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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 11 luglio 1989, n. 387 (Gazzetta...

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sentenza 11 luglio 1989, n. 387 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 19 luglio 1989, n. 29); Pres. Saja, Est. Corasaniti; De Scalzi c. Intendente di finanza di Milano; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Comm. trib. I grado Milano 5 giugno 1987 (G.U., 1 a s.s., n. 9 del 1989) Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 3029/3030-3033/3034 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184253 . Accessed: 28/06/2014 16:16 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.141 on Sat, 28 Jun 2014 16:16:29 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 11 luglio 1989, n. 387 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 19 luglio 1989, n. 29);Pres. Saja, Est. Corasaniti; De Scalzi c. Intendente di finanza di Milano; interv. Pres. cons.ministri. Ord. Comm. trib. I grado Milano 5 giugno 1987 (G.U., 1 a s.s., n. 9 del 1989)Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 3029/3030-3033/3034Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184253 .

Accessed: 28/06/2014 16:16

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3029 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 3030

dante il riordinamento degli usi civici nel regno, del r.d. 28 ago sto 1924 n. 1484, che modifica l'art. 26 r.d. 22 maggio 1924 n.

751 e del r.d. 16 maggio 1926 n. 895, che proroga i termini asse

gnati dall'art. 2 r.d.l. 22 maggio 1924 n. 751), nella parte in cui — in luogo della disciplina ivi prevista — non rimette alla com

petenza del consiglio superiore della magistratura, a norma del

l'art. 105 Cost., le assegnazioni a magistrati ordinari dell'ufficio

di commissario agli usi civici.

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 11 luglio 1989, n. 387

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 19 luglio 1989, n. 29); Pres. Saja, Est. Corasaniti; De Scalzi c. Intendente di finan

za di Milano; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Comm. trib.

I grado Milano 5 giugno 1987 (G.U., la s.s., n. 9 del 1989)

Tributi in genere — Pensioni privilegiate ordinarie concesse ai

militari di leva vittime di infortunio — Esenzione dall'lrpef — Mancata previsione — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 53;

d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601, disciplina delle agevolazioni

tributarie, art. 34; d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092, t.u. delle

norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato, art. 67).

È illegittimo, stante la natura non reddituale della pensione privi

legiata ordinaria «militare tabellare» prevista dall'art. 67, ulti

mo comma, d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092, l'art. 34, 1° com

ma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601, nella parte in cui non

estende l'esenzione dall'lrpef alle suddette pensioni corrisposte ai militari di leva vittime di infortunio. (1)

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 6 luglio 1989, n. 375 (Gaz

zetta ufficiale, la serie speciale, 12 luglio 1989, n. 28); Pres.

Saja, Est. Caianiello; Mastrangeli (Avv. Carrieri) c. Min.

tesoro; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Siconol

fi). Ord. Corte conti 15 giugno 1988 (G.U., la s.s., n. 6 del

1989).

Pensione civile, militare e di guerra — Pensione di reversibilità

— Vedova di mutilato o invalido di guerra deceduto per cause

diverse — Nuove nozze — Perdita del diritto — Questione in

fondata di costituzionalità (Cost., art. 3; d.p.r. 23 dicembre

1978 n. 915, t.u. delle norme in materia di pensioni di guerra, art. 51).

È infondata, stante la diversa natura «risarcitoria» della pensione di guerra indiretta rispetto a quella di reversibilità, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, ultimo comma, d.p.r. 23 dicembre 1978 n. 915, nella parte in cui prevede che la vedo

va del mutilato o invalido di guerra, deceduto per cause diverse

da quelle che hanno determinato l'invalidità, perde il diritto

alla pensione di reversibilità nel caso in cui contragga nuovo

matrimonio, indipendentemente dalle condizioni economiche del

coniuge, in riferimento all'art. 3 Cost. (2)

(1-2) Sulla diversa natura della pensione di guerra (e assimilate) e di

quella di reversibilità, v., oltre alle decisioni richiamate in motivazione, Corte cost. 7 aprile 1988, n. 397, Foro it., 1988, I, 2050 e Cass. 11 aprile

1987, n. 3653, id., 1989, I, 861, con note, nonché i richiami contenuti

nel n. 163 della Rassegna della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di pubblico impiego, che sarà riportata nel prossimo fascicolo.

Sulla tassazione delle pensioni la corte ha respinto, sempre in forza

delle argomentazioni poste a base delle decisioni in epigrafe, le eccezioni

di incostituzionalità aventi ad oggetto — da un lato — l'equiparazione, ai fini dell'Irpef, della pensione privilegiata ordinaria al reddito di lavoro

dipendente (ord. 4 novembre 1987, n. 373, id., 1988, I, 1755) e — dall'al

tro lato — il differente trattamento fra le pensioni di guerra e quelle

privilegiate ordinarie (ord. 7 luglio 1988, n. 786 e 31 marzo 1988, n.

394, id., Rep. 1988, voce Tributi in genere, nn. 677, 678).

Il Foro Italiano — 1989.

I

Diritto. — 1. - Con l'ordinanza di rimessione è sollevata que stione di legittimità costituzionale in riferimento agli art. 3 e 53

Cost., dell'art. 34 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601 (disciplina del

le agevolazioni tributarie), nella parte in cui non estende l'esen

zione dall'Irpef alle pensioni privilegiate ordinarie corrisposte ai

militari di leva vittime di infortunio (c.d. «pensioni militari ta bellari»).

Osserva il giudice a quo che il trattamento pensionistico in esa

me non postula, per un verso, l'esistenza di un rapporto di lavo

ro, in quanto il militare che presta servizio obbligatorio di leva

è sottoposto ad un vincolo di soggezione speciale, e si sostanzia,

per altro verso, nell'attribuzione di una pensione commisurata, secondo una «tabella», alla sola gravità della lesione invalidante

(art. 67, ultimo comma, d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092). La

pensione privilegiata ordinaria tabellare, pertanto, non rivesten

do natura reddituale, bensì' di indennizzo assistenziale, con fun

zione risarcitoria, dovrebbe essere esentata dall'Irpef alla stessa

stregua delle pensioni di guerra e di quelle erogate dall'Inail agli invalidi del lavoro.

Replica l'avvocatura dello Stato che le pensioni ordinarie ta

bellari, pur se non postulano un rapporto di impiego, si innesta

no tuttavia su di un rapporto di servizio (la cui origine può essere

anche coattiva), il che le riconduce nell'ambito delle pensioni pri

vilegiate ordinarie comuni, sottoposte ad Irpef. Osserva, fra l'al

tro, che le dette pensioni non hanno funzione esclusivamente ri

sarcitoria, poiché con esse può concorrere la tutela aquiliana ver

so la pubblica amministrazione, qualora l'invalidità trovi causa

in un comportamento illecito a quest'ultima riferibile.

2. - La questione è fondata.

Anzitutto non costituisce precedente difforme la sentenza n.

151 del 1981 (Foro it., 1981, I, 2343) la quale ha dichiarato non

fondata la questione di legittimità, in riferimento all'art. 3 Cost., dello stesso art. 34 d.p.r. n. 601 del 1973, prendendo tuttavia

in esame soltanto le pensioni privilegiate ordinarie comuni, che

ha contrapposto alle pensioni di guerra. La corte ha osservato in quell'occasione che i suddetti tratta

menti pensionistici sono tra loro nettamente differenziati: la pen sione di guerra — che presuppone l'invalidità o la morte, per causa di guerra, dei militari delle forze armate e dei cittadini estra

nei all'apparato della difesa ed è commisurata solo all'entità del

danno subito — ha carattere risarcitorio e non reddituale; la pen sione privilegiata ordinaria — che presuppone infermità o lesio

ni, ascrivibili a causa di servizio, sofferte da dipendenti, civili

o militari, dello Stato ed è commisurata alla base pensionabile, costituita dall'ultimo trattamento economico — non presenta in

vece carattere risarcitorio, bensì reddituale. Di qui la negata irra

gionevolezza di un trattamento fiscale che esenta la pensione di

guerra, quale erogazione di indennità a titolo di risarcimento di

danni, dall'imposizione sul reddito delle persone fisiche, mentre

ricomprende in tale imposizione, quale reddito (differito) di lavo

ro dipendente, le pensioni privilegiate ordinarie (civili e militari). Le considerazioni ora richiamate, tuttavia, se si attagliano al

l'ipotesi — allora sottoposta all'esame della corte — della pensio ne privilegiata ordinaria, che ha il suo titolo in un rapporto di

dipendenza, volontariamente costituito, e rappresenta la proie zione di un precedente trattamento economico di servizio, del quale condivide la natura reddituale, non appaiono estensibili all'ipote si — sulla quale ora la corte deve pronunciarsi — della pensione

privilegiata ordinaria tabellare erogata in caso di menomazioni

riportate a causa del servizio militare di leva. Questa pensione,

invero, costituisce un trattamento del tutto peculiare, sia perché si innesta su un rapporto di servizio obbligatorio (art. 52, 2° com

ma, Cost.), sia perché la sua entità non è correlata al pregresso

trattamento retributivo, ma alla gravità della menomazione della

capacità di lavoro subita in occasionalità necessaria con la presta

zione del servizio di leva.

Emerge, quindi, la natura non reddituale della pensione privi

legiata ordinaria «militare tabellare» (prevista dall'art. 67, ultimo

comma, d.p.r. n. 1092 del 1973). Natura che la diversifica dalle

pensioni privilegiate ordinarie «comuni», le quali presentano in

vece carattere reddituale (di retribuzione differita), mentre la ren

de assimilabile alle pensioni di guerra in ragione della comune

funzione risarcitoria.

L'assimilazione non è esclusa dal fatto che la pensione di guer

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3031 PARTE PRIMA 3032

ra sia riconosciuta anche a «soggetti civili», cioè non appartenen ti alle forze armate. Se, come appare con particolare evidenza

nel caso dei «soggetti civili», ragioni di solidarietà connesse al

carattere straordinario dell'evento bellico, rendono irrilevante sia

l'esistenza che la qualità di un rapporto di servizio del soggetto

danneggiato con lo Stato, non per questo l'esistenza di tale rap

porto, e la riferibilità ad esso e all'adempimento dei relativi spe

cifici doveri della menomazione riportata, acquistano rilevanza

negativa nel senso di escludere per se stessi il carattere risarcitorio

di una pensione tabellare (cioè non correlata al trattamento di

attività). Né l'assimilazione è esclusa dalla prospettata configurabilità di

un rimedio risarcitorio per il caso di colpa della pubblica ammi

nistrazione, e ciò per la specificità di questo, che coprirebbe un'area

diversa e comunque più ristretta.

La natura non reddituale della pensione privilegiata ordinaria

«militare tabellare», del resto, è concordemente riconosciuta dal

la giurisprudenza, ponendosi in risalto l'indifferenza di un preesi

stente trattamento economico di attività, e ravvisandosi il titolo

preminente di detta pensione nella menomazione sofferta nell'a

dempimento di un obbligo legalmente imposto in attuazione del

l'art. 52 Cost.

Dal ravvisato carattere non reddituale delle pensioni in esame

discende la non assoggettabilità di esse, ai sensi dell'art. 53 Cost.,

all'imposta sul reddito delle persone fisiche alla stessa stregua di altre erogazioni di analoga natura (come le pensioni di guerra,

espressamente considerate dall'art. 34 d.p.r. n. 601 del 1973 e

le rendite vitalizie erogate dall'Inail alle vittime di infortuni sul

lavoro, alle quali l'amministrazione finanziaria ha esteso l'e

senzione). Ne consegue la dichiarazione di illegittimità costituzionale, per

violazione degli art. 3 e 53 Cost., dell'art. 34, 1° comma, d.p.r. n. 601 del 1973, nella parte in cui non dichiara esenti dall'Irpef le pensioni privilegiate ordinarie «militari tabellari» erogate ai mi litari che prestino servizio di leva.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, 1° comma, d.p.r. 29 settembre 1973

n. 601 (disciplina delle agevolazioni tributarie) nella parte in cui

non estende l'esenzione dall'imposta sul reddito delle persone fi

siche alle pensioni privilegiate ordinarie tabellari spettanti ai mili

tari di leva.

II

Diritto. — 1. È sottoposta all'esame della corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, ultimo comma, d.p.r. 23

dicembre 1978 n. 915, nella parte in cui prevede che la vedova

del mutilato o invalido di guerra, deceduto per cause diverse da

quelle che hanno determinato l'invalidità, perde il diritto alla pen sione di reversibilità nel caso in cui contragga nuovo matrimonio,

indipendentemente dalle condizioni economiche del coniuge. La Corte dei conti sospetta che tale previsione contrasti con

l'art. 3 Cost., in quanto creerebbe una ingiustificata disparità di

trattamento nei confronti della vedova del militare o del civile

deceduto per cause di guerra, la quale, invece, passando a nuove

nozze, perde il diritto alla pensione indiretta solo se il marito

già fruisce o verrà a fruire di un certo reddito, come previsto

dagli art. 42 e 70 d.p.r. 23 dicembre 1978 n. 915.

2. - La questione non è fondata.

Questa corte con la sentenza n. 184 del 1975 (Foro it., 1975,

I, 2683) ebbe a dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 59, 1° comma, 1. 10 agosto 1950 n. 648 e del corrispondente art.

47, 1° comma, 1. 18 marzo 1968 n. 313, nella parte in cui preve devano che la vedova del militare o del civile deceduto per causa

di guerra perdeva la pensione indiretta per il solo fatto del nuovo

matrimonio, anche se il marito non fruiva del reddito assoggetta bile ad imposta complementare.

L'illegittimità costituzionale fu dichiarata in riferimento all'art. 3 Cost, per l'ingiustificata differenziazione del trattamento previ sto per la vedova rispetto a quello allora riservato al vedovo di

persona deceduta per causa di guerra, per il quale era invece pre vista la perdita della pensione indiretta solo se avesse contratto

nuove nozze con persona titolare di un reddito superiore a certi

limiti. Successivamente a tale pronunzia è stato approvato con d.p.r.

Il Foro Italiano — 1989.

23 dicembre 1978 n. 915 il testo unico in materia di pensioni di guerra che, nel coordinare la disciplina della materia, prevede

all'art. 42 che la vedova del militare o del civile deceduto a causa

della guerra, la quale contragga nuove nozze, perde il diritto alla

pensione indiretta se il coniuge fruisca o venga a fruire successi

vamente al matrimonio di un reddito superiore ad un certo im

porto (determinato in base al rinvio all'art. 70 del medesimo te

sto unico). L'art. 51, ultimo comma, del testo unico citato (cioè la disposi

zione oggetto di censura) prevede invece che la vedova di invalido

titolare di pensione di guerra, deceduto per causa diversa da quella

che ha determinato l'invalidità, perda il diritto alla pensione di reversibilità se contragga nuove nozze, indipendentemente dalla

misura del reddito del nuovo coniuge.

Infine, l'art. 55 del testo unico equipara alla vedova, il vedovo

di donna deceduta a causa di guerra o di donna invalida di guer

ra deceduta per causa diversa.

Di conseguenza, in base alla disciplina vigente, sia il vedovo

che la vedova di persona deceduta per causa di guerra, perdono il diritto alla pensione indiretta solo se contraggono matrimonio

con persona munita di un reddito superiore ad una certa misura,

mentre sia il vedovo che la vedova di persona invalida di guerra, deceduta per causa diversa da quella che aveva dato luogo all'in

validità, perdono la pensione di reversibilità comunque contrag

gano nuovo matrimonio e cioè indipendentemente dal possesso

o meno di un certo reddito da parte del nuovo coniuge. Da quanto precede risulta dunque come si sia in presenza di

una situazione completamente diversa da quella che aveva dato

luogo, con la sentenza n. 184 del 1975, alla dichiarazione di ille

gittimità costituzionale della precedente normativa perché tale pro nunzia si era riferita esclusivamente alla differenziazione del trat

tamento riservato alla vedova rispetto a quella riservata al vedo

vo, ritenuta ingiustificata in quanto fondata esclusivamente sulla

diversità di sesso. La disciplina del trattamento pensionistico, sia

esso indiretto che di reversibilità, è invece attualmente identico

sia per il vedovo che per la vedova, onde, ai fini della decisione

della presente questione, non può costituire precedente la senten

za n. 184 del 1975, richiamata nell'ordinanza di rinvio, in quanto fondata su di un diverso presupposto.

Il giudice a quo pone invero prevalentemente l'accento sulla

diversità del trattamento previsto per la vedova (titolare di pen sione indiretta) del soggetto deceduto per causa di guerra, rispet to a quello previsto per la vedova (titolare di pensione di reversi

bilità) di invalido di guerra, deceduto per causa diversa, ponendo

però a raffronto situazioni fra loro non omogenee, quali sono,

nel quadro della pensionistica di guerra, la pensione indiretta a

quella di reversibilità. La pensione «indiretta» difatti (allo stesso modo di quella «di

retta» spettante all'invalido) ha natura risarcitoria e costituisce

un diritto autonomo che sorge iure proprio in capo all'avente

titolo in dipendenza della morte di un soggetto — cui l'avente

titolo stesso sia legato da rapporti familiari — cagionata da un

evento (malattia o fatto) bellico. La pensione di reversibilità, pre vista peraltro in favore di una più ristretta categoria di soggetti nell'ambito della famiglia dell'invalido titolare di pensione di guerra

«diretta», deceduto per causa diversa da quella che ha dato luogo alla invalidità, è invece un beneficio derivato che, come questa corte ha precisato (sentenza n. 186 del 1985, id., 1985, I, 2508),

«risponde ad esigenze di ordine naturale ed etico», per cui «agli aventi causa del pensionato di guerra deceduto è fatto un tratta

mento di particolare favore».

Il carattere derivato del beneficio fa assumere perciò particola re rilevanza all'unico presupposto cui esso è subordinato e cioè

10 stato di vedovanza il cui venir meno, per consapevole scelta,

giustifica, indipendentemente dallo stato di bisogno, la cessazio

ne del beneficio, legato, come già rilevato da questa corte, ad

esigenze d'ordine anche etico» (sentenza n. 186 del 1985, citata), 11 che ne fa assimilare la disciplina a quella prevista dall'art. 143 bis

c.c.

Il trattamento differenziato, circa la perdita della pensione, pre visto per i vedovi cui sia stata attribuita a titolo derivato una

pensione di reversibilità, rispetto ai vedovi titolari iure proprio di pensione diretta, la cui perdita, in conseguenza di un nuovo

matrimonio, tiene invece conto anche delle condizioni economi

che del nuovo coniuge, non appare perciò irragionevole in rela

zione alla diversa natura del titolo.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata

la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, ultimo com

ma, del testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra,

approvato con d.p.r. 23 dicembre 1978 n. 915 (testo unico delle

norme in materia di pensioni di guerra), sollevata in riferimento

all'art. 3 Cost., con l'ordinanza indicata in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 27 giugno 1989, n. 356 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 5 luglio 1989, n. 27); Pres. Saja, Est. Borzellino; Cirino c. Azienda trasporti Messina.

Ord. Cass. 20 settembre 1988 (G.U., la s.s., n. 7 del 1989).

Ferrovie, tramvie e filovie — Personale dipendente — Condanna

penale per reato commesso in servizio — Sospensione cautelare — Proscioglimento per amnistia — Revoca della sospensione — Diritto all'indennizzo — Esclusione — Incostituzionalità

(Cost., art. 3; r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, coordinamento delle

norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tramvie e linee di navigazione interna in regime di concessione, ali. A, art. 46).

È illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 46, ultimo

comma, del regolamento allegato A al r.d. 8 gennaio 1931 n.

148, nella parte in cui esclude, in ogni caso, dal diritto all'in

dennizzo l'agente sospeso in via preventiva e successivamente

prosciolto in sede di procedimento penale per amnistia. (1)

Fatto. — 1.1. - Con ordinanza del 20 settembre 1988 la Corte

di cassazione ha sollevato, nel procedimento civile vertente tra

Cirino Filippo e Atm di Messina ed altro, questione di legittimità costituzionale — con riferimento all'art. 3 Cost. — dell'art. 46,

ultimo comma, dell'allegato A al r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 —

contenente disposizioni sullo stato giuridico del personale delle

ferrovie, tramvie e linee di navigazione interna in regime di con

cessione — nel testo già emendato dalla sentenza n. 168 del 1973

(Foro it., 1974, I, 619) della Corte costituzionale, «nella parte

in cui esclude in ogni caso dal diritto all'indennizzo, in esso pre

visto, l'agente sospeso in via preventiva e successivamente pro

sciolto in sede di procedimento penale per amnistia».

Dall'ordinanza si evince che il Cirino, sospeso dal servizio e

dalla retribuzione ai sensi del citato art. 46, dopo che il Tribunale

(1) Con la sentenza in epigrafe la corte equipara, ai fini del riconosci

mento del diritto alla percezione delle indennità maturate nel periodo del

la sospensione cautelare, l'ipotesi dell'estinzione del reato per amnistia, a quelle già espressamente previste dalla norma dichiarata parzialmente incostituzionale, di assoluzione per non aver commesso il fatto, inesisten

za del reato o perché il fatto non costituisce reato, cui aveva aggiunto, con la sentenza 28 novembre 1973, n. 168, Foro it., 1974, I, 619, quella di proscioglimento con formula dubitativa.

Sull'obbligatorietà della corresponsione dell'assegno alimentare all'a

gente che, seppure arrestato per cause non di servizio, tuttavia sia stato

sospeso non per il fatto dell'arresto, ma perché coinvolto in situazioni

delittuose astrattamente idonee a comportarne la destituzione, v. Cass.

7 giugno 1985, n. 3433, id., Rep. 1985, voce Ferrovie e tramvie, n. 79; nello stesso senso, Cass. 17 maggio 1983, n. 3400, id., Rep. 1983, voce

cit., n. 147.

Sulla distinzione tra sospensione preventiva dallo stipendio e dal servi

zio ex art. 46, e l'omonima sanzione disciplinare prevista dall'art. 37 del

lo stesso regolamento a seguito di procedimento disciplinare: Cass. 11

dicembre 1982, n. 6784, id., Rep. 1982, voce cit., n. 116.

Nel senso che la sospensione non resta caducata quando tale misura

cautelare sia seguita da un provvedimento di retrocessione, con la conse

guenza che l'agente non ha diritto agli emolumenti: Cass. 10 maggio 1980,

n. 3083, id., Rep. 1980, voce cit., n. 71.

Sulla giurisdizione amministrativa in materia disciplinare nel settore dei

trasporti, Cass. 26 aprile 1985, n. 2718, id., 1985, I, 2255.

Per riferimenti sulla sospensione cautelare dal servizio e sul relativo

assegno alimentare nel pubblico impiego, v. Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio

1987, n. 319, id., 1988, III, 339, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1989.

penale di Messina, con sentenza del 15 maggio 1978, lo aveva

ritenuto colpevole dei reati di falso e peculato e lo aveva condan

nato alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, era stato

prosciolto, in grado d'appello, dalla Corte d'appello di Messina

con sentenza del 27 ottobre 1982 per estinzione dei reati ascrittigli a seguito di amnistia. L'azienda aveva ritenuto opportuno non

promuovere nei confronti del dipendente un procedimento disci

plinare e, revocando il provvedimento di sospensione, lo aveva

riammesso in servizio «con decorrenza immediata».

Da qui la richiesta dell'interessato di ottenere dall'Atm la retri

buzione maturata nel periodo di sospensione, pari alla differenza

tra l'intero ammontare e l'assegno alimentare effettivamente cor

risposto, giusto quanto previsto dall'art. 46 citato: tanto dovuto,

si oppone da parte dell'azienda convenuta, in caso di assoluzione

con formula ampia ovvero dubitativa, non però nell'ipotesi di

proscioglimento per amnistia. Il Pretore del lavoro di Messina

e il Tribunale, poi (in sede di gravame), rigettavano la domanda.

1.2. - La Corte di cassazione, alla quale ha ricorso il Cirino,

afferma di condividere la tesi del ricorrente secondo cui la revoca

del provvedimento cautelare della sospensione, che faccia seguito al proscioglimento dell'agente per estinzione del reato ascrittogli a seguito di amnistia, comporterebbe il diritto alla corresponsio ne della retribuzione maturata durante la sospensione, sul rilievo

che la revoca del provvedimento farebbe riprendere il suo corso

al rapporto di lavoro dal momento in cui questo è stato sospeso; ma a ciò contrasta, nel caso specifico, il disposto dell'art. 46 an

zicennato.

Il giudice a quo richiama la sentenza n. 168 del 1973 della

Corte costituzionale e quanto ivi affermato circa la riconducibili

tà al sistema del pubblico impiego dell'intera materia disciplinare

prevista per gli autoferrotramvieri, ivi compreso l'istituto della

sospensione preventiva o cautelare. E poiché con tale pronuncia si è esteso l'ambito dell'art. 46, ultimo comma, anche all'ipotesi di assoluzione per insufficienza di prove, un ulteriore dubbio in

ordine alla legittimità costituzionale della norma sussisterebbe nella

parte in cui si perpetua una irrazionale disparità di trattamento

con il generale settore del pubblico impiego: all'agente sospeso

in via preventiva e prosciolto poi per amnistia viene ad essere

negato, in ogni caso, il diritto a percepire gli emolumenti non

riscossi per la durata della sospensione, a prescindere da ogni

ulteriore esame in sede disciplinare dei fatti addebitatigli: cioè,

non solo quando successivamente al proscioglimento non venga

attivato nei suoi confronti (come nella specie) il procedimento

disciplinare, ma anche quando questo, se iniziato o proseguito,

si concluda con la discriminazione piena dell'agente stesso.

Nel settore del pubblico impiego, invece",Ase il procedimento

penale ha termine con sentenza irrevocabile di proscioglimento

per motivi diversi dall'assoluzione con formula piena, e quindi

non solo per insufficienza di prove, ma anche per amnistia o

altra causa estintiva del reato, l'impiegato, osserva la corte remit

tente, ha diritto agli emolumenti non percepiti se nei suoi con

fronti non viene attivato il procedimento disciplinare entro un

termine perentorio (che solo consente il mantenimento della so

spensione) ovvero se, a seguito di procedimento disciplinare, egli

viene prosciolto anche in tale sede (art. 96 e 97 d.p.r. n. 3 del 1957).

Onde, una duplice, irrazionale sperequazione di trattamento nel

caso prospettata — ex art. 3 Cost. — sia in termini generali di

confronto con l'enunciato sistema, sia anche nell'ambito dello

stesso art. 46, nella veste assunta a seguito della richiamata sen

tenza n. 168 della Corte costituzionale: l'agente prosciolto con

formula dubitativa, infatti, non perde, sia pure a certe condizio

ni, il diritto a percepire gli emolumenti non riscossi durante la

sospensione cautelare, mentre l'agente prosciolto per amnistia re

sta escluso dal suddetto diritto.

Diritto. — 1.1. - L'art. 46, ultimo comma, dell'allegato A al

r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, contenente disposizioni sullo stato

giuridico del personale delle ferrovie, tramvie e linee di naviga zione interna in regime di concessione, dispone che l'agente so

speso per arresto dovuto a cause di servizio «ha diritto all'inden

nizzo di quanto ha perduto per effetto della sospensione, sempre

ché sia assolto per non aver commesso il fatto, per inesistenza

di reato o perché il fatto non costituisce reato».

Questa corte, in considerazione che l'intera materia disciplina re nell'area di cui trattasi si riconduce al generale sistema del

pubblico impiego, ha già ritenuto con sentenza n. 168 del 1973,

che la riferita normativa trova applicazione anche nell'ipotesi di

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