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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 14 maggio 1991; Pres. Cicchetti,...

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sentenza 14 maggio 1991; Pres. Cicchetti, Est. De Scisciolo; Soc. Quinto &Manfredi (Avv. Buccico, Pera, Artoni) c. D'Alessandro ed altri (Avv. Pizzilli) Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1991), pp. 1921/1922-1929/1930 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23185524 . Accessed: 25/06/2014 08:21 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.54 on Wed, 25 Jun 2014 08:21:21 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 14 maggio 1991; Pres. Cicchetti, Est. De Scisciolo; Soc. Quinto &Manfredi (Avv.Buccico, Pera, Artoni) c. D'Alessandro ed altri (Avv. Pizzilli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 1921/1922-1929/1930Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185524 .

Accessed: 25/06/2014 08:21

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sentasse un elemento costitutivo. Questa illazione è smentita sia

dall'art. 2518, n. 4, c.c., sia dall'art. 2359 c.c. che prevede lo

stato di scioglimento nell'ipotesi di perdita del capitale sociale.

In conclusione è sufficiente che un capitale anche minimo vi

sia (art. 2518, nn. 4, 5), mentre non è ammissibile che la società

sorga senza alcun capitale, come accade quando addirittura quello apportato dai soci non sia nemmeno sufficiente a sostenere le

spese di costituzione.

ne, capaci per il loro ammontare di assorbire interamente il detto ca

pitale (16). Per concludere, va infine sottolineato come, essendo la previsione

delle spese di costituzione strettamente legata, come si è visto, al sorge re della società di capitali, il disposto dell'art. 2328, n. 12, c.c. non risulta suscettibile di estensione ad ipotesi diverse, ed in particolare non

può applicarsi alla trasformazione di società di persona in società di

capitali. In tale ipotesi, infatti, non ricorrono esigenze di tutela dei ter

zi, potendo costoro contare (anche per le obbligazioni assunte per la trasformazione prima dell'iscrizione della delibera) sulla responsabilità dei soci illimitatamente responsabili (art. 2499 c.c.) Per di più non può non attribuirsi il dovuto rilievo alla circostanza che l'atto costitutivo della società di persone non prescrive alcuna menzione delle spese sic ché non si comprende per quali motivi in caso di trasformazione do vrebbe essere invece dovuta un'informazione maggiore di quella richie sta per l'iscrizione (17).

Guido Vidiri

(16) Per l'opinione che ritiene ricorrere un caso di invalidità dell'atto costitutivo anche quando le spese di costituzione superino il terzo del capitale sociale e questo si riduca al di sotto del minimo legale, v. Sala fia, Spese di costituzione, cit., 394; Marchetti, op. cit., 4.

(17) In questi esatti termini, vedi ancora Marchetti, op. cit., 5-6, che esclude l'applicabilità dell'art. 2328, n. 12, anche alle ipotesi di trasformazione non espressamente contemplate nell'art. 2498, mentre ritiene la norma estensibile alla costituzione all'estero di società aventi in Italia la sede dell'amministrazione ovvero l'oggetto principale del l'impresa ed alle società costituite in Italia con attività all'estero (art. 2505 e 2509), essendosi in entrambi i casi in presenza di una vicenda costitutiva assoggettata alla legge italiana. Negli stessi sensi, vedi anche Di Fabio, op. cit., 1049. Contra, Trib. Cassino 18 gennaio 1991, Foro it., 1991, I, 999, con nota di ulteriori richiami.

I

TRIBUNALE DI MATERA; sentenza 14 maggio 1991; Pres.

Cicchetti, Est. De Scisciolo; Soc. Quinto & Manfredi (Avv.

Buccico, Pera, Artoni) c. D'Alessandro ed altri (Avv.

Pizzilli).

TRIBUNALE DI MAURA;

Lavoro (contratto collettivo) — Accordo aziendale di deroga al divieto di lavoro notturno femminile — Efficacia soggetti va (Cost., art. 39; 1. 9 dicembre 1977 n. 903, parità di tratta

mento tra uomini e donne in materia di lavoro, art. 5).

L'accordo aziendale sulla rimozione del divieto di lavoro not

turno femminile previsto dall'art. 5 l. n. 903 del 1977, ancor

ché stipulato da sindacati maggiormente rappresentativi, non

ha efficacia soggettiva generalizzata e non è vincolante né per le lavoratrici non iscritte al sindacato stipulante né per le la

voratrici iscritte ma dissenzienti, in difetto del consenso delle

quali l'accordo medesimo non può disporre del diritto indivi

duale, derivante dalla legge, a non lavorare nelle ore

notturne. (1)

(1-3) Oggetto delle decisioni in rassegna è l'art. 5 1. n. 903/77 (in dottrina, al riguardo, v. Bortone, in Nuove leggi civ., 1978, 805; Bal

lestrero, Dalla tutela alla parità, Bologna, 1979). Tale disposizione

presenta un duplice profilo di interesse: l'uno inerente alla legittimità della funzione «derogatoria» che essa devolve alla contrattazione collet

tiva, nonché alla connessa possibilità di riconoscere a quest'ultima una efficacia vincolante generalizzata, e l'altro relativo alla compatibilità del divieto di lavoro notturno con il principio costituzionale della parità di trattamento.

Il Foro Italiano — 1991.

II

PRETURA DI CATANIA; sentenza 22 ottobre 1990; Giud. Cor

rao; Allegra ed altre (Avv. Modica) c. Soc. SGS-Thomson

(Avv. Azzarello).

Lavoro (contratto collettivo) — Accordo aziendale di deroga al divieto di lavoro notturno — Efficacia nei confronti di

lavoratrici iscritte dissenzienti (L. 9 dicembre 1977 n. 903, art. 5).

L'art. 5 l. n. 903 del 1977, nell'attribuire ai contratti collettivi la facoltà di rimuovere il divieto di adibizione delle donne al lavoro notturno, previsto dal 1° comma, non conferisce ai contratti in questione un generalizzato carattere vincolante in forza di una sorta di rappresentanza legale di tutti i dipen denti dell'azienda da parte dei sindacati stipulanti; ne discen

de che anche il contratto collettivo aziendale concluso ai sensi

dell'art. 5, 2° comma, l. 903/77, dispiega efficacia vincolante nei riguardi dei soli iscritti al sindacato stipulante, i quali non

possono sottrarsi a tale efficacia con una semplice manifesta zione di dissenso, in quanto con la loro adesione al sindacato

essi hanno tacitamente accettato anche l'eventuale esercizio del potere che l'art. 5 l. 903/77 conferisce al sindacato stesso. (2)

I. - In giurisprudenza, sul problema dell'efficacia di accordi aziendali che rimuovono il divieto di lavoro notturno in presenza di fenomeni di dissenso dei lavoratori interessati, non si rinvengono, per quel che consta, precedenti specifici.

La giurisprudenza è invece intervenuta per sottolineare, ai fini della

legittimità della deroga, la necessaria presenza di due presupposti di

operatività: il ricorso al contratto collettivo e l'obbligo di comunicazio ne dello stesso. Da una parte, infatti, ha dichiarato antisindacale la condotta del datore che unilateralmente decida di adibire le lavoratrici al lavoro notturno, ritenendo irrilevanti la mera disponibilità del sinda cato e il consenso delle dipendenti interessate che non siano sfociati in un valido accordo sindacale (v. Pret. Bologna 19 settembre 1989, Foro it., Rep. 1989, voce Sindacati, n. 169 e Dir e pratica lav., 1989, 2759, con nota di Miscione).

Dall'altra, ha ritenuto che l'obbligo della comunicazione ha carattere

sostanziale, e non formale, in quanto è volto a porre l'ispettorato del lavoro nelle condizioni di verificare tempestivamente le modalità del

l'accordo, nonché la sussistenza delle presunte necessità aziendali (v. Cass. 6 ottobre 1986, Nobili, Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro (rappor to), n. 1189 e Mass. giur. lav., 1987, 114; Notiziario giurisprudenza lav., 1987, 429; in senso contrario su tale punto, v. Pret. Pordenone 9 dicembre 1982, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 599).

La facoltà riconosciuta ai contratti collettivi dall'art. 5 1. 903/77 di

derogare alla stessa legge costituisce un esempio del nuovo modo di

configurarsi del rapporto tra legge ed autonomia collettiva, in cui que st'ultima opera come strumento di attenuazione delle rigidità normative a favore di una maggiore flessibilità nell'uso della forza-lavoro. Il rin vio legislativo ad una gestione contrattata della flessibilità accentua il

disagio del sistema di contrattazione collettiva volontaria, non in grado di comporre i conflitti di interesse tra rappresentanti e rappresentati generati dalla contrattazione di concessione.

Da qui il tentativo della dottrina di trarre da disposizioni come quella in esame, modelli interpretativi capaci di offrire una sistemazione razio nale ai problemi dell'efficacia del contratto collettivo e della rappresen tanza (in dottrina, per una panoramica, v. B. Caruso, Rappresentanza sindacale e contrattazione collettiva sulla flessibilità, in M. D'Dantona

(a cura di), Politiche di flessibilità e mutamenti del diritto del lavoro, Napoli, 1990). Al riguardo, tutte le decisioni, pur nella diversità di im

postazione metodologica — collocandosi la Pretura di Catania nella dimensione tradizionale, che risolve i problemi della rappresentanza in base alla costruzione in termini privatistici della sfera di efficacia del contratto collettivo, mentre il Tribunale e la Pretura di Matera recepi scono la valenza giuridica della manifestazione di dissenso dei lavorato ri — appaiono smentire quella dottrina secondo cui i rinvìi legali alla contrattazione collettiva acquistano significato in quanto si ammetta che la legge conferisca «ai contratti collettivi delegati la stessa efficacia normativa e generale che è propria della legge devolvente» (M. V. Bal

lestrero, Riflessioni in tema di inderogabilità dei contratti collettivi, in Riv. it. dir. lav., 1989, I, 357; v., altresì, Pessi, Funzione e disciplina dei contratti di solidarietà, in Giornale dir. lav. relazioni ind., 1985, 347; Ichino, Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, Milano, 1985, II, 438; Tursi, Contratti di solidarietà e rapporto individuale di

lavoro, in Giornale dir. lav. relazioni ind., 1988, 85). La fondatezza delle posizioni teoriche favorevoli a riconoscere l'effi

cacia generalizzata dei contratti collettivi, ora valorizzando il riferimen to al criterio della maggiore rappresentatività dell'agente collettivo, ora basandosi sul conferimento legislativo al contratto collettivo di poteri di deroga, è stata di recente messa in discussione dalla stessa Corte di cassazione (sent. 24 febbraio 1990, n. 1403, Foro it., 1991, I, 877,

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1923 PARTE PRIMA 1924

Ill

PRETURA DI MATERA; ordinanza 21 giugno 1990; Giud. Ve

trone; D'Alessandro ed altri (Avv. Pizziixi) c. Soc. Quinto & Manfredi (Avv. Artoni, Buccico).

Lavoro (contratto collettivo) — Accordo aziendale di deroga al divieto di lavoro notturno — Efficacia nei confronti di lavoratrici iscritte dissenzienti — Esclusione (L. 9 dicembre

1977, n. 903, art. 5).

Al contratto collettivo, previsto dall'art. 5 l. 903/77, non può riconoscersi altro tipo di efficacia se non quella limitata ai datori di lavoro contraenti ed ai lavoratori affiliati al sinda

cato; pertanto, devono ritenersi esclusi dagli effetti dell'ac cordo aziendale i non iscritti e coloro che, pur essendo affi liati al sindacato, gli abbiano revocato, come nel caso di spe cie, il potere di rappresentarli mediante un previo atto di diffida dal sottoscrivere l'accordo di deroga, ex art. 5 l. 903/77, sen

za il loro individuale consenso. (3)

I

Motivi della decisione. — L'appello è infondato e va, pertan to, rigettato.

Con l'unico, assorbente, motivo di gravame si deduce l'erro neità della sentenza impugnata laddove, muovendo dalla con statazione della mancata attuazione dell'art. 39 Cost., esclude l'efficacia erga omnes del contratto collettivo, ancorché stipula to da un sindacato maggiormente rappresentativo, e, pertanto, interpreta l'art. 5 1. 903/77 nel senso dell'inopponibilità del con tratto collettivo in detta norma richiamato alle lavoratrici che, pur aderendo al sindacato stipulante, abbiano espresso il pro prio dissenso dall'operato di quest'ultimo. Rileva l'appellante, riportandosi ad un suggestivo orientamento dottrinale e di una

parte della giurisprudenza di merito, che l'efficacia generalizza ta del contratto collettivo deriva immediatamente e direttamen te dalla natura di sindacato maggiormente rappresentativo del

l'agente negoziale e che, pertanto, il contratto aziendale in og getto, stipulato dalla maggioranza delle forze sindacalmente

organizzate, deve per ciò solo ritenersi vincolante anche per le lavoratrici dissenzienti. Orbene, ritiene il collegio che tale orien

tamento, privo di qualsiasi supporto normativo ed anzi palese mente contrastante con la procedura imposta dall'art. 39 Cost., che riconosce efficacia erga omnes ai soli contratti stipulati dai sindacati registrati, non possa essere condiviso. L'inattuazione della detta norma costituzionale impedisce infatti di riconoscere ai contratti collettivi stipulati dai sindacati al di fuori del qua dro delineato dalla Costituzione altra natura che non sia quella di

con nota di R. Romei, e in Mass. giur. lav., 1990, 384, con nota di C.E. Lucifredi, In tema di efficacia soggettiva dei contratti collettivi azienda li) per la quale è decisiva la considerazione che la mancata attuazione del l'art. 39 Cost, «ha fatto si che i contratti collettivi stipulati dai sindacati (...) ricadano nell'area dell'autonomia privata e che il problema dei loro effetti sul piano soggettivo è condizionato dal riferimento alle categorie proprie della disciplina privatistica», le quali escludono la possibilità di ravvisare nel contratto collettivo «un'autonoma forza regolatrice di ca rattere generale, tale da costituire una fonte di integrazione dei rapporti di lavoro al di là del mandato espresso o tacito conferito dai lavoratori».

II. - Con riguardo al secondo aspetto, sopraccennato, è da rilevare che mentre la Corte costituzionale ha giudicato illegittimo, per violazio ne dell'art. 37, 1° comma, Cost., l'art. 12 1. 653/34 nella parte in cui vietava il lavoro notturno femminile nelle aziende industriali (Corte cost. 24 luglio 1986, n. 210, Foro it., 1986, I, 2676 e Riv. giur. lav., 1987, II, 27, con nota di G. Galli, Sulla legittimità costituzionale del lavoro notturno delle donne e dei fornai), di contro ha superato le obiezioni di incostituzionalità che sono state mosse all'art. 5 1. 903/77 (v. Cass., ord. 14 gennaio 1982, n. 36, Foro it., 1982, I, 2557 e Giur. it., 1982, I, 1, 1183, con nota di M.V. Ballestrero, È incostituzionale il divieto di lavoro notturno per le donne-, da ultimo ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 37, 1° comma, Cost., dell'art. 5, 1° e 2° comma, 1. 903/77: Cass., ord. 2 febbraio 1990, Borgarello, Mass. giur. lav., 1990, 367). Ha osservato, infatti, la corte (Corte cost. 6 luglio 1987, n. 246, Foro it., 1987, I, 2605; v. altresì, Corte cost., ord. 6 luglio 1989, n. 378, id., Rep. 1989, voce cit., n. 501) che l'art. 5 1. 903/77, ben si armonizza con i principi costituzionali di uguaglianza e parità di trattamento per il fatto di prevedere un divie to, non assoluto, ma derogabile con contrattazione collettiva, anche aziendale. Il che consente alle donne di lavorare di notte, purché le condizioni ambientali e la complessiva organizzazione aziendale siano tali da non precludere l'adempimento della loro essenziale funzione fa miliare.

Il Foro Italiano — 1991.

atti di autonomia privata, come tali non vincolanti per i lavora

tori non iscritti ai sindacati stipulanti o comunque dissenzienti.

Né, peraltro, l'efficacia generalizzata del contratto aziendale

può farsi derivare dalla circostanza del rinvio alla contrattazio

ne collettiva operato dalla legge (nel caso di specie, dall'art.

5 1. 903/77) che, secondo quanto sostenuto dall'appellante, im

plicherebbe l'attribuzione al detto contratto del carattere di fonte

primaria di regolamentazione generale. Invero, pur prescinden do dalla considerazione che il rinvio legislativo al contratto col

lettivo non può automaticamente implicare l'acquisizione da parte di quest'ultimo della stessa natura ed efficacia soggettiva della

legge, non si vede come, ammettendosi una tale ipotesi, potreb be sostenersi la legittimità costituzionale di una legge che, rin

viando al contratto collettivo e, dunque, implicitamente attri

buendo ad esso, ancorché non stipulato nel rispetto dell 'iter pro cedurale previsto dall'art. 39 Cost., efficacia erga omnes, si

porrebbe palesemente in contrasto con detta norma.

Alla luce delle su esposte argomentazioni, la decisione preto rile va dunque pienamente condivisa. Nel caso di specie infatti, tenuto conto dell'esplicito dissenso manifestato dalle appellate — le quali preventivamente diffidarono il sindacato di apparte nenza dal concludere qualsiasi accordo implicante la disposizio ne del proprio diritto a non lavorare nelle ore notturne — deve

sicuramente ritenersi l'inefficacia, nei confronti delle stesse, del

contratto aziendale in oggetto. Va, peraltro, rilevato, argomen tando dalla natura privatistica del contratto collettivo di cui si

è detto in precedenza, che attraverso l'adesione all'associazione

sindacale il lavoratore conferisce all'associazione medesima il

potere di rappresentanza per la stipulazione di contratti tenden

zialmente finalizzati a predisporre una disciplina del rapporto di lavoro quanto più possibile favorevole al lavoratore medesi

mo, della cui tutela ed assistenza in sede di contrattazione col

lettiva il sindacato viene dunque ad essere investito. Giammai,

pertanto, il sindacato potrebbe, in assenza di specifico manda

to, (e nel caso di lavoratori iscritti, in presenza di manifesto

dissenso) disporre di diritti individuali derivanti ai lavoratori

non dalla contrattazione collettiva ma, come nel caso che ci

occupa, direttamente dalla legge.

Pertanto, posto che il divieto di adibire le donne al lavoro

notturno è espressamente sancito dalla legge, dalla circostanza

per cui la medesima legge consente alla contrattazione collettiva

di derogare ovvero di rimuovere il detto divieto non può desu

mersi l'intento del legislatore di investire le organizzazioni sin

dacali del potere di disporre, indipendentemente dalla volontà

delle singole lavoratrici, di quello che indubbiamente può defi

nirsi come un diritto delle medesime a non lavorare di notte. A parere del collegio il 2° comma dell'art. 5 cit. va invece inter

pretato nel senso che in tanto è possibile, da parte del datore di lavoro, derogare o rimuovere il divieto de quo, in quanto ciò avvenga mediante contrattazione collettiva e dunque attra verso l'intervento delle associazioni sindacali chiamate a verifi

care, in vista della salvaguardia del diritto delle lavoratrici, che la rimozione o la diversa disciplina del divieto di lavoro nottur

no sia realmente indispensabile, stante la ricorrenza di partico lari esigenze produttive, e che comunque sussistano condizioni ambientali del lavoro ed una organizzazione dei servizi idonee a garantire la sicurezza delle lavoratrici. In sostanza, la funzio ne che l'art. 5 cit. attribuisce alla contrattazione collettiva e

dunque alle associazioni sindacali è quella tipica di tutela e di

assistenza delle lavoratrici onde impedire qualsiasi raggiro del divieto di lavoro notturno. Ferma restando, quand'anche sussi stano i presupposti per una diversa disciplina o per la rimozione

del divieto, la necessità dell'assenso delle singole lavoratrici (o del non manifesto dissenso nel caso di lavoratrici iscritte).

Nel caso di specie non solo vi è stata esplicita manifestazione di dissenso da parte delle appellate, ma, anche se tale dato di fatto è già di per sé assorbente ai fini del rigetto del gravame, è doveroso rilevare che la rimozione del lavoro notturno appare

disposta in assenza delle condizioni previste dalla legge. In par ticolare, dal contratto aziendale del 23 aprile 1990 si evince che la detta rimozione è stata concordata tenendo conto esclusiva

mente delle esigenze produttive e non anche delle condizioni ambientali del lavoro, nonché senza la previa organizzazione dei servizi (ad esempio di pronto soccorso, di vigilanza) indi

spensabile per consentire lo svolgimento del lavoro femminile notturno in condizioni di sicurezza.

Deve, pertanto, concludersi per il rigetto dell'appello.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

II

Fatto. — Con ricorso depositato in data 7 novembre 1989 le

ricorrenti descritte in epigrafe hanno esposto: di essere tutte di

pendenti della SGS Thomson s.p.a., addette ai reparti H.C. mos e Power, con sede di lavoro in Catania; che in data 20 luglio 1983 la SGS-ates (oggi Thomson) e la Firn nazionale (assistita dalla Firn

regionale) siglavano, al fine di assicurare all'azienda il maggiore utilizzo degli impianti ad elevato contenuto di capitale, un accor

do che prevedeva due turni diurni distribuiti su sei giorni settima

nali ed un turno notturno su cinque giorni settimanali, per un to

tale di diciassette turni settimanali; che la necessità di derogare, attraverso la contrattazione collettiva, al disposto dell'art. 5 1.

903/77, che statuisce il divieto di adibire le donne al lavoro not

turno, non è stato accettato di buon grado dalle lavoratrici della

SGS perché con la suddetta deroga si è avuto un grave peggiora mento dello stato complessivo della loro salute; che, dopo cinque anni dal primo accordo, sempre in deroga dell'art. 5 1. 903/77, la SGS-Thomson «con lo spettro formale della chiusura dell'a

zienda e della cig convinceva... alcune organizzazioni sindacali...

a firmare un altro ben più gravoso accordo...»; che con il suddet

to accordo aziendale del luglio 1988, firmato dalle organizzazioni sindacali Cisl-Uil e Cisnal, la SGS Thomson ha cosi attivato, sin

dal settembre del 1988, un regime orario a venti turni su un arco

di cinquantuno settimane, con arresto degli impianti in soli quat tro giorni durante l'anno; che la decisione negoziale assunta dai

sindacati è avvenuta nella più evidente violazione dei principi di

democrazia sindacale ed in dispregio della buona fede che deve

informare anche l'esercizio del potere di rappresentanza negozia le; che i rappresentanti sindacali, infatti, non hanno né tutelato

gli interessi delle loro rappresentanze, né tenuto presente che la

maggioranza delle lavoratrici (opinione espressa pure in una for

male consultazione) non era assolutamente d'accordo con la de

cisione di attuare il ventesimo turno; che i rappresentanti sinda

cali hanno cosi scientemente violato i più elementari principi in

tema di mandato, eccedendone illegittimamente i limiti (la dismis

sione di un diritto delle lavoratrici necessita di un mandato ad hoc

e lo stesso mandato, implicito nell'adesione associativa, presup

pone in ogni caso una utile gestione degli interessi dei lavoratori; che l'accordo del luglio 1988, pertanto, firmato in deroga al di

vieto sancito dalla 1. 903/77, è invalido e quindi inefficace nei con

fronti delle lavoratrici ricorrenti per le seguenti ragioni:

A) l'art. 5 1. 903/77 non attribuisce alcuna efficacia erga omnes

alla contrattazione collettiva (anche aziendale) ivi prevista poi

ché, se ciò non fosse, si avrebbe violazione non soltanto del

l'art. 39 Cost, ma anche dell'art 1 preleggi in combinato dispo sto con gli art. 101, 2° comma, 97 e 70 Cost.; poiché l'art.

5 1. n. 903 vieta di adibire le donne al lavoro notturno consegue che la contrattazione collettiva non può derogare alla legge e,

pertanto, il sacrificio del diritto della donna a non lavorare di

notte potrà avvenire soltanto se vi sarà stato un mandato ad

hoc (alla associazione sindacale) della singola lavoratrice;

B) l'art. 5 1. n. 903 non prefigura una ipotesi di efficacia

generalizzata del contratto collettivo di diritto comune per la

semplice ragione che non fa alcun riferimento al regime di effi

cacia del contratto collettivo di deroga (se questa fosse stata

l'intenzione del legislatore si sarebbe dovuto «por mano» alla

logicamente preliminare questione dell'agente negoziale; quid iuris

in ipotesi di conflitto tra diversi sindacati con riferimento alla

stipula del contratto di deroga? Quid iuris in caso di disomoge neità tra gli agenti del ccnl, che regola un certo regime di ora

rio, e gli agenti del contratto aziendale che vi derogano?);

C) l'accordo aziendale, che rimuove il diritto, deve essere ne

cessariamente stipulato da un agente negoziale unitario (che rap

presenti la totalità delle lavoratrici interessate) o sottoscritto da

parte di tutte le rsa presenti e sindacalmente operanti nella uni

tà contrattuale (tutto ciò allo scopo di conseguire una regola zione uniforme nell'ambito aziendale);

D) nessuna delle due ipotesi è presente nel caso de quo poiché la rsa Cgil non risulta firmataria dell'intesa aziendale del luglio 1988 e perché i sindacati che hanno sottoscritto tale accordo

(Uil-Cisl-Cisnal) non sono gli stessi che hanno siglato il prece dente accordo, meno gravoso, del 1983 (Firn nazionale assistita

dalla Flm regionale);

E) la rimozione del divieto non è avvenuta, come sarebbe

stato necessario, per la tutela di un interesse collettivo (conser vazione della occupazione) superiore rispetto a quello disposto

(diritto a non lavorare di notte);

F) il legittimo esercizio del potere di rappresentanza presup

pone in ogni caso il consenso dei diritti interessati al negozio

Il Foro Italiano — 1991.

rappresentativo, specie allorquando tramite contratto collettivo si intenda vincolare i lavoratori non aderenti ai sindacati stipu lanti (o perché non iscritti ad alcun sindacato o perché aderenti a sindacati non stipulanti o infine perché semplicemente dissen

zienti): è, questo, un presupposto sociale e giuridico della rap presentanza negoziale del sindacato, soprattutto nelle ipotesi in cui la legge concede il potere di contrattare su materie in cui, senza rinvio legislativo, il sindacato dovrebbe munirsi di una formale procura; e se non occorre un atto formale di consenso

individuale (mandato speciale) il sindacato che dispone di un diritto soggettivo deve comunque agire (nelle ipotesi previste dalla

legge) sulla base di un rapporto consensuale con i soggetti in nome e per conto dei quali pretende di contrattare; se cosi non

fosse si dovrebbe ammettere che per certe ipotesi sono ammes

se, nel nostro ordinamento, forme di rapresentanza legale;

G) i sindacati, firmatari dell'accordo del luglio 1988, hanno

violato, pertanto, il canone della correttezza e della buona fede

stante che, come ogni potere privato che si esercita sui singoli, anche il potere di rappresentanza delle associazioni sindacali de

ve rispondere a requisiti di lealtà, il cui controllo è demandato

al giudice; H) poiché la stipulazione del contestato accordo aziendale è

avvenuta malgrado l'esplicito dissenso della stragrande maggio ranza delle lavoratrici interessate consegue che i sindacati fir

matari hanno violato il principio costituzionale della democra

zia nonché i diritti (pure costituzionali) di libertà e partecipazio ne del cittadino-lavoratore.

Le lavoratrici istanti, tutto ciò premesso, ed esposto altresì

che l'introduzione del ciclo continuo non ha comportato la cor

responsione della indennità di lavoro festivo (pure prevista dal

l'art. 7 ccnl), hanno chiesto a questo pretore di: a) ritenere e

dichiarare invalido ed inefficace l'accordo nei confronti delle

ricorrenti; b) condannare la società alla corresponsione delle dif

ferenze retributive, a partire dalla prima applicazione del con

tratto collettivo, introduttivo dei turni di lavoro festivo, com

misurate all'ammontare delle indennità contrattualmente previ ste per tale tipo di lavoro e illegittimamente non concesse.

La convenuta società, costituitasi con memoria difensiva, ha

eccepito che: a) la spietata concorrenza di ditte americane, giap

ponesi ed europee, che dominano il mercato mondiale dei semi

conduttori, ha costretto essa società ad utilizzare al massimo

i propri impianti, ricorrendo al lavoro notturno anche domeni

cale; b) con accordo sindacale del 25 giugno 1981 sono stati

istituiti dodici turni settimanali da lunedì a sabato; il 20 luglio 198 sono stati istituiti diciassette turni settimanali da lunedì

a sabato, compreso il lavoro notturno; il 20 luglio 1984 sono

state istituite quattro squadre per Catania su diciassette turni

settimanali, onde facilitare il lavoro notturno delle donne; il

10 gennaio 1986 sono stati istituiti diciotto turni settimanali,

compresa la notte del sabato; il 29 luglio 1988 sono stati istituiti

venti turni, da lunedì a domenica pomeriggio; c) con l'istituzio

ne del diciassettesimo turno la lavoratrice dipendente era impe

gnata in lavoro notturno solo cinque notti al mese e cioè per tre settimane una notte a settimana e due notti nella quarta; con l'istituzione del ventesimo turno le lavoratrici vengono im

piegate sei notti al mese, cioè due notti per due settimane ed

una notte a settimana nelle due restanti; d) l'accordo del 29

luglio 1988 non ha istituito alcun turno notturno aggiuntivo,

poiché ha soltanto esteso le prestazioni lavorative ai due turni

di domenica, fermo restando l'orario contrattuale di quaranta ore settimanali; e) l'accordo del 29 luglio 1988 ha comportato,

per il personale interessato al ventesimo turno, benefici retribu

tivi non collegati alla effettiva prestazione ma corrisposti in ci

fra fissa; f) nell'accordo 29 luglio 1988 era prevista una verifica

e questa è avvenuta il 23 novembre 1989 con un verbale di inte

sa firmato anche dalla Fiom Cgil; g) le ricorrenti, molte delle

quali sono aderenti alle organizzazioni sindacali operanti in azien

da, mancano di coerenza nel momento in cui godono di tratta

menti economici e normativi derivanti dai contratti stipulati da

gli stessi sindacati che oggi criticano aspramente; h) è necessa

rio che venga disposta l'integrazione del contraddittorio nei

confronti delle organizzazioni sindacali Fiom Cgil, Firn Cisl, Uilm Uil, essendo comune ad esse organizzazioni sindacali il

tema proposto dalle ricorrenti con l'azione di annullamento del

l'accordo aziendale del luglio 1988; i) le ricorrenti chiedono a

torto l'indennità per lavoro festivo, stante che l'accordo del 23

novembre 1989 prevede, per il personale addetto a lavorazione

a venti turni, l'erogazione di 25.000 settimanali, erogazione che

assorbe la maggiorazione prevista dal ccnl per il lavoro prestato nelle festività lavorative.

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1927 PARTE PRIMA 1928

La società convenuta, tanto sostanzialmente eccepito, ha sol

lecitato, previa la richiesta integrazione di contraddittorio, il ri

getto della domanda. (Omissis) Motivi della decisione. — Per la risoluzione della presente

controversia occorre prendere le mosse dalla 1. 9 dicembre 1977

n. 903 (parità di trattamento fra uomini e donne nel lavoro) la quale, dopo avere previsto (art. 5, 1° comma) il divieto di adibire le donne al lavoro notturno (dalle 24 alle ore 6) nelle aziende manifatturiere (con eccezione delle donne che svolgono mansioni direttive o sanitarie), ha statuito la possibilità che lo

stesso divieto possa essere rimosso (o diversamente disciplinato) mediante contrattazione collettiva, anche aziendale, in relazione a particolari esigenze della produzione e tenendo conto delle

condizioni ambientali del lavoro e della organizzazione dei servizi.

La suddetta legge, contrariamente a quanto avvenuto (Corte cost. n. 210 del 24 luglio 1986, Foro it., 1986, I, 2676) per la 1. 653/34 (tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli), che

all'art. 12 vietava il lavoro notturno, per le donne di qualsiasi età, nelle aziende industriali, ha superato il giudizio di costitu zionalità con riferimento agli art. 37 e 39 Cost. La corte, infat

ti, con sentenza n. 246 del 1987 (id., 1987, I, 2605) e con ordi

nanza n. 378 del 6 luglio 1989 (id., Rep. 1989, voce Lavoro

(rapporto), n. 501) ha osservato che l'art. 37 Cost, consente di prendere in considerazione la particolare condizione della don

na e la posizione che essa ha in seno alla famiglia ed ha poi evidenziato che il 1° comma dell'art. 5 non prevede un divieto

assoluto, bensì derogabile con contrattazione collettiva, anche aziendale.

Si può, pertanto, affermare che, se la corte ha ritenuto in contrasto con l'art. 37 Cost, soltanto il divieto del lavoro not turno previsto dalla legge del 1934 e non anche quello sancito dalla più recente legge del 1977, ciò è dovuto al fatto che que st'ultima, non a caso intitolata «parità di trattamento fra uomo e donna nel lavoro», ben si armonizza con l'art. 37 Cost., sia nella parte (di questa disposizione) nella quale è previsto che la donna lavoratrice debba avere gli stessi diritti che spettano al lavoratore, sia nella parte in cui si statuisce che le condizioni di lavoro devono consentire alla donna l'adempimento della sua

essenziale funzione familiare.

Insomma, prevedere un divieto al lavoro notturno, che possa essere derogato con contrattazione collettiva, significa dare an

che alle donne la possibilità di lavorare di notte, a condizione

però che le condizioni ambientali (aziendali) e l'organizzazione dei servizi consentano loro di adempiere alla funzione familia re. La deroga con contrattazione collettiva, anziché con accordi

individuali, è una scelta di politica legislativa che trova (fra al

tre) una spiegazione nella particolare funzione del sindacato di

stipulare contratti collettivi aventi efficacia vincolante per tutti i suoi associati (ed aperti all'adesione da parte dei non iscritti).

Insomma, il legislatore ha ritenuto il sindacato la controparte (del datore di lavoro) più idonea a valutare l'esistenza delle par ticolari esigenze aziendali (richiedenti il lavoro notturno delle

donne) nonché l'esistenza di favorevoli condizioni ambientali di lavoro. Occorre osservare, peraltro, che normalmente una azienda manifatturiera ha bisogno di ricorrere al lavoro nottur no di numerose dipendenti e non di poche unità e lo stesso sindacato potrebbe anche concordare non una totale rimozione del divieto ma una diversa disciplina del lavoro notturno.

Ciò premesso, il decidente rileva che la lavoratrice conosce o deve conoscere, nel momento in cui si iscrive ad una associa zione sindacale, quali siano i poteri che il nostro ordinamento

(Costituzione, statuto dei lavoratori, leggi) attribuisce ad essa associazione. Non deve ignorare che il sindacato, oltre il potere di stipulare, nell'interesse dei propri associati, i comuni contrat ti collettivi di natura economico-normativa, di svolgere opera di promozione sociale, di sostenere le rivendicazioni dei lavora tori ed assisterli nelle conciliazioni e nelle controversie, ha an che il potere di rimuovere, previo accordo con l'azienda, il di vieto posto dall'art. 5 1. 903/77.

La contrattazione collettiva cui fa riferimento il citato artico lo di legge non pone, pertanto, alcuna illegittima disposizione di diritti soggettivi delle lavoratrici poiché, come già osservato, esse hanno tacitamente accettato, con la loro adesione al sinda

cato, l'eventuale esercizio di quel potere che la legge conferisce al sindacato. Peraltro, più che di diritto a non lavorare (espres sione impropria ed atecnica) si dovrebbe parlare o di un obbli

go a lavorare di notte, in mancanza di accordo collettivo, ovve

ro, in armonia con il titolo della legge e con le citate decisioni della Corte costituzionale, di diritto (o di interesse legittimo)

li Foro Italiano — 1991.

della donna a lavorare di notte (ove, ovviamente, il lavoro sia richiesto dall'azienda ed i sindacati sottoscrivano un accordo collettivo di rimozione del divieto legale); e poiché tale diritto a lavorare di notte sorge concretamente in capo alla lavoratrice soltanto nel momento in cui l'accordo collettivo viene sotto

scritto, appare evidente come tale accordo sia costitutivo di di ritti (a lavorare di notte) piuttosto che dispositivo di diritti già acquisiti (a non lavorare di notte!).

Insomma, si è fuori dalle ipotesi nelle quali il sindacato, tra valicando i propri poteri (ossia il mandato rappresentativo rice vuto dagli associati con la loro iscrizione) ponga in essere (sen za uno specifico mandato ad hoc) atti dispositivi di diritti già acquisiti definitivamente.

Il contratto collettivo previsto dall'art. 5 1. 903/77, vincolan te per gli iscritti al sindacato stipulante (non avendo rilevanza

giuridica esterna la circostanza che le lavoratrici possano avere

manifestato un successivo dissenso, fino a giungere alle dimis

sioni) non può, di contro, avere efficacia anche nei confronti delle lavoratrici iscritte a sindacati che quell'accordo non hanno

sottoscritto, né a fortiori nei confronti di chi non è e non è stata iscritta ad alcuna associazione sindacale.

L'efficacia erga omnes del contratto collettivo (c.d. post

corporativo) è esclusa, come è noto, dall'art. 39 Cost, e la Cor te di cassazione, sez. lav., con recente sentenza n. 1403 del 1990

(id., 1991, I, 877) ha avuto modo di precisare, con riferimento alla presunta efficacia erga omnes degli accordi collettivi azien

dali, che «una efficacia erga omnes per cosi dire intrinseca al contratto aziendale confliggerebbe con i principi della libertà di associazione e di organizzazione sindacale al cui rispetto non osta alcuna norma, neppure di livello inferiore a quella costitu

zionale, su cui possa fondarsi l'affermazione che i contratti col lettivi stipulanti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rap presentativi hanno efficacia erga omnes». La corte ha soggiun to, dopo aver ricordato che il ccnl postcorporativo, non reso efficace erga omnes, è obbligatorio soltanto per gli iscritti alle associazioni stipulanti o, in caso di non iscritti, qualora sia pro vata l'adesione espressa o tacita al contratto da parte del singo lo appartenente al settore lavorativo per la cui disciplina il con tratto è stato stipulato, che «tale posizione, applicata al con tratto aziendale, ne esprime... il limite invalicabile di espansione in un sistema che resta fondato su principi privatistici e sulla

rappresentanza negoziale e non legale o istituzionale dei sinda cati... e che vieta di ravvisare nel contratto collettivo anche se

stipulato da quelli maggiormente rappresentativi, una autono ma forza regolatrice di carattere generale, tale da costituire una fonte di integrazione dei rapporti di lavoro al di là del mandato

(espresso o tacito) conferito dai lavoratori, o addirittura contro la volontà di questi, espressa col dissenso... Deve dunque rite

nersi, alla stregua delle considerazioni esposte, l'impossibilità, nell'attuale sistema normativo, di riconoscere efficacia c.d. erga omnes ai contratti collettivi, anche se posti in essere dai sinda cati maggiormente rappresentativi, atteso il contrasto con il fon damentale principio di libertà sindacale e con la procedura pre vista dall'art. 39 Cost. A fortiori deve attribuirsi all'espresso rifiuto della ricorrente (iscritta al sindacato Cisnal) l'effetto di

impedire l'applicazione del contratto aziendale — peraltro sti

pulato dalla sola Cgil — nei suoi confronti». La corte ha dunque concluso la sua decisione stabilendo il

principio secondo cui «l'accordo sindacale aziendale che intro duce — derogando in peius al ccnl — il part-time in luogo del

precedente rapporto a tempo pieno... non vincola i lavoratori dissenzienti».

Da taluni si è sostenuto che l'accordo di cui all'art. 5 1. 903/77, analogamente ai c.d. contratti di solidarietà, costituirebbe una eccezione alla regola ed hanno configurato una sorte di rappre sentanza legale di tutti i dipendenti dell'azienda da parte dei sindacati autorizzati dalla legge a stipulare i citati contratti. Que sto decidente non ritiene di poter condividere la tesi della rap presentanza legale perché l'art. 5 1. 903/77 non ha fatto alcun riferimento ad un generalizzato carattere vincolante dell'accor do collettivo, non fa riferimento alle organizzazioni sindacali

maggiormente rappresentative, lascia non risolti importanti que siti: il ccnl dovrà essere stipulato, comunque, da tutte le orga nizzazioni sindacali maggiormente rappresentative? Cosa acca de se sarà stipulato da uno soltanto dei predetti sindacati? Cosa accade se l'accordo aziendale non verrà sottoscritto dagli stessi sindacati che hanno redatto il ccnl di categoria ovvero verrà sottoscritto da alcuni dei sindacati che hanno aderito al ccnl? Ad avviso di questo pretore, in definitiva, appare coerente con

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

10 spirito della 1. 903/77, la quale, come si è già osservato, ha lo scopo di tutelare la parità uomo-donna nel lavoro e quin di di garantire anche alle lavoratrici, sia pur in presenza di de

terminate condizioni, il diritto (da esercitarsi liberamente) al la

voro notturno, ritenere che la legge in questione abbia mante

nuto il limitato potere negoziale (privato) dei sindacati (non necessariamente maggiormente rappresentativi) di vincolare agli accordi da loro stipulati soltanto le proprie iscritte (presumibil mente previa democratica consultazione).

Alla luce delle superiori premesse si può, pertanto, pervenire nel seguente modo alla soluzione della controversia in esame:

a) le ricorrenti non iscritte ai sindacati Cisl-Uil-Cisnal, che han

no sottoscritto il contestato accordo aziendale del 29 luglio 1988

(introduttivo dei venti turni settimanali), non sono obbligate al

rispetto dello stesso, anche perché non risulta che vi abbiano

aderito successivamente in modo esplicito (con accordo indivi

duale o con posteriore iscrizione alle predette organizzazioni sin

dacali). A tal proposito è utile osservare che l'accordo aziendale

del luglio 1988 preveda la verifica (non prima del 30 marzo

1989) della funzionalità del nuovo regime dei turni, sicché è

presumibile che le lavoratrici non iscritte ai sindacati, inserite

autoritativamente dall'azienda nella turnazione (con il compren sibile timore di provvedimenti disciplinari ove si fossero rifiuta

te alla prestazione lavorativa), abbiano sperato che le organiz zazioni sindacali, in particolare la Cgil che quell'accordo non

aveva sottoscritto, potessero pervenire ad una verifica negativa

(disdetta) ovvero ad una modifica della turnazione; se il ricorso

all'a.g.o. è avvenuto nel novembre del 1989 ciò si spiega con

11 fatto che la verifica è avvenuta soltanto nello stesso mese

e con la partecipazione della Cgil nella quale le ricorrenti pone vano molte delle loro speranze.

Che l'applicazione dell'accordo del luglio 1988 sia avvenuta

in un clima di fermenti fra le lavoratrici è dimostrato, peraltro, dalla documentazione prodotta dalle ricorrenti (articoli pubbli cati dall'organo di stampa del sindacato) e dalle stesse note in

formative trasmesse dal sindacato Cgil (lettera del 31 maggio

1990). Il decidente rileva, per completezza, che dagli atti di cau

sa non risulta che le ricorrenti, non iscritte ad alcuna associa

zione sindacale, abbiano sottoscritto, nel momento della loro

assunzione da parte della SGS, l'obbligo di rispettare qualsiasi accordo aziendale che la società avrebbe sottoscritto in futuro; si sottolinea ciò per evidenziare che le suddette lavoratrici, pur se nel momento dell'assunzione (come sembra) si sono impe

gnate a rispettare il ccnl di categoria praticato dall'azienda, con

tale assunzione di impegno, tuttavia, si sono tacitamente obbli

gate a recepire soltanto i rinnovi contrattuali (nazionali) ovvero

gli accordi aziendali integrativi sottoscritti dallo stesso agente sindacale nazionale; nel caso in esame non è possibile parlare, con riferimento all'accordo del luglio 1988, di contratto inte

grativo poiché trattasi di accordo modificativo (in peius) di quello

vigente nazionale.

E se è vero che le lavoratrici già prima del luglio 1988 aveva

no accettato turni lavorativi notturni introdotti da accordi azien

dali, è anche vero che la non iscrizione ad alcuna associazione

sindacale le lasciava libere di accettare o non ogni futuro e di

verso accordo aziendale (in conformità a quanto statuito dalla

Cassazione con la precisata sentenza). L'accordo sindacale del 29 luglio 1988 è privo di efficacia

anche nei confronti delle ricorrenti non iscritte, in quella data, al sindacato Cgil e ciò per un motivo in più: perché tale sinda

cato non ha sottoscritto il citato accordo in data 29 luglio 1988.

Piena efficacia, di contro, l'accordo del 29 luglio 1988 ha

nei confronti delle ricorrenti già aderenti, al momento della sot

toscrizione del suddetto contratto, al sindacato Cisnal. Questo,

invero, non ha mai comunicato alla controparte alcuna disdetta

e, pertanto, l'accordo non può che vincolare, ancora oggi, tutte

quelle associate nel cui interesse è stato concepito. L'accordo del 29 luglio 1988 ha efficacia anche nei confronti

delle ricorrenti iscritte ai sindacati Cisl ed Uil; vero è che i sud

detti sindacati hanno comunicato alla SGS-Thomson, con lette

ra del 18 giugno 1990, la propria volontà di disdire il verbale

del 23 novembre 1989 (cosiddetto di verifica dell'accordo del

luglio 1888); tuttavia, a parte il rilievo che la disdetta del verba

le non ha avuto l'esplicita finalità di coinvolgere anche l'accor

do del luglio 1988, al quale erano state apportate delle integra

zioni, devesi evidenziare che l'azienda ha prodotto un verbale

di incontro del 12 ottobre 1990 con il quale i sindacati Firn

e Uilm (unitamente alla Cgil) hanno confermato la validità del

verbale 23 novembre 1989.

Il Foro Italiano — 1991.

Stesso discorso può farsi, infine, per le ricorrenti iscritte, al

momento della redazione del verbale di verifica del 23 novem

bre 1989, al sindacato Cgil. Questo sindacato, invero, ha aderi

to all'accordo sindacale del 29 luglio 1988 soltanto con la sotto

scrizione del verbale di verifica ed anch'esso ha sottoscritto il

verbale di incontro del 12 ottobre 1990.

Per completezza ancora il decidente rileva che l'accordo del

29 luglio 1988 è stato comunicato all'ispettorato del lavoro di

Catania il quale, in risposta ad una richiesta di informative, non ha evidenziato di avere riscontrato alcuna violazione del

l'art. 5 1. 903/77.

La mancata comunicazione dell'accordo del 1984 (che pure aveva introdotto turni di lavoro notturno per le donne) non

può, invece, privare l'accordo del 1988 di efficacia: si è in pre senza di due accordi diversi ed autonomi l'uno dall'altro (anche in ordine agli agenti sindacali) e la legge non ricollega alcuna

inefficacia contrattuale alla mancata comunicazione.

Le ricorrenti, peraltro, hanno tardivamente (con le note con

clusive) impugnato l'accordo aziendale del 1984.

Per quanto concerne il capo di domanda volto ad ottenere

ulteriori maggiorazioni retributive per il lavoro domenicale svolto

occorre osservare che l'accordo del luglio 1988, integrato dal

verbale del novembre del 1989, prevede una indennità di lire

25.000, ragguagliata a ciascuna settimana lavorativa prestata nel

ciclo di lavoro articolato su venti turni settimanali; tale indenni

tà, ad avviso del giudicante, aveva l'evidente scopo di ricom

pensare la maggiore penosità del lavoro svolto anche nella gior nata della domenica e non già nei soli giorni non festivi della

settimana; essa indennità appare equa anche in considerazione

del fatto che il nuovo regime di turni non comporta il lavoro

delle interessate in tutte le domeniche del mese.

I

TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 1° marzo 1991; Pres. Pa

trone, Est. Scuffi; Soc. Cir (Avv. Panzarini, Tesone,

Brock, Colesanti) c. Mondadori, Formenton e Soc. Persia

(Aw. Franco, Mariconda), Soc. Fininvest (Aw. Dotti, Bo

nelli, Colombo, Cali), Mondadori (Avv. M. e P. Casella) e Formenton (Avv. Jaeger, Franco, Mariconda, Predieri).

TRIBUNALE DI MILANO;

Sequestro conservativo, giudiziale e convenzionale — Sequestro

giudiziario autorizzato anteriormente alla causa — Convalida — Valutazione della sussistenza dei presupposti di legge —

Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 680).

Sequestro conservativo, giudiziale e convenzionale — Sequestro

giudiziario autorizzato anteriormente alla causa — Diniego di convalida — Inefficacia del sequestro — Fattispecie (Cod.

proc. civ., art. 683).

In sede di convalida, la sussistenza delle condizioni legittimanti l'autorizzazione del sequestro giudiziario non deve essere va

lutata con esclusivo riferimento alla situazione esistente al mo

mento dell'emissione del provvedimento, ma tenendo conto

altresì' della situazione esistente al tempo della convalida (nel la specie, il giudicante ha ritenuto decisiva, al fine di negare la convalida, l'intervenuta emanazione di sentenza di merito

dichiarante la nullità del contratto in relazione al quale era

stata concessa la misura cautelare). (1)

(1-5) Altri provvedimenti relativi al «caso Mondadori» (per i prece denti v. Foro it., 1990, I, 1010 e 1701 e in questo fascicolo, I, 1861, con nota di F. Caso).

Sulla prima massima, v., per l'affermazione che il periculum in mora

deve essere valutato dal giudice della convalida con riferimento anche

alla situazione esistente al tempo della convalida, Cass. 13 novembre

1982, n. 7076, Foro it., Rep. 1982, voce Sequestro conservativo, giudi

ziale e convenzionale, n. 18; ma per l'affermazione contraria, per cui

il periculum va valutato esclusivamente con riguardo al momento in

cui il provvedimento è stato emanato, v. Cass. 6 luglio 1976, n. 2513,

id., Rep. 1976, voce cit., n. 18; 24 aprile 1974, n. 1191, id., Rep. 1974, voce cit., n. 19; analogamente, Satta, Commentario, IV, 221. Quanto all'altro requisito del fumus boni iuris, per l'affermazione (più tran

quilla) che la sua sussistenza va valutata con riguardo anche al tempo

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