+ All Categories
Home > Documents > PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 10 dicembre 1987; Pres. ed est....

PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 10 dicembre 1987; Pres. ed est....

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: ngocong
View: 223 times
Download: 2 times
Share this document with a friend
7
sentenza 10 dicembre 1987; Pres. ed est. Copani; Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania (Avv. Persiani, Magliari), Sgambellone e altri (Avv. V. Ferrari) c. Ricupero (Avv. Del Vecchio), e altri Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1988), pp. 955/956-965/966 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181163 . Accessed: 28/06/2014 11:25 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.174 on Sat, 28 Jun 2014 11:25:16 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 10 dicembre 1987; Pres. ed est. Copani; Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania (Avv. Persiani, Magliari), Sgambellone

sentenza 10 dicembre 1987; Pres. ed est. Copani; Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania(Avv. Persiani, Magliari), Sgambellone e altri (Avv. V. Ferrari) c. Ricupero (Avv. Del Vecchio), ealtriSource: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 955/956-965/966Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181163 .

Accessed: 28/06/2014 11:25

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 91.238.114.174 on Sat, 28 Jun 2014 11:25:16 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 10 dicembre 1987; Pres. ed est. Copani; Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania (Avv. Persiani, Magliari), Sgambellone

PARTE PRIMA

contrae la compagnia nei confronti dell'utente nella figura della

prestazione del fatto del terzo, fatto che si identifica appunto

con la prestazione delle energie lavorative dei soci lavoratori del

la compagnia. Costruzione, quest'ultima, che non pare riflettere

completamente una realtà in cui (art. 110 c. nav.) è la compa

gnia, quale autonomo soggetto di diritto, ad obbligarsi all'esecu

zione delle operazioni portuali ad essa riservate. Né pare potersi

condividere l'affermazione, contenuta nell'impugnata sentenza,

secondo cui la riserva dell'esecuzione delle operazioni portuali

alle compagnie è derogata, oltre che nel caso, espressamente ri

chiamato, dalle c.d. automomie funzionali, anche in quello, pre

visto dall'art. 201 reg. c. nav., dello «svolgimento delle operazioni

portuali in proprio da parte delle navi». Opinione che trae la

sua spiegazione in ciò che l'art. Ili c. nav. affidando alle «im

prese» di sbarco l'esercizio di operazioni portuali «per conto ter

zi» fornirebbe materia per definire, a contrariis, come veri e propri

datori di lavoro coloro che, ex art. 201 reg. c. nav., fanno ese

guire le operazioni portuali «per conto proprio». Senonché, po

sto che il regolamento per l'esercizio della navigazione marittima

è un atto normativo secondario, avente natura esecutiva e conte

nuto organizzativo, che, ove dovesse contrastare con la fonte

primaria costituita dal codice della navigazione (e, in particolare,

con l'art. 110) risulterebbe illegittimo e dovrebbe essere disappli

cato (v. Comandante del porto di Livorno sent. n. 1 del 6 mag

gio 1966, id., Rep. 1968, voce Navigazione marittima, n. 23),

si tratta di vedere se il «conto proprio» predicato alle operazioni

di sbarco ed imbarco prefiguri, o meno, una nozione che si con

trappone alla regola della riserva delle operazioni portuali in ca

po alla compagnia. E non è chi non veda come il soggetto che

viene meno, rispetto allo schema prefigurato dagli art. 110 e 111

c. nav., nell'ipotesi di c.d. impiego diretto di cui all'art. 201

reg., è soltanto l'impresa concessionaria delle operazioni portuali

ex art. Ili c. nav. (cui è commessa un'area di attività — di

carattere, lato sensu, commerciale e tecnico organizzativo — più

ampia di quella dell'esecuzione delle operazioni portuali affidate

alla compagnia). In tal caso l'utente (caricatore, ricevitore o na

ve vettrice) o per l'esiguità delle strutture portuali, o per la sem

plicità delle operazioni da compiere (previa autorizzazione

dell'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale) scavalca

l'impresa di sbarco ed entra in diretto rapporto con la compa

gnia. Ma nell'un caso e nell'altro non viene meno l'alterità sog

gettiva della compagnia, quale autonomo soggetto di diritto,

rispetto ai singoli operai costituiti in maestranze. Il rapporto di

retto tra utente e compagnia non esclude, ma presuppone che,

a favore della compagnia, continui ad operare la riserva di cui

all'art. 110 c. nav., che è riserva della esecuzione delle operazio ni portuali, vale a dire di gestione del servizio di sbarco e im

barco.

Le osservazioni che precedono non valgono, di per sé, a rove

sciare l'opinione, prevalente in giurisprudenza, che chiama a ri

spondere l'impresa di sbarco, o l'utente nel caso di impiego diretto

delle maestranze costituite in compagnia, dei danni causati a ter

zi da singoli portuali (salve le possibili rivalse), per lo spazio che esiste fra «committente» ai sensi dell'art. 2049 e «datore

di lavoro» ai sensi dell'art. 2119 c.c., e salva la concorrente re

sponsabilità della compagnia (su cui v. App. Genova 26 maggio

1955, id., Rep. 1955, voce cit., nn. 12, 15; Cass. 15 ottobre

1968, n. 3300, cit.). Né ha ragione di porsi il problema (sollevato

dalla difesa della compagnia dei portuali) dell'assoggettamento ad Iva delle fatture emesse dalla compagnia per il corrispettivo del lavoro dei portuali in quanto, ex art. 9, punto 6, d.p.r. 20

ottobre 1972 n. 633, tali «note lavori» non sono soggette a

Iva proprio sul presupposto che l'attività svolta dalla compa

gnia «si concretizza nell'espletamento di servizi afferenti l'im

barco, lo sbarco, il trasporto, il deposito e in genere il movimen

to delle merci nei porti» (nota ministeriale n. 522788 del 28 apri le 1973).

Posto, dunque, che il credito fatto valere è effettivo credito

della compagnia, vale a dire di un soggetto giuridico avente na

tura di società cooperativa; che, cioè, i servizi resi materialmente

dai singoli lavoratori sono, da un punto di vista giuridico, la

prestazione della compagnia; che soltanto cosi si spiega la legitti mazione sostanziale e processuale della compagnia, al di fuori

Il Foro Italiano — 1988.

di ogni ipotesi di rappresentanza (legale e volontaria) dei singoli

lavoratori, dei quali non viene speso il nome, e di qualsiasi dero

ga al principio di cui all'art. 81 c.p.c., ne discende che, in alcun

modo, il credito della compagnia verso gli utenti può qualificarsi

come credito per retribuzione dovuta ai prestatori di lavoro su

bordinato. Ed è vero che, all'art. 2751 bis, n. 1, si parla di

retribuzioni dovute «sotto qualsiasi forma»; ma la varietà delle

forme retributive (che ha il proprio punto di riferimento norma

tivo agli art. 2099 e 2121, ultimo comma, c.c.) opera soltanto

all'interno di un rapporto creditorio diretto tra datore di lavoro

e lavoratori subordinati, non già al di fuori di esso, né in un

rapporto tra utente e cooperativa. Rapporto che, peraltro, attesa

la natura soggettiva di cooperativa propria della compagnia por tuale e quella oggettiva del credito che è il corrispettivo dei servi

zi prestati dalla cooperativa di lavoro, ricade indubbiamente nella

previsione di cui all'art. 2751 bis, n. 5, c.c.

In tal senso deve essere riformata l'impugnata sentenza.

È infatti principio affermato dalla giurisprudenza della Supre

ma corte che l'ordine dei privilegi generali sui beni mobili, di

cui agli art. 2751 ss. c.c., è tassativamente fissato dalla legge,

in stretta correlazione con la causa del credito, e resta sottratto

all'iniziativa del creditore, con la conseguenza che l'indicazione

del grado di detti privilegi non fa parte del petitum della doman

da diretta al suo riconoscimento (cosi Cass. 28 giugno 1979, n.

3628, id., Rep. 1979, voce Appello civile, n. 65); con l'ulteriore

conseguenza che, in sede di opposizioni contro lo stato passivo

fallimentare, al creditore che abbia chiesto il riconoscimento del

privilegio in base ad una determinata qualificazione giuridica del

rapporto dedotto, è consentito emendare la domanda prospet tando una diversa qualificazione giuridica dei medesimi fatti di

causa, «cui del resto il giudice può provvedere anche d'ufficio»

(Cass. ult. cit.).

I

TRIBUNALE DI COSENZA; sentenza 10 dicembre 1987; Pres.

ed est. Cofani; Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania

(Avv. Persiani, Magliari), Sgambellone e altri (Avv. V. Fer

rari) c. Ricupero (Avv. Del Vecchio), e altri.

TRIBUNALE DI COSENZA;

Lavoro (rapporto) — Casse di risparmio — Concorso interno

a dirigente — Violazione dei principi di correttezza e buona

fede — Conseguenze — Graduatoria — Nullità — Fattispecie

(Cod. civ., art. 1175, 1375, 1418). Lavoro (rapporto) — Casse di risparmio — Concorso interno

a dirigente — Nullità della graduatoria — Vincitori — Diritto

a mantenere la promozione (Cod. civ., art. 2103, 2126). Lavoro (rapporto) — Casse di risparmio — Concorso interno

a dirigente — Violazione dei principi di correttezza e buona

fede — Lavoratori pretermessi — Risarcimento del danno —

Limiti.

La violazione da parte del datore di lavoro delle regole di corret

tezza e buona fede comporta la nullità della graduatoria di un

concorso interno a dirigente bandito da una cassa di risparmio, con l'obbligo di rinnovare le operazioni (nel caso, il tribunale

ha confermato la statuizione del pretore che aveva dedotto la

violazione di tali regole dalle seguenti circostanze: a) mancata

motivazione del punteggio discrezionale; b) eccessiva brevità dello

scrutinio rispetto alla complessità delle valutazioni e del nume

ro degli scrutinandi; c) esistenza di alcune lettere di diffida con

data certa anteriore all'espletamento del concorso che indicava

no i nomi dei vincitori; à) attribuzione del punteggio massimo

ad alcuni dei vincitori pur sforniti di compiti di responsabilità diretta a fronte di alcuni lavoratori pretermessi; e) riconosci

mento ai vincitori del massimo punteggio per capacità e cono

This content downloaded from 91.238.114.174 on Sat, 28 Jun 2014 11:25:16 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 10 dicembre 1987; Pres. ed est. Copani; Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania (Avv. Persiani, Magliari), Sgambellone

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

scenze, pur a parità con i lavoratori pretermessi di note di qua

lifica e rendimento; f) notevoli ed immotivate discordanze ri

spetto all'esito di precedenti concorsi). (1) I lavoratori, risultati vincitori in un concorso interno bandito da

una cassa di risparmio per la promozione a dirigente, hanno

diritto, anche in caso di successivo annullamento del concorso,

a mantenere la qualifica dirigenziale toro riconosciuta. (2) I lavoratori ingiustamente pretermessi in un concorso interno ban

dito da una cassa di risparmio hanno diritto, a seguito della

declaratoria giudiziale della nullità della graduatoria, al risarci

mento dei danni per violazione «del loro interesse a preservare

l'immagine sociale acquisita nell'ambiente di lavoro in cui han

no operato» e non per la perdita dell'occasione di promozione, dovendo il giudice procedere alla liquidazione equitativa del

danno. (3)

II

TRIBUNALE DI PISA; sentenza 23 novembre 1987; Pres. San

na, Est. Capurso; Fisac-Cgil (Avv. Bellotti) c. Cassa di ri

sparmio di San Miniato (Avv. Mazzotta).

Sindacati — Casse di risparmio — Promozioni per scelta — Omes

sa comunicazione alle organizzazioni sindacali dei criteri pro

motivi — Antisindacalità — Insussistenza — Fattispecie (L. 20

maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità

dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale

nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 28).

Non è antisindacale il comportamento del datore di lavoro (nel

caso, una cassa di risparmio) che, in occasione di una selezione

promotiva «per scelta», ometta di informare le organizzazioni

sindacali in ordine ai criteri che adotterà per valutare le compe

tenze professionali dei candidati nonché al processo di forma

zione delle valutazioni (in motivazione, il tribunale osserva che

di un obbligo siffatto non vi è traccia nella contrattazione col

lettiva, mentre il datore di lavoro aveva provveduto a comuni

care ai sindacati, in applicazione di una omologa clausola della

contrattazione aziendale, i criteri generali ed astratti ai quali

si sarebbe attenuto nelle valutazioni dei dipendenti partecipanti

alla selezione). (4)

(1-3) La sentenza di primo grado del Pretore di Cosenza, 30 ottobre

1985, confermata nella sostanza, salvo piccoli ritocchi, può leggersi in

Foro it., 1986, I, 1713, con nota di richiami.

Il tribunale conferma anzitutto, sul piano della qualificazione del com

portamento datoriale in violazione delle regole del concorso, la tesi «eclet

tica» già fatta propria dal giudice di primo grado, che cumula per sommatoria la tecnica dell'inadempimento e quella della nullità. Giunge cosi a riconoscere al lavoratore, illegittimamente pretermesso, il diritto

al risarcimento dei danni per la violazione dei principi di buona fede

e correttezza, sancendo nel contempo la nullità della graduatoria concor

suale (sempre per violazione degli stessi principi assunti a direttive etico

sociali dell'ordinamento, id est norme di ordine pubblico a carattere im

perativo). Il più recente esito della giurisprudenza di Cassazione sembra viceversa

orientato ad escludere l'impiego della tecnica della nullità per valutare

piuttosto in termini di inadempimento le conseguenze della violazione delle

regole del concorso. In argomento, v. Cass. 10 agosto 1987, n. 6864,

id., 1987, I, 2987, con nota di O. Mazzotta, La Cassazione e i concorsi

privati: cosa c'è dietro l'angolo? Nella stessa decisione si assume che l'an

nullamento delle promozioni effettuate potrebbe conseguire solo all'ipo

tesi in cui «il datore di lavoro si sia obbligato a non promuovere se non

attraverso il procedimento previsto». Sul diritto al risarcimento dei danni a favore dei lavoratori illegittima

mente pretermessi, v. Cass. 10 agosto 1987, n. 6858 ibid., secondo cui

il diritto al risarcimento dovrebbe corrispondere alla retribuzione per la

qualifica superiore solo nel caso in cui, annullato il concorso perché ille

gittimamente espletato, il lavoratore comprovi che sarebbe stato incluso

nell'elenco dei promossi. Sul diritto al risarcimento dei danni per perdita

della chance, v., da ultimo, Cass. 1° aprile 1987, n. 3139, ibid., 2073

con nota di richiami; per ulteriori riferimenti, cfr. anche Trib. Roma

20 marzo 1987, ibid., 2855, con nota di richiami.

(4) Per una recente e consimile fattispecie nella quale si è ritenuto che

il lavoratore, che abbia partecipato ad una selezione promotiva, non ha

interesse, in assenza di una domanda diretta a lamentare una lesione del

Il Foro Italiano — 1988.

I

Motivi della decisione. — (Omissis). Passando subito al merito

rileva il collegio che non residua spazio alcuno per una rivisita

zione di materie ed istituti che sono stati ampiamente, attenta

mente e profondamente vagliati dalla Suprema corte anche a

sezioni unite, e risolti con indirizzo ormai pressoché consolidato; non resta quindi che richiamarsi alle numerose decisioni ed evi

denziare che con la fondamentale sentenza n. 5688 del 2 novem

bre 1979 (Foro it., 1979, I, 2548) e con quelle successive (4 gennaio

1980, n. 1, id., Rep. 1980, voce Impiegato dello Stato, n. 109; 14 aprile 1980, n. 2433, ibid., n. 253; 3 giugno 1981, n. 3569,

id., Rep. 1981, voce cit., n. 253; 27 maggio 1983, n. 3675, id.,

Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1138) la Corte di cassazio

ne ha ribadito che i provvedimenti degli enti pubblici economici

in materia di rapporto di lavoro configurano espressioni non di

un potere amministrativo collegato con la tutela di superiori inte

ressi di ordine generale, ma di uno privatistico del tutto analogo

a quello spettante a qualsiasi imprenditore nel settore privato,

precisando che, qualora le scelte dell'ente debbano avvenire nel

preminente interesse dei lavoratori per la soluzione di un conflit

to fra più lavoratori aspiranti ad una promozione da attuare me

diante un meccanismo contrattuale (come in materia concorsuale),

prevale la tecnica giuridica del rapporto, caratterizzata dall'attri

buzione alle parti di situazioni attive e passive pariteticamente

contrapposte, in cui l'attività del datore di lavoro è concepita come oggetto di un'obbligazione verso il lavoratore in conflitto

d'interessi con lui e con altri aspiranti alla promozione. Nel com

pimento di tutte le operazioni concorsuali necessarie alla valuta

zione dei requisiti di ciascun aspirante il datore di lavoro è vincolato

non solo al rispetto dei meccanismi procedimentali precostituiti

ma anche dei principi della correttezza e della buona fede (art.

1175 e 1375 c.c.).

Questi operano in tutte le fasi della procedura concorsuale, po

nendosi come regole fondamentali di condotta, come clausole ge

nerali del sistema, essendo costituiti da fondamenti e direttive

etico-sociali dell'ordinamento giuridico che interessano non solo

l'adempimento degli obblighi contrattuali ma anche l'esercizio del

potere discrezionale del datore di lavoro. Ha ancora la Suprema

corte evidenziato che al di fuori delle ipotesi in cui norme collet

tive o bandi di concorso individuano rigidi criteri di promozione,

in cui cioè l'avanzamento sia effetto diretto ed immediato del

l'accertato verificarsi di determinati presupposti di fatto, è confi

gurabile l'ipotesi (qui ricorrente) in cui la normativa preveda un

meccanismo di scelte riservando al datore di lavoro la valutazio

ne discrezionale di alcuni requisiti; in tale evenienza si rinviene

una posizione di diritto soggettivo del lavoratore il quale, se non

può pretendere il conferimento immediato della qualifica supe

riore quale effetto automatico dell'accertamento dei requisiti ri

chiesti, ha diritto però al compimento corretto delle operazioni

selettive (art. 1175 c.c.) non solo per quanto riguarda la conside

razione dei requisiti predeterminati dalla contrattazione collettiva

o dall'ente nei regolamenti o nel bando, ma anche per quanto

riguarda la valutazione di aspetti attitudinali. Ed invero, per quanto

possa essere ampio il margine di discrezionalità, non può essere

svincolata detta valutazione da ogni norma di relazione per non

degenerare in insindacabile arbitrio. Ne consegue che il controllo

del giudice ordinario deve necessariamente esercitarsi non solo

sull'effettiva osservanza dei procedimenti di scelta in base ai cri

teri prestabiliti, ma anche sulla conformità del comportamento

dell'ente ai principi di correttezza e buona fede oggettiva anche

nel contenuto indefettibile dell'imparzialità, trattandosi di rela

zione fra dipendenti.

In tale prospettiva anzitutto l'obbligo della motivazione dei prov

vedimenti relativi alle promozioni risponde ad una necessità di

esteriorizzazione della scelta dell'ente non solo per consentire ai

dipendenti il controllo sull'effettivo concretarsi delle loro posi

diritto alla promozione, ad ottenere un'autonoma condanna del datore

di lavoro a dar notizia dei criteri di valutazione seguiti nel procedimento

promotivo, v. Cass. 8 luglio 1987, n. 5965, Foro it., 1987, I, 2989, ove

richiami a precedenti inediti che hanno esaminato lo stesso tema, come

nella sentenza che si riporta, nell'ottica del comportamento antisindacale.

This content downloaded from 91.238.114.174 on Sat, 28 Jun 2014 11:25:16 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 10 dicembre 1987; Pres. ed est. Copani; Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania (Avv. Persiani, Magliari), Sgambellone

PARTE PRIMA

zioni giuridiche ma anche per rendere possibile il sindacato giudi ziario.

Ma può anche verificarsi che al di fuori della presenza o meno

della motivazione, essendo sindacabile non certo il contenuto ma

l'esistenza di una corretta valutazione dei requisiti nel raffronto

di più posizioni (sistema concorsuale), possono emergere altre in

congruenze ovvie quale ad esempio l'immotivata attribuzione di

valori diversi ad elementi identici ovvero una super o sottovaluta

zione di determinati titoli per motivi estranei all'oggetto e allo

scopo della valutazione (in questo senso v. Cass. 6864/87, id.,

1987, I, 2987). Ad avviso di questo collegio, e seguendo l'indirizzo di prece

dente decisione, elemento gravemente indiziario d'una quanto meno

superficiale valutazione è anche la brevità temporale delle opera zioni di valutazione comparativa, specie se accompagnata da ele

menti «inquietanti». Tanto premesso, prendendo in esame le operazioni del concor

so in oggetto e più in particolare la graduatoria stilata dall'appo sita commissione e fatta propria dall'ente, ritiene il collegio di

dover interamente condividere tutte le censure del primo giudice

che, ad un'analisi approfondita, ha evidenziato: 1) l'assoluta man

canza di motivazione per quanto concerne il punteggio discrezio

nale per tutti i candidati («nessun elemento in atti spiega perché solo ai vincitori del concorso sia stato attribuito il massimo del

punteggio discrezionale»); l'eccessiva brevità delle complesse ope razioni di valutazione comparativa (le operazioni si sono svolte

in quaranta minuti in cui sono stati valutati tutti i precedenti di carriera, la capacità organizzativa, la conoscenza dei servizi, ecc. di ben ventiquatto candidati, alla media «record» di un mi

nuto e mezzo per ciascuno, nonostante la «corposità» dei fasci

coli d'ogni candidato; 3) la correlata «inquietante» circostanza

che in data 11 e 20 dicembre 1979, ossia prima delle operazioni

concorsuali, i concorrenti Greco e Summaria avevano fatto per venire al consiglio di amministrazione della cassa due lettere dif

fida con data certa in cui venivano riferite le voci circolanti

all'interno dell'istituto in quel periodo secondo cui i vincitori era

no stati già designati a priori per cui il concorso sarebbe stato

una pura formalità; in dette lettere i due funzionari indicavano

specificatamente i nomi dei sette candidati che successivamente

sono risultati vincitori del concorso; 4) l'irrazionalità e l'arbitrio

nell'attribuzione del punteggio attitudinale, dato nel massimo so

lo ai sette vincitori pur non avendo alcuni mai svolto compiti di responsabilità diretta (Benvenuto, Bruzzano) e altri averli avu

ti solo tre mesi prima del 31 maggio 1979 data ultima per la

considerazione delle posizioni professionali dei concorrenti (Sa

pio), mentre altri concorrenti, ancora, pur avendo ricoperto sen

za demerito da molto tempo incarichi di responsabilità diretta non avevano avuto il massimo punteggio (cosi ad es. i curricula

di Ricupero, Piluso, Pellegrini, Stumpo, Ricca, ecc.); ed ancora l'attribuzione del massimo di punteggio ai soli sette vincitori per capacità professionali e per conoscenza dei servizi laddove tutti i candidati avevano avuto le identiche note di qualifica ed il mas simo del punteggio relativo al rendimento; 5) l'uso scorretto del

potere discrezionale per 1'«altalena» nell'attribuzione del punteg gio attitudinale con raffronto al concorso immediatamente prece dente (1977) e successivo (1981) per tutti i candidati, senza alcuna motivazione delle discordanze.

Censure tutte a cui la cassa non ha saputo contrapporre né

argomenti rinvenienti dagli atti procedimentali del concorso, né in questa sede efficaci risposte che consentissero di ribaltare il

giudizio pretorile, tanto più se correlate all'onere della prova, alla cassa incombente, del rispetto dei fondamentali criteri della correttezza e della buona fede (v. Cass. 27 maggio 1983, n. 3675, cit.). Aveva infatti l'ente il dovere di offrire al sindacato giudizia le — che sotto questo profilo non incontra limiti — una valuta zione ripercorribile nella sua logica e conforme alle previsioni legali e a quelle negoziali del bando delle scelte e delle diversificazioni

operate anche rispetto ai precedenti concorsi. Tale omissione co stituisce un chiaro inadempimento contrattuale e, se inquadrata nell'ottica delle accertate scorrettezze, una circostanza sintomati ca della distorsione della causa che ebbe ad indurla a bandire il concorso per dirigenti. Ed invero la correttezza, intesa come obiettiva valutazione comparativa, è anche implicita nella causa della promessa al pubblico di cui al bando di concorso; come è stato evidenziato dalla difesa del Marrazzo infatti se il datore

li Foro Italiano — 1988.

di lavoro procede concorsualmente è proprio perché intende for

malizzare l'esigenza di una valutazione comparativa al fine della

scelta dei più idonei tra tutti i candidati, da cui l'obbligo del

datore di lavoro ed il connesso diritto degli aspiranti ad una im

parziale valutazione che non dipenda cioè dal mero arbitrio (o dalle pre-scelte) ma da elementi uniformemente applicati.

Sul tormentato problema degli effetti dell'accertata violazione

del principio di correttezza devesi partire dal dato che, tanto se

l'attività dell'imprenditore sia riconducibile all'esercizio di un po tere quanto all'adempimento di un'obbligazione, il comune rife

rimento all'art. 1175 c.c. consente ai lavoratori partecipanti al

concorso di chiedere ed ottenere dal giudice ordinario un sinda

cato che non può non avere l'ampiezza e la penetrazione identi

che a quelle che il pubblico dipendente può ottenere dal giudice

amministrativo; in caso contrario si perverrebbe ad una discrimi

nazione tra impiegati pubblici e privati che non troverebbe alcu

na giustificazione. Ne discende che anche nell'ambito assegnato alla cognizione del giudice ordinario devono essere date azioni

e misure «demolitorie» (nullità ed annullamento), rimedi esperi bili sia in riferimento a tecniche di attribuzione e regolazione di

poteri, sia in riferimento a tecniche paritetiche e rapportuali, non

essendo d'ostacolo la diversa qualificabilità (scorrettezza o ina

dempienza) a seconda dei due casi della deviazione cui si reagisce. Ammissibili anche misure ricostitutive (v. Cass., sez. un., 29

ottobre 1980, n. 5800, id., Rep. 1980, voce Impiegato dello Sta

to, n. 379) attesa la tendenza del diritto privato di allargare la

tutela reale del creditore, ma sempre che si sia in presenza di

elementi obiettivi accertabili direttamente dallo stesso giudice; di

versamente, ove si verta in tema di valutazioni esclusive dell'ente

pubblico, non è possibile la sostituzione allo stesso nel compi mento di operazioni riservate all'ente medesimo (Cass. 27 maggio

1983, n. 3674, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1131). Anche il rimedio risarcitorio sostitutivo può utilmente essere

esperito in conseguenza dell'accertato illecito contrattuale per ef

fetto della mancata promozione; tanto evidentemente non pre

suppone la declaratoria di nullità delle promozioni irregolari ma

solo l'accertamento dell'inadempimento e dell'esistenza di un danno

che di esso sia conseguenza diretta ed immediata.

Sono quindi molteplici le azioni proponibili e cioè i rimedi spe rimentabili, di tal che nessuna censura merita il primo giudice che ha conseguentemente dichiarato la nullità della graduatoria

impugnata, in conformità della richiesta avanzata da taluni dei

candidati non promossi, per la scorretta attribuzione del punteg

gio attitudinale ai candidati.

Da ciò l'obbligo della cassa di risparmio di rinnovare le opera zioni concorsuali. Non può infatti sul punto condividersi la tesi

avanzata dall'istituto di credito secondo cui tale ordine di rinno

vazione costituirebbe un illecito attentato ai poteri di autorganiz

zazione; ed invero, allorché la cassa di risparmio ebbe a bandire il concorso de quo, ebbe ad integrare una promessa al pubblico che era per essa una specifica fonte di obbligazione, che, per ef

fetto della dichiarazione di nullità parziale, non è stata adempiu ta e che quindi va integralmente attuata. Conseguentemente non si pone in discussione il potere di autorganizzazione dell'ente che

invece, è obbligato ad attivarsi per la rinnovazione delle opera zioni concorsuali nella sola parte qui demolita, nel pieno rispetto dei principi di imparzialità e correttezza.

Né può condividersi la tesi prospettata con dovizia di acute

argomentazioni dall'appellante incidentale Losso secondo cui que sto collegio dovrebbe prendere solo atto del punteggio c.d. puro

(ossia quello dei soli punteggi fissi) e stilare la relativa graduato ria promuovendo i primi sette classificati. Al rigetto si perviene sia prendendo le mosse dall'ineludibile obbligo della cassa (as suntosi col bando di concorso) di attuare l'obbligazione nella sua interezza e quindi anche con l'attribuzione dei punteggi discrezio

nali, sia evidenziando la perfetta legittimità del punto 6° del ban

do (che attribuisce alla cassa il potere discrezionale sulla valutazione

dei precedenti di carriera, gradi ed uffici ricoperti, ecc.) per la sua conformità alla contrattazione collettiva (art. 100) che, a sua

volta, non si pone in contrasto con alcuna norma imperativa, sia infine per la considerazione, anche se non assorbente, che

per la copertura di posti di dirigente non possono non valutarsi elementi altamente sintomatici della «qualità» dei candidati quali i precedenti di carriera, le capacità direttive organizzative e pro fessionali, ecc.

This content downloaded from 91.238.114.174 on Sat, 28 Jun 2014 11:25:16 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 5: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 10 dicembre 1987; Pres. ed est. Copani; Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania (Avv. Persiani, Magliari), Sgambellone

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Rinnovazione, quindi, delle operazioni concorsuali al solo fine

di procedere ad una corretta attribuzione dei punteggi discrezio

nali, dopo l'imparziale e meditata comparazione dei requisiti dei

candidati, ed alla compilazione di una graduatoria da parte della

commissione a tanto deputata, con la successiva nomina da parte dell'istituto dei sette vincitori, con effetti giuridici ed economici

che dovranno risalire alle date di cui al bando di concorso del

1979. È conseguente che in sede di rinnovo del concorso dovrà

la commissione tener conto di tutti e solo i candidati che vi han

no in precedenza partecipato, senza che possa avere influenza

il loro successivo collocamento a riposo. È pure conseguente che

la declaratoria di nullità finale della graduatoria comporta la nul

lità della nomina a dirigente di Sgambellone, Bruzzano, Benve

nuto, Maradei, Vidiri, Sapio e Marranzini.

Con un articolato motivo di gravame si dolgono però sei dei

sette ex vincitori (Sgambellone, Bruzzano, Benvenuto, Maradei, Vidiri e Marranzini) per non avere il primo giudice accolto la

loro domanda di conservazione del grado di dirigente avendo svolto

le relative mansioni ben oltre i tre mesi di cui all'art. 2103 c.c.

ed anzi per quasi otto anni. Ha la cassa replicato che i sei ex

promossi non avevano chiesto di provare né quali fossero le man

sioni da loro espletate successivamente alla nomina a dirigente di II, né la riconducibilità di tali mansioni nell'ambito di tale

ultima categoria, né infine la durata di tale espletamento, ed ha

ribadito che dal contratto normativo aziendale e dal Ceni di cate

goria, nell'ambito dell'organigramma della Caricai non esistereb

bero mansioni c.d. dirigenziali, essendo le più alte funzioni

ricomprese nella qualifica di funzionario capo servizio, aggiun

gendo che «v'è la ragionevole presunzione che i dirigenti di cui

trattasi nemmeno hanno mai svolto mansioni dirigenziali». Ritiene il collegio che la questione merita la più attenta disamina.

È ben noto che l'identificazione dei requisiti di appartenenza alla categoria dei dirigenti spetta esclusivamente alla contrattazio

ne collettiva, non esistendo una nozione legale di tale categoria

(v. Cass. 29 aprile 1981, n. 2637, id., 1981, I, 1557, ma anche

la relazione ministeriale al re sull'art. 2095 c.c. paragrafo 41: «non

si è ritenuto opportuno dare nel codice una definizione generale della figura di dirigente perché qualunque definizione, che non

tenga conto dei particolari atteggiamenti assunti da detta figura

nei diversi rami della produzione, sarebbe imperfetta. Epperò è

parso miglior consiglio rimettere la determinazione alle massime

di esperienza che possono essere rispecchiate con la maggiore ap

prossimazione possibile dalle leggi speciali e più ancora dalle nor

me corporative»). Orbene nella specie per l'art. 97 del Ceni per

i dirigenti e funzionari delle casse di risparmio sono dirigenti co

loro che «in relazione al grado gerarchico ed alle strutture azien

dali siano dagli istituti cui appartengono ritenuti come tali;

nell'allegato C del contratto è poi previsto per la Caricai il grado

di dirigente per il direttore ed il vice direttore generale nonché

per altri dipendenti identificati come «dirigenti di gruppo II e

I», senza altra specificazione. La contrattazione collettiva ha cioè

demandato ad ogni singolo istituto, e quindi anche alla Caricai,

di determinare autonomamente, in rapporto alla propria specifi

ca struttura aziendale e all'articolazione del personale, le mansio

ni tipiche dirigenziali. Consumando il «rinvio in bianco», la Cassa

di risparmio di Calabria e di Lucania avrebbe dovuto darvi piena

attuazione, non solo per un impegno di correttezza ex art. 1175

e 1375 c.c. nei confronti dei dirigenti, ma anche per adempiere

ad un preciso dovere discendente dal chiaro disposto dell'art. 2103

c.c., sì come sostituito dall'art. 13 dello statuto dei lavoratori,

secondo cui «il prestatore di lavoro deve essere adibito alle man

sioni... corrispondenti alla categoria superiore che abbia successi

vamente acquisito». Promossso quindi il funzionario al grado di

dirigente, avrebbe dovuto l'ente dare piena attuazione al princi

pio della corrispondenza tra nuova superiore qualifica e mansio

ni, eliminando ogni difformità tra situazione formale e situazione

reale, affidando compiti qualitativamente, se non quantitativa

mente, diversi da quelli svolti in precedenza, onde tutelare la cor

rispondenza tra il patrimonio professionale acquisito dal lavoratore

e la sua collocazione nella struttura organizzativa aziendale. Cor

relato diritto quindi del lavoratore neo-dirigente allo svolgimento

di mansioni corrispondenti alla nuova categoria di appartenenza

(v. Trib. Milano, 10 marzo 1978, id., Rep. 1979, voce cit., n. 465).

Sul punto non può il collegio sottacere però che la prevalente

dottrina non ha adeguatamente avvalorato la «novità» dell'inno

vazione introdotta dal 1° comma dell'art. 13 statuto lavoratori,

essendosi soffermata precipuamente su uno solo degli aspetti, certo

Il Foro Italiano — 1988.

il più ricorrente (superiori mansioni = superiore qualifica), tras

curando quello correlato secondo cui a superiore qualifica devo

no di norma corrispondere superiori mansioni. Epperò deve con

venirsi che il citato art. 13, capovolgendo l'ottica dell'art. 2103

c.c. (vecchio testo) che privilegiava l'interesse dell'impresa su quello del lavoratore, ha dato valore alla professionalità di quest'ultimo in azienda, professionalità intesa quale rilevante aspetto della sua

personalità, prevedendo anzi un meccanismo di tutela promozio nale del valore professionale. Il tutto alla luce della finalità dello

statuto che è proprio* quella della tutela della «dignità» del lavo

ratore (come si legge nell'intestazione della legge), in tutte le sue

esplicazioni compresa quella dell'irreversibilità della carriera e del

riconoscimento dello status professionale, e della fondamentale

norma dell'art. 35, 2° comma, Cost, sull'ineludibile obbligo del

l'elevazione professionale dei lavoratori.

Evidenzia poi il collegio che in una fattispecie (come quella in esame) di promozione al grado dirigenziale non possono di

norma ritenersi «equivalenti» le medesime mansioni svolte nel gra do di impiegato. Equivalenza vuol dire mansioni comparabili, cor

rispondenti, di valore simile. Ripudiata la tesi secondo cui il

concetto d'equivalenza deve inquadrarsi nell'ottica retributiva, vie

ne oggi accolta quella che fa riferimento alla gerarchia professio nale ed al suo relativo valore, di tal che lo ius variandi è sempre ammissibile ma solo nell'ambito delle categorie di cui all'art. 2095

c.c, senza possibilità, in funzione di un preteso concetto di equi

valenza, di adibire impiegati a mansioni operaie e dirigenti a fun

zioni meramente impiegatizie. Anche la Suprema corte di

cassazione, pur non avendo esaminato (per quanto consta) la fat

tispecie in esame, ha tenuto però a rilevare: a) che l'art. 2103

c.c. (nuovo testo), che circoscrive lo ius variandi del datore di

lavoro in fatto di assegnazione di mansioni al dipendente nel

l'ambito di mansioni equivalenti, è norma di ordine pubblico,

che vieta ogni patto (o rinunzia) contrastante col diritto del lavo

ratore alla conservazione del livello delle mansioni corrispondenti

alla categoria di appartenenza (Cass. 12 aprile 1983, n. 2594, id.,

Rep. 1983, voce cit., n. 1028); b) che l'equivalenza delle nuove

mansioni va intesa in senso qualitativo, sicché per la sussistenza

di essa non basta la sola equivalenza oggettiva, ma occorre quella

soggettiva la quale implica che lo svolgimento delle nuove man

sioni consenta l'utilizzazione e lo «sviluppo» del patrimonio pro

fessionale precedentemente acquisito (Cass. 8 febbraio 1985, n.

1038, id., Rep. 1985, voce cit., n. 880); c) che il mutamento delle

mansioni è ammesso solo a condizione che vi sia equivalenza pro

fessionale, cioè di pari valore nella «gerarchia professionale» (Cass.

19 giugno 1982, n. 3767, id., Rep. 1982, voce cit., n. 532).

È tuttavia, con un sostanziale inadempimento e comunque cer

tamente con violazione del più volte richiamato canone di corret

tezza, la Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania ha ritenuto

d'omettere la formulazione di un mansionario, esercitando però

nel contempo il potere d'indire concorsi per il grado di dirigente

di II (come nella specie, nel 1979) e vincolandosi in tal guisa

a riconoscere convenzionalmente ai neopromossi la superiore qua

lifica dirigenziale, a prescindere dalle relative mansioni.

In un tale contesto va inquadrata la domanda avanzata dai

sei (dei sette) vincitori del concorso.

Ed anzitutto è coerente al sistema sopra delineato presumere

(salva prova contraria da fornirsi però da controparte) che nor

malmente a migliori qualificazioni corrispondono mansioni più

elevate (in tal senso testualmente Cass. 29 marzo 1963, n. 784,

id., Rep. 1963, voce cit., n. 258); il contrario divisamento della

Suprema corte del 27 luglio 1964, n. 2092 (id., Rep. 1964, voce

cit., n. 233, secondo cui «all'attribuzione formale ed ufficiale di

una determinata qualifica da parte del datore di lavoro può non

corrispondere un concreto ed effettivo esercizio di peculiari man

sioni che caratterizzano la qualifica stessa») resta superata dal

l'art. 13 dello statuto dei lavoratori che, come s'è detto, è di

segno diametralmente opposto. E tuttavia, anche a volere superare la presunzione e ritenere

che i sette promossi hanno continuato tutti a svolgere le medesi

me identiche mansioni svolte precedentemente, ritiene il collegio

che la loro domanda ex art. 2103 c.c. debba ugualmente accogliersi.

Ed invero l'esercizio delle stesse mansioni, svolte però con la

nuova qualifica dirigenziale, colora diversamente le mansioni me

desime.

A tale affermazione si perviene sol che si consideri che l'attri

This content downloaded from 91.238.114.174 on Sat, 28 Jun 2014 11:25:16 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 6: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 10 dicembre 1987; Pres. ed est. Copani; Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania (Avv. Persiani, Magliari), Sgambellone

PARTE PRIMA

buzione della qualifica di dirigente comporta necessariamente un

diverso status del dipendente, a prescindere dalle mansioni in con

creto esercitate.

Anche se la legge, la contrattazione collettiva e quella azienda

le non specificano le funzioni dei dirigenti, non può non conve

nirsi che costoro acquisiscono per effetto della promozione capacità e poteri (oltre che privilegi) prima non goduti.

Giurisprudenza e dottrina, colmando il vuoto, hanno ormai da

più decenni rilevato che il dirigente, in quanto tale, si caratteriz

za: a) per la collaborazione immediata con l'imprenditore per il

coordinamento generale e lo sviluppo dell'attività aziendale, sia

pure in qualche suo ramo; b) per il carattere spiccatamente intel

lettuale e fiduciario di tale collaborazione; c) per l'ampio potere di autodeterminazione delle direttive di organizzazione e di attivi

tà dell'azienda, sia pure nell'ambito dei fini di questa e dell'indi

rizzo generale fissato; d) per la superiorità gerarchica sul personale di grado inferiore; è) per la subordinazione esclusiva verso l'im

prenditore o chi lo rappresenta; J) per la responsabilità diretta

verso l'imprenditore in rapporto all'estensione delle funzioni e

quindi per la responsabilità generale sull'andamento dell'azienda

o di un suo ramo; g) per la rappresentanza intra ed extraazienda

le generale o limitata. L'autonomia del dirigente si differenzia

poi tecnicamente nella libera scelta e determinazione delle diretti

ve generali per l'andamento dell'intera azienda o di un settore

(Cass. 5 gennaio 1980, n. 40, id., Rep. 1980, voce cit., n. 581). Il dirigente di riflesso viene quindi a godere di talune prerogati

ve tipiche del suo grado: presenza in azienda, orario di lavoro,

qualifica annuale, preavviso, straordinario, ecc.

Mansioni quindi che appaiono identiche se considerate astrat

tamente quanto al tipo di operazione manuale o intellettive si

colorano diversamente e si differenziano obiettivamente in modo

sensibile in riferimento al contesto e all'interno del nucleo azien

dale in cui vengono esercitate (v. in tal senso Cass., sez. un., 2 dicembre 1979, n. 6435, id., Rep. 1979, voce cit., n. 402, nella

parte motiva; cfr. anche Cass. 10 gennaio 1977, n. 86, id., Rep.

1977, voce cit., n. 397). Una maggiore autonomia, una maggiore discrezionalità, mag

giori poteri d'iniziativa, un maggiore grado gerarchico influisco

no decisamente quindi sulla «qualità» della prestazione, solo

apparentemente identica svolta da dipendenti di grado inferiore.

Poiché quindi i sette vincitori del concorso hanno avuto rico

nosciuta ed attribuita la superiore qualifica dirigenziale (sia pure

per effetto di un concorso dichiarato parzialmente nullo) ed han

no svolto per più anni (quasi nove!) le loro mansioni con quella naturale ampiezza ed autonomia riconosciuta loro dallo stesso

ente, non può negarsi il diritto al riconoscimento della qualifica

superiore ex art. 2103 c.c. Ed invero è giurisprudenza ormai con

solidata della Suprema corte che «l'irregolarità dell'attribuzione

delle mansioni superiori, assegnate senza il consenso e l'approva zione dell'organo competente, non ha rilevanza perché ad inte

grare la fattispecie legale dell'art. 2103 c.c. è sufficiente la

situazione di fatto che prescinde dall'elemento formale, addirittu ra presupposto come carente» (Cass. 29 agosto 1979, n. 4725, id., Rep. 1979, voce cit., n. 333; 9 marzo 1985, n. 1932, id.,

Rep. 1985, voce cit., n. 876, 879, 887); di tal che non ha rilievo

alcuno la declaratoria di nullità successiva del concorso bandito

per dirigenti occorrendo prendere in esame la situazione di fatto

si come concretatasi.

Né ancora va sottaciuto che recentemente la Suprema corte,

(sez. lav. 10 maggio 1985, n. 2930, id., 1985, I, 1625) ha equipa rato ai fini dell'art. 2103 c.c. le due (solo a prima vista diverse)

ipotesi in cui cambi il contenuto materiale delle mansioni a segui to dell'assegnazione del lavoratore a prestazioni di rango superio re a quelle precedenti, e viceversa in cui muti la qualificazione

giuridica sia pure per effetto di una nuova disciplina che da un

certo momento in poi consideri la stessa prestazione di rango su

periore, essendo entrambe le ipotesi tipiche di «assegnazione a

mansioni superiori» sia materialmente che solo formalmente. Ta

le decisione non appare affatto sorprendente sol che si consideri no le due fattispecie nell'ambito del 1° comma dell'art. 2103 c.c., sì come modificato con l'art. 13 dello statuto, circa la necessaria

correlazione intercorrente tra mansioni e qualifica. Solo con tale interpretazione si sfugge poi ad una palese illegit

timità del comportamento datoriale omissivo, si ripete, nella man

cata attribuzione, doverosa, come s'è detto, di diverse e più

qualificate mansioni ai neopromossi dirigenti i quali altrimenti

si vedrebbero penalizzati sotto l'ottica dell'art. 13 dello statuto.

Il Foro Italiano — 1988.

Non ritiene pertanto il collegio di condividere l'affermazione

del pretore secondo cui si verterebbe in una fattispecie «del tutto

diversa» da quella disegnata dall'art. 13 per avere i sette vincitori

«dapprima acquisito la qualifica di dirigente quali vincitori di

concorso (senza avere svolto in precedenza mansioni superiori al

loro grado) ed è irrilevante se successivamente a tale nomina ab

biano svolto mansioni di dirigente (fra l'altro neppure questo è

avvenuto). Ed invero, come questo tribunale ha evidenziato in

altra decisione (14 gennaio 1983), occorre ribadire con fermezza

che il diritto alla promozione prescinde del tutto (come s'è detto) dall'elemento formale e quindi anche dalla declaratoria di nullità

della nomina; è da contestarsi perciò la pretesa «irrilevanza», nella

specie, dello svolgimento di mansioni superiori anche in presenza di un atto formale dichiarato nullo, giacché solo nell'ipotesi (qui non ricorrente) di svolgimento di mansioni superiori in violazione

di norme imperative con riguardo all'illiceità dell'oggetto e della

causa non può essere considerato detto periodo ai fini del ricono

scimento della qualifica superiore, atteso che la tutela dell'inte

resse collettivo è preminente rispetto a quella dei diritti soggettivi individuali che rimangono cosi sottordinati in vista di esigenze

superiori relative all'ordine pubblico (Cass. 23 luglio 1983, id.,

Rep. 1983, voce cit., n. 1120). Né comunque la mera contrarietà

a norme imperative concretizzerebbe l'illiceità predetta occorren

do invece l'incompatibilità coi principi dell'ordine pubblico stret

tamente intesi (Cass., sez. un. 8 maggio 1976, n. 1609, id., 1976,

I, 1851). Né va ancora condivisa l'affermazione secondo cui «l'art. 13

scardinerebbe il sistema delle nullità del nostro ordinamento e

si avrebbe l'intollerabile conseguenza che la declaratoria di nulli

tà della nomina dei vincitori di un concorso non produrrebbe alcun effetto pratico vanificandosi cosi l'esercizio della giurisdi

zione»; basta in senso contrario evidenziare che nullità dell'atto

di promozione e svolgimento di mansioni superiori agiscono su

ben diversi piani e determinano ben diversi effetti; ed anzi pro

prio la tesi pretorile svuoterebbe di gran parte la valenza della

norma che è appunto a salvaguardia di situazioni giuridiche dei

lavoratori meritevoli di tutela come parte debole i quali subireb

bero grave pregiudizio da una utilizzazione ed arricchimento di

superiori mansioni da parte datoriale senza il conseguente forma

le riconoscimento.

Ne consegue che i sei appellanti hanno diritto di vedersi rico

nosciuta la superiore qualifica dirigenziale con decorrenza dalla

scadenza del terzo mese di svolgimento delle superiori mansioni, ossia dal 1° aprile 1980, con tutti gli effetti sia sul piano retribu

tivo che su quello dell'avanzamento di carriera. Nessuna pronun zia va emessa per Sapio che, pure essendo uno dei sette promossi, non ha avanzato alcuna domanda, restando contumace in en

trambi i gradi. Per il periodo dal 1° gennaio al 31 marzo 1980 soccorre invece

l'art. 2126 c.c. che trova piena applicabilità e su cui non sono

state avanzate lagnanze di sorta.

Passando infine all'esame del capo relativo alla condanna della

cassa di risparmio al risarcimento dei danni, quantizzati in lire

1.000.000 per ciascuno dei candidati non vincitori Ricupero, Pil

luso, Summaria, Stumpo, Losso e Roberti (ricorrenti in prima

sede), ritiene il collegio di dover confermare le impugnate senten

ze anche sul quantum. Ed invero, accertato l'inadempimento con

trattuale della Caricai per il mancato rispetto delle modalità della

prestazione secondo correttezza e buona fede a cui si era impe

gnata col bando di concorso, consegue il diritto dei predetti ri

correnti al risarcimento dei danni che si concretizzano, come

rilevato dal primo giudice, nel verificatosi «depauperamento del

la loro immagine professionale» all'interno dell'istituto e nei con

fronti dei colleghi. Ed invero l'attribuzione, immotivata ed anzi

scorretta (come s'è detto) di un punteggio discrezionale concer

nente tra l'altro capacità professionali, conoscenze dei servizi, ren

dimento, ecc. in loro danno, configura, ad avviso del collegio, un tipico danno alla «vita di relazione» violando il loro interesse

a preservare l'immagine sociale acquisita nell'ambiente di lavoro

in cui hanno operato. Si è trattato quindi di una menomazione

della loro c.d. capacità di concorrenza rispetto agli altri candidati

e ai dipendenti tutti, e perciò di un danno che non è certo morale

ma è patrimoniale indiretto.

Accedendo di contro alla tesi secondo cui il danno consistereb

be nella «perdita di chance», ossia nella perdita della possibilità

This content downloaded from 91.238.114.174 on Sat, 28 Jun 2014 11:25:16 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 7: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 10 dicembre 1987; Pres. ed est. Copani; Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania (Avv. Persiani, Magliari), Sgambellone

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

di conseguire un risultato utile nel caso di attribuzione di punteg

gio discrezionale secondo correttezza e buona fede, ritiene il col

legio che la domanda andrebbe rigettata; ed invero, come ha

rilevato di recente la Suprema corte (Cass. 19 dicembre 1985, n. 6506, id., 1986, I, 383), la possibilità di conseguimento di un

risultato utile (collocazione nei primi sette posti) doveva provarsi ad opera dei ricorrenti ed accertarsi e valutarsi secondo criteri

di verosimiglianza alla stregua dell'/c? quod plerumque accidit;

in buona sostanza i candidati non vincitori avrebbero dovuto for

nire la prova di una rilevante probabilità (superiore pertanto al

50% delle possibilità) di esito vittorioso in caso di corretto uso

dei punteggi attitudinali, prova che di -ontro non hanno affatto

fornito; né si ritiene di accedere a quella dottrina secondo cui

il risarcimento dei danni è direttamente proporzionato alla misu

ra delle chances, riducendosi nella stessa misura in cui si riduco

no le probabilità di esito vittorioso, atteso che in tale evenienza

viene a difettare la stessa esistenza di un danno risarcibile.

In ordine al quantum non possono essere accolte le quantifica zioni fornite specialmente dalla difesa del Losso che fanno riferi

mento alle somme percepite dai vincitori del concorso; ritiene di

contro il collegio che, dovendosi necessariamente procedere ad

una valutazione equitativa, appare equo l'importo liquidato dal

primo giudice, non avendo peraltro nessuno degli appellanti inci

dentali indicato criteri obiettivi per una più esatta quantificazione.

II

Motivi della decisione. — Ritiene il tribunale che l'appello è

infondato e deve essere respinto.

Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla Fisac, non può essere individuato un comportamento della cassa di risparmio ap

pellata che, in violazione dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori,

sia lesivo dei diritti del sindacato alla tutela dell'interesse colletti

vo dei lavoratori.

Esattamente il primo giudice ha ritenuto di escludere, innanzi

tutto, che l'appellante potesse pretendere di conoscere, nel rispet to del Ceni di categoria, i criteri applicativi di valutazione

concernenti i singoli dipendenti della cassa di risparmio parteci

panti alla promozione a scelta; posto che, nel rispetto del Ceni

e dell'interesse collettivo già richiamati, l'appellata aveva portato

preventivamente a conoscenza delle organizzazioni sindacali i cri

teri generali ed astratti ai quali si sarebbe attenuta nelle valuta

zioni dei dipendenti partecipanti alla scelta per le promozioni. In secondo luogo, non può accettarsi la tesi di fondo dell'ap

pellante Fisac secondo la quale la Cassa di risparmio di S. Minia

to avrebbe dovuto e dovrebbe comunicare preventivamente alle

organizzazioni sindacali il processo di formazione delle valutazio

ni stesse. Infatti, tale obbligo non si può rinvenire a carico del

l'appellata con riferimento alla funzione di controllo che il Ceni

riconosce alle organizzazioni sindacali, come sostiene l'appellan

te, «in via generale, per la corretta ed integrale applicazione delle

norme contrattuali, ed in via specifica delle valutazioni da attri

buire ai titoli previsti dall'art. 89 Ceni 6 maggio 1980». L'inter

pretazione di tale disciplina, a parere del tribunale, non può

prescindere dalla insindacabilità del processo di valutazione, che

è soggettivo e discrezionale pur se deve essere contenuto nei limiti

dei criteri oggettivamente predeterminati e, come sopra detto, por

tati preventivamente a conoscenza delle organizzazioni sindacali.

La fondatezza di questa tesi si coglie comparando il metodo

di promozione a scelta, del quale si tratta, con quello per concor

so, del quale esattamente il primo giudice sottolinea la maggiore

garanzia rispetto all'altro, costituita dalla espressa previsione con

trattuale (art. 8 contratto integrativo aziendale 23 marzo 1981)

della partecipazione di rappresentanti dei dipendenti ai lavori del

le commissioni esaminatrici. Il diverso criterio fondamentale del

la scelta, che assiste il metodo in esame, non può tollerare una

eguale ingerenza delle organizzazioni sindacali senza che la disci

plina contrattuale collettiva ne faccia espressa menzione, cosi co

me, invece, ha fatto nel caso del concorso, già di per sé ispirato

a più paritari criteri di partecipazione.

Pertanto, la sentenza di primo grado deve essere confermata

perché correttamente è stata interpretata la disciplina' in materia

di promozioni a scelta da parte della Cassa di risparmio di S.

Miniato ed infondatamente si è ritenuto di intervenire da parte

dell'appellante Fisac ad ipotizzare un comportamento antisinda

cale non configurabile nel comportamento della cassa medesima.

li Foro Italiano — 1988.

TRIBUNALE DI MODENA; sentenza 23 gennaio 1987; Pres.

ed est. Cavarra; Zuccoli (Avv. Guidotti) c. Fusari (Avv.

Borrelli).

TRIBUNALE DI MODENA;

Matrimonio — Matrimonio civile — Consenso prestato «ludendi

causa» — Nullità assoluta — Fattispecie (Cod. civ., art. 107,

117, 123).

Il matrimonio civile è affetto da nullità assoluta insanabile qualo ra il consenso sia stato manifestato per gioco (nella specie, si

trattava di matrimonio contratto all'estero, con la reciproca

consapevolezza, da parte dei nubendi, di esser vincolati da pre cedenti matrimoni). (1)

(1) Unico precedente, anteriore alla legge di riforma del diritto di fami

glia, Trib. Milano 24 ottobre 1974, Foro it., Rep. 1975, voce Matrimo

nio, n. 108, in cui si è precisata l'opportunità del riferimento alle regole civilistiche in materia di negozio giuridico ai fini dell'individuazione dei

requisiti per la formazione di un valido consenso nel matrimonio civile, dato l'esiguo numero, nella legislazione di diritto pubblico, di norme sul

l'argomento: tale riferimento non farebbe venir meno il carattere pubbli cistico dell'istituto, definito «negozio giuridico bilaterale sui generis», ma

implica l'esclusione dell'idoneità del consenso a far sorgere il vincolo «quan te volte non c'è cosciente volontà della persona che lo presta di addiveni

re al matrimonio civile», poiché «non è rinvenibile un interesse generale a creare fittiziamente vincoli in realtà inesistenti». Tale conclusione, riba

dita dalla sentenza in epigrafe, troverebbe conferma nella ratio dell'art.

128 c.c.: la produzione di effetti da parte del matrimonio dichiarato nullo

è infatti giustificata dalla buona fede dei coniugi o dal rispetto dei diritti

della parte che abbia validamente manifestato il proprio consenso.

La dottrina prevalente è conforme alla massima: v. Jemolo, Il matri

monio, in Trattato diretto da Vassalli, Torino, 1961, 106 s.; Santosuos

so, Matrimonio e regime patrimoniale della famiglia, in Giur. sist. civ.

e comm. fondata da Bigia vi, 91 (contra, Gangi, Il matrimonio, Milano,

1947, 64 s., il quale, sottolineando il carattere pubblicistico dell'istituto, la natura di elemento costitutivo della dichiarazione dell'ufficiale dello

stato civile e, da ultimo, l'ormai superato principio dell'indissolubilità

del matrimonio, ritiene che il consenso prestato ioci causa non produca la nullità del vincolo matrimoniale); per il diritto canonico, Giacchi, Con

senso nel matrimonio canonico, Milano, 1950, 149 s., e Fumagalli Ca

rulli, Intelletto e volontà nel consenso matrimoniale in diritto canonico,

Milano, 1974, 199. Da notare come il tribunale respinga la tesi che qualifica il matrimonio

contratto per gioco come ipotesi di matrimonio simulato, data la man

canza, tanto del negozio simulato, quanto dell'intesa simulatoria.

In dottrina si è discusso dell'applicabilità della disciplina della simula

zione alle ipotesi di «comportamento dichiarativo meramente apparente»: v., in senso positivo, Nicolò, in Quaderni romani di diritto canonico

diretti da Fedele, Roma, 1977, 56; e, per l'opposto avviso, Perego, La

simulazione nel matrimonio civile, Milano, 1980, 83 s., il quale ritiene

che la fattispecie del matrimonio ioci causa, escludendo il mutamento

dello status da parte dei nubendi, si differenzi dall'ipotesi di simulazione

assoluta del matrimonio, per la partecipazione all'accordo simulatorio

dell'ufficiale celebrante. La tesi accolta dalla sentenza in epigrafe appare coerente con un concetto lato di simulazione, quale voluta apparenza ne

goziale, finalizzata al conseguimento di scopi diversi o incompatibili con

la causa tipica del negozio che le parti dichiarano di porre in essere.

Dichiarando che il consenso prestato ludendi causa determina un'ipote si di nullità, e non d'inesistenza, del matrimonio, il tribunale accoglie la tesi, prevalente in dottrina e giurisprudenza, secondo la quale non si

può dichiarare inesistente il matrimonio solo perché la legge non abbia

provveduto espressamente a disciplinarne la nullità (cfr. Cass. 20 ottobre

1959, n. 2987, Foro it., 1959, I, 1826). Il tradizionale criterio discretivo

tra le ipotesi di nullità e quelle di inesistenza del matrimonio consiste

infatti nella «realtà fenomenica costituente la base naturalistica della fat

tispecie» (Cass. 20 maggio 1976, n. 1808, id., Rep. 1976, voce cit., n.

118), intendendo con tale espressione la necessaria presenza di due perso ne di sesso diverso, manifestanti il proprio consenso dinanzi all'ufficiale

celebrante. Tale criterio non ha però avuto applicazione univoca: sono

stati, ad esempio, ritenuti causa d'inesistenza i vizi essenziali della procu ra (Cass. 14 febbraio 1975, n. 569, id., Rep. 1975, voce cit., n. 107;

e, in senso opposto, Bianca, Commentario alla riforma del diritto di

famiglia, Padova, 1977, 113). Per un'interpretazione restrittiva delle ipotesi di inesistenza del matri

monio, v. Jemolo, cit., 48 s.; nel senso che possa parlarsi d'inesistenza

del matrimonio anche in caso di mancata registrazione dell'atto, v. Tra

bucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1988, 272; e, per un approc cio critico alla distinzione tra inesistenza e nullità del matrimonio civile,

Finocchiaro, Matrimonio civile, voce dell 'Enciclopedia del diritto, XXV,

829, il quale considera ambigua tale distinzione, poiché in ogni caso di

difformità dalla fattispecie legale è necessaria l'impugnativa del pubblico ministero o di chiunque vi abbia interesse. Cosi anche Stolfi, Teoria

del negozio giuridico, Padova, 1947, 62 ss. Per parte sua Bianca, Diritto

civile, Milano, 1985, 115, si pronuncia per la rilevanza di tale distinzione,

This content downloaded from 91.238.114.174 on Sat, 28 Jun 2014 11:25:16 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended