Click here to load reader
Click here to load reader
Sentenza 14 giugno 1957; Pres. Ammatuna P., Est. Alibrandi, P. M. Cortese Riva Palazzi (concl.parz. diff.); Colombo (Avv. Ulgheri) c. Società Accorsi e Baghetti (Avv. Palma)Source: Il Foro Italiano, Vol. 80, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1957), pp. 1659/1660-1661/1662Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23147042 .
Accessed: 28/06/2014 17:48
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 17:48:53 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
1659 PARTE PRIMA 1660
un'istanza di sequestro conservativo, non può proporsi re
clamo al presidente della corte d'appello. (1)
Il Presidente, ecc. — Il reclamo è inammissibile.
La questione circa la impugnabilità o meno davanti al
presidente della corte di appello del provvedimento, col
quale il presidente del tribunale abbia respinto l'istanza di
sequestro conservativo a lui proposta ai sensi dell'art. 672
cod. proc. civ., ha dato luogo, anche sotto l'impero dell'abro
gato codice di rito, a discordi soluzioni in dottrina e in
giurisprudenza, ma gli argomenti che militano a sostegno della opinione negativa, sostanzialmente accolta di recente
dal Supremo collegio (vedasi, in motivazione, sent. 21
luglio 1956, n. 2848, Foro it., Eep. 1956, voce Sequestro, n. 45), sono di tale rilievo da decisamente sovrapporsi a
ogni altra considerazione in contrario. Il riferimento che, a giustificazione della tesi di impu
gnabilità, comunemente suol farsi all'art. 742 bis cod.
proc. civ. è del tutto inconferente, perchè la norma generale contenuta in detto articolo riguarda gli ordinari procedi menti in camera di consiglio, che si svolgono davanti al
tribunale quale organo collegiale, comè chiaramente appare dal coordinamento dell'articolo stesso con i precedenti art. 738 e 739, e non è quindi riferibile ai provvedimenti spe ciali emessi dal presidente, come magistrato singolo, in virtù di una sua autonoma competenza funzionale.
E poiché, astraendo da tale inapplicabile disposizione, non esiste altro precetto legislativo che in via generale sancisca la impugnabilità dei provvedimenti in discorso davanti al presidente dell'organo collegiale superiore, nè
può farsi generico richiamo in proposito ai principi del ri corso gerarchico, i quali possono valere solo per gli atti che abbiano sostanziale natura amministrativa, non reste rebbe che far capo, in quanto fosse possibile, all'analogia con qualcuna delle isolate disposizioni (poche, in verità) del nostro ordinamento giuridico che, ad implicita conferma
dell'inesistenza in materia di un principio generale e co
stante, specificamente, caso per caso, l'ammettono, come
quella degli art. 319, ult. capov., cod. civ. ; 59 e 82 delle
norme di attuazione in relazione agli art. 1003 e 1473 dello stesso codice ; 750 cod. proc. civ., ecc.
Ma, ad escludere senz'altro la possibilità di una appli cazione analogica delle disposizioni in parola alla materia del sequestro, è sufficiente considerare che tale materia,
implicante esercizio di giurisdizione indubbiamente conten ziosa e non volontaria, in quanto attuata attraverso prov vedimenti che o preludono o ineriscono ad un giudizio di merito riguardante diritti subiettivi controversi, attiene a un procedimento tutto speciale, in cui la individuazione
degli organi competenti è stata fatta dal legislatore in con
templazione di particolari condizioni, che designano gli stessi come i più idonei a provvedere ex informata con scientia a preferenza di qualunque altro, e con attribuzione ai medesimi di una potestà discrezionale, che non potrebbe essere divisa, anche in considerazione della eventuale se
gretezza delle fonti di informazione su cui è facultata ad
esplicarsi, con altri organi. È da osservare oltre tutto che, ove dovesse ammettersi
la reclamabilità, da parte del creditore, del provvedimento di rigetto della istanza di sequestro, rigor di logica e di coerenza condurrebbe a riconoscere identica facoltà anche
(1) Vedi in senso contrario App. Brescia 29 dicembre 1953, Foro it., 1954, I, 221, con nota di richiami. In senso implicita mente conforme vedi Cass. 21 luglio 1956, id., Rep. 1956, voce Sequestro, n. 45.
Nel senso che non si possa reclamare al presidente della corte d'appello avverso il decreto di concessione di un seque stro giudiziario, vedi App. Catania 1 dicembre 1955, id., 1956, I, 659.
Li considerazione, svolta nel decreto riportato, che l'art. 742 bis si applica essiusivame.ite agli ordinari procedimenti in camera di consiglio, che si svolgono avanti il tribunale quale organo collegiale, e non ai provvedimenti speciali, emessi dal presidente come magistrato singolo, è sviluppata in dottrira da Micheli, in Riv. dir. proc., 1956, II, 276 e in Giur. it., 1957, I, 2, 259 (spec. 261).
al debitore per il caso di accoglimento della istanza mede
sima, tesi questa clie nessuno, per quanto consta, ha mai
neppur lontanamente adombrato, e che decisamente urte rebbe contro il nostro sistema legislativo, il quale abilita il
debitore sequestrato a far valere le sue eventuali ragioni, in ordine all'assenza degli elementi giustificativi della mi sura cautelare, solo nell'ambito del giudizio di convalida.
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI MILANO.
Sentenza 14 giugno 1957 ; Pres. Ammatuna P., Est. Ali
brandi, P. M. Cortese Riva Palazzi (conci, parz. diff.) ; Colombo (Avv. Ulgheri) c. Società Accorsi e
Baghetti (Avv. Palma).
Lavoro (rapporto) — Transazioni e rinunzie — Con
clusione posteriore all'inizio della lite — Impu
gnazione — Inammissibilità (Cod. civ., art. 2113).
Non è impugnabile, a norma dell'art. 2113 cod. civ., la ri nuncia o transazione, che ha per oggetto diritti indispo nibili, che il prestatore d'opera licenziato abbia compiuto dopo l'inizio della lite contro il datore di lavoro. (1)
La Corte, eco. — (Omissis). L'indagine della Corte deve
soffermarsi sulla quietanza, rilasciata dall'appellante e pro dotta dalla Società Accorsi e Baghetti, così redatta : « il
sottoscritto dichiara di aver ricevuto in data odierna la somma di lire 110.728 a saldo buste paga a tutto il 22
aprile 1956. L'importo contiene lire 5000 (cinquemila) per arretrati indennità mensa. Rimangono impregiudicate le
questioni relative alle differenze dovutemi per indennità di anzianità in seguito al licenziamento fittizio 30 aprile-1 maggio 1953 e quelle per gli onorari dovuti all'avv. U1
gheri per l'assistenza legale prestatami e quelle per il man cato adempimento della scrittura 5 novembre 1955 ».
Dal testo della quietanza- si desume con tutta sicurezza che il versamento della somma di lire 5000 fu eseguito a saldo degli arretrati dell'indennità di mensa. (Omissis)
Ciò ritenuto, occorre stabilire, trattandosi di rinunzia a diritto indisponibile, se questa possa considerarsi efficace mente e validamente impugn'ata ex art. 2113 cod. civ. da parte dell'appellante.
Ai fini della soluzione di tale problema è necessario ac
certare, in punto di fatto, una circostanza che si considera di determinante rilievo, e cioè se la rinunzia del Colombo, consacrata nella scrittura di cui sopra, sia avvenuta, come il predetto sostiene, anteriormente alla notifica dell'atto di citazione 11 maggio 1956, introduttivo del presente giudizio, oppure se sia a questo successiva, come assume la Società appellata.
La Corte, prescindendo dalla data del documento, con testata e di non intelligibile grafia, reputa che dal testo dello stesso possa trarsi univoco argomento per acclarare il punto controverso. Invero va rilevato che, tra le questioni considerate dalle parti come impregiudicate, era quella re lativa agli onorari dovuti all'avv. Ulgheri per l'assistenza
legale da lui prestata a favore del dipendente, il che fa manifesto che il giudizio, nel quale il Colombo era assistito
appunto dal predetto legale, doveva essere già iniziato. Ciò ritenuto in punto di fatto, la Corte è d'avviso che
la suddetta rinunzia del Colombo non possa essere da lui
impugnata, ai sensi dell'art. 2113. Tale disposizione di legge, dettata per risolvere il grave
(1) Non risultano precisi precedenti editi. La stessa Corte di Milano, con sentenza 13 aprile 1953
(Foro it., Rep. 1953, voce Lavoro (rapporto), n. 619), aveva già affermato il principio, ma con riferimento alla transazione o alla rinuncia posta in essere dopo l'emanazione della sentenza che definiva il giudizio, avente ad oggetto gli stessi diritti del lavoratore e che era stato da lui promosso contro il datore di lavoro.
This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 17:48:53 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
e dibattuto problema delle rinunzie e delle transazioni poste in essere dal prestatore di lavoro, lia ripudiato la distin
zione, già invalsa nella giurisprudenza, tra il tempo an
teriore e quello posteriore alla cessazione del rapporto, riconoscendo l'invalidità in ogni caso, semprechè si tratti
di diritto nascente da disposizione inderogabile. Al fine
però di evitare il protrarsi di situazioni dubbie e d'impedire
ogni maliziosa condotta dilatoria, il legislatore ha sotto
posto l'impugnazione ad un breve periodo di decadenza
(tre mesi), che decorre dalla cessazione del rapporto, o dalla
data della rinunzia o della transazione, se queste sono in
tervenute dopo la cessazione medesima.
La decorrenza del termine a quo per l'esercizio dell'im
pugnazione, così come stabilito dal citato art. 2113, sta a
dimostrare cbe nel sistema della legge si presume che il
lavoratore che rinunzia o transige sui suoi diritti indispo nibili presta il suo consenso in condizioni di minorata li
bertà di volere o per il timore di un licenziamento o per la spinta del bisogno economico : comunque, in situazione
siffatta da non potere liberamente valutare la convenienza
o meno del negozio che pone in essere.
La decadenza invece si verifica allorquando sia decorso
un periodo di tempo, ritenuto congruo dal legislatore, dal
momento in cui il lavoratore ebbe a ricuperare tutta la
sua libertà di azione e di giudizio, restando sottratto ad
ogni influenza derivante dal suo stato di prestatore di la
voro subordinato.
Così brevemente richiamata la ratio del citato art. 2113,
appare ben chiaro che, allorquando l'atto dispositivo del
lavoratore intervenga, non soltanto quando il rapporto è
cessato, ma quando già tra prestatore e datore di lavoro
si è instaurato un giudizio, il primo, lungi dal versare in
quella situazione di minorata libertà negoziale di cui sopra si è fatto cenno, ha riacquistato la sua piena libertà e, affiancato dall'assistenza del proprio difensore, può trat
tare in situazione di completa parità e con piena e libera
valutazione dei propri interessi economici. Senza dire che, una volta iniziato il giudizio, la tutela che la legge accorda
al dipendente, mediante la facoltà di esercitare la speciale
impugnazione di cui all'art. 2113, appare ovviamente fuori
luogo, essendo ormai venute meno quelle ragioni, richiamate
dalle precedenti considerazioni, che quella tutela postu lavano.
La conclusione, rispetto al caso in esame, di quanto fin qui si è detto, è che il Colombo non può validamente
impugnare la rinunzia da lui posta in essere successiva
mente alla notifica dell'atto introduttivo del presente giu dizio. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI LECCE.
Sentenza 29 aprile 1957 ; Pres. Di Pilato P. P., Massarelli ; Battista (Avv. Penta) c. Fallimento
Cesare (Ayv. Di Mase).
Fallimento — Decreto di verifica dello stato passivo — Esclusione di garanzia per motivi non inci
denti nel merito — Difetto di opposizione — Im
proponibilit à delle istanze di revocazione falli
mentare ex art. 102 le(|<jc fall, e ordinaria ex art.
395 cod. proc. civ. — Mutamento della situazione
di fatto determinante l'esclusione — Possibilità
di insinuazione tardiva della garanzia esclusa —
Fattispecie (E. d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 23, 26, 55, 95, 97, 98, 99, 100, 101, 102 ; cod. proc. civ., art. 131, 171, 307, 323, 338, 395,
404, 2° comma, 647, 656 ; eod. civ., art. 2816, n. 1).
L'art. 102 legge fall, non ammette l'istanza di revocazione
fallimentare contro il decreto non opposto del giudice
delegato che escluda dal passivo del fallimento crediti
o garanzie ; contro questo è proponibile l'istanza di revo
cagione ordinaria di cui all'art. 39-5 cod. proc. civ., espe ribile solo contro le sentenze. (1)
La domanda di insinuazione tardiva, prevista dall'art. 101
legge fall, per i crediti non insinuati nella fase normale
di verificazione, è ammissibile anche per le garanzie che
sono state escluse dal passivo per motivi non incidenti
nel merito, con decreto non opposto del giudice delegato, ove venga meno, nel corso della procedura fallimentare, la situazione di fatto che ha determinato l'esclusione (nella
specie, l'efficacia di un pignoramento, causa di esclusione
di un'ipoteca iscritta successivamente al pignoramento
stesso). (2)
La Corte, ecc. — Con i primi due motivi, che riguardano la prima delle due sentenze impugnate, si sostiene che la
formulazione dell'art. 102 legge fall, avrebbe dovuto indurre
i primi Giudici a ritenere che, nel caso di scoperta di un
documento decisivo in precedenza ignorato, la revocazione
fosse consentita tanto contro l'ammissione quanto contro
l'esclusione di crediti o garanzie. Quanto meno si sarebbe
dovuto ammettere la pur proposta revocazione ordinaria,
dovendo questa considerarsi proponibile non solo contro le
sentenze vere e proprie, ma anche contro gli altri provve
dimenti, comunque formulati, a iniziativa del giudice o
per disposto di legge, aventi carattere decisorio, quale
appunto il decreto del giudice delegato emesso a chiusura
della verifica di crediti in un fallimento.
È il caso di dire subito che la statuizione dei primi G-iudici sfugge alle censure dell'appellante, perchè altro
non è che la risultanza di apprezzamenti giuridici aderenti
alla lettera e allo spirito della legge. A smentire infatti sul
terreno esegetico la tesi sostenuta dall'appellante, ancorché
con abile dialettica, valgono poche considerazioni.
Si sostiene anzitutto che dalla diversa dizione del 2°
comma dell'art. 770 cod. comm. abrogato rispetto a quella del 1° comma dell'art. 102 legge fall, vigente, regolanti l'uno e l'altro la impugnazione straordinaria per revoca
fi) Per un recentissimo precedente circa il problema della
esperibilità dell'azione di revocazione fallimentare nel caso di
crediti esclusi dal passivo del fallimento, vedi Cass. 26 ottobre
1956, retroj 327, con nota di richiami. Circa la natura controversa del decreto di verifica dello
stato passivo, se cioè ad esso sia da attribuirsi efficacia di cosa
giudicata ovvero effetti semplicemente preclusivi (questione
peraltro che la sentenza annotata, attenendosi al principio che
i mezzi di impugnazione sono solo quelli previsti caso per caso
dalla legge, non considera rilevante al fine di stabilire se il prov vedimento sia o no suscettibile di revocazione ordinaria), vedi
la sentenza del Tribunale di Napoli 7 giugno 1954, Foro it., 1955,
I, 305, con ampia nota di richiami. In dottrina vedi Satta (Istituzioni di diritto fallimentare,
Roma, 1957, nota 461 a pag. 264 e segg.) il quale, pur aderendo
senza riserve alla tesi che attribuisce autorità di cosa giudicata al decreto di verifica dello stato passivo, non esclude, sulla base
di un'obiezione del Benettin (in Riv. dir. proc., 1949, 116), che siano da attribuire effetti diversi al provvedimento a se
conda che respinga o ammetta, crediti, riconoscendo nel primo caso più vaste possibilità di impugnare il provvedimento.
(2) L'insinuazione tardiva di crediti esclusi dal passivo fal
limentare per motivi non attinenti al merito con decreto del
giudice delegato, contro il quale non sia stata fatta opposizione dal creditore escluso, è ritenuta ammissibile anche da una sen
tenza del Tribunale di Napoli 13 febbraio 1956 (Foro it., 1956,
I, 418, con nota contraria di S. Gaeta). La sentenza, nella specie,
contempla il caso di un credito escluso per difetto di denunzia
fiscale e ritiene che, una volta venuto meno nel corso della
procedura fallimentare l'impedimento dato da tale inadempienza, sia possibile proporre domanda tardiva. Secondo la sentenza
l'inadempimento fiscale è causa di incompetenza del giudice a
deliberare l'accertamento : di qui la possibilità di riproporre la
domanda quando il giudice sia divenuto competente per l'avve
nuta denunzia fiscale.
Bagioni più valide ci sembra presiedano alla attuale deci
sione della Corte d'appello di Lecce : qui infatti la domanda
tardiva è giustificata non dall'incompetenza del giudice ad ac
certare, ma addirittura dall'impossibilità di fatto dell'accerta
mento. M. G. M. G.
This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 17:48:53 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions