sentenza 13 febbraio 1989; Pres. Aiello, Est. Paolini; Castiello d'Antonio (Avv. Bonanni, Luceri)c. Istituto medico e di ricerca scientifica (Avv. Gagliardini)Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 2605/2606-2611/2612Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184862 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
«ai fini del riconoscimento o meno dell'immunità tributaria dello
Stato straniero, o di un altro soggetto di diritto internazionale,
non è decisiva la distinzione tra attività esercitata iure imperii
e attività esercitata iure gestionis, ma ciò che rileva è esclusiva
mente il carattere funzionale dell'attività esercitata, per cui l'im
munità tributaria . . . deve essere . . . riconosciuta rispetto alle
attività che — ... qualunque sia lo strumento materiale o giuri
dico in concreto adoperato — siano preordinate all'attuazione
di finalità pubblicistiche proprie dello Stato straniero o di altro
ente di diritto internazionale». L'attività di costruzione di ospe
dali, strumento indispensabile per la prestazione di assistenza ospe
daliera in favore degli infermi, è stata, pertanto, ritenuta tale
da privare di ogni rilevanza la natura indubbiamente privatistica
del mezzo adoperato per realizzarla, e cioè del contratto di mu
tuo diretto a reperire i fondi necessari.
Più rencentemente, peraltro, le stesse sezioni unite hanno im
plicitamente affermato che la distinzione tra attività pubblica e
attività privata del soggetto internazionale, ai fini della giurisdi
zione, dev'essere effettuata in base alla natura dell'atto e non
in base alle finalità con esso perseguite (sez. un. 7076/83, id.,
1984, I, 947). Ed ancora più recentemente, esse hanno puntualiz
zato che il rapporto di strumentalità, corrente tra l'attività di cui
si rivendica l'immunità dalla giurisdizione ed i fini istituzionali dell'ente sovrano, dev'essere tale che la prima s'inserisca diretta
mente nell'organizzazione pubblicistica dell'ente stesso, mentre esso
non vale a fondare l'immunità le quante volte l'attività in que
stione sia . . . strumentale a fornire i mezzi dell'attuazione di quei
fini, in quanto esplicata con attività negoziale di diritto privato,
quale potrebbe essere, ad esempio, quella diretta a reperire i loca
li necessari all'attività pubblica (affittati) o a far reperire o frut
tare i mezzi finanziari sul mercato del danaro (mutui, depositi
fruttiferi, ecc.).
Le, alquanto travagliate, linee di svolgimento giurisprudenziale
qui appena accennate s'inseriscono, a loro volta, in un vivace
dibattito dottrinale che, per un verso, riguarda lo stesso ricono
scimento di soggetto internazionale sovrano in capo all'Ordine
di Malta (non toccato dal travaglio della giurisprudenza di questa
corte e tuttavia fatto segno di aspre critiche da non pochi studio
si) e, per altro e più generale verso, riguarda l'utilizzabilità della
categoria dommatica dei «negozi di funzione» come criterio d'in
dividuazione dell'attività dei soggetti internazionali immune dalla
giurisdizione del foro; a tanto intrecciandosi il dibattito ulteriore
circa l'esigenza di contenere l'estensione del principio di immuni
tà dalla giurisdizione entro i limiti che ne evitano una stridente
contraddizione con principi propri del moderno Stato di diritto
quali quelli desumibili dall'art. 24 Cost, o quelli attinenti alla
«giustiziabilità» delle posizioni soggettive dei lavoratori. Anche di tale dibattito è dato cogliere un'eco nella giurisprudenza di
questa corte: cosi sez. un. 5399/82 (id., 1982, I, 2976) ricorda
in motivazione che l'ordinamento costituzionale italiano «si con
forma alle norme del diritto internazionale generalmente ricono
sciute (art. 10/1 Cost.) ma impone il necessario coordinamento
delle immunità giurisdizionali, eventualmente accordate a Stati
e organizzazioni extranazionali, con il principio della tutela in
giudizio dei diritti e degli interessi legittimi dei cittadini, sancito dall'art. 24 Cost.»; e sez. un. 4512/77 (id., Rep. 1977, voce Giu
risdizione civile, n. 52) richiama la «convenzione di Basilea del
16 maggio 1972 (entrata in vigore nel 1975 con raggiungimento
del numero minimo di ratifiche, alla negoziazione della quale l'I
talia ha partecipato pur non avendola ancora ratificata) quale
documento ricognitivo dell'evoluzione del diritto internazionale
consuetudinario», ricordando come il preambolo della stessa ten
ga conto «della tendenza manifestata nel diritto internazionale
a restringere i casi nei quali uno Stato può invocare l'immunità
davanti ai tribunali stranieri e, nella specifica materia, nega l'im
munità (art. 5) quando si tratta di 'contratto di lavoro concluso
fra uno Stato ed una persona fisica, se il lavoro dev'essere com
piuto nello Stato del foro' tranne che il lavoratore abbia la nazio
nalità dello Stato straniero convenuto».
3. - Se quello ora accennato rappresenta il quadro entro il qua
le si sono collocate le contrapposte argomentazioni delle parti,
queste sezioni unite ritengono tuttavia che le circostanze di fatto
relative al rapporto dedotto in causa (all'esame delle quali la cor
te è chiamata dal particolare ufficio esercitato quale regolatrice
della giurisdizione) offrano sufficienti elementi per risolvere la
proposta questione di giurisdizione prescindendo dall'approfon
dimento della problematica sopra-indicata.
Il Foro Italiano — 1990.
Né, d'altro canto, le sezioni unite, in sede di regolamento di
giurisdizione, sono vincolate ai motivi rappresentati in ricorso,
giacché questo — non costituendo un mezzo d'impugnazione —
non deve necessariamente contenere la specificazione dei motivi,
essendo sufficiente la sola esposizione dei fatti di causa rilevanti
per la decisione (sez. un. 4992/83, id., Rep. 1983, voce cit., n.
152; 6441/79, id., Rep. 1979, voce cit., n. 197; 1543/77, id., Rep. 1977, voce cit., n. 119).
Orbene, risulta dagli atti allegati al fascicolo del ricorso n.
6355/84, anch'esso relativo a regolamento di giurisdizione solle
vato in una causa tra altro lavoratore e l'Acismom e la cui di
scussione ha avuto luogo unitamente a quella del presente regola
mento, che l'istituto «San G.B. Battista» (alle dipendenze del quale
prestava la propria opera la Caroselli) ha stipulato, rappresentato
dal commissario magistrale pro tempore dell'Acismom, una con
venzione con la regione Lazio, nella quale, tra l'altro, «s'impe
gna ad applicare nei confronti del personale le norme dello statu
to dei lavoratori e dei contratti collettivi di lavoro» (art. 2, ulti
mo comma, convenzione 6 dicembre 1977).
Tale impegno implica l'accettazione della giurisdizione del giu
dice italiano, da parte del soggetto di diritto internazionale stipu
lante, e quindi integra la correlativa rinuncia dello stesso all'im
munità giurisdizionale in ipotesi spettategli, in relazione a tutte
le controversie che investono i rapporti di lavoro del personale
dipendente dal suddetto istituto «San G.B. Battista», ivi compre
sa la Caroselli.
Se infatti è vero che «appare del tutto irrilevante, in ordine
alla questione della giurisdizione, il fatto che il rapporto sia stato
regolato anche con riferimento alle norme vigenti in Italia» (cosi
sez. un. 3803/74, id., 1975, I, 592), non è però irrilevante che,
in ordine ad un dato rapporto (o ad una serie di rapporti), il
soggetto internazionale dichiari di accettare che al rapporto (o
ai rapporti) si applichi un'intera legge dello Stato italiano conte
nente, tra l'altro, norme processuali che specificamente prevedo
no una speciale procedura giudiziaria (tale è il caso del c.d. statu
to dei lavoratori con riguardo all'art. 28 di esso) e quindi un
particolare intervento della giurisdizione dello Stato italiano.
In tal caso, l'accettazione della giurisdizione del giudice italia
no non pare contestabile, cosi come, del resto, queste sezioni uni
te hanno ritenuto in fattispecie nelle quali pure una tale accetta
zione non derivava dal richiamo di uno speciale procedimento
giudiziario previsto dalle leggi processuali dello Stato (cfr. sez.
un. 2173/81, id., Rep. 1981, voce cit., n. 42; 110/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 36).
La difesa dell'Acismom ammette, d'altronde, esplicitamente che
l'immunità giurisdizionale possa essere validamente rinunciata, li
mitandosi a contestare in fatto che una tale rinuncia abbia avuto
luogo, senza però esaminare la portata della clausola di conven
zione sopra riportata e certamente applicabile al rapporto in que
stione.
Pertanto, ritenuto che nella specie v'è stata valida rinuncia al
l'immunità giurisdizionale da parte dell'Acismom, deve dichia
rarsi la giurisdizione del giudice italiano rimanendo superato in
radice ogni altro profilo della questione.
II
(Omissis)
CORTE D'APPELLO DI ROMA; sentenza 13 febbraio 1989;
Pres. Aiello, Est. Paolini; Castiello d'Antonio (Avv. Bonan
ni, Luceri) c. Istituto medico e di ricerca scientifica (Avv. Ga
GLIARDINl).
CORTE D'APPELLO DI ROMA;
Giudizio (rapporto tra il giudizio civile o amministrativo e il pe
nale) e pregiudizialità penale — Danno da reato — Amnistia
— Rapporto tra giudizio penale e civile (Cod. civ., art. 2043;
cod. pen., art. 151; 1. 3 agosto 1978 n. 405, delega al presiden
te della repubblica per la concessione di amnistia e di indulto
e disposizioni sull'azione civile in seguito ad amnistia, art. 12).
Responsabilità civile — Ingiuria e diffamazione — Fattispecie
(Cod. civ., art. 2043; cod. pen., art. 594, 595).
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2607 PARTE PRIMA 2608
L'intervenuta estinzione del reato in seguito ad amnistia non pre
giudica la competenza del giudice civile a pronunciarsi sull'e
ventuale azione risarcitoria esperita dalla vittima. (1) Ai fini del risarcimento del danno, la configurabilità dei reati
di ingiuria e diffamazione deve essere valutata tenendo conto
del significato oggettivo del comportamento del presunto of
fensore, e non della suscettibilità di colui che si ritiene offeso (nella specie, non è stata ritenuta offensiva la missiva con cui,
esprimendosi in termini tecnici e riportando fatti e circostanze
precisi e dimostrabili, il cliente si era rifiutato di corrispondere al proprio legale un onorario ritenuto eccessivo). (2)
Svolgimento del processo. — Alfonso Castiello d'Antonio, av
vocato e docente universitario, con atto del 27 giugno 1985, citò
davanti al Tribunale di Roma la «Istituto medico e di ricerca
scientifica» s.p.a.: premesso che detta società, con una lettera
in data 15 ottobre 1984, indirizzata, oltre che ad esso istante,
per conoscenza, al consiglio dell'ordine degli avvocati e procura tori di Roma, con il pretesto, meramente strumentale, di conte
stare a posteriori la congruità di crediti professionali di cui le
era stato richiesto il soddisfacimento, e in ordine ai quali era
già intervenuto il prescritto parere della competente associazione
professionale, che in seguito sarebbe stato recepito da ingiunzio ne emessa dal presidente del Tribunale di Roma, si era lasciata andare ad affermazioni ed apprezzamenti lesivi del suo onore, della sua reputazione e della sua identità personale; deducendo
che una querela da lui immediatamente presentata, per sollecitare
la punizione in sede di giurisdizione criminale delle offese ricevu
te, era rimasta senza seguito, per essersi concluso il processo pe nale conseguentemente istituito con un provvedimento di archi
viazione in data 8 febbraio 1985; assumendo, quindi, di aver,
comunque, diritto al risarcimento del danno non patrimoniale cau
satogli dal patito attentato alla sua personalità; instò perché la
convenuta, per titolo considerato, venisse condannata a pagare una somma non inferiore a lire 50.000.000, da devolversi in favo
re della Caritas internationalis, e perché venisse, altresì', disposta l'inserzione della reclamata sentenza in tre quotidiani a diffusio
ne nazionale ai termini dell'art. 120 c.p.c. Il tribunale adito, nel contraddittorio e nella resistenza della
«Istituto medico e di ricerca scientifica» s.p.a., con sentenza n.
3913 del 26 marzo 1987, dichiarò inammissibile la pretesa risarci
toria coltivata dal Castiello d'Antonio, considerando non aver
diritto costui di perseguire in sede civile il risarcimento dei danni
connessi ai reati di ingiuria e di diffamazione asseritamente per petrati in suo pregiudizio nella tuttora persistente possibilità di
un esercizio dell'azione penale nei confronti dei presunti respon
(1) La piena facoltà del giudice civile di indagare la sussistenza in con creto degli elementi costitutivi del reato, ed eventualmente la successiva estinzione dello stesso, si colloca nell'àmbito del più ampio principio di autonomia del giudizio civile rispetto a quello penale. In tal senso si è pronunciato anche Trib. Roma 27 marzo 1984, Foro it., 1984, I, 1687, con nota di Pabdolesi. In motivazione si rimanda a Cass. 18 febbraio 1982, n. 1018, id., Rep. 1982, voce Giudizio (rapporto), n. 52. V. anche Cass. 15 giugno 1987, n. 5263, id., Rep. 1987, voce cit., n. 30.
Per la dottrina, v. Zeno-Zencovich, La responsabilità civile da reato, Padova, 1989; Ferroni, Giudicato penale e giudizio civile, in Giust. civ., 1987, I, 1241; Gaito, «Electa una via» - I rapporti fra azione civile e azione penale nei reati perseguibili a querela, Milano, 1984.
(2) I concetti di onore e decoro, indicati dall'art. 594 c.p., e richiamati dal successivo art. 595, sono estremamente astratti e soggetti ad interpre tazioni diverse con il trascorrere del tempo e l'evoluzione dei costumi. Si è addirittura affermato, soprattutto nella dottrina tedesca, che un uo mo non può in alcun modo ledere il valore intrinseco di un altro uomo.
Dato l'evidente pericolo di eccessi e strumentalizzazioni in una valuta zione meramente soggettiva di ciò che lede l'onore e il decoro, dottrina e giurisprudenza si sono unanimemente orientate nel senso di considerare l'offensività alla stregua di parametri oggettivi, affermando cosi la totale ininfluenza di ogni eventuale suscettibilità a carattere idiosincratico. Cfr.
Messina, Teoria generale dei delitti contro l'onore, Roma, 1953, 73, do ve si afferma che l'unica misura dell'onore deriva dalle valutazioni sociali medie; Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, Milano, 1986, I, 157; Epstein, Libertà di manifestazione del pensiero e tutela alla repu tazione - Una critica di analisi economica del diritto alla via americana, in Dir. informazione e informatica, 1987, 825. Per la giurisprudenza, v. Trib. Roma 14 maggio 1987, Foro it., Rep. 1988, voce Ingiuria e diffa mazione, n. 28 (ed in Giur. it., 1988, II, 173); Trib. Trento 9 maggio 1986, Foro it., 1987, II, 66. Da ultimo, cfr. App. Firenze 20 settembre 1989 e Trib. Roma 10 marzo 1989, id., 1990, II, 137.
Il Foro Italiano — 1990.
sabili, da aversi per non precluso dall'intervenuto provvedimento di archiviazione ex art. 74 c.p.p.; respinse un'istanza riconven
zionale della convenuta intesa ad ottenere la condanna della con
troparte al ristoro di danni da ricollegarsi alla temeraria instaura
zione della lite; pose a carico dell'attore le spese processuali. Alfonso Castiello d'Antonio, con atto del 21 settembre 1987,
produsse appello avverso la sentenza in questione, notificatagli il 10 luglio 1987, e, citando la «Istituto medico e di ricerca scien
tifica» s.p.a. dinanzi a questa corte per il giudizio di gravame, censurò le relative statuizioni e ne sollecitò la riforma con i moti
vi di seguito analiticamente delibati. (Omissis) Motivi della decisione. — 1) Alfonso Castiello d'Antonio, con
la citazione del 27 giugno 1985, istitutiva del giudizio, ha intro dotto domande intese ad ottenere il ristoro di danni non patrimo niali che ha accampato essendo stati causati da fatti di ingiuria e di diffamazione, nonché da attentati all'identità personale a
suo dire, da lui patiti ad opera della «Istituto medico e di ricerca
scientifica» s.p.a. Il Tribunale di Roma, investito della cognizione delle pretese
in questi termini azionate, con l'impugnata sentenza n. 3913 del
26 marzo 1987, ha dichiarato inammissibile, sotto il profilo che
sarà esaminato nel paragrafo successivo, la richiesta dell'istante
di essere tenuto indenne dalle conseguenze pregiudizievoli dei su
biti fatti di ingiuria e di diffamazione. Il Castiello d'Antonio, con il primo motivo articolato per suf
fragare l'appello prodotto avverso la sentenza cennata, denuncia
che questa risulta viziata da violazione dell'art. 112, la parte,
c.p.c., perché il tribunale avrebbe completamente omesso di pro nunciare su una delle domande da lui esperite, astenendosi, in
particolare, dall'adottare una qualsiasi decisione sulla sua richie
sta, concettualmente autonoma rispetto alle altre congiuntamente
introdotte, di ristoro dei danni da ricollegarsi alla lamentata le
sione del diritto all'identità personale. La doglianza è giustificata. In proposito, va rilevato che il Ca
stiello d'Antonio, chiedendo di essere risarcito di danni consegui ti ad un fatto integrante sia i reati di ingiuria e diffamazione, sia gli estremi di un illecito civile aquiliano, suscettibile di ledere
il suo diritto all'identità personale, ha azionato nel giudizio tre
istanze che, ad onta della loro unitarietà sostanziale, sotto un
profilo concettuale vengono a configurarsi come distinte e, in certa
misura, autonome fra loro.
Nel contesto evidenziato, il primo giudice, per definire corret
tamente la vertenza sottoposta alla sua cognizione, era tenuto
a delibare tutte le istanze cennate ed a statuire sull'accoglibilità di ciascuna di esse.
La sentenza impugnata, viceversa, per quanto emerge dalla let
tura del suo testo, non ha pronunciato sulla richiesta di risarci
mento dei presunti danni derivati dall'allegato attentato all'iden
tità personale, incorrendo quindi, indiscutibilmente, nel denun
ciato vizio di omessa pronuncia. La rilevata omissione importa che la pretesa in discorso deve
essere esaminata in questa sede e che su di essa deve decidere la corte nella presente fase (cfr. Cass., sez. un., 21 novembre
1986, n. 6836, Foro it., Rep. 1986, voce Appello civile, n. 4 e voce Giurisdizione civile, n. 153).
2) La sentenza appellata ha dichiarato inammissibile la pretesa di Alfonso Castiello d'Antonio indirizzata ad ottenere la rifusio
ne di presunti danni connessi ad asseriti episodi delittuosi di in
giuria e di diffamazione sul ritenuto presupposto che, nella non
sopraggiunta estinzione dei reati e nella conseguentemente non
intervenuta preclusione dell'azione penale, la cognizione di tale
domanda dovesse intendersi sottratta al giudice civile e riservata
a quello penale. Il Castiello d'Antonio, con il secondo, fin troppo prolissamen
te articolato, motivo del suo gravame, critica la decisione in tal
guisa adottata dal tribunale, sostenendo ricorrere nella fattispecie tutte le condizioni perché la sua istanza di cui trattasi possa esse
re delibata nel merito nel presente giudizio. Il mezzo appare fondato. Ed invero, a prescindere da qualsiasi
altra, pur fattibile, considerazione — ed in proposito, cfr., fra
l'altro, Cass., sez. Ili, n. 102 dell' 11 gennaio 1982 (id., Rep. 1982, voce Giudizio (rapporto), n. 56) —, giova osservare che iì reati
indicati come fonte dell'obbligazione risarcitoria in discussione
ricadono, incontestatamente, tanto sotto i profili oggettivo e sog gettivo, quanto dal punto di vista cronologico, nell'ambito di ope ratività del provvedimento di amnistia promulgato con d.p.r. 16
dicembre 1986 n. 865, e, pertanto, allo stato, a mente dell'art.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
151, 1° comma, c.p., risultano estinti (e tali erano anche nella
data della pronuncia della sentenza di primo grado: cfr., in meri
to, Cass., sez. II, n. 3886 del 29 giugno 1985, id., Rep. 1985, voce Prescrizione e decadenza, n. 116 e voce Sentenza civile, n. 29).
Ciò posto, la vertenza, sotto l'aspetto che qui interessa, deve
essere definita facendo applicazione del principio, pacifico nella
giurisprudenza, per il quale il giudice civile, nell'intervenuta estin
zione del reato, è competente a pronunciare, con cognizione pie
na, sull'eventuale azione risarcitoria esperita dalla vittima dello
stesso (cfr., in tal senso, Cass., sez. I, n. 1018 del 18 febbraio
1982, id., Rep. 1982, voce Assicurazione (contratto), n. 140 e
voce Giudizio (rapporto), n. 52). Di conseguenza, l'esaminata pretesa dell'appellante va ricono
sciuta per senz'altro ammissibile.
3) Le considerazioni sviluppate nei due precedenti paragrafi apro no la strada alla delibazione nel merito delle domande azionate
da Alfonso Castiello d'Antonio.
In funzione di una corretta decisione sul tema è indispensabile, innanzi tutto, una ricostruzione delle vicende dalle quali è scatu
rita la lite e che costituiscono l'oggetto di questa. Il Castiello d'Antonio, come detto esercente la professione di
avvocato, nel mancato soddisfacimento di un suo credito relativo
a prestazioni professionali da lui eseguite in favore della «Istituto
medico e di ricerca scientifica» s.p.a., intendendo agire nei con
fronti della cliente, ai sensi dell'art. 633, 1° comma, n. 2, c.p.c.,
per ottenere il pagamento del compenso spettantegli, chiese il pre
scritto parere del consiglio dell'ordine degli avvocati e procurato ri di Roma, di cui all'art. 636, 1° comma, del codice di rito,
e, ottenutolo, ne comunicò alla controparte il contenuto, eviden
temente rinnovellando precedenti sollecitazioni di pagamento con
un telegramma in data 5 ottobre 1984.
La «Istituto medico e di ricerca scientifica» s.p.a. replicò a
tale richiesta con una nota del 15 ottobre 1984, indirizzata, oltre
che all'attuale appellante, per conoscenza, al consiglio dell'ordine
degli avvocati e procuratori di Roma, del tenore testuale di segui
to riportato. «Riscontriamo il suo telegramma in data 5 c.m., e ci premuria
mo sottoporre alla sua cortese attenzione e riflessione quanto segue:
1) Il fatto che il consiglio dell'ordine avvocati di Roma abbia
considerato congrua la sua parcella, non esclude affatto che il
Tribunale di Roma, in caso di ns. opposizione ad un suo even
tuale decreto ingiuntivo, proceda alla liquidazione secondo tarif
fa degli onorari da lei richiesti.
2) A seguito di sua sollecitazione, nelle procedure, indicate nel
la sua parcella, vennero nominati altri difensori nelle persone del
l'aw. prof. Francesco Vassalli e dell'aw. Sandro Fiorentini, quan
do sarebbe potuta essere più che sufficiente l'opera di un solo
professionista.
Tuttavia, lei ha predisposto una notula che si riferisce all'inte
ro complesso delle prestazioni, senza precisarci quali siano le pre
stazioni eseguite da lei e quali le prestazioni eseguite dagli altri
suoi colleghi. Il che, ci pare, è imprescindibile perché ciascun pro
fessionista va compensato in relazione all'opera propria ed il cliente
non può pagare uno dei professionisti per le prestazioni eseguite
da un altro.
3) Fermo quanto sopra, nella sua parcella, con rigurado a tutte
le prestazioni in materia civile, sia stragiudiziale che giudiziale,
per la determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari
di avvocato, ella ha attribuito alle pratiche un valore di lire 1.500
milioni che corriponde al capitale della IM. E. RS.
Il che è decisamente erroneo.
Infatti, per quanto concerne le prestazioni stragiudiziali civili,
la materia riguardava la «legittimità» dell'operato del cessato am
ministratore, l'iniziativa che la società avrebbe dovuto assumere
nei di lui confronti, la convocazione di adunanze consiliari o as
sembleari.
Ciò stante, posto che non si tratta di somme di denaro o di
beni qualificabili in una corrispondente somma di denaro, il va
lore non può non essere indeterminabile. In conseguenza, a ter
mini di tariffa forense, le pratiche debbono considerarsi aventi
un valore compreso fra le lire 3 milioni e le lire 10 milioni.
Noi, tuttavia, abbiamo ricalcolato gli onorari come se le prati
che avessero presentato — ma a noi non sembra — questioni
di particolare importanza e difficoltà, e quindi come aventi un
valore compreso tra le lire 50 milioni e le lire 100 milioni.
Applicando detto criterio ed escludendo voci (ad es.: ricerche
Il Foro Italiano — 1990.
giurisprudenziali che dovrebbero essere comprese nella voce «esa
me e studio»; memorandum varii) da lei esposte ma prive di ri
scontro nella tariffa e comunque indicanti prestazioni da noi mai
richieste, ne è risultato un ammontare di lire 8.893.500, compren sive del 10% per rimborso forfetario delle spese.
4) La stessa osservazione è da farsi per quanto concerne le pre stazioni in materia giudiziale civile.
Infatti, i tre procedimenti ex art. 700 c.p.c. riguardavano: l'ini
bizione di assemblee e l'emissione di certificati azionari per l'im
porto di lire 100 milioni. Applicando gli onorari (nel massimo) e i diritti previsti per le pratiche aventi un valore di lire 100 milio ni è risultato che gli onorari e i diritti ammontano rispettivamente
per B/l lire 700.000 e lire 378.900 per B/2 lire 700.000 e lire 343.200 per B/3 lire 700.000 e lire 327.200
con un totale, previa l'aggiunta delle spese in lire 500.000 (co me da lei indicate) di lire 3.649.300.
5) Per quanto riguarda le prestazioni in materia stragiudiziale
penale, le rammentiamo che ella, di sua iniziativa e senza inter
pellare previamente né gli organi della società né gli altri profes sionisti nel frattempo incaricati, redasse una denuncia penale che
il consiglio di amministrazione, appena avutane da lei notizia,
escluse nettamente fosse opportuno presentare.
6) Sulla base di quanto sopra chiarito, e sempre fermo che
lei deve precisarci, sotto la sua responsabilità, se l'opera richiesta
dalle varie pratiche è stata prestata solo da lei (considerato che
la Sua parcella la prevede nella totalità) e per nulla dagli altri
professionisti, la società sarebbe sua debitrice: per le prestazioni sub A di lire 8.893.500, per le prestazioni sub B di lire 3.649.300,
per un totale di lire 12.542.800; dalle quali occorre detrarre il versamento in conto di lire
5.000.000, per cui residuano lire 7.542.800.
La società, pertanto, si dichiara disposta a pagare, alle condi
zioni sopra precisate, la somma ora indicata.
Chiaramente, questo atto, che è di pura buona volontà, perde rà ogni valore nel caso lei ci costringesse a proporre opposizione a un suo decreto ingiuntivo e a far valere ogni ns. ragione.
Distinti saluti». Il Castiello d'Antonio, ravvisando nella missiva in argomento
insopportabili offese al suo onore, alla sua reputazione, nonché
alla sua identità personale — dopo aver visto archiviata, ai termi
ni dell'art. 74 c.p.p., una querela presentata per presunti reati
di cui agli art. 594 e 595 c.p. contro l'estensore dello scritto —
reclama in questa sede dalla società appellata il ristoro di danni
non patrimoniali che ha asserito essergli stati provocati, nell'im
porto di almeno lire 50.000.000, dal patito oltraggio.
La corte ritiene la pretesa cosi dispiegata assolutamente desti
tuita di fondamento.
In linea di principio, giova rilevare, in consonanza con la più
autorevole e classica dottrina giuspenalistica, che con riguardo
a fatti integranti attentato alla personalità degli individui ed im
portanti lesione del sentimento del proprio valore sociale che ap
partiene a ciascun uomo, ciò che conta, ai fini del giudizio da
darsi sul disvalore giuridico dei fatti stessi, è il significato oggetti
vo del comportamento del presunto offensore, il senso, cioè, che
le parole e gli atti di lui hanno secondo l'opinione della generalità
delle persone, senza che possa essere presa in considerazione l'e
ventuale particolare suscettibilità di colui che si assume offeso.
Orbene, la missiva della «Istituto medico e di ricerca scientifi
ca» s.p.a. più sopra richiamata, se valutata alla stregua del crite
rio enunciato e se correttamente e ragionevolmente interpretata
sulla scorta delle regole di emeneutica dettate per l'interpretazio
ne degli atti dagli art. 1362 s.s. c.c. — e segnatamente secondo
il criterio della buona fede, di cui all'art. 1366 c.c. —, non appa
re minimamente offensiva nei confronti del destinatario, né nelle
singole proposizioni in essa contenute, né, tanto meno, nel suo
complesso.
Quanto a quest'ultimo, sembra palese che lo scritto in questio
ne, per qualsiasi lettore che voglia restare spassionato, non si con
figura altrimenti che come una pacata, e civile, contestazione di
una ricevuta richiesta di pagamento di un debito, fatta mediante
argomentate obiezioni relative al quantum della somma avversa
riamente pretesa. Per ciò che concerne, poi, l'esame analitico delle singole pro
posizioni denunciate come specificamente offensive, non può non
osservarsi che solo una inammissibile forzatura, se non uno stra
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2611 PARTE PRIMA 2612
volgimento, del senso letterale delle parole può portare a leggere nella frase «A seguito di sua sollecitazione, nelle procedure indi
cate nella sua parcella vennero nominati altri difensori... quando sarebbe potuta essere più che sufficiente l'opera di un solo pro fessionista», di per sé integrante una ragionevole rimostranza, l'at
tribuzione del fatto di aver agito in interessata combine con altri
professionisti; ovvero, nella proposizione «Tuttavia, lei ha predi
sposto una notula che si riferisce all'intero complesso delle pre stazioni, senza precisarci quali siano le prestazioni eseguite da
lei e quali le prestazioni eseguite dai suoi colleghi. Il che, ci pare, è imprescindibile perché ciascun professionista va compensato in
relazione all'opera propria ed il cliente non può pagare uno dei
professionisti per le prestazioni eseguite da un altro» l'accusa di
aver ricompreso, fraudolentemente e con un deprecabile «truc
chetto», prestazioni personalmente non svolte nella presentata ri
chiesta di pagamento; oppure ancora a ravvisare l'ingiuria di «truf fatorello aduso a mezzucci di bassa lega per spuntare qualche
migliaio di lire in più» nell'espressione «... escludendo voci da
lei esposte ma prive di riscontro nella tariffa e comunque indi
canti prestazioni da noi mai richieste»; o, da ultimo, a riscontra
re una qualche portata oltraggiosa, o anche semplicemente la ma
nifestazione di una mancanza di rispetto, nella frase «... le ram
mentiamo che ella, di sua iniziativa e senza interpellare previamente né gli organi della società, né gli altri professionisti nel frattempo incaricati, redasse una denuncia penale che il consiglio di ammi
nistrazione, ..., escluse nettamente fosse opportuno presentare». Nel contesto evidenziato, deve escludersi in radice l'esistenza
del fatto illecito indicato come fonte del danno revocato in di
scussione, e, perciò, la considerata domanda risarcitoria deve es
sere rigettata siccome infondata.
Si impone, prima di concludere, una riflessione conclusiva.
La richiesta di ristoro del presunto danno non patrimoniale da ricollegarsi all'accampata lesione del diritto all'identità perso nale va tenuta per immeritevole di ingresso anche perché, non
afferendo l'istanza a risarcimento del pregiudizio conseguito ad
illecito di rilievo penale, per il combinato disposto degli art. 2059
c.c. e 185, cpv., c.p., non sarebbe comunque consentito far luo
go a rifusione di danni c.d. «morali» (cfr., in terminis, Cass., sez. un., n. 6651 del 6 dicembre 1982, id., 1983, I, 1630, nonché Trib. Roma 15 novembre 1983, id., 1985, I, 281).
6) In definitiva, la sentenza appellata va riformata, dichiaran
do le domande introdotte da Alfonso Castiello d'Antonio con la citazione del 27 giugno 1985, istitutiva del giudizio, non già inammissibili in rito, ma infondate nel merito. (Omissis)
TRIBUNALE DI RIETI; sentenza 11 maggio 1990; Pres. Chiat
telli, Est. Canzio; Persio (Avv. Martorana) c. Comune di Rieti (Aw. Felizxani).
TRIBUNALE DI RIETI;
Domicilio, residenza e dimora — Domanda di accertamento po sitivo della residenza — Improponibilità (Cod. civ., art. 43; 1. 24 dicembre 1954 n. 1228, ordinamento delle anagrafi della
popolazione residente).
È improponibile, per difetto di interesse, la domanda di accerta
mento giudiziale della residenza, indipendentemente dal riferi mento e collegamento di essa ad altri rapporti o situazioni giu ridicamente rilevanti in virtù di specifiche norme dell'ordi
namento. (1)
(1) La conclusione cui giunge il tribunale è fondata essenzialmente sul fatto che esso esclude la possibilità di definire la residenza come un dirit to della persona e qualifica la stessa come «mera situazione di fatto» caratterizzata dalla relazione di una persona con un determinato luogo, suscettibile quindi di accertamenti e riscontri da parte della pubblica am ministrazione. È questa la tesi sicuramente dominante in dottrina ed in
giurisprudenza, anche se di recente è stata posta in rilievo la possibilità di parlare di un «diritto alla residenza», al pari del diritto alla cittadinan za, analizzando, alla luce dei principi costituzionali ed in particolare della libertà di circolazione e di soggiorno di cui all'art. 16 Cost., quali limiti
Il Foro Italiano — 1990.
Considerato in diritto che il dott. F. Persio, preso atto del di
niego opposto dall'ufficio anagrafe del comune di Rieti alle reite
rate richieste — 12 febbraio 1981, 18 dicembre 1981 e 29 agosto 1982 — di registrazione del cambio di abitazione, da via Porta
Conca 12 - Rieti - a via dei Ginepri 11 - loc. M. Terminillo —, e dell'intervenuta reiezione in data 20 maggio 1983 del relativo
ricorso amministrativo presentato alla prefettura di Rieti, ha do
mandato nel presente giudizio a questo tribunale: «1) dichiarare
che l'esponente abita prevalentemente nella loc. M. Terminillo
via dei Ginepri 11»; 2) accogliere l'istanza di trasferimento di
residenza»; che, esclusa in radice l'ammissibilità di una sentenza
costitutiva in punto trasferimento della residenza anagrafica, per il noto divieto di repressione dell'atto amministrativo da parte
dell'a.g.o., che potrà delibarne la legittimità scio in via inciden
tale ai fini di una sua eventuale disapplicazione, ai sensi degli art. 4 e 5 1. contenzioso amministrativo, ritiene il collegio che
devesi preliminarmente valutare la proponibilità della domanda
principale di accertamento positivo della residenza, sotto il profi lo dell'interesse ad agire;
che, qualificata la residenza come semplice relazione di fatto
di una persona col territorio comunale, la quale può assumere
rilevanza giuridica solo in connessione con specifiche situazioni
giuridiche, come fatto giuridico strumentale, quindi, che presup
pone l'esistenza e il collegamento con altre norme dell'ordina
mento — privato, pubblico, elettorale, processuale, penale, tribu
tario, ecc. — per la produzione di effetti giuridici, e delineata
altresì' la funzione dell'iscrizione anagrafica della residenza in ter
mini di mera strumentalità, rispetto all'insorgere di una comples sa rete di diritti e doveri in un determinato comune, ritiene il
collegio che debba correttamente escludersi l'esistenza in capo al l'attore di un interesse all'autonomo e positivo accertamento giu diziale di un quid facti — la residenza effettiva —, indipendente mente dalla deduzione di un rapporto giuridico controverso e in
certo e di una situazione di concreto pregiudizio alla configurazione dei reciproci diritti e doveri nascenti dal rapporto medesimo, al
quale il fatto della residenza sia connesso;
che, definita la residenza non come status o addirittura diritto
fondamentale ed essenziale della persona garantito dall'art. 2 Cost., bensì' come mera situazione di fatto, caratterizzata dalla relazione
della persona con un determinato luogo scelto come propria di
mora abituale, idonea di volta in volta a produrre effetti giuridici
incontri nel nostro ordinamento il diritto di cambiare residenza. È stato sostenuto in conclusione che l'unico limite (e quindi l'unico controllo che
possa essere effettuato dall'ufficiale di anagrafe) riguarda la disponibilità dell'alloggio nel luogo ove il soggetto dichiara voler fissare la propria residenza, escludendo che l'ufficiale di anagrafe del comune di partenza possa o debba sindacare «se la persona in questione ha effettivamente lasciato l'alloggio che prima occupava ovvero quanto tempo al giorno, al mese o all'anno trascorra nell'uno o nell'altro alloggio, o ancora se la dichiarazione resa corrisponda o meno ad un'effettiva intenzione di trasferirsi stabilmente nella nuova residenza» (v. Pizzorusso, Persone fi siche, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 198-205 e Carta costituzionale e nozione giuridica di residenza, in Corriere giur., 1988, 1065 ed autori ivi citati, cui adde, Lucarelli, Sulla doppia dichia razione prevista dal codice civile come prova del trasferimento della resi denza, in Stato civile it., 1988, 159 e Mattei, L'elemento intenzionale nel concetto di residenza, id., 1987, 519). Per l'inammissibilità e impro ponibilità di domande di accertamento della residenza in quanto oggetto delle stesse non può essere un fatto, quantunque giuridicamente rilevante, v. App. Roma 18 giugno 1979 e Trib. Milano 21 giugno 1979, Foro it., 1981, I, 260, con nota di richiami.
Nel senso che l'effettiva residenza di una persona è accertabile dal giu dice con qualsiasi mezzo di prova, anche contro le risultanze anagrafiche, che hanno soltanto un valore presuntivo, v. Cass. 20 settembre 1979, n. 4829, id., Rep. 1979, voce Domicilio, residenza, dimora, n. 2.
Per l'affermazione secondo cui la dichiarazione di residenza anagrafica in una certa abitazione fa piena prova, ai fini dell'effettività della resi
denza, contro il dichiarante, salvo che lo stesso non provi la non rispon denza al vero della dichiarazione da lui fatta al funzionario comunale, v. Cass. 11 luglio 1987, n. 6078, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2.
Costante è la giurisprudenza della Cassazione nel senso che per la no zione di residenza è necessario l'elemento obiettivo della permanenza in un certo luogo e l'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabil
mente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle nor mali relazioni sociali (v. Cass. 14 marzo 1986, n. 1738, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1; 5 febbraio 1985, n. 791, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1; 6 luglio 1983, n. 4525, id.,, Rep. 1983, voce cit., n. 2; 5 maggio 1980, n. 2936, id., Rep. 1980, voce cit., n. 4).
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