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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 10 marzo 1988, n. 268 (Gazzetta...

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sentenza 10 marzo 1988, n. 268 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 16 marzo 1988, n. 11); Pres. Saja, Est. Borzellino; Silla (Avv. Morrone) e Mazza c. Pres. cons. ministri. Ord. Corte conti, sez. III, 5 ottobre 1983 (G.U. n. 252 del 1984) e 25 settembre 1985 (G.U., 1 a s.s., n. 52 del 1986) Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1988), pp. 3209/3210-3215/3216 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181526 . Accessed: 28/06/2014 11:12 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.101.146 on Sat, 28 Jun 2014 11:12:43 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 10 marzo 1988, n. 268 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 16 marzo 1988, n. 11);Pres. Saja, Est. Borzellino; Silla (Avv. Morrone) e Mazza c. Pres. cons. ministri. Ord. Corteconti, sez. III, 5 ottobre 1983 (G.U. n. 252 del 1984) e 25 settembre 1985 (G.U., 1 a s.s., n. 52del 1986)Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 3209/3210-3215/3216Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181526 .

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

be, e ci lascerebbe anzi ammirati, una futura decisione con cui la corte

dichiarasse la nota questione, non già questa volta «fondata», quanto invece «manifestamente infondata» (o, secondo altra (20 bis) e per noi

preferibile sistemazione, divenuta a questo punto: inammissibile), posto che la norma soggetta a censura deve ritenersi non più vigente già a se

guito del giudizio di violazione della Costituzione su di essa espresso, nella precedente sentenza n. 212/86, con tutta la desiderabile univocità

di dettato e pertanto in via inesorabilmente definitiva ed efficace.

8. - Il tema che abbiamo trattato sembra egregiamente prestarsi per lo svolgimento, quasi al modo di una conclusiva e diversa riprova della

correttezza delle posizioni assunte, di alcuni riscontri comparatistici; e

ciò con riguardo a quegli ordinamenti vicini al nostro — ovvero quello tedesco federale e quello austriaco, per profili diversi — che in effetti

valorizzano in determinati modi, a differenza del tassativo art. 136 Cost,

italiana, il potere dispositivo del giudice (o forse rectius, in codesto con

testo, dell'organo di garanzia) costituzionale, anche in un momento di

chiaratamente e spiccatamente successivo rispetto a quello dell'accertamento

dell'incompatibilità costituzionale della norma sindacata.

Possiamo dunque rilevare come il § 78, la frase, del Bundesverfas

sungsgerichtsgesetz tedesco, dissimilmente dal nostro art. 136 Cost. (v. retro al n. 7), assegni invero anche il tema della cessazione di efficacia

della legge quale oggetto di pronuncia e di decisione della corte (ossia del BVerfG), seppure, ovviamente, collegandolo a quello, previo, della

dichiarazione di incompatibilità costituzionale. Alla stregua di tale ben

articolata previsione di poteri decisorii, è stato possibile per la Corte te

desca — dapprima in via di prassi, indi in forza della «novella» del 1970

che ha regolato il fenomeno (§ 31, 2° comma, 2° frase) — in talune

categorie di ipotesi (20 ter), peraltro di non facile inquadramento dogma tico e sistematico (21) — anche di scindere le due pronunce normalmente

collegate da stretta conseguenzialità: ovvero si è potuta effettuare la Ver

fassungswidrigkeitsfestellung e non anche la successiva Nichtigerklàrung. Tale eventualità, da noi certo oggi non ammissibilmente concepibile, ri

mane concettualmente ben distinta (come si è notato retro presso la nota

10 ed ivi) da quella — conosciuta in Germania (22) ed ormai anche in

Italia — della mancanza di un attuale accertamento di incostituzionalità

in presenza di peculiari situazioni in cui il contrasto viene gradualmente affiorando ma non può dirsi ancora realizzato appieno: proprio qui la

dichiarazione di (attuale, ma temporanea) non difformità costituzionale

delle (noch verfassungsmàssige) norme sindacate culmina perlopiù in una

(o comunque: integra di per sé una) Appellentscheidung, una sentenza

monito affinché il legislatore consideri la urgenza di un proprio interven

to preventivo dello sbocco nella lesione costituzionale; per converso le

«mere» dichiarazioni di incostituzionalità, scisse dall'annullamento, so

no, in forza della citata «novella», munite di vera forza cogente per il

medesimo legislatore, trattandosi ormai di rimuovere una situazione di

accertata incostituzionalità. Inoltre, sempre per effetto della «mera» di

chiarazione, fra motivazione e dispositivo non si incuneano incoerenti

scarti — poiché si enuncia nel secondo proprio quello che la prima ha

riconosciuto —; ma soprattutto la norma sindacata, se formalmente con

tinua a vigere, vede però doverosamente circostritta, dalla sentenza della

corte, la propria applicabilità (Anwendungssperre), con tendenziale so

spensione dei processi in corso in cui essa assume rilievo, fino all'atteso

ed obbligato intervento del legislatore (23). Come si può dunque constatare, una decisione costituzionale del tipo

di quella che abbiamo nelle precedenti colonne commentato risulterebbe

abnorme perfino se considerata alla stregua dei più intensi poteri ricono

sciuti, insieme ad altri, pure negati alla nostra, alla corte (BVerfG) tede

sca, in quanto non giustificata da alcuna razionale «ragione di scissione»

fra dichiarazione ed annullamento ed anche perché proprio la estraneità

di una analoga scissione all'ordinamento italiano fa si che tertium non

datur fra la piena perdurante vigenza della norma incostituzionale (senza limitazioni di applicabilità e senza neppure obblighi legali di intervento

per il parlamento) e l'effetto del suo annullamento immediato.

A constatazioni analoghe di intrasponibilità, con riguardo al problema di diritto costituzionale italiano che qui interessa, conduce anche una pur

rapida evocazione del potere, riconosciuto espressamente alla Corte costi

(20 bis) Sul punto, da ultimo, v. Romboli, in Foro it., 1987, I, 930.

(20 ter) Le rammentiamo succintamente (sulla scia di Cara vita, Corte

«giudice a quo» e introduzione del giudizio sulle leggi, I, La Corte costi

tuzionale austriaca, Padova, 1985, 209, ss. 211 ss.): estraneità della nor

ma sindacata alla giurisdizione costituzionale di annullamento; norme che, ledendo il (solo) principio di uguaglianza escludono o includono nel loro

ambito determinati gruppi di soggetti; norme la cui mancanza, se non

idoneamente sostituite da altre, potrebbe ledere la compiutezza dell'ordi

namento; infine — con nozione criticabilmente evanescente e priva di

rigore sistematico — norme affette da incostituzionalità poco evidente,

eppure già sussistente (su tale profilo v. appresso nel testo).

(21) V. Ipsen, in Jur. Zeitung, 1983, 41 ss.; Heussner, in Neue Jur.

Wochenschrift, 1982, 257 ss.; e già Pestalozza, «Noch verfassungsmàs

sige» und «bloss verfassungswidrige» Rechtslagen, in BVerfG und GG,

Tubingen, 1976, 523 ss.

(22) Cfr. Pestalozza, op. cit., spec. 540, e D'Orazio, op. loc. ult. cit.

(23) V., anche per le eccezioni a tale regola, Pestalozza, op. cit., 558.

Il Foro Italiano — 1988.

tuzionale austriaca (art. 139 e 140, 5° comma), di fissare un termine (c.d.

Fristsetzung), di regola infrannuale, sospensivo della efficacia della pro

pria contestuale sentenza di annullamento di una norma di legge o di

regolamento o posta da un trattato internazionale, cosi da fare luogo ad una sorta di vacatio (24), salva però — seppur non senza stridore

con il principio di uguaglianza — la piena retroattività degli effetti della

decisione caducatoria almeno per il giudizio a quo. Un simile istituto di alta discrezionalità istituzionale, ritenuto espressa

mente inopportuno ed inaccettabile dai nostri costituenti (25) e nel com

plesso tuttora ritenuto perlopiù non auspicabile dalla dottrina italiana (26),

può fare dell'organo che si vorrebbe di garanzia, o addirittura di giurisdi

zione, costituzionale una sorta di «legislatore costituzionale ad interim»

(di interimistischer Verfassungsgesetzgeber, non senza preoccupazione, par lano appunto i giuristi austriaci e di effetto di temporanea sanatoria della

incostituzionalità scaturente dalla sentenza di annullamento «a termine»

parla quella Corte costituzionale (27)).

Ebbene, una decisione quale quella della corte italiana qui discussa al

tro non fa, nella sostanza, che operare una tale inammissibile (da noi

e pour cause) Fristsetzung, per di più senza alcuna congrua ragione prati ca o politico-istituzionale che valga a spiegarla, se non a giustificarla, e di fatto fissando un termine di durata incerta (quale, fatalmente, si

palesa quello della prossima rimessione della stessa questione e della nuo

va, ormai pregiudicata, decisione su di essa), anzi, a rigore, una condizio

ne sospensiva, non essendo sicurissimo neppure Van dell'evento additato.

Crediamo pertanto di potere affermare che decisioni quali codesta sfor

tunata ordinanza n. 378 del 1988 non siano suscettibili di venire calate, non solo nel sistema di giurisdizione costituzionale italiano, ma tout court

in alcun efficiente ed affidabile sistema di garanzia costituzionale me

diante sindacato accentrato sulle leggi, pur se, rispetto al nostro, più dut

tilmente atteggiato — quali, per differenti versi, risultano quelli tedesco

e austriaco —. Claudio Consolo

(24) Sul che v. Cara vita, op. cit., 134 ss., e soprattutto D'Orazio, Una «vacatio» per le sentenze costituzionali, in Giur. costit., 1975, 1147.

(25) V. — anche per le diverse opinioni di Perassi e Ruini (quest'ultima

prevalsa) — la illustrazione dei lavori preparatori in D' Orazio, op. ult.

cit., 1157.

(26) Ancora, per vari, D'Orazio, op. loc. ult. cit.

(27) V., per riferimenti, Caravita, op. cit., 136 s., nota 23. Adde, da noi, il saggio — dogmatico e comparatistico — di Pierandrei, Le

decisioni degli organi di «giustizia costituzionale», ecc., in Riv. it. sc.

giur., 1954, 101 ss., spec. 126 ss.

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 marzo 1988, n. 268

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 16 marzo 1988, n. 11);

Pres. Saja, Est. Borzellino; Siila (Avv. Morrone) e Mazza

c. Pres. cons, ministri. Ord. Corte conti, sez■ III, 5 ottobre

1983 (G.U. n. 252 del 1984) e 25 settembre 1985 (G.U., la

s.s., n. 52 del 1986).

Impiegato degli enti locali — Trattamento di quiescenza indiretto

e di reversibilità — Figli naturali — Diritto alla percezione —

Condizione — Riconoscimento del dipendente anteriore alla ces

sazione dal servizio — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 30, 31;

1. 22 novembre 1962 n. 1646, modifiche agli ordinamenti degli

istituti di previdenza presso il ministero del tesoro, art. 7).

È illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 7, 1° comma,

l. 22 novembre 1962 n. 1646, che disciplina il trattamento di

quiescenza indiretto o di reversibilità a carico delle casse pen

sioni facenti parte degli istituti di previdenza, a favore dei figli naturali riconosciuti a norma del codice civile, limitatamente

alle parole con cui subordina il diritto di percezione all'avvenu

to riconoscimento, da parte dell'iscritto, anteriormente alla ces

sazione dal servizio. (1)

(1-2) I. - Con le due sentenze in epigrafe la Corte costituzionale prose

gue nel cammino da tempo intrapreso allo scopo di eliminare dall'ordina

mento le disposizioni vigenti in aperto contrasto con le moderne esigenze di tutela giuridica della famiglia in ogni sua manifestazione e composizione.

Si vedano, in questo senso: Corte cost. 14 gennaio 1986, n. 5, Foro

it., 1986, I, 2996, e in Giur. costit., 1986, I, 247, con note di Finocchia

ro e Lariccia; 28 gennaio 1986, n. 13, Foro it., 1986, I, 613, con osser

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PARTE PRIMA 3212

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 18 febbraio 1988, n. 181

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 24 febbraio 1988, n. 8); Pres. Saja, Est. Ferri; Fienga c. Min. tesoro; interv. Pres.

cons, ministri (Avv. dello Stato Siconolfi). Ord. T.A.R. Lazio 24 gennaio 1979, n. 209 (G. U. n. 237 del 1979).

Impiegato dello Stato e pubblico — Dipendente statale — Quote di aggiunta di famiglia — Figlio nato da precedente matrimo nio dell'altro coniuge affidatario — Omessa inclusione — In

costituzionalità (Cost., art. 3, 29, 30, 36; d.leg.lgt. 21 novembre 1945 n. 722, provvedimenti economici a favore dei dipendenti statali, art. 2, 4).

È illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 4, 1° comma,

d.leg.lgt. 21 novembre 1945 n. 722, nella parte in cui non com

prende tra i familiari a carico del dipendente beneficiario di

quota di aggiunta di famiglia anche il figlio nato da precedente matrimonio dell'altro coniuge che ne sia affidatario. (2)

vazioni di La Greca, e Giur. it., 1986, I, 1, 972, con nota di De Cupis; 1° luglio 1986, n. 198 e n. 199, Foro it., 1988, I, 2803.

II. - La questione decisa dalla sentenza n. 268/88 è stata sollevata con due ordinanze della Corte dei conti, sez. Ili, 5 ottobre 1983, id., 1985, III, 282 e 25 settembre 1985. La corte, nel dichiarare l'illegittimità del 1° comma dell'art. 7 1. 1646/62, afferma il principio secondo cui il godi mento del trattamento di reversibilità è un diritto soggettivo assoluto, tutelabile direttamente e immediatamente in virtù della semplice titolarità di esso da parte del figlio riconosciuto, senza limitazione temporale alcuna.

In dottrina, v. G. Carbonaro, L'integrazione dei redditi familiari nel sistema dì sicurezza sociale: valutazione delle provvidenze e dei bisogni, in Dir. lav., 1985, I, 132; V. Amendola, Nucleo familiare e trattamenti di previdenza, in Lavoro e previdenza oggi, 1985, 2239.

III. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, 1° comma, d.leg.lgt. 21 novembre 1945 n. 722, e successive modifiche, risolta dalla corte con la sentenza n. 181/88, è stata sollevata con ordinanza del T.A.R.

Lazio, sez. I, 24 gennaio 1979, n. 209, Foro it., 1979, III, 638, con nota di richiami. La corte, nel respingere la difesa dell'avvocatura dello Stato fondata sul presupposto che i due ordinamenti dell'impiego pubblico e del privato si fondano su situazioni organizzative, strutturali e finalità diverse, continua nell'opera di progressiva eliminazione di qualsiasi fonte normativa che possa costituire un punto di riferimento per giustificare una diversità di trattamento tra i due rapporti. Tale diversità, infatti, si è venuta progressivamente restringendo, anche grazie all'attività della corte determinata a realizzare un «processo di tendenziale assimilazione dei due rapporti», come ricorda lo stesso giudice costituzionale in moti vazione.

Nello stesso senso dell'integrazione tra i due ordinamenti, v. T.A.R.

Sardegna 30 marzo 1985, id., Rep. 1985, voce Impiegato detto Stato, n. 743, che ha dichiarato l'illegittimità del provvedimento con cui l'am ministrazione procede al recupero delle somme erogate a titolo di quote di aggiunta di famiglia per i figli minori, nei confronti del dipendente che, separato legalmente e non affidatario dei figli, le abbia indebitamen te percepite, ma abbia fornito valide prove documentali circa il loro inte

grale versamento al coniuge avente diritto ai sensi dell'art. 211 1. 19 maggio 1975 n. 151. Sulla sostanziale equiparazione del trattamento del carico di famiglia tra il marito lavoratore e la moglie lavoratrice, v. T.A.R. Emilia Romagna, ord. 25 maggio 1983, id., 1985, III, 138, nonché Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 1979, n. 513, id., Rep. 1979, voce cit., n. 864.

In dottrina, v. S. Vernaci, La maggiorazione degli assegni familiari verso una revisione sostanziale deI meccanismo dell'aggiunta di famiglia, in Comuni d'Italia, 1984, 1065; V. Amendola, Parità fra uomini e donne e diritto agli assegni familiari, in Prev. soc., 1978, 53; G. Lensi, Adozio ne speciale, aggiunta di famiglia e aumenti periodici, in Nuova rass., 1977, 2070.

La sentenza va accolta positivamente anche perché si muove nel senso dell'estensione di una legislazione di favore volta a tutelare la famiglia come aggregato unitario, ancorché composta da figli avuti da uno dei due coniugi da precedente matrimonio, attualmente a carico del coniuge lavoratore e con esso conviventi; l'orientamento espresso in più occasioni dai giudici costituzionali è dunque nel senso di una sempre più vasta e incisiva attuazione della riforma del diritto di famiglia prevista con la 1. 151/75.

In particolare, la sentenza 181/88 può essere annoverata tra le più esplicite della corte in tema di diritto di famiglia. In questo caso, a trarne i benefi ci è la disciplina che regola i rapporti tra coniugi e il trattamento (non ha più importanza ormai la disputa sulla qualificazione giuridica — quale retribuzione differita o contributo assistenziale — delle quote di aggiunta di famiglia) delle aggiunte per familiari a carico.

Al di là della scelta, giuridicamente coerente, nel senso della omoge neizzazione di due discipline contrastanti sul medesimo oggetto nel setto

II Foro Italiano — 1988.

I

Diritto. — 1. - I giudizi vertono su identica questione: devono

riunirsi, pertanto, per formare oggetto di un'unica pronun cia.

2.1. - La 1. 22 novembre 1962 n. 1646 (modifiche agli ordina

menti degli istituti di previdenza presso il ministero del tesoro) ai fini del trattamento di quiescenza, indiretto e di reversibilità, a carico delle casse pensioni facenti parte dei menzionati istituti,

equipara (art. 7) ai figli legittimi i naturali riconosciuti purché l'atto sia anteriore «alla data di cessazione dal servizio» dell'i

scritto, da cui origina la pensione. 2.2. - I giudici a quibus sospettano di illegittimità la norma

per una irrazionale disparità da altri ordinamenti, nei cui ambiti,

invece, un momento limitativo non sussisterebbe: pensioni di guer

ra; quiescenza dei dipendenti statali; pensionistica Inps. Si avrebbe violazione, quindi, del principio di eguaglianza ex

art. 3 Cost., con riflessi anche inerenti agli art. 30 e 31 concer

nenti la tutela familiare.

3. - Invero, non può assumersi quale tertium comparationis il lato criterio inerente alla pensionistica per causa di guerra: è

costante giurisprudenza di questa corte che tale normazione ha

un ben diverso fondamento. Neppure rileva, in punto, la norma

sul trattamento agli orfani di dipendente statale, poiché essa limi

ta pur sempre i benefici — per il caso di dichiarazione giudiziale — alla anteriorità della domanda al decesso del dante causa (art.

82, 3° comma, d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092). Né ancora può farsi puntuale riferimento a una prospettata assimilazione tra rap

porto di lavoro pubblico e p Induce ad una favorevole determi

nazione il rilevare che — rispetto alla antecedente procreazione — il riconoscimento ovvero la dichiarazione giudiziale, come è

pacifico nella giurisprudenza della Corte di cassazione, hanno con

tenuto meramente dichiarativo.

Restando cosi assorbita ogni altra questione, va dichiarata, con

clusivamente, l'illegittimità costituzionale della norma censurata, con la conseguente affermazione che ai figli naturali legalmente riconosciuti o giudizialmente dichiarati, oggetto di essa, va attri

buito, quando dovuto, il trattamento di quiescenza, senza limita

zioni temporali di sorta.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, di

chiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, 1° comma, 1. 22

novembre 1962 n. 1646 (modifiche agli ordinamenti degli istituti

di previdenza presso il ministero del tesoro) limitatamente alle

parole «dall'iscritto anteriormente alla cessazione dal servizio».

re pubblico e privato, dunque, va sottolineata la riaffermazione del prin cipio, ormai costante nella giurisprudenza della corte, secondo cui la fa miglia deve essere tutelata in virtù di una nozione giuridica in costante evoluzione.

Il riferimento essenziale operato dalla corte è rivolto alla nozione di convivenza familiare (da ultimo, cfr. Corte cost. 7 aprile 1988, nn. 423 e 404, Foro it., 1988, I, 2514), per cui si ha famiglia non solo laddove sia stato contratto da due persone un matrimonio civile o religioso, da cui siano nati dei figli, ma anche in tutte le ipotesi in cui a carico del lavoratore possa essere individuato un aggregato di persone con le carat teristiche del «nucleo familiare», dove per nucleo familiare si intende una unione di persone legate da vincoli di coabitazione in modo continuativo e stabile.

Ed è dunque a questa nozione «dinamica» di famiglia che deve essere

adeguata la normativa vigente a livello ordinario rispetto ai principi fon damentali stabili dalla Costituzione negli art. 2, 29 e 30 e che, seppure non costituiscono, nella fattispecie, le norme parametro assunte dalla corte

per dichiarare l'incostituzionalità delle disposizioni impugnate, tuttavia sono costantemente richiamate come riferimenti essenziali per la tutela della famiglia in tutti i momenti (retribuzione, previdenza, assistenza, istru zione dei figli, ecc.) in cui si verificano le condizioni indispensabili della sua esistenza. Si vedano, in generale, al riguardo, da ultimo: G. Sbisà, Riforma del diritto di famiglia, voce del Novissimo digesto, appendice, 1986, VI, 796; M. Bessone, G. Alpa, A. D'Angelo, G. Ferrando, La

famiglia nel nuovo diritto. Dai principi della Costituzione alla riforma del codice civile, Bologna, 1986, nonché F. D. Busnelli, La famiglia nella cultura giuridica europea, in Rass. dir. civ., 1986, 148, e A. Tra

bucchi, Famiglia e diritto nell'orizzonte degli anni '80, in Riv. dir. civ., 1986, I, 161. [C. Bruni Carrozza] [C. Bruni Carrozza]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

II

Diritto. — 1. - Il T.A.R. del Lazio ha sollevato questione di

legittimità costituzionale degli art. 2 e 4 d.leg.lgt. 21 novembre

1945 n. 722 e successive modificazioni e integrazioni. L'art. 2 del predetto decreto, recante provvedimenti economici

a favore dei dipendenti statali, prevede una quota complemetare dell'indennità di carovita «per la prima persona a carico» e per «ciascuna delle altre persone a carico, considerando come tali

la moglie e i figli minorenni»; oltre che, a particolari condizioni,

per i genitori. L'art. 4 stabilisce che «ai fini dei precedenti articoli si conside

rano anche i figli naturali legalmente riconosciuti, i figli adottivi

e gli affiliati». Le successive disposizioni di legge, che hanno modificato la

denominazione di quote complementari dell'indennità di carovita

in quote di aggiunta di famiglia, hanno lasciato inalterata per

quanto riguarda le persone a carico la disciplina prevista dall'art.

4 del citato d.leg.lgt. n. 722 espressamente richiamato a tale effetto.

La censura del T.A.R. investe detta normativa per il motivo

che essa non considera — insieme con i figli naturali legalmente

riconosciuti, i figli adottivi e gli affiliati — anche i figli «nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge», cosi come invece

è previsto dall'art. 3 d.p.r. 30 maggio 1955 n. 797, che disciplina

gli assegni familiari spettanti ai dipendenti del settore privato. Tale mancata previsione configurerebbe ad avviso del giudice

rimettente un contrasto con gli art. 3, 29, 30 e 36 Cost.

2. - Come è stato detto in narrativa, il provvedimento della

direzione provinciale del tesoro di Roma, impugnato dinanzi al

giudice amministrativo rimettente, negava che l'aggiunta di fami

glia potesse corrispondersi «per il figlio del primo matrimonio

della moglie divorziata, tale quota potendo essere attribuita solo

nel caso che il figlio in questione sia orfano di padre». In questi termini l'amministrazione ha applicato la circolare n. 90 del 15

giugno 1963 del ministero del tesoro - ragioneria generale dello

Stato, la quale, nell'impartire disposizioni per l'attribuzione delle

quote di aggiunta di famiglia, disciplinate dal d.leg.lgt. 21 no

vembre 1945 n. 722, ammetteva la corresponsione anche per i

«figliastri» (riepilogo, lett. B, n. 2). Il T.A.R. rimettente ha rilevato come la norma legislativa che

regola la materia, vale a dire il citato art. 4 d. leg. lgt. 21 novem

bre 1945 n. 722, elenchi rigorosamente le categorie equiparate ai figli legittimi ai fini della erogazione delle quote complementa ri di carovita (oggi aggiunte di famiglia); nessuna previsione è

in essa contemplata per i figli nati da precedente matrimonio del

l'altro coniuge (o figliastri); nulla autorizza perciò una siffatta

estensione in via interpretativa; conseguentemente le disposizioni

praeter legem adottate con la surricordata circolare del ministero

del tesoro non possono essere accolte come integrazione interpre tativa della norma censurata.

3. - La questione è fondata sotto il profilo di violazione del

l'art. 3 Cost.

Ai fini della valutazione di tale profilo, questa corte ritiene

che le discussioni sul carattere di integrazione retributiva o di

contributo assistenziale dell'aggiunta di famiglia e degli assegni familiari non abbiano alcuna incidenza sul thema decidendum,

che deve essere risolto sulla base delle premesse seguenti. La nor

ma denunciata esclude che ai lavoratori dipendenti del settore

pubblico possa essere corrisposta l'aggiunta di famiglia per i figli del coniuge nati da precedente matrimonio (figliastri). Ai lavora

tori dipendenti del settore privato, invece, gli assegni familiari

sono corrisposti anche per tale categoria di persone a carico, in

forza dell'espressa disposizione contenuta nell'ultimo comma del

citato art. 3 d.p.r. 30 maggio 1955 n. 797; tale norma è stata

poi esattamente interpretata dalla Corte di cassazione nel senso

che gli assegni spettino anche quando il precedente matrimonio

è stato sciolto in seguito a pronuncia di divorzio.

La diversità delle due normative prese in esame pone in essere

una disparità di trattamento fra il lavoratore pubblico dipendente e quello del settore privato, che si trovino nell'identica condizio

ne di avere nella propria famiglia conviventi a carico figli del

coniuge nati da precedente matrimonio di questi. Tale disparità di trattamento, in una identica condizione fami

liare, potrebbe sfuggire alla censura di illegittimità costituzionale,

soltanto ove si ritenga che le innegabili distinzioni persistenti fra

il rapporto di impiego pubblico e quello privato diano luogo ad

una diversità di condizione dei soggetti, influente in relazione alle

Il Foro Italiano — 1988.

regole che disciplinano la erogazione dell'aggiunta di famiglia e

degli assegni familiari.

Una siffatta tesi è sostenuta dall'avvocatura di Stato, che ri

chiama una sentenza di questa corte (n. 5 del 1971, Foro it.,

1971, I, 314). In essa si legge che «fra i due ordinamenti del

pubblico impiego e dell'impiego privato esistono fondamentali dif

ferenze di organizzazione, di struttura e di finalità, per cui i di

pendenti dell'uno e dell'altro vengono a trovarsi in condizioni

differenti»... «Dalla differente situazione di cui sopra deriva la

legittimità della disciplina della aggiunta di famiglia, la quale si

differenzia anche nel nome dagli assegni familiari spettanti ai la

voratori dell'impiego privato». Con successiva sentenza (n. 231 del 1974, id., 1974, I, 3266)

sempre in materia di differenze fra aggiunta di famiglia e assegni

familiari, la corte, ritenendo non fondata la questione, ha affer

mato che «nella specie non poteva essere censurato l'art. 79 d.p.r. 30 maggio 1955 n. 797, ma eventualmente il d.leg.lgt. 21 novem

bre 1945 n. 722 e i provvedimenti ad esso successivi, nella parte in cui si determina una disparità di trattamento in tema di ag

giunta di famiglia tra prestatori di lavoro privato e prestatori di

lavoro pubblico». È appena il caso di ricordare che questa corte ha da tempo

dato atto del «processo di tendenziale assimilazione dei due rap

porti» (sc/7. di impiego pubblico e privato), pur riconoscendo le

peculiari differenze «in relazione alle diversità collegate alla dif

ferenza di funzioni» (sent. nn. 118/76, id., 1976, I, 1415 e 194/76,

id., 1977, I, 23). Recenti sentenze, in tale linea evolutiva, hanno ritenuto fonda

ta, in materia di provvedimenti d'urgenza a tutela dei diritti sog

gettivi dei lavoratori, la questione di costituzionalità della

«diseguaglianza di trattamento tra dipendenti pubblici e privati»

(sent. n. 190/85, id., 1985, I, 1881), nonché quella derivante dal

la esclusione, nelle controversie di impiego di dipendenti dello

Stato e di enti pubblici riservate alla giurisdizione esclusiva am

ministrativa, dei mezzi istruttori previsti dal codice procedura ci

vile per le controversie relative all'impiego privato di competenza del giudice ordinario (sent. n. 146/87, id., 1987, I, 1349).

4. - La corte ritiene che nella sfera di connotazioni che tuttora

sorreggono il riconoscimento di una persistente diversità fra i due

rapporti di impiego o di lavoro pubblico e privato, quali l'orga

nizzazione, la struttura, le finalità dei medesimi, non rientri la

regolamentazione delle categorie di persone per le quali è prevista la corresponsione dell'aggiunta di famiglia o degli assegni fami

liari, istituti peraltro che non differiscono né nella ratio né nei fini.

Ne è una conferma il fatto che le più recenti modificazioni

della normativa in materia di aggiunta di famiglia e di assegni

familiari sono state adottate dal legislatore congiuntamente e se

condo parametri sostanzialmente identici (d.l. 14 luglio 1980 n.

314 convertito con modificazioni in I. 8 agosto 1980 n. 440; 1.

27 dicembre 1983 n. 730, art. 20; 1. 28 febbraio 1986 n. 41, art. 23). In relazione quindi alla materia cosi disciplinata i dipendenti

pubblici e privati si trovano in una identica condizione soggetti

va: ne consegue che nessuna razionale giustificazione è ravvisabi

le a sostegno della disparità di trattamento fra gli uni e gli altri

denunciata dal giudice a quo. Vale anche la pena di considerare che il ministero del tesoro

con la circolare 15 giugno 1963 n. 90, sopra ricordata, aveva esteso

la corresponsione dell'aggiunta di famiglia ai figliastri. Tale esten

sione è stata disattesa dal T.A.R. rimettente, che l'ha ritenuta

incompatibile con il dettato chiaro e rigoroso della norma legisla tiva in discussione: essa tuttavia dimostra che la stessa ammini

strazione statale ha avvertito l'esigenza di rimediare (seppure in

modo improprio e parziale) ad un'ingiustificata e irrazionale

esclusione.

5. - La seconda obiezione dell'avvocatura di Stato (che riguar da soprattutto la censura riferita agli art. 29 e 30 Cost.) si fonda

sul rilievo che nessun obbligo sussisterebbe per il dipendente sta

tale nei confronti del figlio del coniuge nato da precedente matri

monio sciolto con sentenza di divorzio, permanendo «la comune

potestà dei genitori sui figli nati dal loro matrimonio (art. 139

1. 1975 n. 151) onde, salvo i provvedimenti adottati dall'autorità

giudiziaria nell'interesse dei minori (art. 155), grava su entrambi

l'obbligo di mantenerli, educarli ed istruirli (art. 6 e 11 1. 1970

n. 898), vai quanto dire attinenti a tutte le necessità di vita».

L'obiezione non può essere condivisa. Innanzitutto essa non

incide sulla irrazionale e ingiustificata disparità di trattamento

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Page 5: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 10 marzo 1988, n. 268 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 16 marzo 1988, n. 11); Pres. Saja, Est. Borzellino; Silla

3215 PARTE PRIMA 3216

fra il dipendente pubblico e il privato; e comunque è sufficiente

rilevare che gli obblighi che incombono su entrambi i coniugi

verso la famiglia ai sensi dell'art. 143 del vigente c.c. non posso no non comprendere anche i figli nati dal precedente matrimonio

di un coniuge (sciolto per divorzio) ove questi ne sia affidatario,

e sempreché l'altro genitore non provveda: condizioni queste la

cui sussistenza dovrà essere accertata dall'amministrazione o dal

giudice di merito, costituendo esse il presupposto di legge perché

sorga il diritto a percepire l'aggiunta di famiglia. Né va infine dimenticato che già in materia di assistenza sani

taria ai dipendenti statali la 1. 19 gennaio 1942 n. 22 ha compreso fra i familiari aventi diritto all'assistenza (art. 4, n. 2) «i figli nati da precedente matrimonio del coniuge»; e, seppure non si

versa nella stessa materia, tale estensione in materia affine dimo

stra che l'esigenza era stata avvertita dal legislatore e aveva tro

vato accoglimento nel sistema.

6. - L'accertato fondamento della questione di legittimità costi

tuzionale della norma denunciata, per contrasto con l'art. 3 Cost.,

rende superfluo l'esame degli altri profili sollevati dal rimettente

T.A.R. del Lazio.

Per questi motivi, la corte costituzionale dichiara la illegittimi tà costituzionale dell'art. 4, 1° comma, d.leg.lgt. 21 novembre

1945 n. 722 («provvedimenti economici a favore dei dipendenti

statali») nella parte in cui non comprende anche i figli nati da

precedente matrimonio dell'altro coniuge che ne sia affidatario.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 26 gennaio 1988, n. 82

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 10 febbraio 1988, n. 6); Pres. Saja, Est. Greco; Enel c. Serretta. Orci. Cass. 11 gen naio 1980 (G.U. n. 159 del 1980).

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Nuovo rito

del lavoro — Divieto di nuove eccezioni in appello — Discipli na transitoria — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. civ., art. 437; 1. 11 agosto 1973 n. 533,

disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle con

troversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, art.

20).

È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.

437, 2° comma, c.p.c. e 20, 1° comma, I. 11 agosto 1973 n.

533, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., poiché il divieto di proporre nuove eccezioni in appello introdotto dal nuovo rito

del lavoro non si applica ai procedimenti già pervenuti in pri mo grado alla fase decisoria al momento dell'entrata in vigore della l. 533/73. (1)

(1) I. - L'ordinanza 8 marzo 1980, n. 141 con la quale la Cassazione ha sollevato la questione decisa dalla sentenza in epigrafe è riportata in Foro it., 1980, I, 1326, con nota di richiami.

L'ordinanza di rimessione muove da una interpretazione letterale del

combinato disposto dagli art. 20 1. 533/73 e 437 c.p.c.: posto che la pri ma norma (disciplina transitoria dei giudizi pendenti) statuisce che il nuo vo rito del lavoro è applicabile anche ai giudizi in corso al momento della sua entrata in vigore e la seconda dispone il divieto di nuove do mande e eccezioni in appello, si è concluso che tale divieto sarebbe appli cabile anche nel caso in cui tutto il giudizio di primo grado si fosse svolto secondo il vecchio rito. Di qui la prospettata violazione dell'art. 24 Cost,

(in quanto la disciplina in esame non consentirebbe di proporre in appel lo le eccezioni non formulate in primo grado nella consapevolezza di po terle dedurre in fase di impugnazione, come era consentito dal vecchio

rito) e dell'art. 3 Cost, (per disparità di trattamento fra le parti nei giudi zi pendenti all'atto dell'entrata in vigore della 1. 553/73, a seconda che tali giudizi si trovassero o meno in fase decisoria).

II. - La sentenza interpretativa di rigetto con la quale la Corte costitu

zionale ha dichiarato infondata la prospettata questione di costituzionali tà si segnala sotto vari profili:

a) In primo luogo essa chiarisce la portata ed il campo di applicazione dell'art. 437, 2° comma, c.p.c. La corte non accoglie la tesi prospettata in alcune sentenze della Cassazione (cfr. sent. 8 gennaio 1980, n. 144 e 25 maggio 1978, n. 2655, id., 1980, I, 1367, con nota di richiami) secondo

Il Foro Italiano — 1988.

Fatto. — Una controversia individuale di lavoro fra Serretta

Giovanni e l'Enel, introdotta con citazione notificata il 29 dicem

bre 1969, perveniva all'udienza di precisazione delle conclusioni

il 1° marzo 1973 senza che, fino a tale momento, il convenuto

avesse proposto l'eccezione di prescrizione dei crediti ex adverso

vantati. All'udienza del 31 maggio 1974, fissata per la discussio

ne, la causa veniva trattenuta in decisione e, quindi, definita con

sentenza del 28 giugno 1974, avverso la quale l'Enel proponeva

appello (nelle forme previste dal nuovo rito delle controversie di

lavoro disciplinato dalla 1. 11 agosto 1973 n. 533, entrata in vigo

re nel frattempo), sollevando, col relativo atto, l'eccezione sud

detta. L'adita corte d'appello respingeva il gravame, rilevando,

fra l'altro, che l'eccezione stessa non poteva essere proposta, stante

il divieto di ius novorum di cui all'art. 437 c.p.c., nel testo novel

lato dalla citata 1. n. 533 del 1973, applicabile ai giudizi pendenti alla data della sua entrata in vigore, giusto il disposto dell'art.

20 della legge medesima.

Nel susseguente giudizio di cassazione, introdotto dall'Enel, la

corte, con ordinanza emessa I'll gennaio 1980, ha sollevato la

questione di legittimità costituzionale degli art. 437, 2° comma

c.p.c. (nuovo testo) e 20, 1° comma, 1. n. 533 del 1973, nella

parte in cui, in contrasto con gli art. 3 e 24 Cost., non consento

no la proposizione di nuove eccezioni in appello, in via transito

ria e con riferimento ai casi di procedimenti svoltisi in primo

grado secondo il rito previgente alla menzionata legge (e, quindi,

senza soggezione al regime delle preclusioni e decadenze con que

sta introdotto) e sottoposti, poi, nella fase di gravame, alla trat

tazione col nuovo rito.

Con specifico riguardo alla fattispecie — donde la rilevanza

della questione — la corte ha osservato che la mancata proposi zione dell'eccezione di prescrizione in primo grado era correlata

alla facoltà di proporla senza limite alcuno (salvo l'eventuale onere

delle spese) nel giudizio di appello, sicché il venir meno di tale

le quali l'art. 437 precluderebbe la proponibilità di nuove eccezioni nel

l'udienza di discussione, ma non la possibilità, ex art. 345 c.p.c., di pro

porre nuove eccezioni con l'atto di appello; essa ribadisce, secondo il

prevalente orientamento dottrinale e giurisprudenziale [cfr. C. M. Baro

ne (V. Andrioli, G. Pezzano, A. Proto Pisani), Le controversie in

materia di lavoro, Bologna-Roma, 1987, 868, ed ivi indicazioni giurispru denziali] il divieto di nuove domande ed eccezioni in appello, sancito

nel rito lavoro dall'art. 437, 2° comma, c.p.c. b) La corte tuttavia adotta un'interpretazione «elastica» dell'art. 20

1. 533/73, tale da superare la regola dell'immediata applicabilità del nuo

vo rito ai giudizi pendenti, rendendolo così compatibile con la situazione

processuale cui ciascun procedimento è pervenuto al momento dell'entra

ta in vigore della legge. Per un tale «adattamento» della regola, per vero

apparentemente assai rigida, contenuta nell'art. 20, si era del resto espressa la dottrina fin dai primi commenti alla 1. 533/73 (cfr. Denti-Simoneschi, Il nuovo processo del lavoro, Milano, 1974, 316 ss).

In tal senso si veda anche la giurisprudenza secondo la quale le preclu sioni di cui agli art. 414 e 416 c.p.c. non possono riferirsi ai procedimenti già pendenti al momento dell'entrata in vigore della legge (cfr. Cass. 5

maggio 1983, n. 3093, Foro it., Rep. 1983, voce Lavoro e previdenza

(controversie), n. 694).

c) La corte giustifica la necessità di un tale «adattamento» con l'esigen za di coordinare il regime delle preclusioni e decadenze stabilito relativa mente al giudizio di appello con quelle operanti nel giudizio di primo grado: con la conseguente impossibilità di precludere alle parti l'esercizio

di quelle facoltà che avevano ritenuto di non esercitare in primo grado in quanto la normativa allora in vigore le rendeva esperibili anche in

appello. III. - Le conclusioni cui è pervenuta la Corte costituzionale con la sen

tenza in epigrafe erano già state accolte dalla Cassazione, la quale, suc

cessivamente all'ordinanza 8 marzo 1980, n. 141 (e pertanto con un palese e censurabile difetto di informazione sul giudizio pendente di fronte alla

Corte costituzionale) ha ritenuto che l'entrata in vigore della 1. 533/73 non preclude alla parte la possibilità di proporre in appello per la prima volta l'eccezione di prescrizione non sollevata in primo grado, per l'im

possibilità di ritenere operante in tal caso l'art. 20 1. 533/73 (Cass. 13

giugno 1980, n. 3789, id., 1980, I, 1867, e 18 febbraio 1983, n. 1265, id., Rep. 1983, voce cit., n. 550).

In senso contrario, cfr. Cass. 6 febbraio 1984, n. 906, id., Rep. 1984, voce cit., n. 444, la quale ha invece affermato che il divieto di nuovi mezzi di prova in appello ex art. 437, 2° comma, c.p.c. ricorre anche

quando la controversia, introdotta e trattata in primo grado secondo il rito ordinario benché fosse soggetta al rito del lavoro, sia poi stata

proposta e trattata in sede di gravame secondo quest'ultimo rito. [F. Donati]

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