sentenza 10 dicembre 1981, n. 186; Pres. Elia, Rel. Reale (Gazzetta ufficiale 16 dicembre 1981,n. 345); Michelozzi c. I.n.a.i.l. (Avv. Graziani, Catania); interv. Pres. cons. ministri (Avv. delloStato Angelini Rota). Ord. Trib. Pistoia 12 marzo 1975 (Gazz. uff. 28 gennaio 1976, n. 25); Pret.Trento 26 giugno 1979 (id. 29 dicembre 1979, n. 353)Source: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1982), pp. 7/8-11/12Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176185 .
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PARTE PRIMA
Diritto. — 1. - La corte è chiamata a decidere se l'art. 2054, 3° comma, c. c., interpretato dalla giurisprudenza nel senso che
la presunzione di responsabilità ivi sancita a carico del proprie tario di un autoveicolo per i danni prodotti dalla circolazione del veicolo stesso non è operante a favore del terzo trasportato a titolo di cortesia anche quando risulti dimostrata la colpa del
conducente, induca una irragionevole discriminazione a danno di detta categoria di danneggiati, rispetto a tutti gli altri utenti della strada garantiti invece dalla presunzione stessa.
Il dubbio è stato sollevato sostanzialmente in base alla consi
derazione che, quando appunto sia accertata la colpa del con
ducente, non sarebbe ragionevole operare una distinzione fra
categorie di danneggiati, giacché la responsabilità in tal caso non verrebbe dichiarata in forza di una norma speciale attri
butiva di un rischio, quale appunto quella di cui all'art. 2054
c. c., ma in virtù del principio generale di cui all'art. 2043 c. c., con la conseguenza che tutti i danneggiati avrebbero diritto
di ottenere il risarcimento alle stesse condizioni perché si tro
verebbero tutti nella stessa situazione giuridica. 2. - Giova premettere che, come la dottrina e la giurispru
denza hanno costantemente riconosciuto, la presunzione di re
sponsabilità ex art. 2054 c. c. in materia di circolazione dei vei coli è intesa ad offrire una particolare garanzia a favore dei
terzi danneggiati che rimangono estranei alla circolazione del
veicolo e che, come tali, non sono in condizioni di prevedere ed evitare il danno. L'operatività di tale particolare garanzia è
responsabilità oggettiva, Milano, 1961, 342, là dove si rilevava, de iure condendo, che, in ambiente di generalizzata assicurazione per i danni alle persone trasportate, «... l'attribuzione ai vettori di una responsa bilità rigorosa anche nei rapporti di cortesia costituirebbe per essi un aggravio economico, sotto forma di aumento dei premi di assicura zione, praticamente trascurabile, che sarebbe socialmente giustificato per la protezione di persone le quali, spesso, non sono coperte da una propria assicurazione contro i rischi di morte o di lesione »). Del resto, che l'idea non sia peregrina (e quanto, anzi, precorritrice fosse l'intuizione di Trimarchi), lo attesta la riforma apportata, nel
1977, alla normativa sull'assicurazione obbligatoria r. c. a., che ha fatto rientrare fra gli aventi titolo al risarcimento dei danni i terzi
trasportati; tanto più che nella stessa direzione — riscatto della « inadequacy in the protection of gratuitous passengers » — vanno, non da oggi, i tentativi di riformulare, in termini più sensibili alla drammatica realtà del costo sociale degli incidenti stradali, questa tor mentata branca del diritto (per un bilancio non sospetto delle espe rienze maturate in specie negli ultimi due decenni, cfr. P. S. Atiyah, Accidents, Compensation and the Law3, London, 1980, 617 ss.; e v. ora il nuovo « progetto Tunc » — vagliato criticamente da F. D. Bu
snelli, Riflessioni sul « Projet Tunc » per una riforma del sistema di indennizzo delle vittime della strada, in Resp. civ., 1981, 301 — che, all'art. 2, recita: « Toute personne victime d'un dommage occasionné
par un véhicule est indemnisée par l'assureur du véhicule qui la transpor tait...»). È appena il caso di aggiungere, a questo punto, che i fau tori di interventi ' rivoluzionari ', più o meno vicini allo schema di
no-fault insurance, non potranno non riguardare con rammarico una decisione che ghettizza i terzi trasportati a titolo di cortesia nella lo
gica tradizionale della colpa e avalla una presa di posizione ai limiti
dell'antistoricità; rammarico a mala pena stemperato dalla consape volezza che il quesito sottoposto alla Corte costituzionale mirava, ve
rosimilmente, a sensibilizzare le corti di giustizia e lascia loro mar
gine, anche in costanza di un responso negativo, per rivedere le bucce della linea interpretativa sin qui prevalente (facendo tesoro, ma
gari, delle non poche analisi dottrinarie di segno opposto, a partire da
quella di F. Cigolini, La responsabilità civile della circolazione se condo la nuova legislazione, Milano, 1963, 1013 ss.).
Una postilla, neppure divertente. Il collegio costituzionale non si contenta di rieditare argomentazioni che sanno di stantio; s'ingegna, anzi, di valorizzarne una nuova, mutuata, senza garbo, da Cass. 15 dicembre 1964, Panzeri, Foro it., Rep. 1965, voce cit., n. 253).
Il ragionamento corre, a un di presso, cosi: l'art. 2054 costituisce un unicum inscindibile, si che esso entrerà in azione ove scatti la pre sunzione di colpa per il conducente, mentre nel caso in cui la sua
responsabilità risulti con certezza, la disposizione esce, nel suo insie
me, dal giro delle norme applicabili, cedendo il campo ai principi generali. Eccoci dunque indotti ad apprendere che il proprietario di un veicolo, coinvolto in un sinistro alla guida di un terzo, potrà sot trarsi alla responsabilità solidale non soltanto dimostrando il fatto della circolazione prohibente domino (ovvero, secondo il sovrabbon dante insegnamento di Cass. 14 settembre 1963, n. 2533, id., Rep. 1964, voce cit., n. 473, paralizzando la presunzione di colpa a carico del conducente mercé la prova che questi abbia fatto tutto il possibile per evitare il danno), ma anche contribuendo ad acclarare la piena responsabilità del maldestro guidatore. Quanto dire, in soldoni, che se la sua colpa si presume perché accertata in concreto, il terzo —
qualsiasi terzo! — sarà privato della concomitante garanzia del pro prietario. La natura ' casuistica ' della tesi è lampante; e la sua curva tura troppo inconferente per meritare seria confutazione. Stupisce, e dispiace, che la Corte costituzionale non sappia affrancarsi dalle lu
singhe di un formalismo tanto asfittico.
R. Pardolesi R. Pardolesi
stata invece esclusa per quanto riguarda i terzi trasportati a
qualsiasi titolo, ivi compreso il trasporto di cortesia, in quanto costoro hanno modo, usando la ordinaria diligenza, di prevedere ed evitare il danno e, comunque, sanno che richiedendo o ac
cettando il trasporto, possono andare incontro ai pericoli e
danni derivanti dal fatto della circolazione del veicolo sul quale sono trasportati, ed affrontano quindi scientemente i rischi del
trasporto (Corte cost. n. 55/75, Foro it., 1975, I, 1060). E la
corte, con la stessa sentenza, ha già avuto occasione di affer
mare, conseguentemente, che, « non versando i terzi e le per sone trasportate nella stessa situazione di vittime della strada
e di danneggiati», non è irrazionale che le dette rispettive po sizioni vengano considerate non uguali e differentemente disci
plinate quanto al regime del risarcimento del danno.
3. - Comunque, a parte le considerazioni ora riferite, dalle
quali non vi è motivo di discostarsi, e facendo riferimento al
particolare profilo della pretesa irrazionalità della differenziazio
ne dei trattamenti nel caso di riconosciuta colpevolezza del con
ducente, deve osservarsi che, come la giurisprudenza non ha
mancato di porre in evidenza, la norma censurata non è scindi
bile nel suo aspetto formale ed in quello sostanziale essendo
concepita unitariamente, come è dimostrato dalla stretta rela
zione intercorrente tra le disposizioni ivi contenute, tutte indis
solubilmente connesse alla statuizione fondamentale concernen
te la presunzione di responsabilità del conducente, di cui le
altre disposizioni costituiscono evidenti articolazioni. Non è
pertanto lecito ritenere che quando la responsabilità del con
ducente risulti accertata in concreto, indipendentemente dalla
presunzione, il proprietario del veicolo possa essere chiamato a rispondere ai sensi del 3° comma dell'art. 2054 c. c., che ap
punto costituisce estensione ed articolazione del principio pre suntivo posto col 1° comma.
L'inapplicabilità della presunzione importa, cioè, quella del
l'intera norma, postulando il ritorno al regime normale di cui
all'art. 2043 c. c. anche per quanto riguarda la responsa bilità del proprietario. Questi, pertanto, potrebbe, nel caso, essere chiamato a rispondere solo ai sensi dell'art. 2048 c. c.
(responsabilità dei genitori, tutori, ecc.) o dell'art. 2049 c. c. (re
sponsabilità dei padroni e dei committenti). 4. - Con ciò viene ovviamente meno la possibilità stessa di
porre il dedotto problema di legittimità costituzionale e la re
lativa questione deve pertanto, anche sotto questo profilo, essere
dichiarata infondata.
Per questi motivi, dichiara non fondata la questione di le
gittimità costituzionale dell'art. 2054, 3° comma, c. c., sollevata con ordinanza del Tribunale di Genova del 21 aprile 1975 in
relazione all'art. 3 Cost.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 dicembre 1981, n.
186; Pres. Elia, Rei. Reale (Gazzetta ufficiale 16 dicembre
1981, n. 345); Michelozzi c. I.n.a.i.l. (Avv. Graziani, Cata
nia); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Angelini
Rota). Ord. Trib. Pistoia 12 marzo 1975 (Gazz. uff. 28 gen naio 1976, n. 25); Pret. Trento 26 giugno 1979 (id. 29 dicembre
1979, n. 353).
Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Rendita ai su
perstiti — Figli orfani di entrambi i genitori — Misura della rendita pari al 40 % della retribuzione — Esclusione dei figli privi di entrambi i genitori — Questione infondata di costitu zionalità (Cost., art. 3; d. p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, t. u. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli in fortuni sul lavoro e le malattie professionali, art. 85).
È infondata la questione di costituzionalità dell'art. 85, n. 2,
d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, nella parte in cui dispone la costituzione di una rendita pari al 40 % della retribuzione del
defunto genitore assicurato per i figli orfani di entrambi i ge nitori al momento dell'infortunio indennizzabile, senza preve dere ciò anche per gli orfani il cui genitore non assicurato sia deceduto successivamente a tale momento, in riferimento al l'art. 3 Cost. (1)
(1-2) La Corte costituzionale esclude la fondatezza della questione concordando con la lettura dell'art. 85 d.p.r. 1124/1965 compiuta da Cass. 9 aprile 1981, n. 2062 e dalla conforme Pret. Parma 8 aprile 1974, Foro it., 1974, I, 2534.
Nel senso che la rendita ai superstiti di cui all'art. 85 d. p. r. 1124/1965 spetta anche ai minori affidati al de cuius e con i quali lo
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
II
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 9 aprile 1981, n. 2062; Pres. F. Greco, Est. Tondo, P. M. Catelani
(conci, conf.); I.n.a.i.l. (Avv. Cataldi, Graziani) c. Moretti e
Baccini (Avv. Agostini). Conferma Trib. Reggio Emilia 18
maggio 1976.
Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Rendita ai su
perstiti — Figli orfani di entrambi i genitori — Misura della
rendita (D. p. r. 30 giugno 1965 n. 1124, art. 85).
La costituzione della rendita ai superstiti nella misura del 40 %
della retribuzione percepita dal defunto genitore assicurato
spetta anche ai figli divenuti orfani di entrambi i genitori
per morte del genitore non assicurato successiva al momento
dell'infortunio indennizzabile. (2)
I
Diritto. — 1. - Le questioni come in narrativa sollevate dal
Tribunale di Pistoia e dal Pretore di Trento sono identiche. I
relativi giudizi vanno quindi riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - I due giudici a quibus erano chiamati a decidere se ai fi
gli minorenni di un lavoratore morto per infortunio, e successi
vamente divenuti orfani anche della madre, spettasse la rendita
del 20% ò quella del 40%, che l'art. 85 del d. p. r. n. 1124/1965 attribuisce ai minori orfani di entrambi i genitori. L'I.n.a.i.I. so
steneva, infatti, che la condizione di orfani di entrambi i geni
tori, richiesta dalla norma per la rendita del 40 %, doveva es
sersi verificata al momento della morte del lavoratore per infor
tunio e non successivamente, come era accaduto nei casi de
dotti in giudizio. Come si è ricordato in narrativa, il Pretore di Pistoia aveva
in primo grado respinto la tesi dell'I.n.a.i.l., e quindi accolto la
domanda dei minori Giovannelli. Invece tanto il Tribunale di
Pistoia, in grado di appello, quanto il Pretore di Trento (che
giudicava in primo grado sulla domanda dei minori Zulberti) hanno condiviso la interpretazione restrittiva del citato art. 85 so
stenuta dall'I.n.a.i.l. E partendo da questa interpretazione re
strittiva, hanno sollevato la questione della illegittimità costitu
zionale dell'art. 85 d. p.r. n. 1124 del 1965 con riferimento al
l'art. 3 Cost., in quanto il detto art. 85 regolerebbe in modo
diverso, e senza giustificazione, due situazioni di fatto identifi
che: quella dei minori divenuti orfani di entrambi i genitori al
momento dell'infortunio, e cioè con la morte del lavoratore assi
curato, e quella dei minori divenuti orfani di entrambi i geni tori successivamente all'infortunio, con la sopravvenuta morte
dell'altro genitore. 3. - La questione non è fondata perché essa ha per presuppo
sto una errafa interpretazione della norma.
La detta interpretazione dell'art. 85 d. p. r. n. 1124 del 1965 — secondo la quale l'attribuzione della rendita del 40 % sarebbe
prevista, « se si tratti di orfani di entrambi i genitori », quando detta condizione si realizzi con la morte del genitore lavoratore
assicurato, e non quando essa si realizzi successivamente per la
sopravvenuta morte dell'altro genitore — è stata respinta dalla
Corte di cassazione dapprima implicitamente con varie pronunce relative a materia analoga regolata dall'art. 77 d. p. r. n. 1124
(quota integrativa dovuta al figlio dell'infortunato anche per sua
inabilità sopravvenuta); poi in modo esplicito e puntuale riferito
stesso abbia instaurato una «famiglia di fatto», v. Pret. Lodi 19
marzo e 15 marzo 1979, id., Rep. 1980, voce Infortuni sul lavoro, n. 251 e Rep. 1979, voce cit., n. 286.
Per l'esclusione del diritto alla rendita a favore di chi assuma- di
essere il padre naturale di lavoratore deceduto per infortunio, in
quanto essa è prevista in favore dei genitori risultanti dallo stato civile
o da dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, cfr.
Cass. 9 ottobre 1975, n. 3212, id., Rep. 1975, voce cit., n. 297.
Le ordinanze di rimessione sono riassunte: Pret. Trento 26 giugno 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 249, e Trib. Pistoia 12 marzo 1975,
id., 1976, I, 876. La questione di costituzionalità è stata sollevata anche da Pret.
Salerno, ord. 27 gennaio 1981 {Gazz. uff. 3 giugno 1981, n. 151); nel
caso di specie la superstite era figlia di una lavoratrice rimasta uccisa in un grave infortunio sul lavoro ed essendo riconosciuta solo dalla
madre veniva perciò a trovarsi priva di entrambi i genitori e quindi nella stessa situazione disciplinata dall'art. 85, n. 2, d. p. r. 1124/1965. Ad avviso del pretore tale disposizione realizzerebbe una palese di scriminazione stabilendo una rendita maggiore (40 % della retribu
zione) per i figli che abbiano perduto entrambi i genitori rispetto ai
figli naturali riconosciuti da un solo genitore, i quali beneficerebbero di una rendita inferiore (20 %), pur trovandosi nelle medesime condi zioni di bisogno dei primi.
proprio alla situazione che forma oggetto della pronuncia dei due
giudici a quibus. La Cassazione ha stabilito che il più volte citato art. 85 si li
mita a richiedere la sussistenza della condizione di orfano di en trambi i genitori, senza fare riferimento al momento in cui tale
condizione si è verificata; osservando fra l'altro che la contra ria soluzione comporterebbe una disparità di trattamento fra orfani di entrambi i genitori, tali divenuti nel momento della
morte del lavoratore assicurato o successivamente, disparità del
tutto ingiustificata tenendo conto dell'identico maggior bisogno che in entrambi i casi consegue al verificarsi della detta situa
zione, tenuta presente dal legislatore nell'accordare a detti or
fani di entrambi i genitori la rendita del 40 % anziché quella del
20 % accordata agli orfani di un solo genitore. È significativo che l'avvocatura dello Stato (la quale, tuttavia,
in linea subordinata o alternativa esclude l'incostituzionalità della
norma) affermi in entrambi i giudizi che « non sussistendo, se
condo la retta interpretazione della norma dell'art. 85, 2° capov., t.u. n. 1124 del 1965, la denunziata disparità di trattamento dei
figli minori dell'assicurato orfani di entrambi i genitori, la pro
spettata questione di costituzionalità è da ritenersi infondata»; rilevando poi nella discussione all'udienza che ormai vale la in
terpretazione, nel senso detto, della Cassazione. Mentre poi lo
stesso I.n.a.i.l. (che pure conclude per la irrilevanza o infonda
tezza della questione) sostiene che ci si trova di fronte ad una
questione unicamente interpretativa che ha già avuto soluzione
da parte della Corte di cassazione.
Poiché la corretta interpretazione della norma, affermata dalla
Corte regolatrice, esclude la denunciata irragionevole disparità di
trattamento tra situazioni di fatto (di bisogno) omogenee, cade il
presupposto della questione di legittimità costituzionale che, per
tanto, è infondata.
Per questi motivi, dichiara non fondata, nei sensi di cui in
motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 85
d. p. r. n. 1124 del 30 giugno 1965 sollevata con riferimento al
l'art. 3 Cost, dal Tribunale di Pistoia e dal Pretore di Trento
con le ordinanze di cui in epigrafe.
Il
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 3 ottobre 1975 al
Pretore di Reggio Emilia, Alessandro Baccini, quale tutore dei mi
nori Roberto ed Alessandra Baccini, chiedeva la condanna del
l'I.n.a.i.l. all'attribuzione, in favore dei predetti minori, della ren
dita prevista dall'art. 85 t. u. approvato con d. p. r. 30 giugno 1965 n. 1124 e già loro concessa nella misura del 20% della
retribuzione del padre Pellegrino Baccini, deceduto il 21 ottobre
1969 per infortunio sul lavoro, nella maggiore percentuale del
40 % ciascuno, essendo nel frattempo morta, il 22 aprile 1974,
anche la loro madre. Con altro ricorso del 16 settembre 1975
allo stesso pretore, Lino Moretti, figlio superstite, inabile al la
voro, di Maria Zanni, morta per infortunio sul iavoro il 27 mag
gio 1966, parimenti chiedeva, a seguito della morte del proprio
padre, intervenuta in data 3 novembre 1972, che l'anzidetta
rendita, concessagli nella misura del 20 %, fosse elevata alla mi
sura del 40 %.
Con separate sentenze del 19 e del 15 gennaio 1976, il pretore adito accoglieva le due domande.
L'I.n.a.i.l. proponeva appello ed il Tribunale di Reggio Emilia, riunite le cause, con sentenza del 18 maggio 1976 respingeva il
gravame. Riteneva infatti il tribunale che, contrariamente a
quanto sostenuto dall'I.n.a.i.l., la fattispecie della perdita, da
parte dei figli superstiti, anche dell'altro genitore successiva
mente alla morte di quello deceduto per infortunio, rientra nella
previsione dell'art. 85 t.u. 1124 del 1965, il quale riconosce agli stessi figli il diritto alla riversibilità della rendita con la misura
del 20 %, elevabile al 40 % « se si tratta di orfani di entrambi
i genitori»; e che questa interpretazione, consentita e dalla lette
ra e dalla ratio della norma, trova conferma nel rilievo che l'art.
44 dell'abrogato regolamento del 1937, secondo cui le prestazioni assicurative erano riferite, per tutta la durata della rendita, alla
composizione della famiglia dell'assicurato al momento dell'infor
tunio, non ha più trovato posto nella nuova disciplina, che, eli
minato il vecchio, antisociale principio, ha invece previsto, con
l'art. 77, che le quote integrative della rendita vanno riferite a
tutta la durata di essa, potendo cosi variare in rapporto all'aumen
to o alla diminuzione del numero dei componenti della famiglia dell'infortunato.
Avverso questa sentenza l'I.n.a.i.l. ha proposto ricorso per
cassazione, affidato ad unico, complesso motivo di annullamento, illustrato con memoria. Gli intimati hanno resistito con contro
ricorso ed il Moretti ha depositato memoria.
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PARTE PRIMA
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di ricorso, l'I.n.a.i.l. — denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 85 d. p. r.
30 giugno 1965 n. 1124, in relazione all'art. 77 stesso d. p.r. ed
all'art. 44, 2° comma, r. d. 25 gennaio 1937 n. 200, nonché omes
sa, insufficiente e comunque contraddittoria motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c. p. c.) — sostiene che principio ricavabile dagli art.
77 e 85 t. u. cit. è che le quote di rendita e le quote integrative di rendita sono riferite alla situazione di fatto esistente alla data
dell'infortunio o della morte dell'assicurato, essendo rimasto im
mutato, fuori dalle eccezionali ipotesi (matrimonio e sopravve nienza di figli) jspressamente contemplate dall'art. 77 in tema di
quote integrative, il criterio enunciato dall'art. 44 regolamento n.
200 del 1937, in coerenza con il carattere costitutivo del rischio
assicurato, il principio indennitario, vigente anche in materia di
assicurazione infortuni, e con la stessa natura del diritto dei de
stinatari, che, spettando iure proprio, sorge al momento della
morte del genitore assicurato, sicché è a questo momento che
la legge fa riferimento. (Omissis) Come già esposto in narrativa, la sentenza impugnata ha esatta
mente ritenuto che, né la lettera, né la ratio dell'art. 85, n. 2,
t.u. n. 1124 del 1965 richiedono che la qualità di «orfani di en
trambi i genitori », nei figli superstiti, debba essere conseguen za immediata dell'infortunio mortale e che quindi l'altro genitore
debba, per la spettanza del beneficio dell'elevazione della rendi
ta, essere premorto. L'I.n.a.i.l. sostiene, in contrario, che la norma dovrebbe essere
invece interpretata alla stregua del principio del riferimento delle
quote di rendita e delle quote integrative di rendita alla situa
zione di fatto esistente alla data dell'infortunio o della morte
dell'assicurato. Tale principio, già enunciato dall'art. 44 reg. n.
200 del 1937 con riferimento alle quote integrative di ren
dita, sarebbe infatti rimasto — secondo il ricorrente — immu
tato, perché l'art. 77 t. u. n. 1124 del 1965, dando rilevanza, ai
fini dell'attribuzione delle stesse quote integrative, alla sopravve nienza dei figli ed al matrimonio successivo all'infortunio, si sa
rebbe limitato a prevedere ipotesi eccezionali, come tali inidonee
a sovvertire il preteso principio generale. L'assunto non può,
però, essere condiviso, perché la formulazione del citato art. 77
chiaramente attesta l'abbandono del criterio informatore del
l'abrogato art. 44 regolamento del 1937.
Innovando rispetto al precedente sistema, la norma appunto consente di tener conto delle successive variazioni della compo sizione della famiglia dell'infortunato e di adeguare ad essa le
quote integrative della rendita, non più ancorata alla composi zione della stessa famiglia al momento dell'infortunio. Il matri
monio successivo e la sopravvenienza dei figli non costituisco
no, pertanto, ipotesi eccezionali, espressamente previste in de
roga al preteso principio generale dell'immutabilità delle inte
grazioni originarie (principio ormai privo di una qualsiasi base
testuale), ma rappresentano invece applicazione ed esemplifica zione di un principio generale contrario, che è quello dell'ade
guamento delle rendite e delle integrazioni della rendita alle
mutate esigenze di vita dipendenti da vicende attinenti alla com
posizione del nucleo familiare; tanto è vero che questa Suprema corte ha già ripetutamente ritenuto che alla sopravvenienza dei
figli deve essere equiparata la inespressa ipotesi della sopravve nuta inabilità dei medesimi (v. sent. 16 febbraio 1978, n. 770, Foro it., Rep. 1978, voce Infortuni sul lavoro, n. 336; 2 settembre
1978, n. 4238, ibid., n. 356; 7 dicembre 1978, n. 5821, ibid., n.
355; 11 maggio 1979, n. 2708, id., Rep. 1979, voce cit., n. 271; 13 febbraio 1980, n. 1035, id., Rep. 1980, voce cit., n. 342). Inconsistenti sono i contrari rilievi secondo cui questa interpre tazione si porrebbe in contrasto con il carattere costitutivo del
rischio assicurato e con il principio indennitario vigente anche
in materia di assicurazione infortuni, perché l'impossibilità per l'infortunato di far fronte alle predette, mutate esigenze di vita
(impossibilità cui le quote integrative tendono ad ovviare) è pur
sempre ricollegabile all'infortunio e perché, dunque, la introdu
zione del nuovo principio generale implica, semmai, soltanto un
ampliamento del concetto di rischio assicurato. Ampliamento,
questo, che è pienamente coerente con quella « teoria del biso
gno » che è a base della tutela accordata al lavoratore, anche
in caso di infortunio, dal 2° comma dell'art. 38 Cost., e che atte
sta semmai, un parziale adeguamento del sistema previdenziale al precetto costituzionale.
Modificando, in parte, il proprio sistema difensivo, che, come
si è visto, coinvolgeva nel preteso principio generale del riferi
mento al momento dell'infortunio sia la rendita, sia le quote
integrative di rendita, l'I.n.a.i.l. ha sostenuto, nella memoria, che l'art. 85 t. u. del 1965 (relativo alle rendite di reversibilità) e l'art. 77 dello stesso t. u. (relativo alle quote integrative di
rendita) comunque, operano, e geneticamente e funzionalmente,
su piani diversi. Ora è indubbio che la rendita spettante iure
proprio ai superstiti e la quota integrativa di rendita spettante all'infortunato (ovviamente in vita e soltanto inabile al lavoro) sono istituti diversi e che la disciplina dettata per il secondo istituto non è direttamente applicabile al primo. Né potrebbe va lere in contrario il rilievo che l'art. 77 richiama, per l'attribu
zione delle quote integrative, i criteri dettati dall'art. 85 per la
individuazione dei destinatari della rendita di riversibilità, essen
do tale richiamo effettuato soltanto all'anzidetto effetto. Senon
ché, come si è visto, la sentenza impugnata non ha affatto ope rato una diretta applicazione dell'art. 77 alla materia in esame, ma si è soltanto avvalsa, nell'interpretazione dell'art. 85, n. 2, del più generale principio di adeguamento della rendita alle mu
tate esigenze di vita, che, giusta quanto sopra osservato, è ricava
bile dallo stesso art. 77, nella parte in cui consente l'adegua mento delle integrazioni di rendita ai nuovi bisogni dipendenti da un ampliamento della composizione della famiglia.
L'art. 85, n. 2, nell'accordare agli « orfani di entrambi i geni tori » l'aumento della quota di rendita dal 20 % al 40 %, pren de chiaramente in considerazione il maggior bisogno in cui ven
gono a trovarsi i detti orfani, ed il maggior danno da essi ri
sentito in conseguenza dell'infortunio mortale. Tale nesso ezio
logico indubbiamente sussiste — contrariamente a quanto è stato
sostenuto — anche nel caso in cui la morte dell'altro genitore
intervenga in epoca successiva all'infortunio mortale dell'assi
curato, perché è pur sempre l'infortunio ad aver determinato la
morte di uno dei genitori, concorrendo, con l'altro evento morta
le, a rendere i figli orfani di entrambi. Particolarità di quest'ipo tesi è che il maggior danno si verifica in un momento diverso e
successivo a quello dello stesso infortunio, ma se ciò ha ovvia
mente rilievo sul piano cronologico, non elimina invece la sostan
ziale identità della situazione (una volta che sia venuta in esse
re) rispetto a quella che si determina nel caso in cui l'altro ge nitore sia premorto. Richiamato, dunque, quanto già osservato
in ordine all'ampliamento del concetto di rischio assicurato, in
conseguenza dell'adozione del principio di adeguamento della
rendita alle mutate esigenze di vita, non è dato vedere perché
tale principio non dovrebbe orientare l'interpretazione di una
norma che, ai fini della concessione dell'aumento della misura
della rendita, si limita a richiedere la sussistenza di un requi
sito, senza far riferimento al tempo in cui la relativa fattispecie
si deve compiutamente realizzare; tanto più che la contraria so
luzione comporterebbe un'ingiustificata disparità di trattamento
in situazione identiche, essendo non essenziale il solo elemento
temporale che le distingue, posto che i figli superstiti sono « orfa
ni di entrambi i genitori » e portatori, quindi, dei conseguenti
maggiori bisogni, sia nell'uno che nell'altro caso.
Il ricorso deve dunque essere rigettato. (Omissis)
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 16 novembre 1981, n.
181 (Gazzetta ufficiale 18 novembre 1981, n. 318); Pres. e rei.
Volterra; Padova c. Fiore; Pes ed altro c. Meloni (Avv.
Aiello, Cervati); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato
Chiarotti). Ord. Pret. Ispica 18 ottobre 1975 (Gazz. uff. 24
marzo 1976, n. 78); Trib. Sassari 11 febbraio 1978 (id. 4 aprile
1979, n. 95).
Contratti agrari — Affitto — Concessione separata del suolo
dal soprassuolo — Estensione a tutte le colture del fondo per
i contratti in corso — Questione fondata di costituzionalità
(Cost., art., 3, 44; 1. 11 febbraio 1971 n. 11, nuova disciplina
dell'affitto di fondi rustici, art. 19).
È illegittimo, per violazione degli art. 3 e 44 Cost., l'art. 19, 2°
comma, l. 11/1971, nella parte in cui, in caso di concessione
separata del suolo dal soprassuolo, estende l'affitto a tutte le
colture del fondo per i contratti in corso al momento della sua
entrata in vigore. (1)
(1) L'ordinanza Pret. Ispica 18 ottobre 1975 è massimata in Foro it.,
1976, I, 1431 e l'ordinanza Trib. Sassari 11 febbraio 1978, id., 1979,
I, 1340. Va ricordata Pret. Ispica, ord. 25 novembre 1971, id., 1972,
I, 1895, per la quale Corte cost., ord. 15 maggio 1974, n. 135, id.,
Rep. 1974, voce Contratti agrari, n. 119, restituì gli atti al giudice a quo perché motivasse in merito alla rilevanza della dedotta inco
stituzionalità; motivazione che si è avuta con la ricordata Pret. Ispica 18 ottobre 1975.
In dottrina sull'art. 19 1. 11/1971, anche con riferimento ai dubbi
di legittimità costituzionale, v. Mosco, L'affitto di fondo rustico, 1972,
206; Vitucci, Proprietà separata delle piantagioni e divieto di « con
cessioni separate » nei contratti agrari, in Riv. dir. civ., 1973, 657;
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