sentenza 11 luglio 1989, n. 387 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 19 luglio 1989, n. 29);Pres. Saja, Est. Corasaniti; De Scalzi c. Intendente di finanza di Milano; interv. Pres. cons.ministri. Ord. Comm. trib. I grado Milano 5 giugno 1987 (G.U., 1 a s.s., n. 9 del 1989)Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 3029/3030-3033/3034Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184253 .
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3029 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 3030
dante il riordinamento degli usi civici nel regno, del r.d. 28 ago sto 1924 n. 1484, che modifica l'art. 26 r.d. 22 maggio 1924 n.
751 e del r.d. 16 maggio 1926 n. 895, che proroga i termini asse
gnati dall'art. 2 r.d.l. 22 maggio 1924 n. 751), nella parte in cui — in luogo della disciplina ivi prevista — non rimette alla com
petenza del consiglio superiore della magistratura, a norma del
l'art. 105 Cost., le assegnazioni a magistrati ordinari dell'ufficio
di commissario agli usi civici.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 11 luglio 1989, n. 387
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 19 luglio 1989, n. 29); Pres. Saja, Est. Corasaniti; De Scalzi c. Intendente di finan
za di Milano; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Comm. trib.
I grado Milano 5 giugno 1987 (G.U., la s.s., n. 9 del 1989)
Tributi in genere — Pensioni privilegiate ordinarie concesse ai
militari di leva vittime di infortunio — Esenzione dall'lrpef — Mancata previsione — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 53;
d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601, disciplina delle agevolazioni
tributarie, art. 34; d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092, t.u. delle
norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato, art. 67).
È illegittimo, stante la natura non reddituale della pensione privi
legiata ordinaria «militare tabellare» prevista dall'art. 67, ulti
mo comma, d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092, l'art. 34, 1° com
ma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601, nella parte in cui non
estende l'esenzione dall'lrpef alle suddette pensioni corrisposte ai militari di leva vittime di infortunio. (1)
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 6 luglio 1989, n. 375 (Gaz
zetta ufficiale, la serie speciale, 12 luglio 1989, n. 28); Pres.
Saja, Est. Caianiello; Mastrangeli (Avv. Carrieri) c. Min.
tesoro; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Siconol
fi). Ord. Corte conti 15 giugno 1988 (G.U., la s.s., n. 6 del
1989).
Pensione civile, militare e di guerra — Pensione di reversibilità
— Vedova di mutilato o invalido di guerra deceduto per cause
diverse — Nuove nozze — Perdita del diritto — Questione in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 3; d.p.r. 23 dicembre
1978 n. 915, t.u. delle norme in materia di pensioni di guerra, art. 51).
È infondata, stante la diversa natura «risarcitoria» della pensione di guerra indiretta rispetto a quella di reversibilità, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, ultimo comma, d.p.r. 23 dicembre 1978 n. 915, nella parte in cui prevede che la vedo
va del mutilato o invalido di guerra, deceduto per cause diverse
da quelle che hanno determinato l'invalidità, perde il diritto
alla pensione di reversibilità nel caso in cui contragga nuovo
matrimonio, indipendentemente dalle condizioni economiche del
coniuge, in riferimento all'art. 3 Cost. (2)
(1-2) Sulla diversa natura della pensione di guerra (e assimilate) e di
quella di reversibilità, v., oltre alle decisioni richiamate in motivazione, Corte cost. 7 aprile 1988, n. 397, Foro it., 1988, I, 2050 e Cass. 11 aprile
1987, n. 3653, id., 1989, I, 861, con note, nonché i richiami contenuti
nel n. 163 della Rassegna della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di pubblico impiego, che sarà riportata nel prossimo fascicolo.
Sulla tassazione delle pensioni la corte ha respinto, sempre in forza
delle argomentazioni poste a base delle decisioni in epigrafe, le eccezioni
di incostituzionalità aventi ad oggetto — da un lato — l'equiparazione, ai fini dell'Irpef, della pensione privilegiata ordinaria al reddito di lavoro
dipendente (ord. 4 novembre 1987, n. 373, id., 1988, I, 1755) e — dall'al
tro lato — il differente trattamento fra le pensioni di guerra e quelle
privilegiate ordinarie (ord. 7 luglio 1988, n. 786 e 31 marzo 1988, n.
394, id., Rep. 1988, voce Tributi in genere, nn. 677, 678).
Il Foro Italiano — 1989.
I
Diritto. — 1. - Con l'ordinanza di rimessione è sollevata que stione di legittimità costituzionale in riferimento agli art. 3 e 53
Cost., dell'art. 34 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601 (disciplina del
le agevolazioni tributarie), nella parte in cui non estende l'esen
zione dall'Irpef alle pensioni privilegiate ordinarie corrisposte ai
militari di leva vittime di infortunio (c.d. «pensioni militari ta bellari»).
Osserva il giudice a quo che il trattamento pensionistico in esa
me non postula, per un verso, l'esistenza di un rapporto di lavo
ro, in quanto il militare che presta servizio obbligatorio di leva
è sottoposto ad un vincolo di soggezione speciale, e si sostanzia,
per altro verso, nell'attribuzione di una pensione commisurata, secondo una «tabella», alla sola gravità della lesione invalidante
(art. 67, ultimo comma, d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092). La
pensione privilegiata ordinaria tabellare, pertanto, non rivesten
do natura reddituale, bensì' di indennizzo assistenziale, con fun
zione risarcitoria, dovrebbe essere esentata dall'Irpef alla stessa
stregua delle pensioni di guerra e di quelle erogate dall'Inail agli invalidi del lavoro.
Replica l'avvocatura dello Stato che le pensioni ordinarie ta
bellari, pur se non postulano un rapporto di impiego, si innesta
no tuttavia su di un rapporto di servizio (la cui origine può essere
anche coattiva), il che le riconduce nell'ambito delle pensioni pri
vilegiate ordinarie comuni, sottoposte ad Irpef. Osserva, fra l'al
tro, che le dette pensioni non hanno funzione esclusivamente ri
sarcitoria, poiché con esse può concorrere la tutela aquiliana ver
so la pubblica amministrazione, qualora l'invalidità trovi causa
in un comportamento illecito a quest'ultima riferibile.
2. - La questione è fondata.
Anzitutto non costituisce precedente difforme la sentenza n.
151 del 1981 (Foro it., 1981, I, 2343) la quale ha dichiarato non
fondata la questione di legittimità, in riferimento all'art. 3 Cost., dello stesso art. 34 d.p.r. n. 601 del 1973, prendendo tuttavia
in esame soltanto le pensioni privilegiate ordinarie comuni, che
ha contrapposto alle pensioni di guerra. La corte ha osservato in quell'occasione che i suddetti tratta
menti pensionistici sono tra loro nettamente differenziati: la pen sione di guerra — che presuppone l'invalidità o la morte, per causa di guerra, dei militari delle forze armate e dei cittadini estra
nei all'apparato della difesa ed è commisurata solo all'entità del
danno subito — ha carattere risarcitorio e non reddituale; la pen sione privilegiata ordinaria — che presuppone infermità o lesio
ni, ascrivibili a causa di servizio, sofferte da dipendenti, civili
o militari, dello Stato ed è commisurata alla base pensionabile, costituita dall'ultimo trattamento economico — non presenta in
vece carattere risarcitorio, bensì reddituale. Di qui la negata irra
gionevolezza di un trattamento fiscale che esenta la pensione di
guerra, quale erogazione di indennità a titolo di risarcimento di
danni, dall'imposizione sul reddito delle persone fisiche, mentre
ricomprende in tale imposizione, quale reddito (differito) di lavo
ro dipendente, le pensioni privilegiate ordinarie (civili e militari). Le considerazioni ora richiamate, tuttavia, se si attagliano al
l'ipotesi — allora sottoposta all'esame della corte — della pensio ne privilegiata ordinaria, che ha il suo titolo in un rapporto di
dipendenza, volontariamente costituito, e rappresenta la proie zione di un precedente trattamento economico di servizio, del quale condivide la natura reddituale, non appaiono estensibili all'ipote si — sulla quale ora la corte deve pronunciarsi — della pensione
privilegiata ordinaria tabellare erogata in caso di menomazioni
riportate a causa del servizio militare di leva. Questa pensione,
invero, costituisce un trattamento del tutto peculiare, sia perché si innesta su un rapporto di servizio obbligatorio (art. 52, 2° com
ma, Cost.), sia perché la sua entità non è correlata al pregresso
trattamento retributivo, ma alla gravità della menomazione della
capacità di lavoro subita in occasionalità necessaria con la presta
zione del servizio di leva.
Emerge, quindi, la natura non reddituale della pensione privi
legiata ordinaria «militare tabellare» (prevista dall'art. 67, ultimo
comma, d.p.r. n. 1092 del 1973). Natura che la diversifica dalle
pensioni privilegiate ordinarie «comuni», le quali presentano in
vece carattere reddituale (di retribuzione differita), mentre la ren
de assimilabile alle pensioni di guerra in ragione della comune
funzione risarcitoria.
L'assimilazione non è esclusa dal fatto che la pensione di guer
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3031 PARTE PRIMA 3032
ra sia riconosciuta anche a «soggetti civili», cioè non appartenen ti alle forze armate. Se, come appare con particolare evidenza
nel caso dei «soggetti civili», ragioni di solidarietà connesse al
carattere straordinario dell'evento bellico, rendono irrilevante sia
l'esistenza che la qualità di un rapporto di servizio del soggetto
danneggiato con lo Stato, non per questo l'esistenza di tale rap
porto, e la riferibilità ad esso e all'adempimento dei relativi spe
cifici doveri della menomazione riportata, acquistano rilevanza
negativa nel senso di escludere per se stessi il carattere risarcitorio
di una pensione tabellare (cioè non correlata al trattamento di
attività). Né l'assimilazione è esclusa dalla prospettata configurabilità di
un rimedio risarcitorio per il caso di colpa della pubblica ammi
nistrazione, e ciò per la specificità di questo, che coprirebbe un'area
diversa e comunque più ristretta.
La natura non reddituale della pensione privilegiata ordinaria
«militare tabellare», del resto, è concordemente riconosciuta dal
la giurisprudenza, ponendosi in risalto l'indifferenza di un preesi
stente trattamento economico di attività, e ravvisandosi il titolo
preminente di detta pensione nella menomazione sofferta nell'a
dempimento di un obbligo legalmente imposto in attuazione del
l'art. 52 Cost.
Dal ravvisato carattere non reddituale delle pensioni in esame
discende la non assoggettabilità di esse, ai sensi dell'art. 53 Cost.,
all'imposta sul reddito delle persone fisiche alla stessa stregua di altre erogazioni di analoga natura (come le pensioni di guerra,
espressamente considerate dall'art. 34 d.p.r. n. 601 del 1973 e
le rendite vitalizie erogate dall'Inail alle vittime di infortuni sul
lavoro, alle quali l'amministrazione finanziaria ha esteso l'e
senzione). Ne consegue la dichiarazione di illegittimità costituzionale, per
violazione degli art. 3 e 53 Cost., dell'art. 34, 1° comma, d.p.r. n. 601 del 1973, nella parte in cui non dichiara esenti dall'Irpef le pensioni privilegiate ordinarie «militari tabellari» erogate ai mi litari che prestino servizio di leva.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, 1° comma, d.p.r. 29 settembre 1973
n. 601 (disciplina delle agevolazioni tributarie) nella parte in cui
non estende l'esenzione dall'imposta sul reddito delle persone fi
siche alle pensioni privilegiate ordinarie tabellari spettanti ai mili
tari di leva.
II
Diritto. — 1. È sottoposta all'esame della corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, ultimo comma, d.p.r. 23
dicembre 1978 n. 915, nella parte in cui prevede che la vedova
del mutilato o invalido di guerra, deceduto per cause diverse da
quelle che hanno determinato l'invalidità, perde il diritto alla pen sione di reversibilità nel caso in cui contragga nuovo matrimonio,
indipendentemente dalle condizioni economiche del coniuge. La Corte dei conti sospetta che tale previsione contrasti con
l'art. 3 Cost., in quanto creerebbe una ingiustificata disparità di
trattamento nei confronti della vedova del militare o del civile
deceduto per cause di guerra, la quale, invece, passando a nuove
nozze, perde il diritto alla pensione indiretta solo se il marito
già fruisce o verrà a fruire di un certo reddito, come previsto
dagli art. 42 e 70 d.p.r. 23 dicembre 1978 n. 915.
2. - La questione non è fondata.
Questa corte con la sentenza n. 184 del 1975 (Foro it., 1975,
I, 2683) ebbe a dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 59, 1° comma, 1. 10 agosto 1950 n. 648 e del corrispondente art.
47, 1° comma, 1. 18 marzo 1968 n. 313, nella parte in cui preve devano che la vedova del militare o del civile deceduto per causa
di guerra perdeva la pensione indiretta per il solo fatto del nuovo
matrimonio, anche se il marito non fruiva del reddito assoggetta bile ad imposta complementare.
L'illegittimità costituzionale fu dichiarata in riferimento all'art. 3 Cost, per l'ingiustificata differenziazione del trattamento previ sto per la vedova rispetto a quello allora riservato al vedovo di
persona deceduta per causa di guerra, per il quale era invece pre vista la perdita della pensione indiretta solo se avesse contratto
nuove nozze con persona titolare di un reddito superiore a certi
limiti. Successivamente a tale pronunzia è stato approvato con d.p.r.
Il Foro Italiano — 1989.
23 dicembre 1978 n. 915 il testo unico in materia di pensioni di guerra che, nel coordinare la disciplina della materia, prevede
all'art. 42 che la vedova del militare o del civile deceduto a causa
della guerra, la quale contragga nuove nozze, perde il diritto alla
pensione indiretta se il coniuge fruisca o venga a fruire successi
vamente al matrimonio di un reddito superiore ad un certo im
porto (determinato in base al rinvio all'art. 70 del medesimo te
sto unico). L'art. 51, ultimo comma, del testo unico citato (cioè la disposi
zione oggetto di censura) prevede invece che la vedova di invalido
titolare di pensione di guerra, deceduto per causa diversa da quella
che ha determinato l'invalidità, perda il diritto alla pensione di reversibilità se contragga nuove nozze, indipendentemente dalla
misura del reddito del nuovo coniuge.
Infine, l'art. 55 del testo unico equipara alla vedova, il vedovo
di donna deceduta a causa di guerra o di donna invalida di guer
ra deceduta per causa diversa.
Di conseguenza, in base alla disciplina vigente, sia il vedovo
che la vedova di persona deceduta per causa di guerra, perdono il diritto alla pensione indiretta solo se contraggono matrimonio
con persona munita di un reddito superiore ad una certa misura,
mentre sia il vedovo che la vedova di persona invalida di guerra, deceduta per causa diversa da quella che aveva dato luogo all'in
validità, perdono la pensione di reversibilità comunque contrag
gano nuovo matrimonio e cioè indipendentemente dal possesso
o meno di un certo reddito da parte del nuovo coniuge. Da quanto precede risulta dunque come si sia in presenza di
una situazione completamente diversa da quella che aveva dato
luogo, con la sentenza n. 184 del 1975, alla dichiarazione di ille
gittimità costituzionale della precedente normativa perché tale pro nunzia si era riferita esclusivamente alla differenziazione del trat
tamento riservato alla vedova rispetto a quella riservata al vedo
vo, ritenuta ingiustificata in quanto fondata esclusivamente sulla
diversità di sesso. La disciplina del trattamento pensionistico, sia
esso indiretto che di reversibilità, è invece attualmente identico
sia per il vedovo che per la vedova, onde, ai fini della decisione
della presente questione, non può costituire precedente la senten
za n. 184 del 1975, richiamata nell'ordinanza di rinvio, in quanto fondata su di un diverso presupposto.
Il giudice a quo pone invero prevalentemente l'accento sulla
diversità del trattamento previsto per la vedova (titolare di pen sione indiretta) del soggetto deceduto per causa di guerra, rispet to a quello previsto per la vedova (titolare di pensione di reversi
bilità) di invalido di guerra, deceduto per causa diversa, ponendo
però a raffronto situazioni fra loro non omogenee, quali sono,
nel quadro della pensionistica di guerra, la pensione indiretta a
quella di reversibilità. La pensione «indiretta» difatti (allo stesso modo di quella «di
retta» spettante all'invalido) ha natura risarcitoria e costituisce
un diritto autonomo che sorge iure proprio in capo all'avente
titolo in dipendenza della morte di un soggetto — cui l'avente
titolo stesso sia legato da rapporti familiari — cagionata da un
evento (malattia o fatto) bellico. La pensione di reversibilità, pre vista peraltro in favore di una più ristretta categoria di soggetti nell'ambito della famiglia dell'invalido titolare di pensione di guerra
«diretta», deceduto per causa diversa da quella che ha dato luogo alla invalidità, è invece un beneficio derivato che, come questa corte ha precisato (sentenza n. 186 del 1985, id., 1985, I, 2508),
«risponde ad esigenze di ordine naturale ed etico», per cui «agli aventi causa del pensionato di guerra deceduto è fatto un tratta
mento di particolare favore».
Il carattere derivato del beneficio fa assumere perciò particola re rilevanza all'unico presupposto cui esso è subordinato e cioè
10 stato di vedovanza il cui venir meno, per consapevole scelta,
giustifica, indipendentemente dallo stato di bisogno, la cessazio
ne del beneficio, legato, come già rilevato da questa corte, ad
esigenze d'ordine anche etico» (sentenza n. 186 del 1985, citata), 11 che ne fa assimilare la disciplina a quella prevista dall'art. 143 bis
c.c.
Il trattamento differenziato, circa la perdita della pensione, pre visto per i vedovi cui sia stata attribuita a titolo derivato una
pensione di reversibilità, rispetto ai vedovi titolari iure proprio di pensione diretta, la cui perdita, in conseguenza di un nuovo
matrimonio, tiene invece conto anche delle condizioni economi
che del nuovo coniuge, non appare perciò irragionevole in rela
zione alla diversa natura del titolo.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, ultimo com
ma, del testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra,
approvato con d.p.r. 23 dicembre 1978 n. 915 (testo unico delle
norme in materia di pensioni di guerra), sollevata in riferimento
all'art. 3 Cost., con l'ordinanza indicata in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 27 giugno 1989, n. 356 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 5 luglio 1989, n. 27); Pres. Saja, Est. Borzellino; Cirino c. Azienda trasporti Messina.
Ord. Cass. 20 settembre 1988 (G.U., la s.s., n. 7 del 1989).
Ferrovie, tramvie e filovie — Personale dipendente — Condanna
penale per reato commesso in servizio — Sospensione cautelare — Proscioglimento per amnistia — Revoca della sospensione — Diritto all'indennizzo — Esclusione — Incostituzionalità
(Cost., art. 3; r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, coordinamento delle
norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tramvie e linee di navigazione interna in regime di concessione, ali. A, art. 46).
È illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 46, ultimo
comma, del regolamento allegato A al r.d. 8 gennaio 1931 n.
148, nella parte in cui esclude, in ogni caso, dal diritto all'in
dennizzo l'agente sospeso in via preventiva e successivamente
prosciolto in sede di procedimento penale per amnistia. (1)
Fatto. — 1.1. - Con ordinanza del 20 settembre 1988 la Corte
di cassazione ha sollevato, nel procedimento civile vertente tra
Cirino Filippo e Atm di Messina ed altro, questione di legittimità costituzionale — con riferimento all'art. 3 Cost. — dell'art. 46,
ultimo comma, dell'allegato A al r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 —
contenente disposizioni sullo stato giuridico del personale delle
ferrovie, tramvie e linee di navigazione interna in regime di con
cessione — nel testo già emendato dalla sentenza n. 168 del 1973
(Foro it., 1974, I, 619) della Corte costituzionale, «nella parte
in cui esclude in ogni caso dal diritto all'indennizzo, in esso pre
visto, l'agente sospeso in via preventiva e successivamente pro
sciolto in sede di procedimento penale per amnistia».
Dall'ordinanza si evince che il Cirino, sospeso dal servizio e
dalla retribuzione ai sensi del citato art. 46, dopo che il Tribunale
(1) Con la sentenza in epigrafe la corte equipara, ai fini del riconosci
mento del diritto alla percezione delle indennità maturate nel periodo del
la sospensione cautelare, l'ipotesi dell'estinzione del reato per amnistia, a quelle già espressamente previste dalla norma dichiarata parzialmente incostituzionale, di assoluzione per non aver commesso il fatto, inesisten
za del reato o perché il fatto non costituisce reato, cui aveva aggiunto, con la sentenza 28 novembre 1973, n. 168, Foro it., 1974, I, 619, quella di proscioglimento con formula dubitativa.
Sull'obbligatorietà della corresponsione dell'assegno alimentare all'a
gente che, seppure arrestato per cause non di servizio, tuttavia sia stato
sospeso non per il fatto dell'arresto, ma perché coinvolto in situazioni
delittuose astrattamente idonee a comportarne la destituzione, v. Cass.
7 giugno 1985, n. 3433, id., Rep. 1985, voce Ferrovie e tramvie, n. 79; nello stesso senso, Cass. 17 maggio 1983, n. 3400, id., Rep. 1983, voce
cit., n. 147.
Sulla distinzione tra sospensione preventiva dallo stipendio e dal servi
zio ex art. 46, e l'omonima sanzione disciplinare prevista dall'art. 37 del
lo stesso regolamento a seguito di procedimento disciplinare: Cass. 11
dicembre 1982, n. 6784, id., Rep. 1982, voce cit., n. 116.
Nel senso che la sospensione non resta caducata quando tale misura
cautelare sia seguita da un provvedimento di retrocessione, con la conse
guenza che l'agente non ha diritto agli emolumenti: Cass. 10 maggio 1980,
n. 3083, id., Rep. 1980, voce cit., n. 71.
Sulla giurisdizione amministrativa in materia disciplinare nel settore dei
trasporti, Cass. 26 aprile 1985, n. 2718, id., 1985, I, 2255.
Per riferimenti sulla sospensione cautelare dal servizio e sul relativo
assegno alimentare nel pubblico impiego, v. Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio
1987, n. 319, id., 1988, III, 339, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 1989.
penale di Messina, con sentenza del 15 maggio 1978, lo aveva
ritenuto colpevole dei reati di falso e peculato e lo aveva condan
nato alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, era stato
prosciolto, in grado d'appello, dalla Corte d'appello di Messina
con sentenza del 27 ottobre 1982 per estinzione dei reati ascrittigli a seguito di amnistia. L'azienda aveva ritenuto opportuno non
promuovere nei confronti del dipendente un procedimento disci
plinare e, revocando il provvedimento di sospensione, lo aveva
riammesso in servizio «con decorrenza immediata».
Da qui la richiesta dell'interessato di ottenere dall'Atm la retri
buzione maturata nel periodo di sospensione, pari alla differenza
tra l'intero ammontare e l'assegno alimentare effettivamente cor
risposto, giusto quanto previsto dall'art. 46 citato: tanto dovuto,
si oppone da parte dell'azienda convenuta, in caso di assoluzione
con formula ampia ovvero dubitativa, non però nell'ipotesi di
proscioglimento per amnistia. Il Pretore del lavoro di Messina
e il Tribunale, poi (in sede di gravame), rigettavano la domanda.
1.2. - La Corte di cassazione, alla quale ha ricorso il Cirino,
afferma di condividere la tesi del ricorrente secondo cui la revoca
del provvedimento cautelare della sospensione, che faccia seguito al proscioglimento dell'agente per estinzione del reato ascrittogli a seguito di amnistia, comporterebbe il diritto alla corresponsio ne della retribuzione maturata durante la sospensione, sul rilievo
che la revoca del provvedimento farebbe riprendere il suo corso
al rapporto di lavoro dal momento in cui questo è stato sospeso; ma a ciò contrasta, nel caso specifico, il disposto dell'art. 46 an
zicennato.
Il giudice a quo richiama la sentenza n. 168 del 1973 della
Corte costituzionale e quanto ivi affermato circa la riconducibili
tà al sistema del pubblico impiego dell'intera materia disciplinare
prevista per gli autoferrotramvieri, ivi compreso l'istituto della
sospensione preventiva o cautelare. E poiché con tale pronuncia si è esteso l'ambito dell'art. 46, ultimo comma, anche all'ipotesi di assoluzione per insufficienza di prove, un ulteriore dubbio in
ordine alla legittimità costituzionale della norma sussisterebbe nella
parte in cui si perpetua una irrazionale disparità di trattamento
con il generale settore del pubblico impiego: all'agente sospeso
in via preventiva e prosciolto poi per amnistia viene ad essere
negato, in ogni caso, il diritto a percepire gli emolumenti non
riscossi per la durata della sospensione, a prescindere da ogni
ulteriore esame in sede disciplinare dei fatti addebitatigli: cioè,
non solo quando successivamente al proscioglimento non venga
attivato nei suoi confronti (come nella specie) il procedimento
disciplinare, ma anche quando questo, se iniziato o proseguito,
si concluda con la discriminazione piena dell'agente stesso.
Nel settore del pubblico impiego, invece",Ase il procedimento
penale ha termine con sentenza irrevocabile di proscioglimento
per motivi diversi dall'assoluzione con formula piena, e quindi
non solo per insufficienza di prove, ma anche per amnistia o
altra causa estintiva del reato, l'impiegato, osserva la corte remit
tente, ha diritto agli emolumenti non percepiti se nei suoi con
fronti non viene attivato il procedimento disciplinare entro un
termine perentorio (che solo consente il mantenimento della so
spensione) ovvero se, a seguito di procedimento disciplinare, egli
viene prosciolto anche in tale sede (art. 96 e 97 d.p.r. n. 3 del 1957).
Onde, una duplice, irrazionale sperequazione di trattamento nel
caso prospettata — ex art. 3 Cost. — sia in termini generali di
confronto con l'enunciato sistema, sia anche nell'ambito dello
stesso art. 46, nella veste assunta a seguito della richiamata sen
tenza n. 168 della Corte costituzionale: l'agente prosciolto con
formula dubitativa, infatti, non perde, sia pure a certe condizio
ni, il diritto a percepire gli emolumenti non riscossi durante la
sospensione cautelare, mentre l'agente prosciolto per amnistia re
sta escluso dal suddetto diritto.
Diritto. — 1.1. - L'art. 46, ultimo comma, dell'allegato A al
r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, contenente disposizioni sullo stato
giuridico del personale delle ferrovie, tramvie e linee di naviga zione interna in regime di concessione, dispone che l'agente so
speso per arresto dovuto a cause di servizio «ha diritto all'inden
nizzo di quanto ha perduto per effetto della sospensione, sempre
ché sia assolto per non aver commesso il fatto, per inesistenza
di reato o perché il fatto non costituisce reato».
Questa corte, in considerazione che l'intera materia disciplina re nell'area di cui trattasi si riconduce al generale sistema del
pubblico impiego, ha già ritenuto con sentenza n. 168 del 1973,
che la riferita normativa trova applicazione anche nell'ipotesi di
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