sentenza 10 dicembre 1987; Pres. ed est. Copani; Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania(Avv. Persiani, Magliari), Sgambellone e altri (Avv. V. Ferrari) c. Ricupero (Avv. Del Vecchio), ealtriSource: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 955/956-965/966Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181163 .
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PARTE PRIMA
contrae la compagnia nei confronti dell'utente nella figura della
prestazione del fatto del terzo, fatto che si identifica appunto
con la prestazione delle energie lavorative dei soci lavoratori del
la compagnia. Costruzione, quest'ultima, che non pare riflettere
completamente una realtà in cui (art. 110 c. nav.) è la compa
gnia, quale autonomo soggetto di diritto, ad obbligarsi all'esecu
zione delle operazioni portuali ad essa riservate. Né pare potersi
condividere l'affermazione, contenuta nell'impugnata sentenza,
secondo cui la riserva dell'esecuzione delle operazioni portuali
alle compagnie è derogata, oltre che nel caso, espressamente ri
chiamato, dalle c.d. automomie funzionali, anche in quello, pre
visto dall'art. 201 reg. c. nav., dello «svolgimento delle operazioni
portuali in proprio da parte delle navi». Opinione che trae la
sua spiegazione in ciò che l'art. Ili c. nav. affidando alle «im
prese» di sbarco l'esercizio di operazioni portuali «per conto ter
zi» fornirebbe materia per definire, a contrariis, come veri e propri
datori di lavoro coloro che, ex art. 201 reg. c. nav., fanno ese
guire le operazioni portuali «per conto proprio». Senonché, po
sto che il regolamento per l'esercizio della navigazione marittima
è un atto normativo secondario, avente natura esecutiva e conte
nuto organizzativo, che, ove dovesse contrastare con la fonte
primaria costituita dal codice della navigazione (e, in particolare,
con l'art. 110) risulterebbe illegittimo e dovrebbe essere disappli
cato (v. Comandante del porto di Livorno sent. n. 1 del 6 mag
gio 1966, id., Rep. 1968, voce Navigazione marittima, n. 23),
si tratta di vedere se il «conto proprio» predicato alle operazioni
di sbarco ed imbarco prefiguri, o meno, una nozione che si con
trappone alla regola della riserva delle operazioni portuali in ca
po alla compagnia. E non è chi non veda come il soggetto che
viene meno, rispetto allo schema prefigurato dagli art. 110 e 111
c. nav., nell'ipotesi di c.d. impiego diretto di cui all'art. 201
reg., è soltanto l'impresa concessionaria delle operazioni portuali
ex art. Ili c. nav. (cui è commessa un'area di attività — di
carattere, lato sensu, commerciale e tecnico organizzativo — più
ampia di quella dell'esecuzione delle operazioni portuali affidate
alla compagnia). In tal caso l'utente (caricatore, ricevitore o na
ve vettrice) o per l'esiguità delle strutture portuali, o per la sem
plicità delle operazioni da compiere (previa autorizzazione
dell'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale) scavalca
l'impresa di sbarco ed entra in diretto rapporto con la compa
gnia. Ma nell'un caso e nell'altro non viene meno l'alterità sog
gettiva della compagnia, quale autonomo soggetto di diritto,
rispetto ai singoli operai costituiti in maestranze. Il rapporto di
retto tra utente e compagnia non esclude, ma presuppone che,
a favore della compagnia, continui ad operare la riserva di cui
all'art. 110 c. nav., che è riserva della esecuzione delle operazio ni portuali, vale a dire di gestione del servizio di sbarco e im
barco.
Le osservazioni che precedono non valgono, di per sé, a rove
sciare l'opinione, prevalente in giurisprudenza, che chiama a ri
spondere l'impresa di sbarco, o l'utente nel caso di impiego diretto
delle maestranze costituite in compagnia, dei danni causati a ter
zi da singoli portuali (salve le possibili rivalse), per lo spazio che esiste fra «committente» ai sensi dell'art. 2049 e «datore
di lavoro» ai sensi dell'art. 2119 c.c., e salva la concorrente re
sponsabilità della compagnia (su cui v. App. Genova 26 maggio
1955, id., Rep. 1955, voce cit., nn. 12, 15; Cass. 15 ottobre
1968, n. 3300, cit.). Né ha ragione di porsi il problema (sollevato
dalla difesa della compagnia dei portuali) dell'assoggettamento ad Iva delle fatture emesse dalla compagnia per il corrispettivo del lavoro dei portuali in quanto, ex art. 9, punto 6, d.p.r. 20
ottobre 1972 n. 633, tali «note lavori» non sono soggette a
Iva proprio sul presupposto che l'attività svolta dalla compa
gnia «si concretizza nell'espletamento di servizi afferenti l'im
barco, lo sbarco, il trasporto, il deposito e in genere il movimen
to delle merci nei porti» (nota ministeriale n. 522788 del 28 apri le 1973).
Posto, dunque, che il credito fatto valere è effettivo credito
della compagnia, vale a dire di un soggetto giuridico avente na
tura di società cooperativa; che, cioè, i servizi resi materialmente
dai singoli lavoratori sono, da un punto di vista giuridico, la
prestazione della compagnia; che soltanto cosi si spiega la legitti mazione sostanziale e processuale della compagnia, al di fuori
Il Foro Italiano — 1988.
di ogni ipotesi di rappresentanza (legale e volontaria) dei singoli
lavoratori, dei quali non viene speso il nome, e di qualsiasi dero
ga al principio di cui all'art. 81 c.p.c., ne discende che, in alcun
modo, il credito della compagnia verso gli utenti può qualificarsi
come credito per retribuzione dovuta ai prestatori di lavoro su
bordinato. Ed è vero che, all'art. 2751 bis, n. 1, si parla di
retribuzioni dovute «sotto qualsiasi forma»; ma la varietà delle
forme retributive (che ha il proprio punto di riferimento norma
tivo agli art. 2099 e 2121, ultimo comma, c.c.) opera soltanto
all'interno di un rapporto creditorio diretto tra datore di lavoro
e lavoratori subordinati, non già al di fuori di esso, né in un
rapporto tra utente e cooperativa. Rapporto che, peraltro, attesa
la natura soggettiva di cooperativa propria della compagnia por tuale e quella oggettiva del credito che è il corrispettivo dei servi
zi prestati dalla cooperativa di lavoro, ricade indubbiamente nella
previsione di cui all'art. 2751 bis, n. 5, c.c.
In tal senso deve essere riformata l'impugnata sentenza.
È infatti principio affermato dalla giurisprudenza della Supre
ma corte che l'ordine dei privilegi generali sui beni mobili, di
cui agli art. 2751 ss. c.c., è tassativamente fissato dalla legge,
in stretta correlazione con la causa del credito, e resta sottratto
all'iniziativa del creditore, con la conseguenza che l'indicazione
del grado di detti privilegi non fa parte del petitum della doman
da diretta al suo riconoscimento (cosi Cass. 28 giugno 1979, n.
3628, id., Rep. 1979, voce Appello civile, n. 65); con l'ulteriore
conseguenza che, in sede di opposizioni contro lo stato passivo
fallimentare, al creditore che abbia chiesto il riconoscimento del
privilegio in base ad una determinata qualificazione giuridica del
rapporto dedotto, è consentito emendare la domanda prospet tando una diversa qualificazione giuridica dei medesimi fatti di
causa, «cui del resto il giudice può provvedere anche d'ufficio»
(Cass. ult. cit.).
I
TRIBUNALE DI COSENZA; sentenza 10 dicembre 1987; Pres.
ed est. Cofani; Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania
(Avv. Persiani, Magliari), Sgambellone e altri (Avv. V. Fer
rari) c. Ricupero (Avv. Del Vecchio), e altri.
TRIBUNALE DI COSENZA;
Lavoro (rapporto) — Casse di risparmio — Concorso interno
a dirigente — Violazione dei principi di correttezza e buona
fede — Conseguenze — Graduatoria — Nullità — Fattispecie
(Cod. civ., art. 1175, 1375, 1418). Lavoro (rapporto) — Casse di risparmio — Concorso interno
a dirigente — Nullità della graduatoria — Vincitori — Diritto
a mantenere la promozione (Cod. civ., art. 2103, 2126). Lavoro (rapporto) — Casse di risparmio — Concorso interno
a dirigente — Violazione dei principi di correttezza e buona
fede — Lavoratori pretermessi — Risarcimento del danno —
Limiti.
La violazione da parte del datore di lavoro delle regole di corret
tezza e buona fede comporta la nullità della graduatoria di un
concorso interno a dirigente bandito da una cassa di risparmio, con l'obbligo di rinnovare le operazioni (nel caso, il tribunale
ha confermato la statuizione del pretore che aveva dedotto la
violazione di tali regole dalle seguenti circostanze: a) mancata
motivazione del punteggio discrezionale; b) eccessiva brevità dello
scrutinio rispetto alla complessità delle valutazioni e del nume
ro degli scrutinandi; c) esistenza di alcune lettere di diffida con
data certa anteriore all'espletamento del concorso che indicava
no i nomi dei vincitori; à) attribuzione del punteggio massimo
ad alcuni dei vincitori pur sforniti di compiti di responsabilità diretta a fronte di alcuni lavoratori pretermessi; e) riconosci
mento ai vincitori del massimo punteggio per capacità e cono
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
scenze, pur a parità con i lavoratori pretermessi di note di qua
lifica e rendimento; f) notevoli ed immotivate discordanze ri
spetto all'esito di precedenti concorsi). (1) I lavoratori, risultati vincitori in un concorso interno bandito da
una cassa di risparmio per la promozione a dirigente, hanno
diritto, anche in caso di successivo annullamento del concorso,
a mantenere la qualifica dirigenziale toro riconosciuta. (2) I lavoratori ingiustamente pretermessi in un concorso interno ban
dito da una cassa di risparmio hanno diritto, a seguito della
declaratoria giudiziale della nullità della graduatoria, al risarci
mento dei danni per violazione «del loro interesse a preservare
l'immagine sociale acquisita nell'ambiente di lavoro in cui han
no operato» e non per la perdita dell'occasione di promozione, dovendo il giudice procedere alla liquidazione equitativa del
danno. (3)
II
TRIBUNALE DI PISA; sentenza 23 novembre 1987; Pres. San
na, Est. Capurso; Fisac-Cgil (Avv. Bellotti) c. Cassa di ri
sparmio di San Miniato (Avv. Mazzotta).
Sindacati — Casse di risparmio — Promozioni per scelta — Omes
sa comunicazione alle organizzazioni sindacali dei criteri pro
motivi — Antisindacalità — Insussistenza — Fattispecie (L. 20
maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità
dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale
nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 28).
Non è antisindacale il comportamento del datore di lavoro (nel
caso, una cassa di risparmio) che, in occasione di una selezione
promotiva «per scelta», ometta di informare le organizzazioni
sindacali in ordine ai criteri che adotterà per valutare le compe
tenze professionali dei candidati nonché al processo di forma
zione delle valutazioni (in motivazione, il tribunale osserva che
di un obbligo siffatto non vi è traccia nella contrattazione col
lettiva, mentre il datore di lavoro aveva provveduto a comuni
care ai sindacati, in applicazione di una omologa clausola della
contrattazione aziendale, i criteri generali ed astratti ai quali
si sarebbe attenuto nelle valutazioni dei dipendenti partecipanti
alla selezione). (4)
(1-3) La sentenza di primo grado del Pretore di Cosenza, 30 ottobre
1985, confermata nella sostanza, salvo piccoli ritocchi, può leggersi in
Foro it., 1986, I, 1713, con nota di richiami.
Il tribunale conferma anzitutto, sul piano della qualificazione del com
portamento datoriale in violazione delle regole del concorso, la tesi «eclet
tica» già fatta propria dal giudice di primo grado, che cumula per sommatoria la tecnica dell'inadempimento e quella della nullità. Giunge cosi a riconoscere al lavoratore, illegittimamente pretermesso, il diritto
al risarcimento dei danni per la violazione dei principi di buona fede
e correttezza, sancendo nel contempo la nullità della graduatoria concor
suale (sempre per violazione degli stessi principi assunti a direttive etico
sociali dell'ordinamento, id est norme di ordine pubblico a carattere im
perativo). Il più recente esito della giurisprudenza di Cassazione sembra viceversa
orientato ad escludere l'impiego della tecnica della nullità per valutare
piuttosto in termini di inadempimento le conseguenze della violazione delle
regole del concorso. In argomento, v. Cass. 10 agosto 1987, n. 6864,
id., 1987, I, 2987, con nota di O. Mazzotta, La Cassazione e i concorsi
privati: cosa c'è dietro l'angolo? Nella stessa decisione si assume che l'an
nullamento delle promozioni effettuate potrebbe conseguire solo all'ipo
tesi in cui «il datore di lavoro si sia obbligato a non promuovere se non
attraverso il procedimento previsto». Sul diritto al risarcimento dei danni a favore dei lavoratori illegittima
mente pretermessi, v. Cass. 10 agosto 1987, n. 6858 ibid., secondo cui
il diritto al risarcimento dovrebbe corrispondere alla retribuzione per la
qualifica superiore solo nel caso in cui, annullato il concorso perché ille
gittimamente espletato, il lavoratore comprovi che sarebbe stato incluso
nell'elenco dei promossi. Sul diritto al risarcimento dei danni per perdita
della chance, v., da ultimo, Cass. 1° aprile 1987, n. 3139, ibid., 2073
con nota di richiami; per ulteriori riferimenti, cfr. anche Trib. Roma
20 marzo 1987, ibid., 2855, con nota di richiami.
(4) Per una recente e consimile fattispecie nella quale si è ritenuto che
il lavoratore, che abbia partecipato ad una selezione promotiva, non ha
interesse, in assenza di una domanda diretta a lamentare una lesione del
Il Foro Italiano — 1988.
I
Motivi della decisione. — (Omissis). Passando subito al merito
rileva il collegio che non residua spazio alcuno per una rivisita
zione di materie ed istituti che sono stati ampiamente, attenta
mente e profondamente vagliati dalla Suprema corte anche a
sezioni unite, e risolti con indirizzo ormai pressoché consolidato; non resta quindi che richiamarsi alle numerose decisioni ed evi
denziare che con la fondamentale sentenza n. 5688 del 2 novem
bre 1979 (Foro it., 1979, I, 2548) e con quelle successive (4 gennaio
1980, n. 1, id., Rep. 1980, voce Impiegato dello Stato, n. 109; 14 aprile 1980, n. 2433, ibid., n. 253; 3 giugno 1981, n. 3569,
id., Rep. 1981, voce cit., n. 253; 27 maggio 1983, n. 3675, id.,
Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1138) la Corte di cassazio
ne ha ribadito che i provvedimenti degli enti pubblici economici
in materia di rapporto di lavoro configurano espressioni non di
un potere amministrativo collegato con la tutela di superiori inte
ressi di ordine generale, ma di uno privatistico del tutto analogo
a quello spettante a qualsiasi imprenditore nel settore privato,
precisando che, qualora le scelte dell'ente debbano avvenire nel
preminente interesse dei lavoratori per la soluzione di un conflit
to fra più lavoratori aspiranti ad una promozione da attuare me
diante un meccanismo contrattuale (come in materia concorsuale),
prevale la tecnica giuridica del rapporto, caratterizzata dall'attri
buzione alle parti di situazioni attive e passive pariteticamente
contrapposte, in cui l'attività del datore di lavoro è concepita come oggetto di un'obbligazione verso il lavoratore in conflitto
d'interessi con lui e con altri aspiranti alla promozione. Nel com
pimento di tutte le operazioni concorsuali necessarie alla valuta
zione dei requisiti di ciascun aspirante il datore di lavoro è vincolato
non solo al rispetto dei meccanismi procedimentali precostituiti
ma anche dei principi della correttezza e della buona fede (art.
1175 e 1375 c.c.).
Questi operano in tutte le fasi della procedura concorsuale, po
nendosi come regole fondamentali di condotta, come clausole ge
nerali del sistema, essendo costituiti da fondamenti e direttive
etico-sociali dell'ordinamento giuridico che interessano non solo
l'adempimento degli obblighi contrattuali ma anche l'esercizio del
potere discrezionale del datore di lavoro. Ha ancora la Suprema
corte evidenziato che al di fuori delle ipotesi in cui norme collet
tive o bandi di concorso individuano rigidi criteri di promozione,
in cui cioè l'avanzamento sia effetto diretto ed immediato del
l'accertato verificarsi di determinati presupposti di fatto, è confi
gurabile l'ipotesi (qui ricorrente) in cui la normativa preveda un
meccanismo di scelte riservando al datore di lavoro la valutazio
ne discrezionale di alcuni requisiti; in tale evenienza si rinviene
una posizione di diritto soggettivo del lavoratore il quale, se non
può pretendere il conferimento immediato della qualifica supe
riore quale effetto automatico dell'accertamento dei requisiti ri
chiesti, ha diritto però al compimento corretto delle operazioni
selettive (art. 1175 c.c.) non solo per quanto riguarda la conside
razione dei requisiti predeterminati dalla contrattazione collettiva
o dall'ente nei regolamenti o nel bando, ma anche per quanto
riguarda la valutazione di aspetti attitudinali. Ed invero, per quanto
possa essere ampio il margine di discrezionalità, non può essere
svincolata detta valutazione da ogni norma di relazione per non
degenerare in insindacabile arbitrio. Ne consegue che il controllo
del giudice ordinario deve necessariamente esercitarsi non solo
sull'effettiva osservanza dei procedimenti di scelta in base ai cri
teri prestabiliti, ma anche sulla conformità del comportamento
dell'ente ai principi di correttezza e buona fede oggettiva anche
nel contenuto indefettibile dell'imparzialità, trattandosi di rela
zione fra dipendenti.
In tale prospettiva anzitutto l'obbligo della motivazione dei prov
vedimenti relativi alle promozioni risponde ad una necessità di
esteriorizzazione della scelta dell'ente non solo per consentire ai
dipendenti il controllo sull'effettivo concretarsi delle loro posi
diritto alla promozione, ad ottenere un'autonoma condanna del datore
di lavoro a dar notizia dei criteri di valutazione seguiti nel procedimento
promotivo, v. Cass. 8 luglio 1987, n. 5965, Foro it., 1987, I, 2989, ove
richiami a precedenti inediti che hanno esaminato lo stesso tema, come
nella sentenza che si riporta, nell'ottica del comportamento antisindacale.
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PARTE PRIMA
zioni giuridiche ma anche per rendere possibile il sindacato giudi ziario.
Ma può anche verificarsi che al di fuori della presenza o meno
della motivazione, essendo sindacabile non certo il contenuto ma
l'esistenza di una corretta valutazione dei requisiti nel raffronto
di più posizioni (sistema concorsuale), possono emergere altre in
congruenze ovvie quale ad esempio l'immotivata attribuzione di
valori diversi ad elementi identici ovvero una super o sottovaluta
zione di determinati titoli per motivi estranei all'oggetto e allo
scopo della valutazione (in questo senso v. Cass. 6864/87, id.,
1987, I, 2987). Ad avviso di questo collegio, e seguendo l'indirizzo di prece
dente decisione, elemento gravemente indiziario d'una quanto meno
superficiale valutazione è anche la brevità temporale delle opera zioni di valutazione comparativa, specie se accompagnata da ele
menti «inquietanti». Tanto premesso, prendendo in esame le operazioni del concor
so in oggetto e più in particolare la graduatoria stilata dall'appo sita commissione e fatta propria dall'ente, ritiene il collegio di
dover interamente condividere tutte le censure del primo giudice
che, ad un'analisi approfondita, ha evidenziato: 1) l'assoluta man
canza di motivazione per quanto concerne il punteggio discrezio
nale per tutti i candidati («nessun elemento in atti spiega perché solo ai vincitori del concorso sia stato attribuito il massimo del
punteggio discrezionale»); l'eccessiva brevità delle complesse ope razioni di valutazione comparativa (le operazioni si sono svolte
in quaranta minuti in cui sono stati valutati tutti i precedenti di carriera, la capacità organizzativa, la conoscenza dei servizi, ecc. di ben ventiquatto candidati, alla media «record» di un mi
nuto e mezzo per ciascuno, nonostante la «corposità» dei fasci
coli d'ogni candidato; 3) la correlata «inquietante» circostanza
che in data 11 e 20 dicembre 1979, ossia prima delle operazioni
concorsuali, i concorrenti Greco e Summaria avevano fatto per venire al consiglio di amministrazione della cassa due lettere dif
fida con data certa in cui venivano riferite le voci circolanti
all'interno dell'istituto in quel periodo secondo cui i vincitori era
no stati già designati a priori per cui il concorso sarebbe stato
una pura formalità; in dette lettere i due funzionari indicavano
specificatamente i nomi dei sette candidati che successivamente
sono risultati vincitori del concorso; 4) l'irrazionalità e l'arbitrio
nell'attribuzione del punteggio attitudinale, dato nel massimo so
lo ai sette vincitori pur non avendo alcuni mai svolto compiti di responsabilità diretta (Benvenuto, Bruzzano) e altri averli avu
ti solo tre mesi prima del 31 maggio 1979 data ultima per la
considerazione delle posizioni professionali dei concorrenti (Sa
pio), mentre altri concorrenti, ancora, pur avendo ricoperto sen
za demerito da molto tempo incarichi di responsabilità diretta non avevano avuto il massimo punteggio (cosi ad es. i curricula
di Ricupero, Piluso, Pellegrini, Stumpo, Ricca, ecc.); ed ancora l'attribuzione del massimo di punteggio ai soli sette vincitori per capacità professionali e per conoscenza dei servizi laddove tutti i candidati avevano avuto le identiche note di qualifica ed il mas simo del punteggio relativo al rendimento; 5) l'uso scorretto del
potere discrezionale per 1'«altalena» nell'attribuzione del punteg gio attitudinale con raffronto al concorso immediatamente prece dente (1977) e successivo (1981) per tutti i candidati, senza alcuna motivazione delle discordanze.
Censure tutte a cui la cassa non ha saputo contrapporre né
argomenti rinvenienti dagli atti procedimentali del concorso, né in questa sede efficaci risposte che consentissero di ribaltare il
giudizio pretorile, tanto più se correlate all'onere della prova, alla cassa incombente, del rispetto dei fondamentali criteri della correttezza e della buona fede (v. Cass. 27 maggio 1983, n. 3675, cit.). Aveva infatti l'ente il dovere di offrire al sindacato giudizia le — che sotto questo profilo non incontra limiti — una valuta zione ripercorribile nella sua logica e conforme alle previsioni legali e a quelle negoziali del bando delle scelte e delle diversificazioni
operate anche rispetto ai precedenti concorsi. Tale omissione co stituisce un chiaro inadempimento contrattuale e, se inquadrata nell'ottica delle accertate scorrettezze, una circostanza sintomati ca della distorsione della causa che ebbe ad indurla a bandire il concorso per dirigenti. Ed invero la correttezza, intesa come obiettiva valutazione comparativa, è anche implicita nella causa della promessa al pubblico di cui al bando di concorso; come è stato evidenziato dalla difesa del Marrazzo infatti se il datore
li Foro Italiano — 1988.
di lavoro procede concorsualmente è proprio perché intende for
malizzare l'esigenza di una valutazione comparativa al fine della
scelta dei più idonei tra tutti i candidati, da cui l'obbligo del
datore di lavoro ed il connesso diritto degli aspiranti ad una im
parziale valutazione che non dipenda cioè dal mero arbitrio (o dalle pre-scelte) ma da elementi uniformemente applicati.
Sul tormentato problema degli effetti dell'accertata violazione
del principio di correttezza devesi partire dal dato che, tanto se
l'attività dell'imprenditore sia riconducibile all'esercizio di un po tere quanto all'adempimento di un'obbligazione, il comune rife
rimento all'art. 1175 c.c. consente ai lavoratori partecipanti al
concorso di chiedere ed ottenere dal giudice ordinario un sinda
cato che non può non avere l'ampiezza e la penetrazione identi
che a quelle che il pubblico dipendente può ottenere dal giudice
amministrativo; in caso contrario si perverrebbe ad una discrimi
nazione tra impiegati pubblici e privati che non troverebbe alcu
na giustificazione. Ne discende che anche nell'ambito assegnato alla cognizione del giudice ordinario devono essere date azioni
e misure «demolitorie» (nullità ed annullamento), rimedi esperi bili sia in riferimento a tecniche di attribuzione e regolazione di
poteri, sia in riferimento a tecniche paritetiche e rapportuali, non
essendo d'ostacolo la diversa qualificabilità (scorrettezza o ina
dempienza) a seconda dei due casi della deviazione cui si reagisce. Ammissibili anche misure ricostitutive (v. Cass., sez. un., 29
ottobre 1980, n. 5800, id., Rep. 1980, voce Impiegato dello Sta
to, n. 379) attesa la tendenza del diritto privato di allargare la
tutela reale del creditore, ma sempre che si sia in presenza di
elementi obiettivi accertabili direttamente dallo stesso giudice; di
versamente, ove si verta in tema di valutazioni esclusive dell'ente
pubblico, non è possibile la sostituzione allo stesso nel compi mento di operazioni riservate all'ente medesimo (Cass. 27 maggio
1983, n. 3674, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1131). Anche il rimedio risarcitorio sostitutivo può utilmente essere
esperito in conseguenza dell'accertato illecito contrattuale per ef
fetto della mancata promozione; tanto evidentemente non pre
suppone la declaratoria di nullità delle promozioni irregolari ma
solo l'accertamento dell'inadempimento e dell'esistenza di un danno
che di esso sia conseguenza diretta ed immediata.
Sono quindi molteplici le azioni proponibili e cioè i rimedi spe rimentabili, di tal che nessuna censura merita il primo giudice che ha conseguentemente dichiarato la nullità della graduatoria
impugnata, in conformità della richiesta avanzata da taluni dei
candidati non promossi, per la scorretta attribuzione del punteg
gio attitudinale ai candidati.
Da ciò l'obbligo della cassa di risparmio di rinnovare le opera zioni concorsuali. Non può infatti sul punto condividersi la tesi
avanzata dall'istituto di credito secondo cui tale ordine di rinno
vazione costituirebbe un illecito attentato ai poteri di autorganiz
zazione; ed invero, allorché la cassa di risparmio ebbe a bandire il concorso de quo, ebbe ad integrare una promessa al pubblico che era per essa una specifica fonte di obbligazione, che, per ef
fetto della dichiarazione di nullità parziale, non è stata adempiu ta e che quindi va integralmente attuata. Conseguentemente non si pone in discussione il potere di autorganizzazione dell'ente che
invece, è obbligato ad attivarsi per la rinnovazione delle opera zioni concorsuali nella sola parte qui demolita, nel pieno rispetto dei principi di imparzialità e correttezza.
Né può condividersi la tesi prospettata con dovizia di acute
argomentazioni dall'appellante incidentale Losso secondo cui que sto collegio dovrebbe prendere solo atto del punteggio c.d. puro
(ossia quello dei soli punteggi fissi) e stilare la relativa graduato ria promuovendo i primi sette classificati. Al rigetto si perviene sia prendendo le mosse dall'ineludibile obbligo della cassa (as suntosi col bando di concorso) di attuare l'obbligazione nella sua interezza e quindi anche con l'attribuzione dei punteggi discrezio
nali, sia evidenziando la perfetta legittimità del punto 6° del ban
do (che attribuisce alla cassa il potere discrezionale sulla valutazione
dei precedenti di carriera, gradi ed uffici ricoperti, ecc.) per la sua conformità alla contrattazione collettiva (art. 100) che, a sua
volta, non si pone in contrasto con alcuna norma imperativa, sia infine per la considerazione, anche se non assorbente, che
per la copertura di posti di dirigente non possono non valutarsi elementi altamente sintomatici della «qualità» dei candidati quali i precedenti di carriera, le capacità direttive organizzative e pro fessionali, ecc.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Rinnovazione, quindi, delle operazioni concorsuali al solo fine
di procedere ad una corretta attribuzione dei punteggi discrezio
nali, dopo l'imparziale e meditata comparazione dei requisiti dei
candidati, ed alla compilazione di una graduatoria da parte della
commissione a tanto deputata, con la successiva nomina da parte dell'istituto dei sette vincitori, con effetti giuridici ed economici
che dovranno risalire alle date di cui al bando di concorso del
1979. È conseguente che in sede di rinnovo del concorso dovrà
la commissione tener conto di tutti e solo i candidati che vi han
no in precedenza partecipato, senza che possa avere influenza
il loro successivo collocamento a riposo. È pure conseguente che
la declaratoria di nullità finale della graduatoria comporta la nul
lità della nomina a dirigente di Sgambellone, Bruzzano, Benve
nuto, Maradei, Vidiri, Sapio e Marranzini.
Con un articolato motivo di gravame si dolgono però sei dei
sette ex vincitori (Sgambellone, Bruzzano, Benvenuto, Maradei, Vidiri e Marranzini) per non avere il primo giudice accolto la
loro domanda di conservazione del grado di dirigente avendo svolto
le relative mansioni ben oltre i tre mesi di cui all'art. 2103 c.c.
ed anzi per quasi otto anni. Ha la cassa replicato che i sei ex
promossi non avevano chiesto di provare né quali fossero le man
sioni da loro espletate successivamente alla nomina a dirigente di II, né la riconducibilità di tali mansioni nell'ambito di tale
ultima categoria, né infine la durata di tale espletamento, ed ha
ribadito che dal contratto normativo aziendale e dal Ceni di cate
goria, nell'ambito dell'organigramma della Caricai non esistereb
bero mansioni c.d. dirigenziali, essendo le più alte funzioni
ricomprese nella qualifica di funzionario capo servizio, aggiun
gendo che «v'è la ragionevole presunzione che i dirigenti di cui
trattasi nemmeno hanno mai svolto mansioni dirigenziali». Ritiene il collegio che la questione merita la più attenta disamina.
È ben noto che l'identificazione dei requisiti di appartenenza alla categoria dei dirigenti spetta esclusivamente alla contrattazio
ne collettiva, non esistendo una nozione legale di tale categoria
(v. Cass. 29 aprile 1981, n. 2637, id., 1981, I, 1557, ma anche
la relazione ministeriale al re sull'art. 2095 c.c. paragrafo 41: «non
si è ritenuto opportuno dare nel codice una definizione generale della figura di dirigente perché qualunque definizione, che non
tenga conto dei particolari atteggiamenti assunti da detta figura
nei diversi rami della produzione, sarebbe imperfetta. Epperò è
parso miglior consiglio rimettere la determinazione alle massime
di esperienza che possono essere rispecchiate con la maggiore ap
prossimazione possibile dalle leggi speciali e più ancora dalle nor
me corporative»). Orbene nella specie per l'art. 97 del Ceni per
i dirigenti e funzionari delle casse di risparmio sono dirigenti co
loro che «in relazione al grado gerarchico ed alle strutture azien
dali siano dagli istituti cui appartengono ritenuti come tali;
nell'allegato C del contratto è poi previsto per la Caricai il grado
di dirigente per il direttore ed il vice direttore generale nonché
per altri dipendenti identificati come «dirigenti di gruppo II e
I», senza altra specificazione. La contrattazione collettiva ha cioè
demandato ad ogni singolo istituto, e quindi anche alla Caricai,
di determinare autonomamente, in rapporto alla propria specifi
ca struttura aziendale e all'articolazione del personale, le mansio
ni tipiche dirigenziali. Consumando il «rinvio in bianco», la Cassa
di risparmio di Calabria e di Lucania avrebbe dovuto darvi piena
attuazione, non solo per un impegno di correttezza ex art. 1175
e 1375 c.c. nei confronti dei dirigenti, ma anche per adempiere
ad un preciso dovere discendente dal chiaro disposto dell'art. 2103
c.c., sì come sostituito dall'art. 13 dello statuto dei lavoratori,
secondo cui «il prestatore di lavoro deve essere adibito alle man
sioni... corrispondenti alla categoria superiore che abbia successi
vamente acquisito». Promossso quindi il funzionario al grado di
dirigente, avrebbe dovuto l'ente dare piena attuazione al princi
pio della corrispondenza tra nuova superiore qualifica e mansio
ni, eliminando ogni difformità tra situazione formale e situazione
reale, affidando compiti qualitativamente, se non quantitativa
mente, diversi da quelli svolti in precedenza, onde tutelare la cor
rispondenza tra il patrimonio professionale acquisito dal lavoratore
e la sua collocazione nella struttura organizzativa aziendale. Cor
relato diritto quindi del lavoratore neo-dirigente allo svolgimento
di mansioni corrispondenti alla nuova categoria di appartenenza
(v. Trib. Milano, 10 marzo 1978, id., Rep. 1979, voce cit., n. 465).
Sul punto non può il collegio sottacere però che la prevalente
dottrina non ha adeguatamente avvalorato la «novità» dell'inno
vazione introdotta dal 1° comma dell'art. 13 statuto lavoratori,
essendosi soffermata precipuamente su uno solo degli aspetti, certo
Il Foro Italiano — 1988.
il più ricorrente (superiori mansioni = superiore qualifica), tras
curando quello correlato secondo cui a superiore qualifica devo
no di norma corrispondere superiori mansioni. Epperò deve con
venirsi che il citato art. 13, capovolgendo l'ottica dell'art. 2103
c.c. (vecchio testo) che privilegiava l'interesse dell'impresa su quello del lavoratore, ha dato valore alla professionalità di quest'ultimo in azienda, professionalità intesa quale rilevante aspetto della sua
personalità, prevedendo anzi un meccanismo di tutela promozio nale del valore professionale. Il tutto alla luce della finalità dello
statuto che è proprio* quella della tutela della «dignità» del lavo
ratore (come si legge nell'intestazione della legge), in tutte le sue
esplicazioni compresa quella dell'irreversibilità della carriera e del
riconoscimento dello status professionale, e della fondamentale
norma dell'art. 35, 2° comma, Cost, sull'ineludibile obbligo del
l'elevazione professionale dei lavoratori.
Evidenzia poi il collegio che in una fattispecie (come quella in esame) di promozione al grado dirigenziale non possono di
norma ritenersi «equivalenti» le medesime mansioni svolte nel gra do di impiegato. Equivalenza vuol dire mansioni comparabili, cor
rispondenti, di valore simile. Ripudiata la tesi secondo cui il
concetto d'equivalenza deve inquadrarsi nell'ottica retributiva, vie
ne oggi accolta quella che fa riferimento alla gerarchia professio nale ed al suo relativo valore, di tal che lo ius variandi è sempre ammissibile ma solo nell'ambito delle categorie di cui all'art. 2095
c.c, senza possibilità, in funzione di un preteso concetto di equi
valenza, di adibire impiegati a mansioni operaie e dirigenti a fun
zioni meramente impiegatizie. Anche la Suprema corte di
cassazione, pur non avendo esaminato (per quanto consta) la fat
tispecie in esame, ha tenuto però a rilevare: a) che l'art. 2103
c.c. (nuovo testo), che circoscrive lo ius variandi del datore di
lavoro in fatto di assegnazione di mansioni al dipendente nel
l'ambito di mansioni equivalenti, è norma di ordine pubblico,
che vieta ogni patto (o rinunzia) contrastante col diritto del lavo
ratore alla conservazione del livello delle mansioni corrispondenti
alla categoria di appartenenza (Cass. 12 aprile 1983, n. 2594, id.,
Rep. 1983, voce cit., n. 1028); b) che l'equivalenza delle nuove
mansioni va intesa in senso qualitativo, sicché per la sussistenza
di essa non basta la sola equivalenza oggettiva, ma occorre quella
soggettiva la quale implica che lo svolgimento delle nuove man
sioni consenta l'utilizzazione e lo «sviluppo» del patrimonio pro
fessionale precedentemente acquisito (Cass. 8 febbraio 1985, n.
1038, id., Rep. 1985, voce cit., n. 880); c) che il mutamento delle
mansioni è ammesso solo a condizione che vi sia equivalenza pro
fessionale, cioè di pari valore nella «gerarchia professionale» (Cass.
19 giugno 1982, n. 3767, id., Rep. 1982, voce cit., n. 532).
È tuttavia, con un sostanziale inadempimento e comunque cer
tamente con violazione del più volte richiamato canone di corret
tezza, la Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania ha ritenuto
d'omettere la formulazione di un mansionario, esercitando però
nel contempo il potere d'indire concorsi per il grado di dirigente
di II (come nella specie, nel 1979) e vincolandosi in tal guisa
a riconoscere convenzionalmente ai neopromossi la superiore qua
lifica dirigenziale, a prescindere dalle relative mansioni.
In un tale contesto va inquadrata la domanda avanzata dai
sei (dei sette) vincitori del concorso.
Ed anzitutto è coerente al sistema sopra delineato presumere
(salva prova contraria da fornirsi però da controparte) che nor
malmente a migliori qualificazioni corrispondono mansioni più
elevate (in tal senso testualmente Cass. 29 marzo 1963, n. 784,
id., Rep. 1963, voce cit., n. 258); il contrario divisamento della
Suprema corte del 27 luglio 1964, n. 2092 (id., Rep. 1964, voce
cit., n. 233, secondo cui «all'attribuzione formale ed ufficiale di
una determinata qualifica da parte del datore di lavoro può non
corrispondere un concreto ed effettivo esercizio di peculiari man
sioni che caratterizzano la qualifica stessa») resta superata dal
l'art. 13 dello statuto dei lavoratori che, come s'è detto, è di
segno diametralmente opposto. E tuttavia, anche a volere superare la presunzione e ritenere
che i sette promossi hanno continuato tutti a svolgere le medesi
me identiche mansioni svolte precedentemente, ritiene il collegio
che la loro domanda ex art. 2103 c.c. debba ugualmente accogliersi.
Ed invero l'esercizio delle stesse mansioni, svolte però con la
nuova qualifica dirigenziale, colora diversamente le mansioni me
desime.
A tale affermazione si perviene sol che si consideri che l'attri
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PARTE PRIMA
buzione della qualifica di dirigente comporta necessariamente un
diverso status del dipendente, a prescindere dalle mansioni in con
creto esercitate.
Anche se la legge, la contrattazione collettiva e quella azienda
le non specificano le funzioni dei dirigenti, non può non conve
nirsi che costoro acquisiscono per effetto della promozione capacità e poteri (oltre che privilegi) prima non goduti.
Giurisprudenza e dottrina, colmando il vuoto, hanno ormai da
più decenni rilevato che il dirigente, in quanto tale, si caratteriz
za: a) per la collaborazione immediata con l'imprenditore per il
coordinamento generale e lo sviluppo dell'attività aziendale, sia
pure in qualche suo ramo; b) per il carattere spiccatamente intel
lettuale e fiduciario di tale collaborazione; c) per l'ampio potere di autodeterminazione delle direttive di organizzazione e di attivi
tà dell'azienda, sia pure nell'ambito dei fini di questa e dell'indi
rizzo generale fissato; d) per la superiorità gerarchica sul personale di grado inferiore; è) per la subordinazione esclusiva verso l'im
prenditore o chi lo rappresenta; J) per la responsabilità diretta
verso l'imprenditore in rapporto all'estensione delle funzioni e
quindi per la responsabilità generale sull'andamento dell'azienda
o di un suo ramo; g) per la rappresentanza intra ed extraazienda
le generale o limitata. L'autonomia del dirigente si differenzia
poi tecnicamente nella libera scelta e determinazione delle diretti
ve generali per l'andamento dell'intera azienda o di un settore
(Cass. 5 gennaio 1980, n. 40, id., Rep. 1980, voce cit., n. 581). Il dirigente di riflesso viene quindi a godere di talune prerogati
ve tipiche del suo grado: presenza in azienda, orario di lavoro,
qualifica annuale, preavviso, straordinario, ecc.
Mansioni quindi che appaiono identiche se considerate astrat
tamente quanto al tipo di operazione manuale o intellettive si
colorano diversamente e si differenziano obiettivamente in modo
sensibile in riferimento al contesto e all'interno del nucleo azien
dale in cui vengono esercitate (v. in tal senso Cass., sez. un., 2 dicembre 1979, n. 6435, id., Rep. 1979, voce cit., n. 402, nella
parte motiva; cfr. anche Cass. 10 gennaio 1977, n. 86, id., Rep.
1977, voce cit., n. 397). Una maggiore autonomia, una maggiore discrezionalità, mag
giori poteri d'iniziativa, un maggiore grado gerarchico influisco
no decisamente quindi sulla «qualità» della prestazione, solo
apparentemente identica svolta da dipendenti di grado inferiore.
Poiché quindi i sette vincitori del concorso hanno avuto rico
nosciuta ed attribuita la superiore qualifica dirigenziale (sia pure
per effetto di un concorso dichiarato parzialmente nullo) ed han
no svolto per più anni (quasi nove!) le loro mansioni con quella naturale ampiezza ed autonomia riconosciuta loro dallo stesso
ente, non può negarsi il diritto al riconoscimento della qualifica
superiore ex art. 2103 c.c. Ed invero è giurisprudenza ormai con
solidata della Suprema corte che «l'irregolarità dell'attribuzione
delle mansioni superiori, assegnate senza il consenso e l'approva zione dell'organo competente, non ha rilevanza perché ad inte
grare la fattispecie legale dell'art. 2103 c.c. è sufficiente la
situazione di fatto che prescinde dall'elemento formale, addirittu ra presupposto come carente» (Cass. 29 agosto 1979, n. 4725, id., Rep. 1979, voce cit., n. 333; 9 marzo 1985, n. 1932, id.,
Rep. 1985, voce cit., n. 876, 879, 887); di tal che non ha rilievo
alcuno la declaratoria di nullità successiva del concorso bandito
per dirigenti occorrendo prendere in esame la situazione di fatto
si come concretatasi.
Né ancora va sottaciuto che recentemente la Suprema corte,
(sez. lav. 10 maggio 1985, n. 2930, id., 1985, I, 1625) ha equipa rato ai fini dell'art. 2103 c.c. le due (solo a prima vista diverse)
ipotesi in cui cambi il contenuto materiale delle mansioni a segui to dell'assegnazione del lavoratore a prestazioni di rango superio re a quelle precedenti, e viceversa in cui muti la qualificazione
giuridica sia pure per effetto di una nuova disciplina che da un
certo momento in poi consideri la stessa prestazione di rango su
periore, essendo entrambe le ipotesi tipiche di «assegnazione a
mansioni superiori» sia materialmente che solo formalmente. Ta
le decisione non appare affatto sorprendente sol che si consideri no le due fattispecie nell'ambito del 1° comma dell'art. 2103 c.c., sì come modificato con l'art. 13 dello statuto, circa la necessaria
correlazione intercorrente tra mansioni e qualifica. Solo con tale interpretazione si sfugge poi ad una palese illegit
timità del comportamento datoriale omissivo, si ripete, nella man
cata attribuzione, doverosa, come s'è detto, di diverse e più
qualificate mansioni ai neopromossi dirigenti i quali altrimenti
si vedrebbero penalizzati sotto l'ottica dell'art. 13 dello statuto.
Il Foro Italiano — 1988.
Non ritiene pertanto il collegio di condividere l'affermazione
del pretore secondo cui si verterebbe in una fattispecie «del tutto
diversa» da quella disegnata dall'art. 13 per avere i sette vincitori
«dapprima acquisito la qualifica di dirigente quali vincitori di
concorso (senza avere svolto in precedenza mansioni superiori al
loro grado) ed è irrilevante se successivamente a tale nomina ab
biano svolto mansioni di dirigente (fra l'altro neppure questo è
avvenuto). Ed invero, come questo tribunale ha evidenziato in
altra decisione (14 gennaio 1983), occorre ribadire con fermezza
che il diritto alla promozione prescinde del tutto (come s'è detto) dall'elemento formale e quindi anche dalla declaratoria di nullità
della nomina; è da contestarsi perciò la pretesa «irrilevanza», nella
specie, dello svolgimento di mansioni superiori anche in presenza di un atto formale dichiarato nullo, giacché solo nell'ipotesi (qui non ricorrente) di svolgimento di mansioni superiori in violazione
di norme imperative con riguardo all'illiceità dell'oggetto e della
causa non può essere considerato detto periodo ai fini del ricono
scimento della qualifica superiore, atteso che la tutela dell'inte
resse collettivo è preminente rispetto a quella dei diritti soggettivi individuali che rimangono cosi sottordinati in vista di esigenze
superiori relative all'ordine pubblico (Cass. 23 luglio 1983, id.,
Rep. 1983, voce cit., n. 1120). Né comunque la mera contrarietà
a norme imperative concretizzerebbe l'illiceità predetta occorren
do invece l'incompatibilità coi principi dell'ordine pubblico stret
tamente intesi (Cass., sez. un. 8 maggio 1976, n. 1609, id., 1976,
I, 1851). Né va ancora condivisa l'affermazione secondo cui «l'art. 13
scardinerebbe il sistema delle nullità del nostro ordinamento e
si avrebbe l'intollerabile conseguenza che la declaratoria di nulli
tà della nomina dei vincitori di un concorso non produrrebbe alcun effetto pratico vanificandosi cosi l'esercizio della giurisdi
zione»; basta in senso contrario evidenziare che nullità dell'atto
di promozione e svolgimento di mansioni superiori agiscono su
ben diversi piani e determinano ben diversi effetti; ed anzi pro
prio la tesi pretorile svuoterebbe di gran parte la valenza della
norma che è appunto a salvaguardia di situazioni giuridiche dei
lavoratori meritevoli di tutela come parte debole i quali subireb
bero grave pregiudizio da una utilizzazione ed arricchimento di
superiori mansioni da parte datoriale senza il conseguente forma
le riconoscimento.
Ne consegue che i sei appellanti hanno diritto di vedersi rico
nosciuta la superiore qualifica dirigenziale con decorrenza dalla
scadenza del terzo mese di svolgimento delle superiori mansioni, ossia dal 1° aprile 1980, con tutti gli effetti sia sul piano retribu
tivo che su quello dell'avanzamento di carriera. Nessuna pronun zia va emessa per Sapio che, pure essendo uno dei sette promossi, non ha avanzato alcuna domanda, restando contumace in en
trambi i gradi. Per il periodo dal 1° gennaio al 31 marzo 1980 soccorre invece
l'art. 2126 c.c. che trova piena applicabilità e su cui non sono
state avanzate lagnanze di sorta.
Passando infine all'esame del capo relativo alla condanna della
cassa di risparmio al risarcimento dei danni, quantizzati in lire
1.000.000 per ciascuno dei candidati non vincitori Ricupero, Pil
luso, Summaria, Stumpo, Losso e Roberti (ricorrenti in prima
sede), ritiene il collegio di dover confermare le impugnate senten
ze anche sul quantum. Ed invero, accertato l'inadempimento con
trattuale della Caricai per il mancato rispetto delle modalità della
prestazione secondo correttezza e buona fede a cui si era impe
gnata col bando di concorso, consegue il diritto dei predetti ri
correnti al risarcimento dei danni che si concretizzano, come
rilevato dal primo giudice, nel verificatosi «depauperamento del
la loro immagine professionale» all'interno dell'istituto e nei con
fronti dei colleghi. Ed invero l'attribuzione, immotivata ed anzi
scorretta (come s'è detto) di un punteggio discrezionale concer
nente tra l'altro capacità professionali, conoscenze dei servizi, ren
dimento, ecc. in loro danno, configura, ad avviso del collegio, un tipico danno alla «vita di relazione» violando il loro interesse
a preservare l'immagine sociale acquisita nell'ambiente di lavoro
in cui hanno operato. Si è trattato quindi di una menomazione
della loro c.d. capacità di concorrenza rispetto agli altri candidati
e ai dipendenti tutti, e perciò di un danno che non è certo morale
ma è patrimoniale indiretto.
Accedendo di contro alla tesi secondo cui il danno consistereb
be nella «perdita di chance», ossia nella perdita della possibilità
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di conseguire un risultato utile nel caso di attribuzione di punteg
gio discrezionale secondo correttezza e buona fede, ritiene il col
legio che la domanda andrebbe rigettata; ed invero, come ha
rilevato di recente la Suprema corte (Cass. 19 dicembre 1985, n. 6506, id., 1986, I, 383), la possibilità di conseguimento di un
risultato utile (collocazione nei primi sette posti) doveva provarsi ad opera dei ricorrenti ed accertarsi e valutarsi secondo criteri
di verosimiglianza alla stregua dell'/c? quod plerumque accidit;
in buona sostanza i candidati non vincitori avrebbero dovuto for
nire la prova di una rilevante probabilità (superiore pertanto al
50% delle possibilità) di esito vittorioso in caso di corretto uso
dei punteggi attitudinali, prova che di -ontro non hanno affatto
fornito; né si ritiene di accedere a quella dottrina secondo cui
il risarcimento dei danni è direttamente proporzionato alla misu
ra delle chances, riducendosi nella stessa misura in cui si riduco
no le probabilità di esito vittorioso, atteso che in tale evenienza
viene a difettare la stessa esistenza di un danno risarcibile.
In ordine al quantum non possono essere accolte le quantifica zioni fornite specialmente dalla difesa del Losso che fanno riferi
mento alle somme percepite dai vincitori del concorso; ritiene di
contro il collegio che, dovendosi necessariamente procedere ad
una valutazione equitativa, appare equo l'importo liquidato dal
primo giudice, non avendo peraltro nessuno degli appellanti inci
dentali indicato criteri obiettivi per una più esatta quantificazione.
II
Motivi della decisione. — Ritiene il tribunale che l'appello è
infondato e deve essere respinto.
Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla Fisac, non può essere individuato un comportamento della cassa di risparmio ap
pellata che, in violazione dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori,
sia lesivo dei diritti del sindacato alla tutela dell'interesse colletti
vo dei lavoratori.
Esattamente il primo giudice ha ritenuto di escludere, innanzi
tutto, che l'appellante potesse pretendere di conoscere, nel rispet to del Ceni di categoria, i criteri applicativi di valutazione
concernenti i singoli dipendenti della cassa di risparmio parteci
panti alla promozione a scelta; posto che, nel rispetto del Ceni
e dell'interesse collettivo già richiamati, l'appellata aveva portato
preventivamente a conoscenza delle organizzazioni sindacali i cri
teri generali ed astratti ai quali si sarebbe attenuta nelle valuta
zioni dei dipendenti partecipanti alla scelta per le promozioni. In secondo luogo, non può accettarsi la tesi di fondo dell'ap
pellante Fisac secondo la quale la Cassa di risparmio di S. Minia
to avrebbe dovuto e dovrebbe comunicare preventivamente alle
organizzazioni sindacali il processo di formazione delle valutazio
ni stesse. Infatti, tale obbligo non si può rinvenire a carico del
l'appellata con riferimento alla funzione di controllo che il Ceni
riconosce alle organizzazioni sindacali, come sostiene l'appellan
te, «in via generale, per la corretta ed integrale applicazione delle
norme contrattuali, ed in via specifica delle valutazioni da attri
buire ai titoli previsti dall'art. 89 Ceni 6 maggio 1980». L'inter
pretazione di tale disciplina, a parere del tribunale, non può
prescindere dalla insindacabilità del processo di valutazione, che
è soggettivo e discrezionale pur se deve essere contenuto nei limiti
dei criteri oggettivamente predeterminati e, come sopra detto, por
tati preventivamente a conoscenza delle organizzazioni sindacali.
La fondatezza di questa tesi si coglie comparando il metodo
di promozione a scelta, del quale si tratta, con quello per concor
so, del quale esattamente il primo giudice sottolinea la maggiore
garanzia rispetto all'altro, costituita dalla espressa previsione con
trattuale (art. 8 contratto integrativo aziendale 23 marzo 1981)
della partecipazione di rappresentanti dei dipendenti ai lavori del
le commissioni esaminatrici. Il diverso criterio fondamentale del
la scelta, che assiste il metodo in esame, non può tollerare una
eguale ingerenza delle organizzazioni sindacali senza che la disci
plina contrattuale collettiva ne faccia espressa menzione, cosi co
me, invece, ha fatto nel caso del concorso, già di per sé ispirato
a più paritari criteri di partecipazione.
Pertanto, la sentenza di primo grado deve essere confermata
perché correttamente è stata interpretata la disciplina' in materia
di promozioni a scelta da parte della Cassa di risparmio di S.
Miniato ed infondatamente si è ritenuto di intervenire da parte
dell'appellante Fisac ad ipotizzare un comportamento antisinda
cale non configurabile nel comportamento della cassa medesima.
li Foro Italiano — 1988.
TRIBUNALE DI MODENA; sentenza 23 gennaio 1987; Pres.
ed est. Cavarra; Zuccoli (Avv. Guidotti) c. Fusari (Avv.
Borrelli).
TRIBUNALE DI MODENA;
Matrimonio — Matrimonio civile — Consenso prestato «ludendi
causa» — Nullità assoluta — Fattispecie (Cod. civ., art. 107,
117, 123).
Il matrimonio civile è affetto da nullità assoluta insanabile qualo ra il consenso sia stato manifestato per gioco (nella specie, si
trattava di matrimonio contratto all'estero, con la reciproca
consapevolezza, da parte dei nubendi, di esser vincolati da pre cedenti matrimoni). (1)
(1) Unico precedente, anteriore alla legge di riforma del diritto di fami
glia, Trib. Milano 24 ottobre 1974, Foro it., Rep. 1975, voce Matrimo
nio, n. 108, in cui si è precisata l'opportunità del riferimento alle regole civilistiche in materia di negozio giuridico ai fini dell'individuazione dei
requisiti per la formazione di un valido consenso nel matrimonio civile, dato l'esiguo numero, nella legislazione di diritto pubblico, di norme sul
l'argomento: tale riferimento non farebbe venir meno il carattere pubbli cistico dell'istituto, definito «negozio giuridico bilaterale sui generis», ma
implica l'esclusione dell'idoneità del consenso a far sorgere il vincolo «quan te volte non c'è cosciente volontà della persona che lo presta di addiveni
re al matrimonio civile», poiché «non è rinvenibile un interesse generale a creare fittiziamente vincoli in realtà inesistenti». Tale conclusione, riba
dita dalla sentenza in epigrafe, troverebbe conferma nella ratio dell'art.
128 c.c.: la produzione di effetti da parte del matrimonio dichiarato nullo
è infatti giustificata dalla buona fede dei coniugi o dal rispetto dei diritti
della parte che abbia validamente manifestato il proprio consenso.
La dottrina prevalente è conforme alla massima: v. Jemolo, Il matri
monio, in Trattato diretto da Vassalli, Torino, 1961, 106 s.; Santosuos
so, Matrimonio e regime patrimoniale della famiglia, in Giur. sist. civ.
e comm. fondata da Bigia vi, 91 (contra, Gangi, Il matrimonio, Milano,
1947, 64 s., il quale, sottolineando il carattere pubblicistico dell'istituto, la natura di elemento costitutivo della dichiarazione dell'ufficiale dello
stato civile e, da ultimo, l'ormai superato principio dell'indissolubilità
del matrimonio, ritiene che il consenso prestato ioci causa non produca la nullità del vincolo matrimoniale); per il diritto canonico, Giacchi, Con
senso nel matrimonio canonico, Milano, 1950, 149 s., e Fumagalli Ca
rulli, Intelletto e volontà nel consenso matrimoniale in diritto canonico,
Milano, 1974, 199. Da notare come il tribunale respinga la tesi che qualifica il matrimonio
contratto per gioco come ipotesi di matrimonio simulato, data la man
canza, tanto del negozio simulato, quanto dell'intesa simulatoria.
In dottrina si è discusso dell'applicabilità della disciplina della simula
zione alle ipotesi di «comportamento dichiarativo meramente apparente»: v., in senso positivo, Nicolò, in Quaderni romani di diritto canonico
diretti da Fedele, Roma, 1977, 56; e, per l'opposto avviso, Perego, La
simulazione nel matrimonio civile, Milano, 1980, 83 s., il quale ritiene
che la fattispecie del matrimonio ioci causa, escludendo il mutamento
dello status da parte dei nubendi, si differenzi dall'ipotesi di simulazione
assoluta del matrimonio, per la partecipazione all'accordo simulatorio
dell'ufficiale celebrante. La tesi accolta dalla sentenza in epigrafe appare coerente con un concetto lato di simulazione, quale voluta apparenza ne
goziale, finalizzata al conseguimento di scopi diversi o incompatibili con
la causa tipica del negozio che le parti dichiarano di porre in essere.
Dichiarando che il consenso prestato ludendi causa determina un'ipote si di nullità, e non d'inesistenza, del matrimonio, il tribunale accoglie la tesi, prevalente in dottrina e giurisprudenza, secondo la quale non si
può dichiarare inesistente il matrimonio solo perché la legge non abbia
provveduto espressamente a disciplinarne la nullità (cfr. Cass. 20 ottobre
1959, n. 2987, Foro it., 1959, I, 1826). Il tradizionale criterio discretivo
tra le ipotesi di nullità e quelle di inesistenza del matrimonio consiste
infatti nella «realtà fenomenica costituente la base naturalistica della fat
tispecie» (Cass. 20 maggio 1976, n. 1808, id., Rep. 1976, voce cit., n.
118), intendendo con tale espressione la necessaria presenza di due perso ne di sesso diverso, manifestanti il proprio consenso dinanzi all'ufficiale
celebrante. Tale criterio non ha però avuto applicazione univoca: sono
stati, ad esempio, ritenuti causa d'inesistenza i vizi essenziali della procu ra (Cass. 14 febbraio 1975, n. 569, id., Rep. 1975, voce cit., n. 107;
e, in senso opposto, Bianca, Commentario alla riforma del diritto di
famiglia, Padova, 1977, 113). Per un'interpretazione restrittiva delle ipotesi di inesistenza del matri
monio, v. Jemolo, cit., 48 s.; nel senso che possa parlarsi d'inesistenza
del matrimonio anche in caso di mancata registrazione dell'atto, v. Tra
bucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1988, 272; e, per un approc cio critico alla distinzione tra inesistenza e nullità del matrimonio civile,
Finocchiaro, Matrimonio civile, voce dell 'Enciclopedia del diritto, XXV,
829, il quale considera ambigua tale distinzione, poiché in ogni caso di
difformità dalla fattispecie legale è necessaria l'impugnativa del pubblico ministero o di chiunque vi abbia interesse. Cosi anche Stolfi, Teoria
del negozio giuridico, Padova, 1947, 62 ss. Per parte sua Bianca, Diritto
civile, Milano, 1985, 115, si pronuncia per la rilevanza di tale distinzione,
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