sentenza 1° luglio 1992, n. 308 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 15 luglio 1992, n. 30);Pres. Corasaniti, Est. Granata; Danzi; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Trib. Potenza 22 aprile1991 (G.U., 1 a s.s., n. 4 del 1992)Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1992), pp. 2913/2914-2923/2924Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186994 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cui dispone chi intende promuovere l'azione, controllo che, se
si tratta di minore infrasedicenne, dovrà poi estendersi alla ri
spondenza dell'azione all'interesse del figlio. 5. - La questione è inammissibile anche sotto i profili indicati
sub b) e d). La determinazione del giudice competente è una scelta insin
dacabile del legislatore, salvo il principio di ragionevolezza. L'at
tribuzione della competenza al tribunale ordinario nei casi pre visti dall'art. 244, ultimo comma, anziché al tribunale dei mi
norenni, non può dirsi irragionevole, né si possono desumere
ragioni in contrario dal paragone con l'art. 274. Mentre l'azio
ne di reclamo della filiazione naturale coinvolge soltanto il rap porto tra il minore e il preteso genitore, invece l'azione di di
sconoscimento della paternità coinvolge anche i rapporti dei ge nitori legittimi tra loro, nonché l'interesse generale al
mantenimento dell'unità della famiglia legittima, e ciò spiega la conservazione della competenza del tribunale ordinario pur
quando l'azione è esercitata dal rappresentante di un minore. 6. - Anche ammesso che la rilevanza dell'ultima questione,
di cui al punto 1, sub d), sia sufficientemente giustificata dal
rilievo che da essa dipende il diritto del preteso padre naturale
di intervenire nel processo di reclamo pendente davanti al giudi ce a quo, se ne deve dichiarare l'inammissibilità in quanto ten
de, essa pure, a una sentenza invasiva delle prerogative riserva te al legislatore.
Tale è la determinazione dei soggetti legittimati a proporre l'azione di disconoscimento della paternità. La novella del 1975
ha concesso maggiore spazio alla ricerca della «verità biologi
ca», quando sussistano indizi seri di difformità dalla «verità
legale» stabilita dalle presunzioni degli art. 231 e 232 c.c., ma ha riservato ai soli soggetti direttamente interessati, cioè ai mem
bri della famiglia legittima, il potere di decidere circa la preva lenza dell'una o dell'altra verità. L'equilibrio tra la verità lega
le, ordinata all'interesse di conservazione dell'unità della fami
glia legittima tutelata dall'art. 29 Cost., e la verità biologica, verso la quale è orientato l'art. 30, con le riserve però previste nel 2° comma (sul quale si fonda l'istituto dell'adozione legitti
mante) e nell'ultimo, è stato nuovamente modificato, in favore
della seconda, dalla 1. n. 184 del 1983, che ha ammesso in so
stanza la promozione dell'azione di disconoscimento della pa ternità per iniziativa del pubblico ministero, fino a quando il
figlio non abbia compiuto i sedici anni (cfr. sentenza n. 134
del 1985, id., 1985, I, 1905). Tuttavia, l'innovazione è rimasta
formalmente nei limiti del criterio di determinazione dei sogget ti titolari dell'azione assunto dalla 1. n. 151 del 1975, posto che
nella nuova ipotesi l'azione non è esercitata dal pubblico mini
stero, ma pur sempre, in nome e nell'interesse del figlio, da
un curatore speciale. Una innovazione, che attribuisse direttamente la legittimazio
ne ad agire a soggetti privati estranei alla famiglia legittima,
rappresenterebbe la scelta di un criterio diverso, legato a una
ulteriore evoluzione della coscienza collettiva, che solo il legisla tore può compiere. Si aggiunga che una simile innovazione do
vrebbe essere accompagnata dalla fissazione di nuovi termini
di decadenza dall'azione e dalla predisposizione di cautele pro cessuali destinate a preservare la famiglia legittima da interfe
renze arbitrarie e vessatorie.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 244, ultimo comma, c.c., nel testo sosti
tuito dall'art. 81 1. 4 maggio 1983 n. 184 (disciplina dell'adozio
ne e dell'affidamento dei minori) — sollevata, in riferimento
agli art. 3 e 30 Cost., dalla Corte d'appello di Lecce con l'ordi
nanza indicata in epigrafe — relativamente al capo sopra indi
cato al n. 1, sub lettera a); dichiara inammissibile, relativamen
te ai capi sub lettere b), c) e d), la medesima questione, solleva
ta, in riferimento agli art. 3 e 30 Cost., dalla Corte d'appello di Lecce con la stessa ordinanza.
Il Foro Italiano — 1992.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 1° luglio 1992, n. 308
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 15 luglio 1992, n. 30); Pres. Corasaniti, Est. Granata; Danzi; interv. Pres. cons,
ministri. Ord. Trib. Potenza 22 aprile 1991 (G.U., la s.s., n. 4 del 1992).
Stupefacenti e sostanze psicotrope — Detenzione per uso perso nale — Dose media giornaliera — Criteri di determinazione — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3; d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, t.u. delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, art. 73).
Stupefacenti e sostanze psicotrope — Detenzione per uso perso nale in misura superiore alla dose media giornaliera — Reato — Mancanza di indizi di pericolosità sociale — Irrilevanza — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 32; d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, art. 73).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
73 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, corrispondente all'art. 71
l. 22 dicembre 1975 n. 685, come modificato dalla l. 26 giu
gno 1990 n. 162, nella parte in cui, in ipotesi di detenzione di sostanza stupefacente per uso personale, fonda il discrimi ne del fatto penalmente rilevante sul criterio della dose media
giornaliera determinata in base ai quantitativi massimi di prin
cipio attivo fissati con d.m. sanità 12 luglio 1990 n. 186 e
non già della dose abituale giornaliera di ciascun singolo as
suntore, in riferimento all'art. 3 Cost. (1) È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
73 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, corrispondente all'art. 71
I. 22 dicembre 1975 n. 685, come modificato dalla I. 26 giu
gno 1990 n. 162, nella parte in cui sanziona penalmente la
detenzione per uso personale di sostanza stupefacente in mi
sura superiore alla dose media giornaliera anche in mancanza
di indizi di pericolosità sociale nel detentore, in riferimento all'art. 32 Cost. (2)
(1-5) I. - Con le pronunce in epigrafe la Corte costituzionale respinge le ulteriori eccezioni di incostituzionalità sollevate nei confronti della nuova legge antidroga sulla base delle argomentazioni già sviluppate nella precedente pronuncia 333/91 (Foro it., 1991, I, 2628, con note redazionale di Giorgio e critica di Fiandaca). La corte peraltro, me more del monito ciceroniano (summum ius, summa inìuria), prospetta ancora una volta correttivi interpretativi diretti a prevenire ingiustificati rigorismi sanzionatori nei confronti di detentori (solo) per uso persona le di droga, quantitativamente superiore alla dose media giornaliera (in proposito, cfr. le osservazioni di Fiandaca sub § 6 e 7 della nota cit.). Infatti, viene ribadito che il giudice: a) deve accertare che l'agente sia
consapevole di detenere (per uso personale) una quantità totale di dro
ga con principio attivo superiore a quello tabellare; ti) valutare in bo nam partem, ai sensi degli art. 132 e 133 c.p., l'inequivoca destinazione al proprio consumo di un quantitativo non modesto di droga (cfr. sub
§ 9 della motivazione della pronuncia sub II), dovendo anzi escludere la punibilità di chi, in avanzato stato di tossicodipendenza, sia dedito ad assunzioni singole (anche ripetute nel corso della stessa giornata) superiori alla soglia della dose media giornaliera (cfr. sub § 4 della motivazione della pronuncia sub I, che evidenzia anche la non persegui bilità del consumatore di droga colto nella flagrante assunzione di una dose maggiore di quella tabellata).
II. - Anche l'art. 90 d.p.r. 309/90 (su cui cfr. Cass. 17 gennaio 1991, De Rosa, ibid., II, 201) supera indenne il giudizio di costituzionalità. Al momento dell'adozione delle sentenze in epigrafe, la norma in que stione prevedeva la possibilità per il condannato a tre anni di reclusione
(o a quattro, se irrogata ex art. 73, 5° comma, d.p.r. cit.) di chiedere al competente tribunale di sorveglianza la sospensione per un quinquen nio dell'esecuzione della pena, purché dimostrasse di avere in corso o di aver effettuato un programma terapeutico e socio-riabilitativo, se condo l'iter procedurale di cui all'art. 91 d.p.r. cit.
A dire della corte, non vi è alcuna discriminazione nei confronti del
«tossicofilo-non tossicodipendente», il quale non beneficia della misura
premiale de qua, al più per la sua (libera) scelta di perseverare nel con
sumo di droga, potendo, comunque (in astratto), fruire della sospensio ne condizionale della pena.
Per la verità, non da oggi in dottrina ha suscitato perplessità la spe ciale ipotesi di affidamento in prova (di notevole favore) prevista nei confronti dei condannati tossicodipendenti (cfr. per l'art. 4 ter 1. 21
giugno 1985 n. 297, con cui venne introdotto ex novo un peculiare regi me poi modificato dall'art. 90 cit., le osservazioni di Fassone, in Legis lazione pen., 1986, 77 ss.).
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2915 PARTE PRIMA 2916
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 27 marzo 1992, n. 133
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 8 aprile 1992, n. 15); Pres. Corasaniti, Est. Granata; Bizzarri ed altri; interv. Pres.
cons, ministri. Orci. Trib. Roma 12 e 13 marzo 1991, G.i.p. Trib. Camerino 11 febbraio 1991, G.i.p. Trib. Roma 11 apri le 1991, Trib. Torino 23 aprile 1991, Trib. Sassari 31 maggio
1991, G.i.p. Trib. Campobasso 11 aprile 1991, G.i.p. Trib.
Crotone 24 aprile 1991 (G.U., la s.s., nn. 17, 18, 23, 27,
33, 40 del 1991).
Stupefacenti e sostanze psicotrope — Droghe leggere o consu
mo occasionale — Droghe pesanti o consumo abituale — Trat
tamento punitivo — Questione infondata di costituzionalità
(Cost., art. 3; d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, art. 90).
Stupefacenti e sostanze psicotrope — Detenzione penalmente rilevante — Criteri di determinazione — Questione infondata
di costituzionalità (Cost., art. 27; d.p.r. 9 ottobre 1990 n.
309, art. 73, 75, 78). Stupefacenti e sostanze psicotrope — Detenzione di sostanze
in misura superiore alla dose media giornaliera — Questioni manifestamente infondate di costituzionalità (Cost., art. 3,
13, 25; d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, art. 73, 75, 78).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
90 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, nella parte in cui prevede un pari trattamento penale per l'ipotesi di uso di droghe leg
gere o di consumo occasionale e per quella di droghe pesanti o di consumo abituale e l'applicazione solo a quest'ultima della sospensione dell'esecuzione della pena detentiva per l'at
tuazione di un programma terapeutico o socio-riabilitativo, in riferimento all'art. 3 Cost. (3)
È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.
73, 75, 78 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, nella parte in cui
prevedono che il discrimine quantitativo della detenzione di
stupefacenti penalmente rilevante sia correlato, non alle con
dizioni personali di necessità quotidiana di droga, ma ad una
misura rigidamente predeterminata in via generale e non su
scettibile di adattamento al caso concreto, in riferimento al
l'art. 27, 1° e 3° comma, Cost. (4) Sono manifestamente infondate, in quanto già decise, le que
stioni di legittimità costituzionale degli art. 73, 75, 78 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, nella parte in cui:
a) prevedono una presunzione assoluta di spaccio di sostanze
stupefacenti nel caso di detenzione in misura superiore alla
dose media giornaliera, in riferimento all'art. 3 Cost.;
b) stabiliscono, in caso di detenzione di sostanze stupefacenti in misura superiore alla dose media giornaliera, la stessa pena sia per lo spacciatore che ha ceduto la droga sia per il tossico
dipendente o il tossicofilo che l'ha consumata, in riferimento all'art. 3 Cost.;
c) sanzionano la detenzione di sostanze stupefacenti desti
D'altronde, il legislatore manifesta una persistente fiducia nel varo di regole normative privilegiate per soggetti tossicodipendenti: cosi, se condo l'art. 6 d.l. 12 settembre 1992 n. 374, Le leggi, 1992, I, 3237
(come già il decaduto art. 6 d.l. 13 luglio 1992 n. 335), dev'essere scar cerato il tossicodipendente sottoposto a custodia cautelare in carcere
(ma non per un delitto previsto dall'art. 275, 3° comma, c.p.p.), che
provi documentalmente di poter essere ospitato presso una struttura residenziale autorizzata per lo svolgimento di un programma di recupero.
La fruizione di tale diritto può essere negata solo nel caso di esigenze cautelari «di eccezionale rilevanza», ossia in ipotesi di pericolosità so ciale — ex art. 274, 1° comma, lett. c) — particolarmente accentuata. Del resto, l'ambito di applicabilità dell'art. 90 cit. è stato esteso dal l'art. 7 d.l. 374/92: della sospensione dell'esecuzione della pena detenti va possono ora fruire quanti siano stati condannati o, comunque, deb bano ancora scontare quattro anni di reclusione o per reati commessi in relazione al loro stato di tossicodipendenza o perché ritenuti colpevo li ex art. 73, 5° comma, d.p.r. cit.
In ultima analisi, il legislatore sembra uniformare il suo intervento in tema di repressione della tossicodipendenza alla formula del more
of the same: da una parte, più carcere e, dall'altra, più clemenzialismo
(in proposito, cfr. le osservazioni critiche di Pallerò, Metodologie «de
lege ferendo»: per una riforma non improbabile del sistema sanzionato
rio, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1992, 510 ss., spec. 537-538).
Il Foro Italiano — 1992.
nata al consumo o il caso di effettivo consumo delle stesse
in quantità superiore alla dose media giornaliera, in riferi mento agli art. 13 e 25, 2° comma, Cost.;
d) demandano ad un decreto del ministro della sanità la deter
minazione dei limiti quantitativi massimi di principio attivo
per le dosi medie giornaliere, in riferimento all'art. 25, 2°
comma, Cost.;
e) determinano la dose media giornaliera in maniera tassativa
mente tabellata, in riferimento agli agli art. 3 e 25, 2° com
ma, Cost.;
f) non tengono conto, nel sanzionare il caso di detenzione di
sostanze stupefacenti in misura superiore alla dose media gior naliera, né della maggiore o minore efficacia stupefacente della
sostanza secondo il modo di assunzione, né del grado di tolle
ranza del soggetto assuntore, in riferimento all'art. 3 Cost. (5)
I
Diritto. — 1. - È stata sollevata questione di costituzionalità
dell'art. 73 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309 (testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotro
pe), corrispondente all'art. 71 1. 22 dicembre 1975 n. 685, come
modificato dalla 1. 26 giugno 1990 n. 162, nella parte in cui — in ipotesi di detenzione per uso personale — fonda il discri mine del fatto penalmente rilevante sul criterio della dose media
giornaliera di sostanza stupefacente determinata in base ai quan titativi massimi di principio attivo fissati con decreto del mini
stro della sanità 12 luglio 1990 n. 186 (art. 75 e 78 d.p.r. 309/91,
cit.), e non già della dose abituale giornaliera di ciascun singolo
assuntore, per sospetta violazione del principio di eguaglianza
(art. 3 Cost.) sia per il diverso, più gravoso, trattamento riser
vato al tossicodipendente consumatore di elevati quantitativi gior nalieri di sostanza stupefacente rispetto a quello del tossicofilo
assuntore di più ridotte dosi giornaliere della stessa, sia per la
disparità conseguente all'imponderabile percentuale di sostanza
da taglio alla quale è mescolato il principio attivo della sostanza
stupefacente nell'illecito commercio al minuto.
Ulteriore questione di costituzionalità — in riferimento al
l'art. 32 Cost. — ha investito la medesima norma (art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990) nella parte in cui sanziona penalmente la deten
zione per uso personale di sostanza stupefacente in misura su
periore alla d.m.g. (come sopra determinata) anche in mancan za di indizi di pericolosità sociale nel detentore per sospetta le
sione del diritto alla salute.
2. - In via preliminare non può essere accolta la richiesta del
l'avvocatura generale dello Stato di restituzione degli atti per ius superveniens atteso che — come già questa corte ha rilevato
nella sentenza n. 133 del 1992 (Foro it., 1992, I, 2915) — le modifiche introdotte con il d.l. 8 agosto 1991 n. 247, convertito
nella 1. 5 ottobre 1991 n. 314, hanno riguardato la disciplina dell'arresto in flagranza e quindi non incidono sugli aspetti so
stanziali della normativa sulle sostanze stupefacenti alla quale si riferisce l'ordinanza del tribunale rimettente.
III. - In dottrina, sulla sentenza 333/91 della Corte costituzionale
(oltre che Fiandaca nella nota cit.), cfr. Palazzo, Dogmatica ed empi ria nelle questioni di costituzionalità della legge antidroga, in Riv. it. dir. eproc. pen., 1992, 308 ss.; nonché (criticamente) Sorgi, La senten za 333/91 della Corte costituzionale, in Critica del diritto, 1991, fase.
5, 33 ss.; Manna, L'attuale politica criminale sulla droga, in Dei delitti e delle pene, 1991, fase. 3, 99 ss., spec. 126 ss.; Cascini - Pesci, La
legge sulle droghe e la Corte costituzionale, in Questione giustizia, 1991, 519 ss.
IV. - Sulla nuova legislazione antidroga, oltre agli autori già citati nella nota cit. di Giorgio ed in nota a Cass. 27 settembre 1991, Foro
it., 1992, II, 73, cfr., da ultimo, AA.VV., La riforma della legislazione penale in materia di stupefacenti a cura di Insolera - Bricola, Pado
va, 1991 e Amato, Droga ed attività di polizia, Roma, 1992. V. - Per la disapplicazione del d.m. sanità 12 luglio 1990 n. 186 (Le
leggi, 1990, I, 1324), con cui ex art. 78 d.p.r. 309/90 sono state deter minate le tabelle di determinazione della dose media giornaliera per ciascuna sostanza stupefacente, cfr. Trib. Roma, ord. 22 novembre 1991, in questo fascicolo, II, 648, con nota di richiami.
VI. - Va, infine, segnalato che la Corte costituzionale dovrà pronun ciarsi sulla legittimità costituzionale degli art. 75 e 76 d.p.r. 309/90 a seguito delle eccezioni mosse da Pret. Roma, ord. 16 maggio 1992, G.U., la s.s., 37/92 e da Pret. Padova, ord. 16 giugno 1992, G.U., la s.s., 39/92; nonché sulla questione di costituzionalità sollevata in relazione all'art. 73 d.p.r. cit. da Trib. Roma, ord. 21 maggio 1992 ed ord. 22 maggio 1992, G.U., la s.s. 40/92. [G. Giorgio]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
3. - Nel merito, la prima questione di costituzionalità non
è fondata.
Va premesso che il tribunale rimettente parte dal presupposto che in ipotesi di detenzione di sostanze stupefacenti per uso per sonale lo scrimine tra la condotta sanzionata penalmente e quella rilevante soltanto sul piano delle sanzioni amministrative discende dal raffronto del quantitativo della sostanza detenuta con un
parametro medio ed oggettivo, rappresentato dalla dose media
giornaliera di principio attivo quale tabellata con decreto del
ministro della sanità (art. 78 d.p.r. 309/90, cit.). Da tale inter
pretazione della disposizione censurata questa corte non ha mo
tivo di discostarsi al fine del controllo di legittimità costituzio
nale della norma stessa.
4. - Quanto al primo profilo della denunciata disparità di
trattamento mette conto rilevare che — come già questa corte
ha posto in evidenza nelle sentenze n. 333 del 1991 (id., 1991,
I, 2628) e n. 133 del 1992 — comune all'incriminazione delle
due situazioni in comparazione (quella del tossicodipendente abi
tuale e quella dell'assuntore occasionale) e la ratio sottesa al
l'assoggettamento a sanzione penale della detenzione per uso
personale di quantità di droga superiore alla dose media giorna
liera, ratio che è quella di combattere attraverso il divieto di
accumulo (pur se finalizzato al proprio consumo «differito») il mercato della droga in entrambi i momenti in cui esso si arti
cola: per un verso, contrastando il pericolo che una parte della
sostanza detenuta possa essere ceduta a terzi; per altro verso
costringendo l'offerta a modellarsi sulla domanda indotta alla
parcellizzazione, e cosi rendendo più difficile lo spaccio. Né a diversa valutazione può indurre la circostanza di fatto,
valorizzata dall'ordinanza di rimessione ed in concreto sussi
stente nel giudizio a quo, dell'accertata abituale assunzione gior naliera da parte del singolo tossicodipendente in misura supe riore a quella media tabellata atteso che anche in tal evenienza
è riscontrabile un'eccedenza potenzialmente idonea ad essere ce
duta a terzi.
In termini diversi — va peraltro avvertito — il problema po trebbe porsi nei casi, pur marginali, in cui consumo e detenzio
ne oggettivamente si identificano nella medesima, unica condot
ta: tale è quando il soggetto è colto mentre assume uno aetu
una dose maggiore di quella tabellata ovvero quando, anche
fuori di questa ipotesi limite, si tratta di persona in stato di
tanto avanzata tossicodipendenza da essere dedito ad un'assun
zione singola (ripetuta più volte nell'arco di una giornata) di
una quantità di sostanza già di per sé sola superiore — ogni volta — alla d.m.g., cosi da risultare certo che essa versi in
una situazione per la quale non può consumare se non detenen
do, anche per il consumo immediato unitario, una quantità su
periore alla soglia di non punibilità. In tali casi, invero, potreb be apparire che (non la detenzione, ma) il consumo stesso ven
ga a formare oggetto della sanzione penale con la conseguente non corrispondenza della punibilità alla ratio di fondo della legge,
come sopra individuata.
5. - Né la questione di costituzionalità è fondata sotto il pro
filo che la quantità di principio attivo presente nella dose «da
strada» non è prevedibile, né conoscibile a priori (art. 3 Cost.),
censura questa che è già stata valutata e disattesa nella sentenza
n. 133 del 1992 e ancor prima nella sentenza 333 del 1991. Co
me la corte ha già considerato, il quantitativo di principio atti
vo di sostanza stupefacente, che, commisto a sostanze da ta
glio, è contenuto nelle singole dosi «da strada», costituisce un
elemento di fatto della condotta incriminata e quindi deve esse
re investito da dolo (anche eventuale) dell'agente, con riferi
mento alla consistenza della sostanza «normalmente» presente
sul mercato. Tale accertamento dell'elemento psicologico del reato
è demandato alla prudente valutazione del giudice del merito.
6. - Altresì' non fondata è la questione di costituzionalità,
riferita all'art. 32 Cost.
La censura di illegittimità costituzionale dell'irrogazione di
una sanzione penale in luogo della previsione di un trattamento
mirato alla tutela della salute dell'agente, quando in concreto
manchino indizi di pericolosità sociale, si risolve nel problema
dell'offensività della condotta incriminata, già esaminato e de
ciso nel senso della non fondatezza della relativa questione dal
le precedenti citate sentenze (n. 333 del 1991 e n. 133 del 1992),
anche con riferimento alla compatibilità (in linea di principio)
Il Foro Italiano — 1992.
con la Costituzione della configurazione di reati di pericolo pre sunto quando non sia irrazionale o arbitraria.
Verificata, quindi, la non illegittimità costituzionale dell'as soggettamento a sanzione penale della detenzione (anche per uso
personale) di sostanze stupefacenti in quantità superiore alla
d.m.g., non vi è violazione dell'art. 32 Cost, non essendo esclu
si, ma essendo anzi previsti, dalla legge trattamenti socio-sanitari
mirati al recupero del soggetto agente ed alla tutela della sua
salute. Inoltre, al fine di favorire il recupero dei tossicodipen denti è poi previsto l'istituto della sospensione dell'esecuzione
della pena inflitta (art. 90 d.p.r. 309/90, cit.), che trova appli cazione senza alcuna limitazione in ragione del tipo di sostanza
stupefacente detenuta (sent. n. 133 del 1992). Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
te le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 73 d.p.r. 9
ottobre 1990 n. 309 (testo unico delle leggi in materia di disci
plina degli stupefacenti e sostanze psicotrope), corrispondente all'art. 71 1. 22 dicembre 1975 n. 685, come modificato dalla 1. 26 giugno 1990 n. 162, sollevata in relazione agli art. 3 e
32 Cost, dal Tribunale di Potenza con l'ordinanza in epigrafe.
II
Diritto. — 1. - Va premessa la riunione dei singoli procedi menti per l'identità delle norme impugnate, e — sempre preli minarmente in rito — va confermata la trattazione in camera
di consiglio delle questioni di costituzionalità sollevate dal Tri
bunale di Roma con ordinanza del 13 marzo 1991, ancorché
in quel giudizio (relativo al procedimento penale a carico di
Bizzarri Giuseppe) vi sia stata la costituzione della parte priva
ta, atteso che — come meglio si dirà in seguito — le censure
mosse da quel giudice rimettente alla normativa impugnata so
no già state delibate nella sentenza n. 333 del 1991 di questa corte (Foro it., 1991, I, 2628).
2. - In via preliminare va poi respinta la richiesta dell'avvoca
tura dello Stato di restituzione degli atti al giudice rimettente
(richiesta formulata con riferimento all'ordinanza del G.i.p. pres so il Tribunale di Crotone) atteso che le modifiche introdotte
con il d.l. 8 agosto 1991 n. 247, convertito dalla 1. 5 ottobre
1991 n. 314, hanno riguardato la disciplina dell'arresto in fla
granza e quindi non incidono sugli aspetti sostanziali della nor
mativa sulle sostanze stupefacenti, alla quale si riferisce l'ordi
nanza del Tribunale di Crotone, nonché quelle degli altri giudi ci rimettenti.
3. - La prima delle numerose questioni di costituzionalità sol
levate, che si vengono ad esaminare separatamente, suddividen
dole secondo le norme impugnate ed i parametri costituzionali
di riferimento, ha ad oggetto gli art. 71, 72 e 72 quater 1. 22
dicembre 1975 n. 685, come modificati dalla 1. 26 giugno 1990
n. 162 (corrispondenti rispettivamente agli art. 73, 75 e 78 del
t.u. approvato con d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, norme alle
quali di seguito si farà esclusivo riferimento); tali disposizioni — secondo i giudici rimettenti (G.i.p. presso il Tribunale di
Roma, Tribunale di Torino) — violano l'art. 3 Cost, perché
prevedono un'arbitraria ed irragionevole presunzione assoluta
di spaccio di sostanze stupefacenti nel caso di detenzione in mi
sura superiore alla dose media giornaliera (di seguito d.m.g.) in quanto l'esperienza giudiziaria mostra che non è dato esclu
dere che i tossicodipendenti ricorrano all'accumulazione di so
stanze stupefacenti in quantità superiore a tale parametro per il soddisfacimento del fabbisogno quotidiano.
La questione è manifestamente infondata.
Nella sentenza n. 333 del 1991 questa corte ha già affermato
che «le incriminazioni di pericolo presunto non sono incompati bili in via di principio con il dettato costituzionale», purché non siano irrazionali od arbitrarie. Ha quindi individuato la
ratio (non arbitraria, né irragionevole) della norma incrimina
trice, che prevede come reato la detenzione di sostanze stupefa
centi per uso personale in misura superiore alla d.m.g., nell'esi
genza — conseguente ad una più rigorosa valutazione del
fenomeno-droga e dei suoi effetti — sia di rendere «estrema
mente improbabile» che il detentore possa spacciare, od anche
solo cedere a terzi, pur se in piccola parte, la sostanza detenuta,
sia di limitare l'accumulo di droga per uso personale al fine
di contrastarne l'illecito traffico, «costretto dalla parcellizzazio
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2919 PARTE PRIMA 2920
ne della domanda a moltiplicare i rivoli dell'ultima fase dello
spaccio». Tale principio, più ampiamente argomentato nella citata sen
tenza, non può che essere ribadito anche in questa sede, non
avendo i giudici rimettenti prospettato profili nuovi e diversi
rispetto a quelli già valutati da questa corte.
4. - È stata poi sollevata (dal Tribunale di Roma, dal G.i.p.
presso il Tribunale di Roma, dal Tribunale di Torino, dal G.i.p. presso il Tribunale di Campobasso, dal G.i.p. presso il Tribu
nale di Crotone) questione di costituzionalità degli art. 73, 75
e 78 del t.u. citato per contrasto con l'art. 3 Cost, sotto il profi lo della disparità di trattamento nella forma di pari trattamento
di situazioni diverse perché, in caso di detenzione di sostanze
stupefacenti in misura superiore alla d.m.g., sarebbero assog
gettati alla stessa pena sia lo spacciatore che ha ceduto la dro
ga, sia il tossicodipendente o tossicofilo che l'ha consumata.
Anche tale seconda questione è manifestamente infondata.
Ha già affermato questa corte, nella cit. sentenza 333/91, che le due fattispecie poste a raffronto (spaccio e mera deten
zione per uso personale di sostanze stupefacenti), ove aventi
ad oggetto una quantità appena superiore alla d.m.g. non sono
affatto entrambe al limite minimo della soglia di punibilità, at
teso che lo spaccio, essendo sanzionato anche se relativo a quan titativi inferiori alla d.m.g., non rappresenta la condotta di mi
nor disvalore penale destinata in linea di principio all'applica zione della pena minima, salva la possibile incidenza in concreto
della valutazione discrezionale del giudice ex art. 132 e 133 c.p. al fine della quantificazione della pena. Tale differenziazione
sul piano sanzionatorio — progressivamente più rilevante in ca
so di quantitativi che superano in misura maggiormente consi
derevole la d.m.g. — esclude la disparità di trattamento pro
spettata dai giudici rimettenti, mentre la configurazione in tal
caso di un solo reato con plurime condotte alternative non è
in sé arbitraria od irragionevole in considerazione del fatto che
«offerta (spaccio) e domanda (consumo) sono profili interagen ti di un unico fenomeno».
D'altra parte la posizione del «consumatore non spacciatore» si differenzia ulteriormente perché — come ha già affermato
questa corte — l'inequivoca destinazione all'uso personale della
droga detenuta anche in quantità «non lieve» può essere valo
rizzata dal giudice penale al fine di ritenere non di meno inte
grato il presupposto del fatto di «lieve entità», di cui al 5° com ma dell'art. 73, con conseguente applicazione delle meno severe
pene da tale disposizione previste, atteso che tra le «circostanze
dell'azione» ivi menzionate sono comprese anche le «circostan
ze soggettive» tutte, e quindi anche le finalità della condotta
tenuta dall'agente; infatti, come risulta inequivocabilmente da
gli atti parlamentari (v. soprattutto l'intervento del rappresen tante del governo, sen. Castiglione, senato della repubblica, se
duta del 12 giugno 1990), la sostituzione, nel 5° comma del
l'art. 73, dell'originario riferimento «alle circostanze inerenti alla persona del colpevole» con quello alle «circostanze dell'azione»
era stata dettata dall'esigenza di ampliare (e non già di restrin
gere) la rilevanza delle circostanze per comprendervi quelle sog gettive e quelle oggettive.
5. - Un'ulteriore questione di costituzionalità ha investito gli art. 73, 75 e 78 del t.u. citato per contrasto con gli art. 13
e 25 Cost, per violazione del principio della necessaria offensi
vità del reato, quale limite alla discrezionalità del legislatore
penale, giacché nel caso della detenzione destinata al consumo o di effettivo consumo di sostanze stupefacenti in quantità su
periore alla d.m.g. non sarebbe configurabile la lesione o l'e
sposizione a pericolo di alcun bene giuridico che possa giustifi care la sanzione penale.
Anche tale questione — sollevata dal Tribunale di Roma, dal
G.i.p. presso il Tribunale di Roma, dal Tribunale di Torino, dal G.i.p. presso il Tribunale di Campobasso — è manifesta
mente infondata; ed infatti questa corte, dopo aver precisato che la condotta punita è la detenzione per uso personale di so
stanze stupefacenti e non già il consumo (né tanto meno —
può aggiungersi — il consumo pregresso), ha già ritenuto, nella
più volte citata sentenza n. 333 del 1991, che il principio della necessaria offensività del reato non è stato leso, essendo l'ap
prezzamento del legislatore in ordine alla condotta prevista nel
la fattispecie penale astratta né irrazionale, né arbitraria in ra
gione della (già ricordata) ratio sottesa all'incriminazione della
detenzione per uso personale di quantità di droga superiore alla
Il Foro Italiano — 1992.
d.m.g.; ratio che è quella «per un verso, di ridurre il pericolo che una parte della sostanza detenuta possa essere venduta o
ceduta a terzi, e, per altro verso, di indurre la domanda, e di
riflesso l'offerta, a modellarsi su quantitativi minimi in guisa da costringere lo spaccio a parcellizzarsi al massimo e da ren
derne cosi più difficile la pratica»; tutto ciò per perseguire l'o
biettivo di tutela di valori costituzionalmente rilevanti (salute
pubblica, sicurezza pubblica, ordine pubblico).
Invece, l'offensività della condotta concreta tenuta dall'agen
te costituisce oggetto di accertamento (caso per caso) del giudi
ce di merito.
6. - Si è poi ritenuto (dal Tribunale di Roma, dal Tribunale
di Camerino, dal Tribunale di Torino, dal Tribunale di Sassari,
dal G.i.p. presso il Tribunale di Campobasso) che i medesimi
art. 73, 75 e 78 del t.u. citato contrastino con l'art. 25 Cost,
per violazione della riserva di legge in materia penale in quanto è demandato ad un decreto del ministro della sanità la determi
nazione dei limiti quantitativi massimi di principio attivo per le dosi medie giornaliere senza che risulti soddisfatta l'esigenza di predeterminazione ad opera della norma primaria del conte
nuto essenziale della fattispecie penale. Tale questione è stata già esaminata da questa corte nella
sentenza n. 333 del 1991, in cui le norme censurate sono state
ritenute compatibili con l'obbligo della riserva di legge, essendo
sufficientemente determinato dalla norma primaria il precetto
penalmente sanzionato, mentre — in funzione di mera integra zione dello stesso — è demandato al ministro della sanità l'eser
cizio di una discrezionalità meramente tecnica, tenendo conto
dello stato attuale delle conoscenze scientifiche, senza che sia
consentita alcuna valutazione in chiave di prevenzione o di re
pressione.
Invece, l'eventuale illegittimità in concreto dell'integrazione amministrativa della norma incriminatrice non pone un proble ma di compatibilità con il precetto costituzionale della riserva
di legge, ma radicherebbe il potere-dovere del giudice ordinario
di disapplicare caso per caso il decreto ministeriale suddetto.
7. - Connessa a quest'ultima questione è poi quella, specifica mente sollevata dal Tribunale di Torino, che investe gli art. 73,
75 e 78 del t.u. citato, ulteriormente censurati con contrasto
con gli art. 3 e 25 Cost, sotto i profili della disparità di tratta
mento di situazioni analoghe, della violazione del principio di
offensività e della violazione del principio della riserva di legge,
perché la quantificazione in maniera tassativamente tabellata dal
d.m.g. comporta la conseguenza di far discendere la responsa bilità del soggetto da un fattore (la misurazione) che per defini
zione presenta margini pressoché imprescindibili di errore.
Anche in tal caso soccorrono le valutazioni già fatte nella
sentenza 333/91 per ritenere manifestamente infondata la que stione. Dovendo la soglia quanatitativa (la d.m.g.), che scrimi
na tra la detenzione punibile e quella non punibile, essere «me
dia» ed essere riferita all'arco di una giornata, è conseguenziale — ma non per ciò solo irragionevole — che tale criterio presen ti «margini inevitabili di approssimazione», cosi come ogni stan
dardizzazione. È sufficiente però, per ritenere rispettato il pre cetto costituzionale della riserva di legge, che la determinazione
del suddetto parametro avvenga secondo le attuali conoscenze
scientifiche e tecniche di campionatura e di accertamento, men
tre la prevista variabilità delle tabelle «in relazione all'evoluzio
ne delle conoscenze del settore» (art. 78, 2° comma) rappresen ta un sufficiente correttivo del possibile errore statistico del cri
terio adottato.
8. - Un'ulteriore questione di costituzionalità (anch'essa sol
levata dal Tribunale di Torino) riguarda i medesimi art. 73, 75 e 78 del t.u. citato per contrasto con il principio della perso nalità della responsabilità penale, posto dall'art. 27, 1° comma,
Cost., e con il principio della finalità di rieducazione cui la pe na deve tendere (art. 27, 3° comma, Cost.) perché il soggetto
agente non è posto in condizione di percepire l'antigiuridicità del comportamento tenuto per essere il discrimine quantitativo
(della detenzione penalmente rilevante), correlato non già alle
sue personali necessità quotidiane di droga, ma ad una misura
rigidamente predeterminata in via generale, non suscettibile di
adattamento al caso concreto; e perché, inoltre, la variabilità
dei quantitativi di sostanza pura presente nelle singole dosi «da
strada» viene a determinare una situazione di rischio alla quale
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
l'agente deve soggiacere a prescindere da ogni effettiva compo nente individuale di prevedibilità e consapevolezza.
Entrambi i profili di censura non sono fondati.
Ed infatti, la coscienza dell'antigiuridicità della condotta —
valorizzata da questa corte nella sentenza n. 364 del 1988 (id.,
1988,1, 1385), che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del l'art. 5 c.p. nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità
dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile — attie
ne al precetto normativo e non già al giudizio di disvalore ad
esso sotteso, che è espressione della scelta di politica criminale
del legislatore, in astratto sindacabile sotto i profili finora esa
minati, ma non certo censurabile ove in concreto difforme dal
l'apprezzamento soggettivo del singolo autore della condotta
vietata.
In particolare, la citata sentenza 364/88, dopo aver giudicato corretta la tesi della «inesistenza nella Costituzione di un vinco
lo per il legislatore ordinario di non sanzionare penalmente fatti
carenti di effettiva conoscenza dell'antigiuridicità», ha poi rav visato come requisito subiettivo minimo costituzionalmente ne
cessario la possibilità della conoscenza della legge penale ed ha
conseguentemente elevato a ragione di esclusione della colpevo lezza l'ignoranza inevitabile della stessa, pur qualificando tale
soltanto quella che l'agente non ha potuto evitare nemmeno
adempiendo ai doveri strumentali di informazione e conoscenza.
La coscienza dell'antigiuridicità richiesta dalla Costituzione
si risolve quindi nella conoscibilità del precetto penale da parte del soggetto agente, con la precisazione che anche «in relazione
a reati sforniti di disvalore sociale» deve ritenersi che «l'agente versi in evitabile e, pertanto, rimproverabile ignoranza della legge
penale» quando la mancata percezione dell'illiceità derivi dalla
violazione degli obblighi di informazione della normativa vigen te che sono alla base di ogni convivenza civile.
Escluso il denunciato vizio d'incostituzionalità della norma, rimane però affidato al giudice di merito — nei limiti puntua lizzati dalla citata sentenza 364/88 — stabilire in concreto se — alla stregua delle informazioni in proposito fornite al singolo nell'attuale contesto storico — debba dirsi percepibile o non
percepibile dall'agente, anche a livello di mero dubbio, l'illicei tà della condotta tenuta, quale detentore di una quantità di droga
superiore alla d.m.g.
Quanto al secondo profilo questa corte, nella sentenza 333/91, ha già affermato che l'eventuale errore dell'agente nell'apprez zamento della quantità di principio attivo contenuto nella sen
tenza stupefacente detenuta non è privo di rilevanza perché, al fine dell'integrazione dell'elemento soggettivo del dolo, è ne
cessario che egli sia consapevole di detenere (per uso personale) una quantità totale di sostanza stupefacente tale che contenga il relativo principio attivo in misura superiore a quella tabellata
nel decreto ministeriale.
9. - Gli art. 73, 75 e 78 del t.u. citato sono poi sospettati
(dal G.i.p. presso il Tribunale di Campobasso) di contrastare
con l'art. 3 Cost., per disparità di trattamento nella forma di
pari trattamento di situazioni diverse dei vari possibili consu
matori perché, in caso di detenzione di sostanze stupefacenti in misura superiore alla d.m.g., la condotta penalmente rilevan
te dipende da un dato quantitativo oggettivo senza tener conto
né della maggiore o minore efficacia stupefacente della sostanza
secondo il modo d'assunzione, né del grado di tolleranza del
soggetto assuntore.
Anche tale questione è manifestamente infondata.
Questa corte nella sentenza 333/91 ha riconosciuto — come
già rilevato — l'offensività della condotta del tossicodipendente o tossicofilo che, per il suo personale consumo differito, accu
muli una quantità di sostanza stupefacente superiore a quella
tabellata. Superata tale soglia di punibilità, le circostanze sog
gettive ed oggettive (che in concreto connotano la detenzione
per uso personale e tra cui rientrano il grado di tolleranza del
soggetto assuntore ovvero la maggiore o minore efficacia stupe
facente del modo d'assunzione) possono essere non di meno
apprezzate dal giudice penale ex art. 132 e 133 c.p. Pertanto,
il fatto che il medesimo quantitativo di esubero della droga ac
cumulata possa avere una diversa valenza in ragione del mag
giore o minore grado di tolleranza del soggetto assuntore, ovve
ro delle modalità di assunzione, non è privo di rilevanza e può condurre ad un trattamento differenziato in termini di gravità
del fatto accertato, non senza considerare che l'offensività della
condotta non viene meno per il fatto che l'accumulo — in ra
II Foro Italiano — 1992.
gione dello stato di assuefazione particolarmente accentuata del
tossicodipendente — risulti essere di minima (ma non nulla) entità.
10. - Infine, il medesimo giudice rimettente censura l'art. 90
t.u. citato perché contrastante con l'art. 3 Cost., per disparità di trattamento nella forma di pari trattamento riservato a situa zioni meno gravi (droghe leggere ovvero consumo occasionale)
rispetto a quello previsto per situazioni più gravi (droghe pesan ti ovvero consumo abituale), applicandosi in particolare solo
a queste ultime la sospensione dell'esecuzione della pena deten
tiva per l'attuazione di un programma terapeutico o socio
riabilitativo. La questione non è fondata.
L'art. 90 t.u. approvato con d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309
prevede che nei confronti di persona condannata ad una pena detentiva non superiore a tre anni, anche se congiunta a pena
pecuniaria, per reati commessi in relazione al proprio stato di
tossicodipendente, il tribunale di sorveglianza può sospendere (una sola volta) l'esecuzione della pena per cinque anni qualora accerti che la persona si è sottoposta o abbia in corso un pro
gramma terapeutico e socioriabilitativo, sempre che dopo l'ini
zio di tale programma non abbia commesso altro delitto non
colposo punibile con la reclusione. La soglia di applicabilità del beneficio è portata a quattro anni di pena detentiva inflitta, ove i reati acoertati siano quelli previsti dal 5° comma dell'art. 73.
Il presupposto d'applicabilità del beneficio (che, all'esito del programma terapeutico e sempre che il tossicodipendente nei
cinque anni successivi al provvedimento non commetta un delit
to non colposo punibile con la sola reclusione, comporta l'e
stinzione della pena e di ogni altro effetto penale) è quindi du
plice: mancato superamento di un tetto massimo di pena inflit
ta (ed a tal fine il tribunale può tener conto cumulativamente
di pene detentive inflitte con più condanne già divenute definiti
ve); effettuazione di un programma terapeutico e socioriabilita
tivo. Ed è essenzialmente questa seconda condizione che costi
tuisce la ratio dell'istituto volto a favorire il recupero dei tossi
codipendenti, che in tal modo abbiano concretamente e
meritevolmente mostrato di volersi adoperare per sottrarsi al
giogo della droga e nello stesso tempo si siano astenuti dal com
mettere altri delitti (non colposi). Sicché, questa speciale so
spensione dell'esecuzione della pena detentiva assume un carat
tere latamente premiale (che l'accomuna alla disciplina altret
tanto speciale della custodia cautelare e dell'affidamento in prova
prevista rispettivamente dagli art. 89 e 94 t.u. cit. ove il tossico
dipendente si sottoponga ad un programma terapeutico di recu
pero) ed una connotazione incentivante del recupero stesso (per
ché la mancata prosecuzione del programma comporta la revo
ca del beneficio). Secondo il giudice rimettente, però, l'ammissione al beneficio
— proprio perché è condizionato alla praticabilità da parte del
soggetto di un programma terapeutico e socioriabilitativo — pre
suppone uno stato di tossicodipendenza non ipotizzabile in caso
di consumatori occasionali, o di consumatori di droghe leggere
che non inducono dipendenza. Deve però rilevarsi che la norma censurata non contiene, nel
suo tenore testuale, nessuna limitazione in ragione del tipo di
sostanza stupefacente che abbia determinato nel soggetto con
dannato lo stato di dipendenza (inteso come limitazione dell'a
rea del libero arbitrio e della piena capacità di autodetermina
zione, indotta dall'abitualità del consumo di sostanze stupefa
centi), stato che costituisce l'unico elemento giuridicamente rilevante. L'accertamento in concreto dello stato di tossicodi
pendenza del soggetto condannato unitamente a quello del cor
relato carattere terapeutico e socioriabilitativo del programma
di recupero è demandato al tribunale di sorveglianza. Nessuna
disparità di trattamento sussiste quindi in ragione del tipo di
sostanza stupefacente che abbia determinato lo stato di di
pendenza. Nel caso invece di consumo occasionale ovvero di consumo
abituale che non abbia causato alcuno stato di tossicodipenden
za viene meno il presupposto della misura premiale nel senso
che l'eventuale persistere del soggetto nel consumo di droga è
pienamente ed integralmente nella sfera del suo libero arbitrio,
sicché non è ingiustificatamente discriminante per la diversità
delle situazioni poste in comparazione che non trovi applicazio
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2923 PARTE PRIMA
ne la speciale misura della sospensione dell'esecuzione della pe
na, non essendo ipotizzabile alcuna terapia o riabilitazione del
«tossicofilo-non tossicodipendente» da incoraggiare e sostenere.
In tali casi però — ricorrendone i presupposti — può trovare
applicazione (in sede di pronuncia della condanna) il generale beneficio della sospensione condizionale della pena.
Se però la disciplina differenziata contenuta nella norma cen
surata non confligge con il canone costituzionale dell'eguaglian za di trattamento, non di meno — nel quadro della globale
verifica, sul concreto terreno applicativo, degli effetti della 1.
n. 162 del 1990, anche al fine di «individuare le linee di ogni possibile ed utile modifica migliorativa» (sent. 333/91) — è ri messa alla discrezionalità del legislatore pure l'eventuale valuta
zione dell'opportunità di introdurre, in relazione ai reati previ sti dall'art. 73, 5° comma, cit., una parallela misura premiale anche in favore del mero tossicofilo.
Per questi motivi, la Corte costituzionale a) dichiara non fon
data la questione di legittimità costituzionale dell'art. 82 bis 1.
22 dicembre 1975 n. 685, come modificata dalla 1. 26 giugno 1990 n. 162 (corrispondente all'art. 90 d.p.r. 9 ottobre 1990
n. 309, testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stu
pefacenti e sostanze psicotrope), sollevata in relazione all'art.
3 Cost, dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribuna
le di Campobasso con l'ordinanza in epigrafe; b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 71, 72 e 72 quater 1. 22 dicembre 1975 n. 685, come modificata
dalla 1. 26 giugno 1990 n. 162 (corrispondenti rispettivamente
agli art. 73, 75 e 78 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, testo unico
delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope), sollevata in relazione all'art. 27, 1° e 3° comma, Cost, dal Tribunale di Torino con l'ordinanza in epigrafe; c) dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità co
stituzionale degli art. 71, 72 e 72 quater 1. 22 dicembre 1975
n. 685, come modificata dalla 1. 26 giugno 1990 n. 162 (corri
spondenti rispettivamente agli art. 73, 75 e 78 d.p.r. 9 ottobre
1990 n. 309, testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope), sollevate in relazione agli art. 3, 13 e 25 Cost, dal Tribunale di Roma, dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Camerino, dal giu dice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, dal Tribunale di Torino, dal Tribunale di Sassari, dal giudice
per le indagini preliminari presso il Tribunale di Campobasso, dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Cro
tone con le ordinanze in epigrafe.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 8 giugno 1992, n. 258
(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 17 giugno 1992, n. 26); Pres. Corasaniti, Est. Mengoni; Inps c. Buccelli; interv. Pres.
cons, ministri (Avv. dello Stato D'Amato). Ord. Cass. 20
maggio-21 ottobre 1991, n. 762 (G.U., la s.s., n. 5 del 1992).
Previdenza sociale — Pensione di invalidità — Determinazione
del reddito — Somme soggette a tassazione separata — Com
putabilità — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 38; r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l'invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione invo
lontaria, e sostituzione dell'assicurazione per la maternità con
l'assicurazione obbligatoria per la nuzialità e la natalità, art.
10; 1. 6 luglio 1939 n. 1272, conversione in legge, con modifi
cazioni, del r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636; d.l. 12 settembre 1983 n. 463, misure urgenti in materia previdenziale e sanita
ria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni
per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di
taluni termini, art. 8; 1. 11 novembre 1983 n. 638, conversio
ne in legge, con modificazioni, del d.l. 12 settembre 1983 n.
463).
Il Foro Italiano — 1992.
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
10 r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, convertito dalla l. 6 luglio 1939 n. 1272, nel testo sostituito dall'art. 8 d.l. 12 settembre
1983 n. 463, convertito, con modificazioni, in l. 11 novembre
1983 n. 638, nella parte in cui include nel computo del reddi
to annuo lordo, ai fini del diritto alla pensione di invalidità, le somme percepite dall'assicurato a titolo di arretrati da la
voro dipendente o da rapporti previdenziali, anziché escluder
le disponendo il ricalcolo del reddito afferente all'anno di ma
turazione del credito, in riferimento agli art. 3 e 38 Cost. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; ordinanza 21 otto
bre 1991, n. 762; Pres. O. Fanelli, Est. Genghini, P.M. Chi
rico (conci, diff.); Inps (Avv. Mercanti, Maresca, Cotro
nea) c. Buccelli e altri.
Previdenza sociale — Pensione di invalidità — Determinazione
del reddito — Somme soggette a tassazione separata — Com
putabilità — Questione non manifestamente infondata di co
stituzionalità (Cost., art. 3, 38; r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, art. 10; 1. 6 luglio 1939 n. 1272; d.l. 12 settembre 19821 n.
463, art. 8; 1. 11 novembre 1983 n. 638).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 10r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, convertito
dalla l. 6 luglio 1939 n. 1272, nel testo sostituito dall'art.
8 d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito, con modificazio
ni, in l. 11 novembre 1983 n. 638, nella parte in cui non
escludono dal reddito annuo quanto percepito dal lavoratore
o dall'assicurato a titolo di arretrati, in riferimento agli art.
3 e 38 Cost. (2)
I
Diritto. — 1. - La Corte di cassazione ritiene contrastante con gli art. 3 e 38 Cost, l'art. 10 r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, convertito in 1. 6 luglio 1939 n. 1272, nel testo sostituito dal
l'art. 8 d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito in 1. 11 novem
bre 1983 n. 638, nella parte in cui include nel computo del red
(1-2) La Corte costituzionale non condivide l'affermazione della Cas sazione sul «divario concettuale esistente tra la maggiorazione degli as segni familiari e la pensione di invalidità» e liquida la questione col rilievo che entrambe «sono prestazioni previdenziali, erogate mediante un sistema assicurativo sul presupposto della sopravvenienza di uno stato di bisogno prodotto dalla presenza di familiari a carico o, rispettiva mente, di una menomazione della capacità di guadagno». Al riguardo occorre evidenziare che l'ordinanza di rimessione, auspicando una solu zione diversa da quella operata da Corte cost. 6 dicembre 1988, n. 1067, Foro it., 1989,1, 3268, con nota di richiami, ha ritenuto che «a prescin dere dal dato generico che in entrambi i casi si versa nell'ambito di una prestazione di natura previdenziale, mentre l'assegno di invalidità o la pensione di inabilità presuppongono . . . una situazione di bisogno dell'assicurato, e questa ne costituisce condizione ineliminabile perché sorga il diritto, diversamente per gli assegni familiari si versa in un ambito che è di mera integrazione ed adeguamento delle spettanze lavo rative (o previdenziali) al fine di renderle adeguate alla situazione fami liare dell'avente diritto».
Sulla funzione degli assegni familiari quali istituto previdenziale ri volto ad impedire che per effetto del carico familiare il trattamento retributivo (o previdenziale) del lavoratore possa risultare in concreto al di sotto del limite di sufficienza di cui all'art. 36 Cost., v. Cass. 26 novembre 1977, n. 5167, id., Rep. 1977, voce Lavoro (rapporto), n. 640.
Nel senso che, invece, la pensione di invalidità, come anche le presta zioni previdenziali che l'hanno sostituita dopo la riforma introdotta con 1. 12 giugno 1984 n. 222, presuppongono un'accertata situazione di bi
sogno conseguente ad invalidità o inabilità, v. le decisioni richiamate nell'ordinanza di rimessione Cass. 7 marzo 1983, n. 1667, id., Rep. 1984, voce Previdenza sociale, n. 808, e 16 febbraio 1990, n. 1167, id., 1991, I, 1201, con nota di richiami.
Sul passaggio dal vecchio al nuovo sistema previdenziale di tutela
dell'invalidità, con riferimento specifico all'ipotesi di revoca della pen sione e reinsorgenza dello stato invalidante, da ultimo, cfr. Cass. 3 lu
glio 1992, n. 8126, 5 giugno 1992, n. 6921 e 20 marzo 1992, n. 3496, id., 1992, I, 2640, con osservazioni di V. Ferrari.
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