai motivi, ai fatti ed agli avvenimenti
che ne hanno determinato la notorietà (nella specie, sulla base
di tale principio, è stata interdetta con provvedimento d'urgen
za la pubblicazione, su un noto settimanale, di foto che ritrae
va Marta Marzotto con Guttuso in atteggiamento affettuoso e confidente o che riproducevano quadri e disegni «scabrosi»
di Guttuso per i quali la Marzotto aveva posato come modella,
perché il tutto rappresentava il sodalizio artistico-sentimentale
ed i rapporti di intimità tra i due, che erano sempre stati cir
condati da estremo riserbo). (5)
ordinanze in epigrafe viene ora a porre un ulteriore tassello, precisando i limiti e le condizioni della utilizzazione a fini pubblicitari — ormai sem
pre più frequenti — dell'immagine dei sosia delle persone note. Sul punto non constano precedenti in giurisprudenza, ma sotto un profilo per alcu ni versi non dissimile può utilmente farsi riferimento, avverte l'estensore in motivazione, a Pret. Roma, ord. 18 aprile 1984, id., 1984, I, 2030, che aveva ritenuto di dover inibire la campagna pubblicitaria nella quale erano stati riprodotti solo alcuni oggetti Go zucchetto di lana a maglia grossa e gli occhialetti a binocolo), idonei, però, a far inequivoco riferi mento ad un noto personaggio del mondo musicale (Lucio Dalla), senza
il consenso dello stesso. Nel frattempo, l'ordinanza del 6 luglio è stata
commentata da Testa, Diritto all'immagine e utilizzazione pubblicitaria del sosia, in Dir. informazione e informatica, 1987, 1046, e da Ponza
nelli, La povertà dei «sosia» e la ricchezza delle «celebrità»: il right of publicity» nell'esperienza italiana, id., 1988, 126.
Che nel caso di sfruttamento non autorizzato, a fini pubblicitari, del
l'immagine e del nome di persone note, la tutela vada accordata sotto due profili, tra loro autonomi, ma entrambi ugualmente rilevanti e meri tevoli di protezione (quello, tradizionale, della tutela dei diritti assoluti della personalità, e quello, più spregiudicato, della tutela del valore com merciale dell'immagine, oggi, del resto, sempre più spesso necessaria an
che in assenza di una lesione dei primi), è stato intuito anche da Pret.
Roma, ord. 15 novembre 1986, Foro it., 1987, I, 973, con nota di richia mi di Pardolesi. Da ultimo fa il punto della situazione Scognamiglio, Il diritto all'utilizzazione economica del nome e dell'immagine delle per sone celebri, in Dir. informazione e informatica, 1988, 1.
D'impostazione senz'altro più «classica» l'ordinanza del 3 luglio, che
pone le sue fondamenta nel solco tracciato da una giurisprudenza ormai consolidata: può ben dirsi, anzi, che la tutela del diritto all'immagine delle persone note è stata enucleata proprio a partire dal riconoscimento del diritto alla riservatezza (per riferimenti di dottrina e giurisprudenza sia consentito rinviare, ancora una volta, a Moccia, op. cit., 920 e 921, e spec, note da 5 a 7; alle sentenze ivi segnalate, adde Trib Milano 30 settembre 1986, Foro it., Rep. 1987, voce Persona fisica e diritti della
personalità, n. 57; Pret. Roma 15 luglio 1986, ibid., n. 47, e in Dir.
informazione e informatica, 1986, 926, annotata da Zeno Zencovich, Una svolta giurisprudenziale nella tutela della riservatezza', Trib. Roma 8 febbraio 1985, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 48, e Dir. autore, 1986, 329, con nota di Carosone, È configurabile un autonomo diritto all'identità personale?; nonché Trib. Milano 16 aprile 1984, Foro it., Rep.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
Fatto. — Con ricorso depositato il 13 maggio 1987, Maria Lui
sa Ceciarelli in arte Monica Vitti — premesso che su varie riviste
della s.p.a. periodici Rizzoli (Anna, Brava-Casa) e delle s.p.a. Rusconi editore (Gioia, Gioia-Casa) del corrente mese di maggio erano apparsi inserti pubblicitari a tutta pagina, reclamizzanti i
prodotti della ditta Doimo salotti e basati essenzialmente sulla
riproduzione dell'immagine d'una sua sosia; che la connessione
tra le sua persona e l'inserto si era rivelata particolarmente signi ficativa sul n. 20 del settimanale Anna, in quanto contenente una
sua fotografia in prima pagina di copertina e la prima puntata d'un racconto della sua vita all'interno assieme al detto inserto
pubblicitario in quarta pagina di copertina; che l'uso di tale foto
grafia d'una sosia, specie nell'indicato contesto ed essendo solo
laterale e redatta in minuscoli caratteri la dichiarazione attestante
trattarsi appunto della fotografia di una sosia, aveva costituito
uso scorretto del suo ritratto, in quanto mirante a dare al pubbli co l'impressione della sua immagine, in violazione dell'art. 96
1. 22 aprile 1941 n. 633; che tale fatto era gravemente lesivo della
sua personalità artistica, non avendo ella mai prestato la propria
immagine a scopi pubblicitari; che il denunziato danno si concre
tizzava particolarmente in Roma, luogo di sua abituale residenza — chiedeva, ex art. 700 c.p.c., il sequestro delle pubblicazioni indicate e l'inibizione dell'ulteriore loro diffusione, l'inibizione altresì ai citati editori ed alla ditta Doimo d'utilizzare fotografie
della detta sua sosia o, almeno, l'imposizione agli stessi dell'ob
bligo di maggiormente evidenziare la dicitura «foto di sosia» e
comunque d'eliminare il pur ambiguo riferimento alla sua perso na contenuto nella parte didascalica dell'inserto sottostante a quella
fotografica illustrativa.
Notificatisi ricorso e pedissequo decreto di fissazione dell'u
dienza, di comparizione, si costituivano la Rizzoli periodici s.p.a.,
la Rusconi editore s.p.a., la Doimo s.p.a., tutte per chiedere la
reiezione delle domande proposte dalla ricorrente con motivazio
ni alcune delle quali comuni, o tali per più d'una d'esse deducen
ti, altre proprie a ciascuna di loro: tra le prime figuravano
l'eccezione d'incompetenza territoriale del giudice adito e quella
d'inammissibilità della richiesta di sequestro d'una pubblicazione
in sede civile, la prospettazione della corresponsabilità o dell'e
sclusiva responsabilità di terzi quali le società gestrici della pub
blicità sui periodici ed il direttore degli stessi con esplicita od
implicita richiesta d'integrazione del contraddittorio, la contesta
zione della sussistenza nel fatto in esame degli estremi della lesio
ne e quindi del pregiudizio ex adverso dedotti; tra le seconde
figurano l'eccezione di nullità della notifica dell'atto introduttivo
e la contestazione di qualsiasi mala fede nella concomitanza tra
la pubblicazione della copertina raffigurante la Vitti e la pubbli
cazione dell'inserto da parte della Rizzoli, un'analoga contesta
zione da parte della Doimo, l'eccezione d'intervenuta cessazione
della materia del contendere da parte della Rusconi. (Omissis)
Diritto. — Le eccezioni preliminari e le richieste istruttorie pro
spettate congiuntamente od autonomamente dalle resistenti non
appaiono meritevoli d'accoglimento. Per quanto attiene, anzi tutto, alla dedotta incompetenza terri
toriale del giudice adito, deve, infatti, richiamarsi la costante giu
risprudenza di questa sezione della Pretura di Roma che ravvisa
il giudice chiamato dall'art. 701 c.p.c. a decidere sulle istanze
di provvedimenti cautelari innominati ante causam nel pretore
del luogo in cui si sta verificando od è per verificarsi l'evento
1986, voce cit., n. 49, tutte nel senso di ritenere illecita la divulgazione
dell'immagine di persona nota, quando essa violi la sua sfera di intimità
privata per soddisfare solo l'indiscreta curiosità del pubblico; ma v. an
che le contraddittorie Pret. Milano 27 maggio 1986, id., Rep. 1987, voce
cit., n. 45, e Pret. Milano 26 marzo 1986, ibid, n. 46).
(4) L'inibitoria della diffusione di stampati è stata ritenuta vietata dal
l'art. 21 Cost, da Trib. Varese, ord. 2 giugno 1984, Foro it., 1984, I, 1674. Sul punto si vedano anche gli ulteriori riferimenti contenuti nella
nota di richiami di R. Pardolesi a Pret. Roma, ord. 18 luglio 1986,
id., 1986, I, 2926. Nella specie è stato ritenuto, invece, che l'art. 21 Cost, non sia di osta
colo ad un provvedimento che inibisca la pubblicazione dell'immagine
prima che la stessa sia materialmente effettuata, trovando conforto nel
l'interpretazione del dato normativo formulata da Cass. 27 maggio 1975, n. 2129, id., 1976, I, 2895.
Il Foro Italiano — 1988.
dannoso, o comunque del luogo in cui più incisivi nella sfera
giuridica del soggetto passivo si rammostrino gli effetti d'un evento
contemporaneamente in atto o prossimo ad esserlo in più luoghi o su tutto il territorio nazionale (Pret. Roma 5 giugno 1985, Te
mi romana, 1985, II, 1201; Pret. Roma 10 luglio 1984, Foro it.,
1985, I, 2813 ed ivi richiami d'altri precedenti); da tale giurispru
denza, che trova conforto in autorevoli opinioni dottrinali e nella
recente sentenza del Supremo collegio 20 dicembre 1986, n. 7819,
(id., 1987, I, 388), non ritiene il giudicante doversi discostare.
La difforme e, per il vero, non del tutto univoca giurispruden za precedente del Supremo collegio non sembra, infatti, avesse
sin'ora preso in adeguata considerazione né l'imprescindibile ne
cessità del rispetto del principio costituzionale della precostituzio ne ex lege del giudice naturale, principio che rimarrebbe violato
ove, facendosi riferimento per la individuazione del giudice com
petente al momento determinativo della condotta od a quello del
l'approntamento del mezzo e quindi ai luoghi del loro verificarsi,
si consentisse al soggetto responsabile di decidere discrezional
mente dove porre in essere l'uno o l'altro cosi predeterminando a suo libito il giudice stesso; né, ancora, la del pari necessaria
valutazione cosi del fatto dannoso nelle sue tre componenti della
condotta, dell'evento e del nesso di causalità, tra loto inscindibi
li, come della conseguente impossibilità, in difetto d'altra specifi
ca disposizione di legge, d'una valida giustificazione per attribuire
prevalenza, anche ai soli fini della determinazione della compe
tenza, ad alcuna di esse se non all'evento secondo la disciplina
generale posta dall'art. 20 c.p.c.; né, in fine, la rilevanza espres
samente attribuita proprio dall'art. 701 c.p.c. all'elemento sog
gettivo con il prendere in considerazione, ai fini della
determinazione della competenza, il luogo nel quale il soggetto
passivo o non altri, tema e possa obiettivamente dimostrare che
sia per verificarsi il fatto determinante l'irreparabile pregiudizio alla cui prevenzione è intesa l'istanza di provvedimento d'urgenza.
Orbene, nel caso di specie, essendo emerso senza contestazioni
di sorta che la Monica Vitti risiede in Roma e quivi in effetti
abitualmente vive ed opera intrattenendovi le proprie prevalenti
relazioni sociali ed esplicandovi la propria prevalente attività pro
fessionale, appare evidente come un'eventuale lesione della sua
personalità provocata da pubblicazioni a diffusione nazionale —
particolarmente riflettendosi sui detti rapporti e sulla detta attivi
tà anche attraverso la possibile immutazione dell'immagine di sé
che negli uni e nell'altra ella abbia creato nonché soprattutto sul
la positiva opinione ch'ella si sia fatta di se stessa traducendola
poi in quell'immagine — risulta appunto in Roma maggiormente
incisiva che non altrove restandone quindi giustificata, per gli
esposti motivi, la competenza di questo ufficio a decidere delle
misure cautelari atipiche invocate.
Quanto alla nullità della notificazione del ricorso e del pedisse
quo decreto di fissazione dell'udienza, eccepita dalla Rizzoli per
esser stata effettuata presso un assunto ufficio staccato e non
presso la sede legale, cosi «costringendo» essa deducente a costi
tuirsi onde evitare le conseguenze della contumacia senza tuttavia
voler rinunziare all'eccezione stessa, non si vede quale utilità pos sa avere siffatta dichiarazione di persistenza nel voler dedurre
una nullità che la costituzione in giudizio, pur effettuata obtorto
collo, ha, comunque, sanato per il combinato disposto degli art.
160 e 156 c.p.c. avendo l'atto esattamente conseguito il suo scopo.
Quanto all'intervenuta cessazione della materia del contendere,
dedotta dalla Rusconi in relazione ad assunte più limitate richie
ste effettuate dalla ricorrente nei suoi confronti ed all'esaurita
diffusione dei numeri delle riviste da essa edite oggetto delle con
testazioni ex adverso, devesi rilevare che — a prescindere dalle
richieste di sequestro e d'inibitoria della diffusione dei numeri
già in edicola od in distribuzione, il cui palese contrasto con l'art.
21 Cost, e la cui conseguenziale inaccoglibilità non possono esser
sfuggiti mentre venivano tuttavia formulate — palese appare piut
tosto, nel contesto delle conclusioni in ricorso, l'intento dell'i
stante di prevenire la riproduzione dei denunciati inserti pubblicitari
o di altri similari in successivi numeri di tutte le pubblicazioni
menzionate in narrativa e non solo delle pubblicazioni della Riz
zoli, come dimostrano, pur nello scarso coordinamento e nella
succinta articolazione delle richieste, il riferimento alle «altre pub
blicazioni indicate» nel primo capoverso di significato ed esten
sione non diversi da quello alle «riviste indicate» nel penultimo;
ne consegue che, dovendosi interpretare l'atto nel suo senso ef
fettivo, è da escludere qualsiasi, a ben vedere neppur apparente,
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3467 PARTE PRIMA 3468
limitazione della domanda nei confronti della Rusconi e che, quin
di, non può ritenersi verificata la pretesa cessazione della materia
del contendere.
Quanto, in fine, alle deduzioni circa la buona o mala fede delle
resistenti nel pubblicare gli inserti o nel pubblicarli in determinate
pagine od in determinati numeri delle riviste, nonché circa la cor
responsabilità eventuale di terzi ed alle conseguenziali richieste
d'istruttoria e d'integrazione del contraddittorio, devesi rilevare
che in questa sede non interessa tanto accertare quali siano i sog
getti responsabili delle varie condotte eventualmente ed in diversa
misura concorrenti nelle attività preparatorie dell'inserto di cui
trattasi, indagine se mai rilevante ai fini della domanda di risarci
mento da proporsi nel giudizio di merito, quanto piuttosto accer
tare quali siano i soggetti destinatari dei provvedimenti idonei
ad impedire il perpetuarsi e l'aggravarsi del pregiudizio denunzia
to, e quanti siano stati esattamente individuati dalla ricorrente
nel committente degli inserti pubblicitari, id est in colui che l'atti
vità lesiva ha disposto ed approvato traendo poi vantaggio dalla
sua attuazione, e negli editori delle riviste sulle quali gli inserti
sono stati pubblicati, id est in coloro che hanno fornito il mezzo
attraverso il quale l'attività lesiva ha potuto concretizzarsi, l'uno
e gli altri destinatari d'elezione, quindi, dei provvedimenti intesi
a far cessare detta attività in quanto unici in grado di dare loro
la dovuta attuazione; estendere, dunque, il presente procedimen
to, che costituisce espressione della prima e non della seconda
delle azioni previste dall'art. 10 c.c., a soggetti che non potrebbe
ro essere destinatari della decisione adottanda non si rammostra
né necessario né utile.
Cosi, negativamente esaurito l'esame delle eccezioni e delle que
stioni preliminari prospettate dalle resistenti, si può passare, sen
za limitazione alcuna, all'esame del merito.
All'uopo, sembra anzitutto opportuno rammentare come, sul
problema generale dell'utilizzazione della immagine di persone note
effettuata a fini pubblicitari senza il previo consenso delle perso
ne stesse, dottrina e giurisprudenza del tutto prevalenti si siano
ripetutamente espresse evidenziando, in relazione al disposto del
l'art. 10 c.c., l'illiceità d'un siffatto comportamento ed il conse
guenziale buon diritto delle persone lese d'esperire le azioni,
riconosciute loro dalla medesima norma, intese a far loro conse
guire tanto l'inibitoria dell'altrui abusiva attività quanto il risar
cimento del danno subito: si è, infatti, esattamente osservato che
la riproduzione del ritratto coordinata ad un messaggio pubblici
tario non trova giustificazione in alcuna delle ipotesi di deroga
poste, dall'art. 97 1. 22 aprile 1941 n. 633, al divieto d'utilizzazio
ne del ritratto non espressamente od implicitamente consentita
dall'interessato di cui al precedente art. 96 e, in particolare, nel
l'ipotesi della notorietà della persona ritratta; ciò in quanto alla
ratio di detta specifica deroga ravvisata nel generale interesse del
la collettività all'informazione — un interesse lato sensu ritenuto
possibile se pur inteso al solo conseguimento della semplice di
sponibilità d'un ritratto anche non accompagnato da contestuale
esposizione di notizie e quindi riconoscibile indipendentemente dalla palese concomitanza d'un fine di lucro perseguito da quanti il ritratto abbiano realizzato e diffuso — è apparso del tutto estra
neo l'esclusivo scopo di lucro proprio della rappresentazione pub blicitaria per contro unicamente intesa alla promozione d'un
maggior smercio del prodotto reclamizzato senz'alcuna neppure indiretta connessione con le evidenziate finalità della deroga pur nella lata interpretazione accoltane (vedansi in proposito Cass.,
sez. un., 31 gennaio 1959, n. 295, id., 1959, I, 200; la sola in
apparenza dissonante Cass. 14 dicembre 1963, n. 3150, id., 1964,
I, 272; 27 maggio 1975, n. 2129, id., Rep. 1975, voce Persona
fisica e diritti della personalità, n. 23; 10 novembre 1979, n. 5790,
id., 1980, I, 81; tutte con ampi riferimenti anche alla giurispru
denza di merito). D'altro canto, l'illiceità della riproduzione non consentita del
ritratto a fini pubblicitari, anche allorché trattisi di persona nota,
è stata esattamente ravvisata non solo nella testé considerata e
già di per se stessa decisiva insussistenza dei presupposti per una
deroga al divieto di cui all'art. 96 1. aut., ma altresì nel supera mento del limite della lesione al diritto personale, al decoro ed
alla reputazione posto dal 2° comma dell'art. 97 1. aut. ed ancora
nella lesione del diritto patrimoniale d'esclusiva sull'utilizzazione
economica della propria immagine: è, infatti, da rilevare sotto
il primo profilo che nella società contemporanea il consenso della
mercificazione del proprio ritratto, se in linea di massima non
Il Foro Italiano — 1988.
comporta, o non comporta più, un'aprioristica valutazione nega
tiva del consenziente sul piano morale e sociale, tuttavia di regola
mina la stima professionale ed aliena le simpatie del pubblico,
d'onde l'illecita lesione del diritto alla identità personale, se non
proprio quanto all'onore, senza dubbio quanto al decoro ed alla
reputazione; ma è anche da rilevare, sotto il secondo profilo, che
stima e simpatia, cosi nella ristretta cerchia dell'ambiente di lavo
ro e dell'abituale vita di relazione come nella più vasta cerchia
d'un pubblico pur sempre critico e vieppiù volubile, costituiscono
il substrato dal quale traggono alimento non solo la gratificazio
ne spirituale sibbene anche la stessa materiale esistenza della per
sona e, al contempo, il risultato del suo lavoro e delle sue capacità
sia nell'esercizio della professionalità sia nella creazione del per
sonaggio, d'onde l'illecita lesione, insita nella altrui abusiva ap
propriazione, del diritto patrimoniale ad ogni forma di
sfruttamento economico di quel risultato che è, appunto, la noto
rietà, bene non direttamente tutelato dall'ordinamento ma la cui
tutela può essere indirettamente conseguita attraverso quella ap
prestata per il nome e per l'immagine tanto più pregnante quanto
più nota sia la persona cui l'uno e l'altra appartengono (in pro
posito vendansi Cass. 10 novembre 1979, n. 5790, cit., e, recente
mente, Pret. Roma 18 aprile 1984, id., 1984,1, 2030 e Pret. Roma
18 febbraio 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 51). Non ci si è soffermati a sia pur brevemente riassumere i termi
ni delle soluzioni prevalentemente accolte, come accennato, in or
dine al prospettato problema se non perché i principi informatori
di tali soluzioni direttamente influenzano anche la soluzione del
problema che qui ne occupa: accertare, cioè, se l'avvalersi del
l'immagine d'un sosia di persona nota a fini pubblicitari costitui
sca o meno anch'esso un comportamento integrante gli estremi
dell'illecito civile e perseguibile con le azioni di cui all'art. 10
c.c. (l'indagine è limitata all'uso del sosia di persona nota, in
quanto tale è lo specifico soggetto della decisione ed in quanto
l'uso del sosia d'un quisque de populo non avrebbe senso sul
mercato pubblicitario; non può, tuttavia, escludersi che l'occasio
nale somiglianza del soggetto effigiato in un messaggio pubblici
tario con una persona comune possa, in determinate circostanze,
esser da questa considerata lesiva del proprio onore, decoro e
reputazione e dar luogo a maggior approfondimento dell'indagi
ne anche in tale direzione).
Sull'argomento non risulta giurisprudenza edita, mentre la scarsa
dottrina che, incidentalmente od ex professo, se n'è occupata ri
sulta concorde nel ritenere che il divieto posto dall'art. 96 1. aut.
trovi applicazione anche nel caso di riproduzioni indirette del
l'immagine od anche quando l'immagine d'una persona venga
riprodotta attraverso quella d'un'altra persona che voglia esser
somigliante alla prima e miri a dare al pubblico l'impressione
di essa, ossia appunto quando si utilizzi un sosia.
Argomento a contrario non sembra si possa fondatamente so
stenere invocando i diritti del sosia alla identità personale ed al
lavoro, dei quali l'uso del proprio ritratto in genere e nell'ambito
dell'attività pubblicitaria in specie costituirebbe una delle insop
primibili estrinsecazioni: è, infatti, sin troppo agevole ribattere,
con la ricordata dottrina e nel solco di Cass. 10 novembre 1979,
n. 5790, cit., che nel contrasto tra il sosia, qui certat de lucro
captando volendo svolgere quell'attività che gli è facilitata dalla
somiglianza con la persona nota, e quest'ultima, quae certat de
damno vitando anzitutto sul piano morale ed in subordine ed
eventualmente anche su quello economico, è alla seconda che i
principi generali dell'ordinamento inducono a prestar tutela; ma
non è meno agevole ribattere, altresì, che, se, come si è visto,
la utilizzazione a fini pubblicitari dell'immagine di persona nota
senza il consenso di questa non è lecita per tutti gli esposti moti
vi, e se l'utilizzazione ai detti fini dell'immagine del sosia ha qua
le unico scopo quello di conseguire il risultato, altrimenti non
conseguibile o conseguibile a costi di gran lunga superiori, del
l'abbinamento tra l'immagine stessa ed il prodotto da reclamizza
re, onde provocare egualmente nel pubblico ignaro gli effetti
psicologici di tale abbinamento e beneficiarne sul piano economi
co, anche l'utilizzazione a fini pubblicitari dell'immagine d'un
sosia senza il consenso della persona nota è da considerare illecita
e perseguibile ex art. 10 c.c. per i medesimi motivi (id est perché,
anche indipendentemente da un'eventuale connessa lesione del de
coro e/o della reputazione, tale immagine non può comunque essere utilizzata per scopo esclusivo di lucro ed al di fuori di
qualsiasi finalità d'informazione che sola giustifica la nota deroga).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Tuttavia, perché l'indicata illiceità sussista non sembra neppur necessario che il messaggio sia articolato in modo da ingenerare nei destinatari la falsa impressione di riceverlo per il tramite della
persona nota piuttosto che d'un sosia, giacché l'utilizzazione di
questi trova la sua unica ragione giustificante nella forza attratti va di tutto quanto, richiamando la memoria della persona nota, capti anche fuggevolmente l'attenzione dei destinatari per il tem
po strettamente necessario alla percezione ed all'inconscia assimi lazione del messaggio e, ciò ottenuto, il risultato è raggiunto indipendentemente dal fatto che nel soggetto effigiato sia stato
poi o meno riconosciuto, in un momento successivo, il sosia in
luogo della persona nota; nel descritto processo mentale del de
stinatario, infatti, il riconoscimento della difformità dell'appa rente dal reale si verificherebbe quando ormai la forza attrattiva dell'uno avrebbe già dato i voluti risultati, id est quando l'indebi to sfruttamento dell'immagine della persona nota, prima facie riconoscibile in quella appartenente invece al sosia, avrebbe già avuto luogo.
Ciò anche a voler prescindere dal considerare la lesione del diritto all'identità personale, ritenuto meritevole di tutela giuridi ca dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recente, insita nell'e
quivoca utilizzazione dell'immagine del sosia costituente invero un riferimento preciso ancorché indiretto alla persona nota (sulla tutela della personalità lesa dall'utilizzazione abusiva d'elementi caratterizzanti di ben minore rilievo dell'immagine del sosia, ve dansi recentemente Pret. Roma 18 aprile 1984, cit., e Pret. Roma 18 ottobre 1983).
Né altro argomento a contrario sembra possa fondatamente trarsi dall'opinione, d'altronde tutt'altro che unanime, espressa in dottrina ed in giurisprudenza sull'inapplicabilità della discipli na normativa del ritratto alla maschera scenica: anche a voler, infatti, aderire a tale tesi, non si può non rilevare come essa trovi
giustificazione nel fatto che gli spettatori sono ben consci d'assi stere ad una trasposizione teatrale o cinematografica della realtà
e, quindi, di non vedere affatto il personaggio cui la vicenda si riferisca bensì la diversa persona dell'attore, pur se questi sia di
per se stesso o sia stato reso simile nel sembiante al personaggio rappresentato; per contro, nella ipotesi d'utilizzazione d'un sosia di persona nota ai fini pubblicitari, gli interessati fanno conto
proprio sull'ignoranza della diversità tra persona effigiata e per sona nota da parte del pubblico destinatario del messaggio e, quin di, sull'effetto psicologico automatico dell'abbinamento tra
immagine e prodotto egualmente conseguito nonostante tale di
versità.
Ferme, comunque, le considerazioni preliminari ed assorbenti effettuate in precedenza, sotto il profilo appena esaminato sem
bra, dunque, logico ritenere che in tanto nell'utilizzazione a fini
pubblicitari della immagine d'un sosia di persona nota senza il consenso di quest'ultima potrebbe ravvisarsi un comportamento civilmente illecito, in quanto il pubblico destinatario del messag gio, tratto in errore dalla somiglianza dei soggetti, fosse indotto a considerare detta immagine come riproduttiva delle sembianze non del sosia ma della persona nota, con le già evidenziate pre giudizievoli conseguenze morali ed economiche per la stessa: è, pertanto, un problema di riconoscibilità, di possibilità d'un'ade
guata e tempestiva percezione della difformità tra apparenza e
realtà, quello che si pone, un problema che abitualmente non avrà ragion d'essere, in quanto una somiglianza troppo vaga od una chiara ed esplicita prospettazione della realtà toglierebbero al messaggio ogni forza di persuasione conseguendo magari an che effetti controproducenti, ma che didascalie solo formalmente chiarificatrici possono complicare invece di semplificare, determi
nando un diverso e più complesso coinvolgimento della persona nota.
È precisamente il caso di specie, per la cui migliore illustrazio ne appare opportuno evidenziare le caratteristiche dell'inserto pub blicitario in discussione: esso occupa un'intera pagina di rivista sul cui bordo superiore trovasi lo slogan ad effetto «riposati Ita lia!» in caratteri da 20 mm.; al di sotto, gran parte della pagina è occupata da un fotomontaggio il cui elemento focale è appunto costituito dalla figura della sosia in questione; in basso a sinistra, una didascalia in caratteri da 2 mm. recita «Aoo, ma chi te credi
d'esse ... la Vitti? Bella l'imitazione? Ma il personaggio vero ha un fascino speciale. Come l'eleganza delle camere Doimo ar
redamenti, ecc.»; in basso a destra è riprodotto il marchio Doi
mo in caratteri da 15 mm. accompagnato da riferimenti secondari
Il Foro Italiano — 1988.
in caratteri minori; per traverso sul bordo destro della pagina è la dicitura «foto di sosia» in caratteri da 1,5 mm.
Orbene, le prime considerazioni da farsi attengono alla dicitu ra «foto di sosia» ed alla riportata didascalia: l'una, per la posi zione datale nella pagina, tra l'altro quella generalmente destinata alla indicazione dell'agenzia pubblicitaria o dello studio grafico, e per la dimensione dei caratteri di stampa usati, i più piccoli tra tutti quelli della pagina e comunque molto piccoli di per se
stessi, risulta del tutto inidonea a svolgere la funzione che le sa rebbe propria, giacché nessun lettore medio vi presterebbe atten zione e tanto meno si prenderebbe la briga di ruotare la rivista e leggerla; la seconda è indubbiamente in posizione più propria, ma è anch'essa in caratteri minuscoli e poco appariscenti, specie in rapporto a quelli utilizzati per lo slogan ed il marchio, di guisa che non attrae l'attenzione, focalizzata invece lungo una diago nale dall'alto a sinistra al basso a destra comprendente al centro la figura di cui trattasi (specie ove si tenga conto che la percezio ne del messaggio da parte del lettore medio s'incentra anzi tutto sulla figura di richiamo, poi sull'oggetto reclamizzato, quindi, ove quest'ultimo abbia suscitato il suo interesse, sulla marca e solo alla fine, in caso d'effettivo interesse, sulle altre componenti del messaggio; ma tale procedimento cosi lungo a descriversi du ra un attimo, il tempo d'un'occhiata nel voltar pagina, e, salvo l'ultimo caso, che non è il più frequente, l'unica impressione ri masta può essere quella della figura al più abbinata al marchio ed all'oggetto) onde neppur essa adempie adeguatamente alla fun zione che dalle resistenti si vorrebbe le fosse propria.
Si è or ora usata una forma condizionale perché, a ben vedere, la didascalia in questione, se pur fosse stata più evidente e capace d'attrarre la fuggevole attenzione del lettore, avrebbe avuto for s'anche la capacità di chiarire la vera identità — o, piuttosto, l'ignota identità diversa da quella apparente — del soggetto effi
giato, ma, per la sua composizione comprendente il nome della Vitti e per il suo significato, avrebbe avuto anche l'effetto di coin
volgere altrimenti e forse maggiormente la stessa Vitti nel mes
saggio, non solo segnalando la somiglianza a chi, disattento o disinteressato o poco fisionomista, non l'avesse avvertita, ma so
prattutto lasciando supporre la non estraneità della Vitti ad un
messaggio pubblicitario nel quale, oltre alla rappresentazione d'una
figura a lei simile, si contengono apprezzamenti elogiativi nei suoi confronti proprio paragonando il suo maggior fascino alla pur bella imitazione e, comunque, si fa alla sua persona libero riferi mento al di fuori di qualsiasi finalità d'informazione ed a puro scopo promozionale della vendita degli arredamenti Doimo; un
complesso di elementi tale, tenuto conto della ben conosciuta ocu latezza con cui quelle tra le persone note che consentono lo sfrut tamento pubblicitario della loro immagine, del loro nome, della loro voce, ecc. ne amministrano ogni possibile forma d'utilizza
zione, da indurre a ritenere, secondo 1 'id quod plerumque acci
dit, che la Vitti non possa non aver prestato il suo consenso ad un'iniziativa pubblicitaria per lei cosi coinvolgente e che ne abbia
tratto quindi il debito profitto, d'onde l'evidente lesione al deco ro ed alla reputazione d'un soggetto che dell'astensione dall'atti vità pubblicitaria assume d'aver fatto intimamente e palesemente, né è ex adverso contestato, una delle manifestazioni qualificanti della propria professionalità.
Sulla base delle osservazioni sin qui effettuate e risalendo dal
particolare al generale, può dunque concludersi che, anzi tutto, non essendo contestata né contestabile la somiglianza della perso na la cui immagine è riprodotta nell'inserto pubblicitario de quo con la Monica Vitti, e non risultando la dicitura «foto di sosia» e la didascalia contenute nell'inserto stesso adeguate ad attrarre
l'attenzione del destinatario medio del messaggio ed a dissipare con la dovuta immediatezza l'impressione suscitata dall'abbina
mento tra l'apparente immagine della Vitti, l'oggetto ed il mar
chio, detto inserto ingenera e lascia integro nel destinatario il
convincimento d'una partecipazione personale della Vitti al mes
saggio pubblicitario, risultato di per se stesso idoneo e sufficiente
a far ritenere illecita la pubblicazione di quel messaggio in rela
zione agli art. 96 1. aut. e 10 c.c.; che, in secondo luogo, essendo
si utilizzato il nome della Vitti coordinato ad apprezzamenti sulla sua persona, dichiaratamente inteso il tutto a chiarire la diversa
identità della persona effigiata ma di fatto alla forza attrattiva
ed individuante dell'immagine intimamente connesso e perfetta mente inserito nel contesto elogiativo del prodotto, si è per altro
verso coinvolta la Vitti nel messaggio dando adito al medesimo
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3471 PARTE PRIMA 3472
convincimento della sua partecipazione ad esso e con le medesi
me conseguenze circa l'illiceità della pubblicazione; che, infine,
intervenendo comunque il riconoscimento della difformità tra ap
parenza e realtà quando già la prima ha determinato l'abusiva
utilizzazione delle sembianze della Vitti, si è del pari verificata
la lesione del diritto all'immagine, in una, se vuoisi, a quella del
diritto all'identità personale, ed è pertanto riconoscibile la tutela
apprestata dalle summenzionate norme.
Il ricorso va, pertanto, accolto, non potendosi dubitare né es
sendosi mai dubitato dell'imminenza ed irreparabilità del pregiu dizio in materia di lesione ai diritti della personalità; quanto alle
misure cautelari da adottare, ovviamente esclusa ogni possibilità
di sequestro delle riviste in questione, unica soluzione plausibile
s'appalesa — tenuto conto che il già evidenziato coordinamento
degli elementi costitutivi dell'inserto e l'attitudine lesiva tanto im
mediata quanto mediata dello stesso non rimarrebbero adeguata
mente limitati per il solo fatto d'un maggior risalto che fosse
attribuito alla dicitura «foto di sosia» — proprio quell'inibitoria
la cui richiesta è stata espressamente formulata dalla ricorrente
in via principale.
II
Fatto. — Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato in data 16
gennaio 1987 Marta Marzotto deduceva:
I — a) che sulla rivista «Oggi» edita dalla R.C.S. Rizzoli pe riodici s.p.a., di prossima pubblicazione, sarebbe apparso un ser
vizio fotografico riproducente disegni e quadri a firma di Renato
Guttuso in gran parte raffiguranti le sembianze, anche sul piano
più riservato, di essa ricorrente, e altro materiale fotografico; b)
che tale servizio fotografico era stato realizzato e curato da Ro
berto Granata, il quale, introducendosi fraudolentemente e con
la ingenua disposizione della collaboratrice domestica nella parte
più riservata della casa della ricorrente, aveva fotografato, senza
autorizzazione, anche le opere più private e gelosamente custodi
te in separato locale dalla contessa Marzotto; c) che, pertanto, la pubblicazione di tali immagini doveva considerarsi del tutto
illecita ed illegittima; II - a) che la ricorrente aveva appreso che il servizio avrebbe
ospitato, su ben due pagine, una grande foto nella quale essa
appariva con Renato Guttuso; b) che tale foto privata era stata
realizzata, su commissione, dallo stesso Roberto Granata e rego
larmente pagata da Renato Guttuso;
III - a) che il servizio di cui sopra veniva presentato in un
momento estremamente critico sia per il maestro Guttuso, che
andava spegnendosi, sia per la ricorrente, talché la pubblicazio
ne, indipendentemente dalla violazione del diritto all'immagine,
del diritto al nome, del diritto alla riservatezza e del diritto alla
proprietà della ricorrente, avrebbe concretato una gravissima le
sione della di lei «immagine», ponendosi, agli occhi di tutti, co
me uno squallido e mistificante tentativo di speculazione della
ricorrente stessa mentre si approssimava il momento supremo per Renato Guttuso; b) che la pubblicazione, tra l'altro, avrebbe va
nificato il dignitoso e sofferto silenzio che la ricorrente si era
imposta proprio per rispetto di Renato Guttuso e della propria
immagine nel grande quadro della vita del maestro stesso; IV - a) che essa ricorrente, a mezzo del proprio legale in data
14 gennaio 1987 aveva inviato al direttore della rivista un telex
a mezzo del quale lo aveva invitato e diffidato a desistere da
qualunque forma di utilizzazione delle fotografie di cui sopra, ribadendo la propria ferma opposizione a qualunque utilizzazio
ne; b) che il direttore della rivista «Oggi» aveva respinto la diffi
da, in quanto, a suo avviso, il servizio fotografico realizzato dal
Granata sarebbe stato tale da escludere la possibilità che lo stesso
fosse stato eseguito senza autorizzazione e, in ogni caso, perché sarebbe intervenuta una «scelta delle fotografie», nell'ambito del
servizio fornito, dettata dall'intento di evitare la diffusione delle
«immagini più scabrose»; c) che essa ricorrente aveva pronta mente contestato il telex del direttore di «Oggi»; d) che emergeva
chiaramente, anche dalla risposta del direttore, la potenzialità le
siva delle immagini in questione, se indiscriminatamente diffuse,
che egli stesso definiva quantomeno «scabrose», cosi come la ine
sistenza di qualsivoglia autorizzazione della ricorrente, che si rite
neva . . . presunta; e) che era evidente, quindi, che la esigenza
della autorizzazione alla pubblicazione, aggravata proprio dalla
natura delle immagini e dal particolare momento della pubblica
li Foro Italiano — 1988.
zione, era ravvisata anche dal direttore del periodico in questio
ne, mentre nessuna autorizzazione doveva ritenersi concessa.
Tutto ciò premesso, ed esposte alcune considerazioni sulla con
figurabilità e tutelabilità dei diritti soggettivi della ricorrente, co
me sopra menzionati e richiamandosi, in particolare, alla esigenza
di tutela della riservatezza e del segreto della vita privata (diritto,
questo, riconosciuto in varie decisioni anche di questa stessa pre
tura), la Marzotto, allo scopo di evitare il temuto grave ed irrea
rabile pregiudizio, che si annunciava come imminente (per le
dichiarazioni dello stesso direttore, secondo cui il servizio sareb
be apparso nel «prossimo numero») e che poteva essere evitato
solo impedendo la pubblicazione in questione, essendo ciò anco
ra possibile, chiedeva che il pretore adito volesse, con decreto,
inaudita altera parte, stante l'urgenza, inibire alla R.C.S. Rizzoli
periodici s.p.a. e a Roberto Granata la pubblicazione, la diffu
sione e, comunque, la utilizzazione del servizio fotografico del
Granata o, comunque, di quella parte di esso che riproduceva
l'immagine della ricorrente con Renato Guttuso e quadri e dise
gni raffiguranti le sembianze di essa ricórrente Marta Marzotto,
realizzato con le «subdole modalità di cui in premessa», adottan
do altresì ogni altro opportuno provvedimento (sequestro del ma
teriale, ecc.). Con decreto in pari data (16 gennaio 1987), il pretore, ritenuta
prima facie giustificata l'istanza sulla base della documentazione
acquisita in atti e delle sommarie informazioni testimoniali as
sunte, inibiva alla R.C.S. Rizzoli periodici s.p.a. e al Granata,
in via provvisoria e urgente, la pubblicazione, la diffusione e co
munque la utilizzazione di quella parte del servizio fotografico
di cui al ricorso che riproduceva l'immagine della ricorrente con
Renato Guttuso, nonché disegni e quadri a firma di Renato Gut
tuso e raffiguranti le sembianze della ricorrente medesima.
All'udienza fissata per la comparizione delle parti, mentre la
ricorrente chiedeva la conferma del provvedimento immediato,
le altre parti, nel costituirsi in giudizio, ne chiedevano la revoca.
In particolare, la società resistente eccepiva la incompetenza
per territorio del magistrato adito, avendo, essa editrice del pe
riodico «Oggi», sede in Milano ed essendo la rivista stampata
nella sede milanese e da questa diffusa. Deduceva, inoltre, la in
costituzionalità del provvedimento di inibizione per contrasto con
l'art. 21 Cost., e negava, comunque, la sussistenza del preteso
pregiudizio irreparabile denunciato dalla ricorrente, tanto più che
tutta la stampa quotidiana e periodica si era impadronita imme
diatamente, dopo la morte di Guttuso, e spesso in modo assai
spregiudicato, delle vicende Guttuso-Marzotto. (Omissis) Diritto. — Le risultanze della sommaria istruttoria esperita do
po la pronuncia del provvedimento immediato emesso con decre
to hanno confermato la fondatezza delle doglianze della ricorrente
e il buon diritto della stessa a non veder pubblicate, senza il suo
consenso, immagini fotografiche che avrebbero potuto violare la
sua riservatezza.
Le eccezioni tutte sollevate dalle parti resistenti si sono rivelate
inaccoglibili. A — Sulla compenteza territoriale del pretore adito. Va ribadi
to l'orientamento costante di questo ufficio, secondo cui ai fini
della determinazione della competenza territoriale nel procedimento ex art. 700 c.p.c., va tenuto conto del temuto effetto dannoso
conseguenziale all'attività denunciata, pregiudizio che può essere
in atto o solo potenziale, e, per esso, quindi, del luogo della sua
produzione reale o potenziale, che va determinato essenzialmen
te, in caso di pluralità di eventi, con riferimento al luogo ove
si trova, ovvero opera o vive abitualmente il soggetto passivo
del comportamento denunciato come pregiudizievole (da ultimo,
v. Pret. Roma 15 luglio 1986, Foro it., Rep. 1987, voce Provve
dimenti di urgenza, n. 49). Tale indirizzo, che privilegia il luogo dell'evento dannoso, anziché quello della semplice attività poten zialmente lesiva, è stato recentemente avallato anche dalla Supre ma corte, che non ha mancato di rilevare come dalla
interpretazione letterale e logica della norma dell'art. 701 c.p.c. discenda il criterio di individuazione della competenza nel luogo in cui l'istante teme che stia per verificarsi il fatto dannoso, inte
so, questo, come azione ed evento. Non può prescindersi, quindi, dalla produzione dell'effetto dannoso della condotta denunciata,
dovendo tenersi conto del momento e del luogo in cui questa si estrinseca ed entra in contatto con la sfera giuridica del denun
ciale, per cui «luogo nel quale l'istante teme che stia per verifi
carsi il fatto dannoso» è quello in cui si teme che si produca
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
il pregiudizio che l'emanazione del provvedimento d'urgenza mi
ra a scongiurare, e tale luogo è indubbiamente quello in cui risie
de il soggetto passivo (v. in tal senso Cass. 28 aprile 1987, n.
4117, id., Rep. 1987, voce cit., n. 59), per lo meno come luogo in cui si produce il maggior danno.
Nella specie, ben radicata è, quindi, la competenza di questo
giudice, essendo residente in Roma la denunciante.
B — Sulla pretesa incostituzionalità del provvedimento di ini
bizione per contrasto con l'art. 21 Cost. Secondo la difesa della
resistente R.C.S. Rizzoli periodici s.p.a., il provvedimento emes
so in questa sede sarebbe inammissibile, alla stregua delle norme
costituzionali vigenti, risolvendosi in una forma di sequestro e
di censura preventiva della stampa. La doglianza non ha fondamento giuridico. Va rilevato, infat
ti, che non di sequestro si è trattato, ma di semplice inibizione
di un determinato comportamento, ritenuto lesivo dei diritti della
personalità della ricorrente, inibitoria civile costituente provvedi mento atipico ex art. 700 c.p.c., diverso dal sequestro, e inteso
ad evitate il pregiudizio che la pubblicazione avrebbe arrecato
ai diritti altrui: intervento giudiziale, questo, ben consentito dalla
normativa vigente (indipendentemente dalla esistenza di un rea
to), anche alla luce della interpretazione giurisprudenziale della
Suprema corte (v. Cass. 27 maggio 1975, n. 2129, id., 1976, I,
2895). Confermando l'orientamento già espresso da questo stesso uf
ficio (v. ord. 17 luglio 1986, in causa Ferraino + 1 c. Espresso,
giud. est. Giuliani), giova precisare che, se è pur vero che attra
verso lo strumento dell'art. 700 c.p.c. non possono essere dispo
ste misure vietate da altre norme dell'ordinamento, soprattutto
se di rango costituzionale (art. 21, 3° comma, Cost.), come ha
statuito la Corte costituzionale con la sentenza 9 luglio 1970, n.
122 (id., 1971, I, 28), altrettanto vero che tutto ciò non può esse
re riferito al sequestro in senso proprio, inteso come ablazione,
in forza di un provvedimento coercitivo di carattere reale, di una
manifestazione del pensiero già in circolazione (o che sta per es
servi posta) attraverso l'apprensione fisica di un corpus mechani
cum che la contiene, laddove l'inibitoria corrisponde semplicemente ad un divieto individualizzato e specificato ad personam di com
piere «atti futuri» (come si afferma in dottrina) che integrino
l'astratta fattispecie illecita prevista da una norma, la cui cogenza
viene cosi ribadita.
Nessuna violazione, quindi, del precetto costituzionale può con
figurarsi, oltre che nel caso esaminato dalla sentenza della Corte
costituzionale 12 aprile 1973, n. 38 (id., 1973, I, 1707, relativa
all'ipotesi di materiali che, pur destinati alla pubblicazione, non
siano stati ancora stampati), in tutti i casi in cui vengano emessi
provvedimenti atipici ex art. 700 cit., diversi dal sequestro, intesi
ad evitare, a far cessare temporaneamente o a contenere il pre
giudizio che la pubblicazione arreca ai diritti altrui (v. Cass. 27
maggio 1975, n. 2129, cit.), soprattutto quando si tratti della tu
tela dei diritti della personalità rientranti in quelli inviolabili che
la Costituzione salvaguarda, per i quali rimedio di elezione è l'ap
plicazione dell'art. 700 c.p.c., la quale, come ha riconosciuto la
stessa Corte costituzionale nella sopra richiamata sent. 38/73, non
può certamente «identificarsi con l'esercizio di un'attività di
censura».
Nella specie, pertanto, il provvedimento inibitorio emesso con
decreto del 16 gennaio 1987, e sorretto da adeguata motivazione,
lungi dal costituire un intervento di censura, non trova alcuna
preclusione neppure nell'art. 21, 3° comma, Cost., dettato esclu
sivamente per la disciplina del sequestro, trattandosi di provvedi mento «diverso» dal sequestro, incidente su materiale destinato
alla pubblicazione, ma non ancora pubblicato, e diretto a scon
giurare temporaneamente il pregiudizio lamentato dalla ricorrente.
C — Nel merito. La tutela del diritto, all'immagine e alla riser
vatezza è stata bene invocata nella fattispecie. La normativa vigente in tema di abuso dell'immagine altrui
è assai rigorosa nel dare rilevanza alla volontà del soggetto. Deci
siva è la disciplina dettata dall'art. 10 c.c., che tutela il diritto
all'immagine, considerato una delle manifestazioni positive del
diritto alla riservatezza, nonché dagli art. 96 e 97 1. 22 aprile
1941 n. 633. In linea generale, infatti, il ritratto di una persona
non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza
il consenso di questa. È pacifico, invero, il principio della dispo
nibilità e commerciabilità del diritto all'immagine, con riferimen
to, però, al singolo ritratto, non all'immagine in sé, alle sembianze
che sono attributo inalienabile della persona.
Il Foro Italiano — 1988.
Sono previste, bensì' (art. 97 1. cit.), alcune eccezioni alla regola
della rilevanza della volontà, ove ricorrano particolari ragioni giu
stificative della riproduzione dell'immagine, tra cui la notorietà
della persona ritratta. Ma, come è stato già affermato dalla giuris
prudenza di questa stessa pretura (v. ord. 15 luglio 1986, cit.), anche le persone che godono di notorietà conservano integro il
diritto alla proria immagine e alla riservatezza e possono sempre farlo valere limitatamente e relativamente a quella sfera di inte
ressi e di attività personali che nulla hanno a che vedere con le
esigenze pubbliche di informazione, in quanto estranee ai motivi,
ai fatti e agli avvenimenti che hanno determinato la notorietà.
Possono perciò reagire contro tutti gli atti che violano il riserbo
e in particolare contro quelli diretti alla acquisizione e/o diffusio
ne delle notizie c.d. «private», non potendo negarsi la legittima
esigenza di riservatezza e di tutela dell'intimità della vita privata anche nei confronti di quei soggetti che hanno fatto scelta di vita
pubblica. Non per nulla è configurata dalla dottrina, con riferi
mento all'acquisizione e divulgazione dei dati relativi ad una per
sona, anche nel settore dell'informatica, l'esistenza di un «nucleo
duro» della riservatezza, generalmente individuato, in base ad un
criterio contenutistico, nelle vicende più intime (sentimentali, ses
suali, sanitarie) del soggetto, e si parla, altresì, di una invalicabile
«sfera di segreto» con riferimento alla esistenza di una zona di
rispetto valevole per tutti (almeno nell'attuale situazione normati
va e di costume, vigente in Italia), che impone la tutela rigorosa
dell'immagine e della riservatezza contro ogni rivelazione di dati
essenziali e strettamente inerenti alla persona (come, appunto, quelli
concernenti l'aspetto sanitario, la condotta sessuale, ecc.), e ciò — è bene rilevarlo, come connotazione di carattere storico-positivo — a differenza di quanto avviene in altri Stati, dove rivelazioni
scandalistiche di giornalisti di pochi scrupoli possono distruggere
una reputazione senza trovare adeguati rimedi preventivi o san
zionatori (è di ieri la vicenda di un noto uomo politico america
no, «bruciato» nella sua corsa alla «casa bianca» da pettegolezzi
della stampa su una sua relazione extraconiugale).
Dopo siffatta premessa d'ordine sistematico, è agevole consta
tare, nella specie, che a tale sfera di intimità e di segreto si riferi
vano, certamente, sia le foto — ricordo che ritraevano la Marzotto
con Guttuso in atteggiamento affettuoso e confidenziale, eseguite
su commissione e pagate (giusta le affermazioni della ricorrente,
che sembrano trovare sufficiente supporto probatorio nelle, pur
sommarie, acquisizioni istruttorie: teste Graziella Bontempo) —
sia le fotografie dei quadri e dei disegni riproducenti le riconosci
bili sembianze della Marzotto, come modella, poiché il tutto rap
presentava con palmare evidenza il sodalizio artistico-sentimentale
ed i rapporti di intimità fra i due, e cioè una storia esistenziale
che sino ad allora era rimasta gelosamente circondata da estremo
riserbo. Ed è significativo, al riguardo, il fatto che le riproduzio ni dei quadri siano state giudicate più o meno «scaborose» (e
cioè intime) dallo stesso direttore della rivista «Oggi», Paolo Oc
chipinti. La notorietà, pertanto, della Marzotto non poteva valere come
scriminante per la pubblicazione della sua immagine, senza (anzi,
contro) la sua volontà, date le particolari circostanze del caso.
Si trattava, invero, di fatti attinenti alla sfera intima della perso
nalità, lontani da quelli per cui la stessa Marzotto aveva acquisito
la notorietà. Se essa, infatti, era ben nota nell'ambito dei circoli
e salotti mondani ove primeggia, la sua relazione con Guttuso
non era ancora divenuta di pubblico dominio: durante tutto il
lungo periodo del sodalizio artistico e amoroso della ricorrente
con il pittore non era mai stato pubblicato alcun servizio giorna
listico sulla loro vicenda personale, per espressa determinazione
di entrambi.
Se dunque viene in rilievo, ai fini della liceità della divulgazio
ne delle immagini, solo la volontà dell'interessata, è da escludere
che vi sia stato, comunque, nella specie, un consenso della Mar
zotto alla pubblicazione del servizio fotografico di cui tratasi,
ché anzi tale consenso è stato espressamente negato in più circo
stanze.
Anche se l'istruttoria ha escluso che vi sia stata una introduzio
ne abusiva e fraudolenta del fotografo Granata nella parte più
riservata della casa della ricorrente (invero, i due si conoscevano
da molto tempo ed erano in ottimi rapporti, avendo spesso il
Granata prestato la sua opera per la Marzotto, e nulla è risultato
di preciso circa la capziosa strumentalizzazione della disponibilità
della domestica), ed anche se è verosimile che le parti siano in
corse in equivoco circa i limiti entro i quali la ricorrente aveva
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3475 PARTE PRIMA 3476
concesso al Granata la facoltà di fotografare i quadri (alcuni sol
tanto, espressamente indicati, o tutti quelli arredanti la casa a
descrizione del fotografo), ed ancora, pur se fosse configurabile
(come ipotizza la stessa difesa della società resistente nelle note
autorizzate) un mutamento nell'atteggiamento della ricorrente, la
quale, dopo aver dato il suo incondizionato consenso, lo avrebbe
poi ritirato per motivi di opportunità in relazione alla imminenza
della scomparsa di Guttuso, doveva tenersi conto, comunque, di
tale atteggiamento finale, implicante revoca di ogni eventuale pre cedente autorizzazione, limitata o no che fosse a determinati qua dri (e sulla revocabilità del consenso, in siffatta materia, nessun
dubbio può sussistere). Sta di fatto, invero (e le risultanze istruttorie sono chiarissime
in proposito) che la Marzotto, ribadendo il contenuto del telex
già inviato dal legale, espresse tempestivamente un tassativo di
vieto alla pubblicazione di un servizio relativo alla sua storia con
Guttuso mentre il maestro stava morendo, tanto che lo stesso
giornalista Carassiti fece addirittura un immediato tentativo tele
fonico con la redazione di Milano per bloccare l'uscita del pezzo. E per le considerazioni sopra esposte (cioè per il carattere inti
mo delle foto, rivelatore della relazione con Guttuso) doveva rite
nersi ben giustificato — dato anche il particolare momento: si
annunciava come prossima la fine di Guttuso, avvenuta, infatti,
dopo pochi giorni — il rifiuto manifestato categoricamente dalla
Marzotto, prima della pubblicazione su «Oggi», alla effettuazio
ne di qualunque servizio incentrato sulla propria vicenda con Gut
tuso, avente ad oggetto i quadri del pittore esistenti nella propria
casa, soprattutto quelli che non erano nemmeno offerti alla vista
dei frequentatori della casa, essendo custoditi nella camera blin
data (per ovvie esigenze di sicurezza e riservatezza). Il perentorio divieto finale (comunque tempestivo, perché già
manifestato con telex del legale) era sufficiente a conferire carat
tere di illiceità alla programmata pubblicazione del servizio foto
grafico sulla rivista, e ciò avrebbe dovuto indurre sia il fotografo sia la casa editrice a bloccare in ogni caso la diffusione (interdet ta e bloccata solo con il provvedimento giudiziale della cui con
ferma, revoca o modifica si discute in questa sede), mentre, in
precedenza, nonostante le proteste della Marzotto, riportate an
che dal giornalista Carassiti, il direttore del settimanale non si
era peritato di operare una selezione discrezionale delle foto pub
blicabili, sulla base di una valutazione soggettiva del carattere
delle immagini, laddove occorre, come sopra si è rilevato, il con
senso della persona interessata — cui spetta la scelta — e per
ogni singola immagine da pubblicare. A nulla rivela, in contrario, l'atteggiamento soggettivo del fo
tografo nello scattare le foto di cui trattasi (l'eventuale compor tamento doloso o colposo può interessare in sede eventuale di
riconoscimento dei danni), come non rileva l'opinione dello stes
so di agire nell'interesse pubblico dell'informazione, tanto più che
non può ritenersi prevalente, nel caso concreto, l'intento infor
mativo (almeno per quanto riguarda il servizio fotografico che
corredava il testo scritto dell'articolo, a firma del Carassiti).
E, al riguardo, non è inutile osservare che non può darsi per scontato che il privato debba in ogni caso soccombere di fronte
a chi pretende di far valere un interesse pubblico (nella specie,
all'informazione), deducendo di avere agito per la soddisfazione
di un interesse non proprio, ma della collettività: concetto, que sto, che non appare neppure conforme all'attuale assetto politi
co, avente come valori fondamentali, fra gli altri, le garanzie per la libertà e gli averi (intesi anche come patrimonio ideale che cir
conda l'individuo e che si compendia nella integrità e inviolabili
tà della persona nei suoi attributi essenziali), del singolo cittadino
nei confronti dei portatori di pubblici interessi (e cioè dei pubbli ci poteri, in genere, compresi i poteri della stampa, di indubbia
e incisiva rilevanza, se è vero che essa è comunemente qualificata come quarto potere, accanto a quelli tradizionali).
Sacrificare aprioristicamente i diritti dei singoli al Moloc del
l'interesse pubblico (vero o presunto, spesso malamente inteso) è altrettanto ingiusto che trascurare del tutto la valutazione del
l'interesse collettivo, senza un tentativo, almeno, di bilanciamen
to degli opposti interessi, pur nella difficoltà di un adeguato
contemperamento.
E, nella valutazione comparativa delle contrapposte posizioni delle parti, non può farsi a meno di rilevare che non viene qui in considerazione la titolarità del diritto di riproduzione e di uti
lizzazione economica delle fotografie in contestazione, ma il di
ritto personalissimo alla tutela dell'immagine e della riservatezza,
Il Foro Italiano — 1988.
che non può essere pregiudicato, oltre che da considerazioni non
pertinenti su speciosi interessi pubblici, da questioni di carattere
economico in ordine allo sfruttamento delle immagini (e, infatti, l'art. 88, 1° comma, legge sul diritto d'autore, nel!'attribuire al
fotografo il diritto esclusivo di riproduzione, diffusione e spaccio della fotografia, fa salve le disposizioni stabilite dalla sez. II del
capo VI dello stesso titolo, per ciò che riguarda il ritratto: art.
96-98) e non può dubitarsi — contrariamente a quanto opinano i resistenti — che titolare del diritto all'immagine sia la Marzot
to, anche in ordine alle foto-ricordo, richieste e pagate da Guttu
so, ma che riproducono, tuttavia, anche le di lei sembianze.
Non è infine rilevante, in questa sede, il fatto che successiva
mente la relazione tra l'artista e la modella sia divenuta oggetto di clamorose rivelazioni e pubblicazioni su altri giornali e riviste, anche a contenuto scandalistico. Rimane la illiceità di una pub blicazione non consentita dall'interessata (a prescindere da ogni attentato all'onore, alla reputazione o al decoro), essendo il con
senso, come si è visto, l'unica scriminante ammissibile nel caso
concreto, senza che possa tenersi conto di eventuali abusi nel frat
tempo commessi da terzi, perseguiti in via giudiziale oppure no,
potendo l'interessato — per il principio, sopra evidenziato, della
disponibilità del diritto all'immagine — consentire o tollerare de
terminate immagini e altre no.
E persiste ancora la minaccia di pregiudizio irreparabile, in re
lazione alla natura del diritto esposto a pericolo (per la probabili tà di pubblicazione dell'inserto non distribuito), diritto
personalissimo all'immagine e, in senso più ampio, alla riserva
tezza, la cui violazione non sarebbe certo suscettibile di idonea
riparazione in forma specifica o per equivalente. Il pregiudizio è insito nella stessa pubblicazione abusiva di im
magini non autorizzate, perché lesiva di un diritto della personalità.
Va, perciò, confermato il provvedimento immediato emesso con
decreto.
Peraltro, alla stregua delle valutazioni espresse, in sede di in
terrogatorio non formale, dalla stessa ricorrente (la quale ha mo
strato di ritenere il proprio interesse, limitato alle fotografie che
corredavano l'articolo destinato alla pubblicazione nel noto in
serto non distribuito), va precisato che la inibitoria concerne esclu
sivamente le foto di detto inserto e non anche le altre fotografie realizzate dal Granata esibite dalla Rizzoli.
PRETURA DI FOGGIA; sentenza 17 aprile 1987; Giud. Cea; D'Antonio (Avv. De Perna) c. Graziano (Avv. Di Biase).
PRETURA DI FOGGIA;
Spese giudiziali — Convalida di sfratto — Opposizione — Acco
glimento della domanda emendata — Condanna alle spese del
l'attore (Cod. proc. civ., art. 91, 92).
Deve essere condannato alle spese di lite a favore del convenuto
l'attore che emenda la domanda di convalida di sfratto aderen
do alle eccezioni del convenuto (nella specie, l'attore ha modi
ficato la data di scadenza indicandone una futura e sulla base
di ciò ottenuto il provvedimento di rilascio). (1)
(1) È opportuno riportare per sommi capi i passaggi salienti della mo tivazione: a) nelle azioni di mero accertamento o di accertamento costitu tivo il convenuto è condannato alle spese solo se questi abbia sollevato infondate eccezioni; b) la parte vittoriosa non ha diritto alle spese quan do il ricorso alla tutela giurisdizionale risponda ad un interesse esclusivo
dell'attore; c) la parte totalmente vittoriosa è quella la cui impostazione difensiva sia risultata pienamente giustificata in ogni suo aspetto.
Le tre affermazioni suddette corrispondono alle enunciazioni di princi pio affermate dalla Cassazione sull'art. 91 c.p.c.
Sub a), v. Cass. 17 aprile 1980, n. 2512, Foro it., Rep. 1980, voce
Spese giudiziali, n. 10, e in Giust. civ., 1980, I, 1749, in tema di deliba zione di sentenza straniera; 29 marzo 1979, n. 1808, Foro it., Rep. 1979, voce cit., n. 10; 19 luglio 1974, n. 2178, id., Rep. 1974, voce cit., n.
16; 18 giugno 1969, n. 2518, id., Rep. 1969, voce cit., n. 56; 28 gennaio 1966, n. 325, id., 1966, I, 648, con nota di richiami; 10 luglio 1964, n. 1822, id., Rep. 1964, voce Servitù n. 93; 13 ottobre 1959, n. 2806, id., Rep. 1959, voce Spese giudiziali, n. 7; cui adde, in tema di divisione
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