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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 11 giugno 1990, n. 286 (Gazzetta...

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sentenza 11 giugno 1990, n. 286 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 20 giugno 1990, n. 25); Pres. Saja, Est. Spagnoli; Ferrari (Avv. Cabibbo) c. Inps; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Pret. La Spezia 21 dicembre 1989 (G.U., 1 a s.s., n. 10 del 1989) Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1990), pp. 2719/2720-2723/2724 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184885 . Accessed: 25/06/2014 10:34 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 10:34:42 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 11 giugno 1990, n. 286 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 20 giugno 1990, n. 25); Pres. Saja, Est. Spagnoli; Ferrari

sentenza 11 giugno 1990, n. 286 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 20 giugno 1990, n. 25);Pres. Saja, Est. Spagnoli; Ferrari (Avv. Cabibbo) c. Inps; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Pret.La Spezia 21 dicembre 1989 (G.U., 1 a s.s., n. 10 del 1989)Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 2719/2720-2723/2724Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184885 .

Accessed: 25/06/2014 10:34

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2719 PARTE PRIMA 2720

to e regioni (o province autonome) dev'essere assistito da garan

zie, sostanziali e procedurali, rispondenti ai valori fondamentali

cui la Costituzione informa i predetti rapporti e, specificamente, al principio della «leale cooperazione», che viene in particolare evidenza in ogni ipotesi, come la presente, nelle quali non sia

(eccezionalmente) applicabile l'opposto principio della separazio ne delle sfere di attribuzione (v. sent. nn. 153, id., 1986, I, 2689

e 294 del 1986, cit.). E fra queste garanzie deve considerarsi in

clusa l'esigenza del rispetto di una regola di proporzionalità tra

i presupposti che, nello specifico caso in considerazione, legitti mano l'intervento sostitutivo e il contenuto e l'estensione del re

lativo potere, in mancanza della quale quest'ultimo potrebbe ri

dondare in un'ingiustificata compressione dell'autonomia regio nale (v. sent. nn. 117 del 1986, id., 1986, I, 2987 e 294 del 1986, cit.).

Esaminato sulla base di tali criteri valutativi, l'art. 5 1. n. 892

del 1984 appare viziato di illegittimità costituzionale, in quanto è diretto ad istituire una forma di controllo sostitutivo che, per lo meno, risulta attribuita ad un organo, il commissario del go

verno, inidoneo ad esser titolare del relativo potere. L'inidoneità

deriva dal fatto che tale organo è, per un verso, costituzional

mente sprovvisto dei poteri che rappresentano la necessaria pre messa per la titolarità di una qualche specie di controllo sostituti

vo verso le regioni e, per altro verso, non si identifica in nessuno

degli organi che l'art. 92 Cost, comprende nel concetto di governo. Sotto il primo profilo, va sottolineato che la figura del control

lo sostitutivo non può venir collegata a nessuno dei poteri che

la Costituzione attribuisce positivamente al commissario del go verno nei confronti delle attività amministrative proprie delle re

gioni. Secondo l'art. 124 Cost., il commissario è un organo de

centrato dello Stato, operante in ciascuna regione, che sovrain

tende soltanto alle funzioni amministrative statali per coordinarle,

su una base paritaria, con quelle regionali. Inoltre, al commissa

rio, come tale, non spetta neppure il controllo sugli atti ammini

strativi delle regioni, che, sulla base dell'art. 125 Cost., è stato

attribuito dalla legge ad un organo collegiale decentrato, la com

missione di controllo, di cui è presidente il commissario medesi

mo. Infine, anche in relazione alle ipotesi di scioglimento dei con

sigli regionali ex art. 126 Cost., al commissario del governo pos sono riconoscersi poteri di informazione e di controllo, che tuttavia

non sono in grado di giustificare eventuali interventi sostitutivi.

E, poiché i controlli nei confronti di un'autonomia costituzional

mente definita e garantita sono da considerarsi di stretta interpre

tazione, si deve escludere che una legge ordinaria dello Stato pos sa introdurne di nuovi in mancanza di una precisa base costitu

zionale.

D'altra parte, è difficilmente contestabile che forme di control

lo sostitutivo verso le regioni sono imputabili dalla legge soltanto

ad organi che, per poter legittimamente adottare indirizzi ed eser

citare controlli nei confronti dell'amministrazione regionale e del

la relativa istanza di vertice (la giunta), non possono essere che

organi di governo (art. 92 Cost.). È solo su questo piano, infatti, che operano organi in grado di vigilare sull'unitarietà e sul buon

andamento della complessiva amministrazione pubblica e che pos sono intervenire nei confronti di autonomie costituzionalmente

tutelate con poteri cosi penetranti come quelli sostitutivi nel ri

spetto delle garanzie fondamentali proprie del nostro sistema co

stituzionale, prima fra tutte quella di doverne rispondere al par lamento nazionale.

L'illegitimità costituzionale dell'art. 5 1. n. 892 del 1984 appare ancor più evidente in relazione alle censure mossegli dalle provin ce di Trento e di Bolzano. La particolare configurazione del com

missario del governo nelle due province, come delineata dall'art.

87 statuto Trentino-Alto Adige, restringe il potere di vigilanza di tale organo nei confronti delle attività amministrative esercita

te dalle province stesse (oltreché dagli altri enti pubblici locali) soltanto alle funzioni ad esse delegate dallo Stato. Sotto tale pro

filo, la carenza di una base costituzionale diretta a legittimare un potere sostitutivo del commissario del governo verso attività

amministrative proprie delle due province autonome è cosi netta

ed evidente da non meritare ulteriori motivazioni.

Per questi motivi, la la Corte costituzionale, riuniti i giudizi di cui in epigrafe, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 1. 22 dicembre 1984 n. 892 (norme concernenti la gestione in

via provvisoria di farmacie rurali e modificazioni delle leggi 2 aprile 1968 n. 475 e 28 febbraio 1981 n. 34); dichiara non fonda ta, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità co

li Foro Italiano — 1990.

stituzionale degli art. 1, 2, 3 e 6 della predetta 1. n. 892 del 1984,

sollevata, in riferimento all'art. 100 d.p.r. 31 agosto 1972 n. 670

(statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige) dalla pro

vincia autonoma di Bolzano; dichiara non fondata, nei sensi di

cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli art. 3 e 6 della predetta 1. n. 892 del 1984, sollevata, in riferimen

to agli art. 9 n. 10, e 16 d.p.r. n. 670 del 1972, dalla provincia

autonoma di Bolzano; dichiara non fondate le questioni di legit

timità costituzionale degli art. 1, 2, 3, 4 e 6 della predetta legge,

sollevate, in riferimento agli art. 9, n. 10, e 16 d.p.r. n. 670 del

1972 dalla provincia autonoma di Bolzano e dell'art. 3 della stes

sa legge, sollevata, in riferimento agli art. 117 e 118 Cost., dalla

regione Toscana.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 11 giugno 1990, n. 286

0Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 20 giugno 1990, n. 25); Pres. Saja, Est. Spagnoli; Ferrari (Aw. Cabibbo) c. Inps; in

terv. Pres. cons, ministri. Ord. Pret. La Spezia 21 dicembre

1989 (G.U., la s.s., n. 10 del 1989).

Invalidi di guerra e del lavoro o per servizio — Pensione sociale — Titolare ultrasessantacinquenne di pensione di invalidità ci

vile — Preclusione — Questione infondata di costituzionalità

(Cost., art. 3, 76; d.leg. 23 novembre 1988 n. 509, norme per

la revisione delle categorie delle minorazioni e malattie invali

danti, nonché dei benefici previsti dalla legislazione vigente per le medesime categorie, ai sensi dell'art. 2, 1° comma, 1. 26

luglio 1988 n. 291, art. 6, 8). Invalidi di guerra e del lavoro o per servizio — Pensione sociale

— Preclusione agli invalidi civili ultrasessantacinquenni — Sa

natoria — Limiti temporali — Questione infondata di costitu

zionalità (Cost., art. 3, 97; 1. 21 marzo 1988 n. 93, conversione

in legge, con modificazioni, del d.l. 8 febbraio 1988 n. 25, re

cante norme in materia di assistenza ai sordomuti, ai mutilati

ed invalidi civili ultrasessantacinquenni, art. 1).

È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.

6 e 8 d.leg. 23 novembre 1988 n. 509, nella parte in cui preclu dono all'invalido civile, che ne abbia fatto domanda dopo il

compimento del sessantacinquesimo anno di età, la correspon sione della pensione sociale sostitutiva di quella di invalidità

civile, in riferimento agli art. 3 e 76 Cost. (1) È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1,

2° comma, l. 21 marzo 1988 n. 93, nella parte in cui, facendo salvi i rapporti giuridici sorti sulla base del d.l. 9 dicembre

1987 n. 495, rispetto alla preclusione per l'invalido civile ultra

sessantacinquenne di chiedere la pensione sociale sostitutiva di

quella di invalidità civile, ha limitato tale sanatoria alle posi

zioni già definite in forza della provvisoria vigenza di tale de

creto senza estenderla agli altri soggetti ultrasessantacinquenni che nello stesso periodo avevano solo presentato domanda, in

riferimento agli art. 3 e 97 Cost. (2)

(1-2) In argomento v. Cass. 27 febbraio 1990, n. 1530, 9 giugno 1989, n. 2808 e Pret. Pisa 10 aprile 1990, Foro it., 1990, I, 2209, con ampia nota di richiami, cui adde, Pret. Piacenza 10 ottobre 1989, Informazione

prev., 1990, 531, secondo cui le disposizioni di cui al d.leg. n. 509/88

avrebbero contenuto di interpretazione autentica della normativa previ

gente e quindi valore retroattivo, trovando applicazione anche rispetto alle domande presentate prima dell'entrata in vigore del d.leg. medesimo.

♦ * ♦

Come in quella che si riporta, anche nella n. 769 del 7 luglio 1988, Foro it., Rep. 1988, voce Previdenza sociale, n. 921 (secondo cui non

è ammissibile la questione di legittimità costituzionale degli art. 1 d.l.

n. 850 del 1976 e 14 septies d.l. n. 663 del 1979, nella parte in cui, elevan do i limiti di reddito cui è subordinato il conseguimento della pensione di invalidità civile, non estendono tali limiti anche alla pensione sociale) il giudice delle leggi ammonisce per la seconda volta il legislatore (ma due cartellini gialli nella stessa partita dovrebbero comportare il... cartel

lino rosso) e lo sollecita a predisporre una disciplina omogenea che ricon

duca a diversi termini di ragionevolezza la complessa questione degli in

validi civili ultrasessantacinquenni.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Diritto. — 1. - Considerando la situazione di chi, in base ad

un accertato stato di inabilità assoluta, abbia richiesto dopo il

compimento dei sessantacinque anni il riconoscimento dell'invali

dità civile onde ottenere la pensione sociale sostitutiva di quella d'invalidità alle più favorevoli condizioni reddituali previste per quest'ultima, il Pretore di La Spezia dubita innanzitutto, in rife rimento agli art. 3 e 76 Cost., della legittimità costituzionale degli art. 6 e 8 d.leg. 23 novembre 1988 n. 509, in quanto escludono

che dopo i sessantacinque anni la condizione d'invalido dia titolo

alla pensione d'invalidità, prevedendo che essa rilevi solo ai fini

dell'assistenza sanitaria e della concessione dell'indennità di ac

compagnamento. Si sarebbero cosi introdotte, a suo avviso, in

novazioni alla previgente legislazione non consentite dalla delega conferita con l'art. 2 1. 26 luglio 1988 n. 291 e si sarebbe irrazio

nalmente discriminato tra soggetti di pari reddito e parimenti ina

bili al 100% in base al solo elemento della presentazione della

domanda di riconoscimento dell'inabilità prima o dopo i sessan

tacinque anni.

2. - La censura riferita all'art. 76 Cost, non è fondata, in

quanto deve ritenersi erroneo il presupposto interpretativo su

cui essa poggia, che cioè la preclusione al riconoscimento dell'in

validità — ed alla concessione della relativa pensione — non

fosse già prevista dalla normativa anteriore alle disposizioni im

pugnate. Tale tesi, che si basa essenzialmente sul diverso tenore

degli art. 12 e 13 1. n. 118 del 1971, è stata bensì' a suo tempo

seguita dalla prassi invalsa in sede amministrativa. Ma successi

vamente essa è stata smentita non solo dal parere del Consiglio di Stato (sez. I n. 463 del 1987) che lo stesso giudice a quo

ricorda, ma anche da pronunce di questa stessa corte (sentenza n. 769 del 1988, Foro it., 1989, I, 2353) e della Corte di cassa

zione (sez. lav. n. 2808 del 1989, ibid., 2209) cui la giurisprudenza di merito si è uniformata: sicché, deve ritenersi consolidato l'in

dirizzo interpretativo che fa risalire la preclusione al riconosci

mento dell'invalidità dopo i sessantacinque anni al disposto del

l'art. 11 1. n. 854 del 1973, che, prevedendo l'automatica sostitu

zione della pensione sociale a quella d'invalidità al compimento dei sessantacinque anni, comporta di necessità che a chi abbia

superato tale età possa essere attribuita solo la prima (e non

la seconda) di dette provvidenze, ovviamente alle condizioni red

dituali per essa previste. Nello stesso senso depone, del resto, la mancata conversione in legge del d.l. 9 dicembre 1987 n. 495, con il quale — sotto forma di «interpretazione autentica» del

citato art. 11 (nonché dell'art. 10) 1. n. 854 del 1973 — si era

proposta l'attribuzione della pensione sociale in base ai limiti di

reddito previsti per i trattamenti d'invalidità a chi fosse stato ri

Meglio che nella precedente, nella n. 286 la Corte costituzionale evi

denzia come in termini concreti la questione, oggetto di un attuale impo nente contenzioso giudiziario, trae origine dalla consistente diversità di

reddito richiesto per il diritto alla pensione di invalidità da un lato ed a quella sociale dall'altro, spiegando come la trasformazione della pen sione di invalidità civile in pensione sociale dopo il sessantacinquesimo anno corrisponda alla razionale constatazione che dopo i sessantacinque anni l'invalidità è in re ipsa e cioè nell'età avanzata; e nell'escludere la

pensione di invalidità per gli ultrasessantacinquenni la normativa sotto

posta al suo esame, come quella previgente correttamente interpretata, obbediscono alla segnalata esigenza di razionalità.

Tutto tornerebbe (e tornava in origine allorché i requisiti di reddito

per la pensione di invalidità erano identici) se nel corso degli anni (d.l. n. 850 del 1976 ed art. 14 septies d.l. n. 663 del 1979) il legislatore non

avesse sensibilmente elevato il tetto reddituale per la pensione di invalidi

tà civile, cosi creando un'evidente frattura nella logica del sistema, per ché l'invalido tale riconosciuto prima del sessantacinquesimo anno ha fi

nito per conservare, anche dopo i sessantacinque anni, la pensione nono

stante un reddito apprezzabile, mentre chi tale è divenuto dopo l'età

lavorativa non può percepire alcuna provvidenza se non nel concorso di

un reddito modestissimo (per altro da cumularsi con quello del coniuge). Il messaggio della Corte costituzionale è ora chiaro e non lascia spazio ad alternative diverse dalla elevazione del tetto reddituale per la conces

sione della pensione sociale, a meno di non voler accedere a quella tesi, che si legge in Pret. Pisa 10 aprile 1990, cit., secondo cui la pensione di invalidità civile avrebbe come oggetto della tutela non un ristoro per

l'impossibilità di procurarsi un reddito per le diminuite capacità di lavo

ro, ma il danno biologico in sé, inteso come danno alla salute.

E forse oggi la corte avrebbe potuto... estrarre il cartellino rosso in

luogo di una semplice ammonizione, affermando l'illegittimità della nor

mativa sottoposta al suo esame nella parte in cui non prevede l'elevazione

del limite di reddito — fino ad equipararlo a quello previsto per l'invali

dità civile — anche per la concessione della pensione sociale c.d. sostituti

va. [F. Nisncò]

Il Foro Italiano — 1990.

conosciuto invalido in base a domanda presentata dopo il compi mento del sessantacinquesimo anno di età.

Poiché dunque le disposizioni impugnate non hanno carattere

innovativo, deve escludersi il denunciato eccesso dai limiti della

delega. A tali norme, d'altra parte, non può neanche ascriversi la di

sparità di trattamento lamentata dal giudice a quo. Non è certo

irrazionale, invero, un sistema che prevede la corresponsione del

la pensione sociale in luogo di quella d'invalidità nel momento

in cui l'inabilità al lavoro cui questa mira a sopperire diventa

praticamente indistinguibile da quella presuntivamente derivante

dall'età (sentenza n. 769 cit.) e che provvede alle ulteriori esigen ze dell'invalido non correlate all'incapacità lavorativa con gli stru

menti dell'assistenza socio-sanitaria e dell'indennità di accompa

gnamento. La diversificazione, che il giudice remittente evidenzia

tra soggetti di pari reddito e parimenti inabili a seconda che l'in

validità sia riconosciuta prima o dopo i sessantacinque anni, non

discende in realtà da tale congegno normativo, ma dalle disposi zioni — diverse da quelle qui impugnate — che stabiliscono di

versi limiti di reddito ai fini del conseguimento della pensione d'invalidità e, rispettivamente, di quella sociale. Se essi venissero

ricondotti all'originaria omogeneità, non vi sarebbe ragione di

richiedere, dopo i sessantacinque anni, quest'ultimo trattamento

alle condizioni reddituali del primo. L'incoerenza nel sistema assistenziale che da ciò discende —

e che non è sanabile con l'alterazione dei rapporti tra i due trat

tamenti richiesta dal giudice a quo — è stata già segnalata da

questa corte nella sentenza n. 769 del 1988; e va qui ribadita

l'esigenza che vi si ponga rimedio con un appropriato riequilibrio che realizzi un adeguato contemperamento degli interessi in gioco.

3. - Infondata è anche l'ulteriore questione con la quale il Pre

tore di La Spezia lamenta che l'art. 1, 2° comma, 1. 21 marzo

1988 n. 93 (di conversione del d.l. 8 febbraio 1988 n. 25), dispo nendo che «restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e

sono fatti salvi gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti sulla base del (già citato) d.l. 9 dicembre 1987 n. 495», abbia

limitato tale sanatoria alle posizioni già definite in forza della

provvisoria vigenza di tale decreto e non l'abbia invece estesa

agli altri soggetti ultrasessantacinquenni che avevano all'epoca già

presentato domanda per il riconoscimento dell'invalidità allo sco

po di ottenere la pensione sociale sulla base delle condizioni eco

nomiche richieste per quella d'invalidità. A suo avviso, ciò da

rebbe luogo a violazione degli art. 3 e 97 Cost., dato che tra

le situazioni cosi poste a confronto sarebbe ravvisabile un unico,

irragionevole discrimine, costituito dalla maggiore o minore so

lerzia dell'amministrazione nel provvedere sulle domande.

L'erroneità di siffatta prospettazione appare evidente sol che

si consideri che alla stregua di essa il legislatore dovrebbe ritener

si vincolato, in ossequio al principio di uguaglianza, non solo

ad una convalida integrale degli effetti concretamente prodotti dal decreto decaduto — ciò che costituisce non un obbligo, ma

una facoltà conferitagli dall'art. 77, 3° comma, Cost. — ma ad

estendere l'efficacia della provvisoria regolamentazione in esso

contenuta a tutti i rapporti pendenti al momento della sua ema

nazione durante la sua vigenza: ciò che si tradurrebbe in una

palese alterazione delle competenze normative rispettivamente as

segnate al governo ed alle camere dal medesimo art. 77 ed in

una conversione surrettizia, per il passato, del decreto-legge deca

duto all'atto della convalida prevista dal 3° comma.

L'impossibilità di concepire un tale vincolo rende manifesto

ciò che già discende dalle caratteristiche di intrinseca provvisorie tà e di perdita di efficacia sin dall'inizio in caso di mancata con

versione proprie del decreto-legge: e cioè la sua inidoneità, pro

prio perché non convertito, a fungere da parametro in riferimen

to al principio di uguaglianza. Di conseguenza, nel caso in cui

il legislatore ritenga di consolidare i concreti effetti da esso prov visoriamente prodotti, le differenziazioni che inevitabilmente ne

scaturiscono tra i soggetti che ne abbiano beneficiato e quelli che

ne siano rimasti esclusi non possono riguardarsi che come diffe

renze inapprezzabili alla stregua di detto principio e non valuta

bili in base ai canoni di correttezza amministrativa.

Nel caso di specie, inoltre, la regola posta nel decreto-legge decaduto è, come si è detto, antitetica sia rispetto a quella risul

tante dalla legislazione anteriore — confermata nel d. leg. n. 509

del 1988 — sia rispetto a quella posta dall'art. 1 della stessa 1.

n. 93 del 1988, che si è limitato ad autorizzare l'erogazione delle

prestazioni già liquidate agli ultrasessantacinquenni.

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2723 PARTE PRIMA 2724

La disposizione impugnata si pone perciò come derogatoria ri

spetto alla regola generale ed è conseguentemente, anche per tale

motivo, inidonea a fungere da parametro ai fini del rispetto del

principio di uguaglianza. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata

la questione di legittimità costituzionale degli art. 6 e 8 d.leg. 23 novembre 1988 n. 509 (norme per la revisione delle categorie delle minorazioni e malattie invalidanti, nonché dei benefici pre visti dalla legislazione vigente per le medesime categorie, ai sensi dell'art. 2, 1° comma, 1. 26 luglio 1988 n. 291), sollevata in rife rimento agli art. 3 e 76 Cost, dal Pretore di La Spezia con ordi

nanza del 21 dicembre 1989 (r.o. n. 90/90); dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, 2° comma, 1. 21 marzo 1988 n. 93 (conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 8 febbraio 1988 n. 25, recante norme in materia di assi stenza ai sordomuti, ai mutilati ed invalidi civili ultrasessantacin

quenni), sollevata in riferimento agli art. 3 e 97 Cost, dal predet to pretore con la medesima ordinanza.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 maggio 1990, n. 264

(<Gazzetta ufficiale, 1" serie speciale, 30 maggio 1990, n. 22); Pres. Saja, Est. Caianiello; Righetto c. Università degli studi di Venezia. Ord. Tar Veneto 18 maggio 1989 (G.U., la s.s., n. 51 del 1989).

Impiegato dello Stato e pubblico — Sentenza di proscioglimento — Passaggio in giudicato — Procedimento disciplinare — Ter mine — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 97; d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, statuto degli impiegati civili

dello Stato, art. 97).

È infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferi mento agli art. 3 e 97 Cost., dell'art. 97, 2", 3° e 4° comma,

d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, nella parte in cui fa decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza penale di prosciogli mento o di assoluzione del dipendente dello Stato, per motivi diversi dall'insussistenza del fatto o dalla sua non commissione da esso, il termine di centottanta giorni entro il quale deve essere iniziato perentoriamente il procedimento disciplinare. (1)

(1) L'ordinanza di rimessione Tar Veneto 18 maggio 1989 è riportata in Trib. amm. reg., 1989, I, 4397, con la data 13 ottobre 1989 e il n. 923.

La pronuncia richiama in motivazione, come espressione del favor del la giurisprudenza della corte, per l'apposizione dei termini all'esercizio del potere disciplinare da parte dell'amministrazione, a tutela degli inte ressi di chi vi è soggetto, la precedente sentenza 22 dicembre 1988, n. 1128, Foro it., 1989, I, 2710, con nota di richiami, che ha dichiarato

illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 12, 2° comma, 1. 18 marzo 1958 n. 311, nella parte in cui non richiama, ai fini della sua applicazione ai professori universitari di ruolo, l'art. 120 d.p.r. 10 gen naio 1957 n. 3, che stabilisce l'estinzione del procedimento disciplinare quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto.

Per lo stato della giurisprudenza amministrativa in materia, si rinvia alle note di richiami a Tar Lazio, sez. Ili, 21 dicembre 1987, n. 2254 (concernente un procedimento disciplinare a carico di un dipendente del consiglio nazionale delle ricerche), ibid., Ili, 88, e a Cons. Stato, sez. VI, 3 agosto 1989, n. 992 (concernente, come il precedente della corte, il procedimento disciplinare a carico di un professore universitario), in

questo fascicolo, III, 415. D'altra parte, la corte, con la sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, Foro

it., 1989, I, 22, con nota di G. Virga, ha dichiarato l'illegittimità costitu zionale, per violazione dell'art. 3 Cost., dell'art. 85, lett. a), d.p.r. 3/57 (nonché di altre analoghe norme precisate nel dispositivo), in quanto pre vedono la destituzione di diritto del dipendente dello Stato condannato per uno dei reati ivi elencati, e non la sua sottoposizione a procedimento disciplinare. A tale presa di posizione della corte, si è adeguato il giudice amministrativo: v., per tutti, Cons. Stato, ad. plen., 15 marzo 1989, n. 6, ibid., Ili, 341, con nota di richiami. E, quindi, il legislatore: l'art. 9 1. 7 febbraio 1990 n. 19, dopo aver abrogato le norme che disponevano la destituzione di diritto del pubblico dipendente reo di particolari reati, le quali fossero sopravvissute al pur ampio dispositivo della sentenza del la corte, ha disciplinato i termini del procedimento disciplinare conse guente alla sentenza irrevocabile di condanna: centottanta giorni per il

Il Foro Italiano — 1990.

Diritto. — 1. - È stata sollevata, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost., questione, di legittimità costituzionale dell'art. 97, 2°, 3° e 4° comma, d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, nella parte in cui

prevede che il procedimento disciplinare a carico del dipendente

pubblico non possa più essere iniziato o rinnovato trascorsi cen

tottanta giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la senten za definitiva di proscioglimento, pronunciata per motivi diversi da quelli di cui al 1° comma del medesimo articolo e cioè, come

nel caso oggetto del giudizio a quo, per intervenuta prescrizione e, quindi, con formule diverse da «il fatto non sussiste» o «l'im

putato non l'ha commesso».

Si sostiene nell'ordinanza di rimessione che l'esigenza di evita re che un impiegato rimanga indefinitamente soggetto all'azione

disciplinare, può essere sufficientemente garantita dalla facoltà

che egli ha di notificare il provvedimento giudiziario, facendo

decorrere il termine di quaranta giorni che la stessa disposizione

impugnata prevede, per l'inizio dell'azione disciplinare, in alter

nativa a quello di centottanta giorni decorrente dal momento in

cui la sentenza di proscioglimento diviene irrevocabile. Il far di

pendere la decadenza dall'esercizio dell'azione disciplinare dalla

mancata collaborazione degli uffici giudiziari, contrasterebbe con il principio di buon andamento e di ragionevolezza perché impe direbbe all'amministrazione, titolare del potere disciplinare, che

è autonomo dal magistero penale, di esercitarlo per un fatto indi

pendente dalla sua volontà. Si determinerebbe, inoltre, una in

giustificata disparità rispetto ai dipendenti colpevoli di illeciti sol tanto disciplinari, per i quali ultimi non opera né la sospensione del procedimento disciplinare, né la decadenza prevista dalle di

sposizioni impugnate. 2. - La questione non è fondata.

Questa corte ha già avuto modo di apprezzare, positivamente, sia pure con riferimento ad ipotesi diverse, quelle previsioni nor

mative che escludono la sperimentabilità sine die del procedimen to disciplinare, perché gli interessi che esso tende a tutelare devo no cedere a fronte delle garanzie dovute al singolo (sent. n. 1128

del 1988, Foro it., 1989, I, 2710). Tali garanzie, come ha sempre chiarito la giurisprudenza am

ministrativa, costituiscono espressione di un principio generale ri

collegabile all'esigenza che i procedimenti disciplinari abbiano svol

gimento e termine in un arco di tempo ragionevole, onde evitare che il pubblico dipendente rimanga indefinitamente esposto all'ir

rogazione di sanzioni disciplinari. A tale principio si ispira la norma impugnata risultante dal

2°, 3° e 4° comma, dell'art. 97 dello statuto degli impiegati civili

dello Stato, i quali prevedono, il 2° comma, che se il procedi mento penale si conclude con la sentenza di proscioglimento o di assoluzione, passata in giudicato per motivi diversi da quelli

contemplati nel 1° comma dello stesso art. 97 (e cioè con formule diverse da quelle «perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso»), la sospensione cautelare può essere mantenuta

qualora, nei termini previsti dal successivo (3°) comma, venga iniziato a carico dell'impiegato procedimento disciplinare; il 3° comma, che il procedimento disciplinare deve avere inizio entro i centottanta giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza definitiva di proscioglimento od entro quaranta giorni dalla data in cui l'impiegato abbia notificato all'amministrazione la sentenza stessa; il 4° comma, che, qualora la contestazione

degli addebiti non avvenga entro il detto termine, la sospensione cautelare cessa ed il procedimento disciplinare per i fatti che for marono oggetto del giudizio penale non può più essere iniziato.

Da quanto precede risulta dunque che le disposizioni impugna te (è da notare che l'art. 97, di cui i tre comma indicati fanno

parte, è intitolato «Revoca della sospensione») disciplinano con

giuntamente, in caso di proscioglimento o di assoluzione, sia la

sorte della sospensione cautelare disposta in pendenza di procedi mento penale che la decadenza dall'azione disciplinare che non sia stata ancora iniziata.

promovimento, e ulteriori novanta giorni per la conclusione; però il pri mo termine è stato fatto decorrere con norma speciale «... dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia...» della sentenza suddetta; ed il successivo art. 10, prevedendo la riammissione in servizio, a domanda dei pubblici dipendenti già destituiti ex lege per ovviare a disparità di trattamento dovute anche alle oscillazioni giurisprudenziali e sottolineate nella nota a Corte cost. 971/88, dalla ricezione di essa fa decorrere il termine di novanta giorni per l'apertura o la prosecuzione del procedi mento disciplinare, da concludersi nei successivi novanta giorni.

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