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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 15 marzo 1988; Pres. ed est....

Date post: 27-Jan-2017
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sentenza 15 marzo 1988; Pres. ed est. Militerni; Maida e Sgueglia (Avv. Napolitano) Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 553/554-555/556 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183818 . Accessed: 28/06/2014 15:45 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.162 on Sat, 28 Jun 2014 15:45:12 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 15 marzo 1988; Pres. ed est. Militerni; Maida e Sgueglia (Avv. Napolitano)

sentenza 15 marzo 1988; Pres. ed est. Militerni; Maida e Sgueglia (Avv. Napolitano)Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 553/554-555/556Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183818 .

Accessed: 28/06/2014 15:45

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

nella precedente fase di incanto senza risultare aggiudicatari prov visori (Cass. 6 gennaio 1984, n. 88, Foro it., 1984, I, 1312; 27

maggio 1982, n. 3280, id., Rep. 1982, voce Esecuzione forzata

per obbligazioni pecuniarie, n. 30; 15 gennaio 1970, n. 84, id.,

1970, I, 26). Ciò premesso, proponeva opposizione ex art. 584 c.p.c. chie

dendo che venisse dichiarata l'inammissibilità della nuova offerta

di aumento di sesto con conseguente revoca del provvedimento datato 7 marzo 1988 che ha fissato la nuova gara per l'udienza

del 13 aprile 1988.

Diritto. — Si deve anzitutto premettere che nella specie si verte

in tema di procedimento concorsuale e non individuale e che i

provvedimenti emessi dal giudice delegato nella procedura di ven

dita di beni del fallimento sono impugnabili con il reclamo al

tribunale ex art. 26 1. fall., sostituendo il detto reclamo le opposi

zioni previste dalle norme sul procedimento esecutivo individuale.

Ciò precisato va chiarito che contro i suddetti provvedimenti,

l'impugnazione erroneamente proposta ai sensi dell'art. 617 c.p.c.

al giudice delegato, può essere da questo legittimamente rimessa

al tribunale, organo competente a decidere in forza del citato

art. 26 1. fall., e che la data di presentazione della impugnazione deve ritenersi idonea ad impedire ogni decadenza.

Un tanto premesso, si rileva che le sentenze della Suprema cor

te citate dal reclamante riguardano tutte esecuzioni individuali

la cui disciplina, per effetto del richiamo contenuto nell'art. 105

1. fall., non può applicarsi al processo di fallimento sic et simpli

citer, ma soltanto se compatibile con le specifiche norme e le

finalità del procedimento concorsuale, caratterizzato da un siste

ma di liquidazione dell'attivo che tende ad assicurare la realizza

zione del massimo valore pecuniario a tutela degli interessi della

massa e dello stesso debitore, sistema questo che per la sua com

piutezza esclude ogni ricorso all'analogia. Ciò è tanto vero che,

diversamente da quanto avviene nella esecuzione forzata conte

nuta nel codice di rito, l'art. 108 1. fall, riconosce al giudice dele

gato il potere di sospendere la vendita quando ritenga che il prezzo

offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, potere che può

essere esercitato fino al momento in cui venga pronunciato il de

creto di trasferimento in favore dell'aggiudicatario (Cass. 2 aprile

1985, n. 2259, id., Rep. 1985, voce Fallimento, n. 533).

Nella procedura fallimentare, inoltre, non è applicabile l'istitu

to della assegnazione dei beni, cosi come deve escludersi che il

giudice delegato, con il decreto dichiarativo della decadenza del

l'aggiudicatario per inadempienza, sia tenuto a fissare una udien

za per l'audizione delle parti, secondo la previsione degli art. 569

c.p.c. e 176 disp. att. c.p.c., trattandosi di un adempimento estra

neo alla procedura fallimentare, contraddistinta dall'impulso d'uf

ficio e dalla legittimazione del curatore a presentare l'istanza di

vendita. Diversità queste, ed altre ancora, che ci dicono con chia

rezza come il richiamo delle norme del codice di procedura civile

contenuto nel cit. art. 105, è solo di carattere generale, nel senso

cioè che nella procedura fallimentare l'alienazione degli immobili

non può avvenire che nelle forme della vendita forzata (discipli

nata nei suoi effetti dagli art. 2919 c.c. culminante nel decreto

di trasferimento), con esclusione della vendita a trattative priva

te, ma non nel senso che tutte le disposizioni contenute nel codice

di rito e le relative interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali

elaborate secondo le finalità di questa procedura debbano trasfe

rirsi pari pari nel procedimento concorsuale quando, come detto,

vi sia incompatibilità con le esigenze pubblicistiche proprie del

fallimento che mira a realizzare il massimo possibile per la tutela

degli interessi della massa.

Nel caso di specie, l'accoglimento del reclamo vanificherebbe

questi scopi perché comporterebbe inevitabilmente non solo la

perdita del sesto offerto in aumento, ma anche i probabili au

menti del prezzo che potrebbero realizzarsi durante lo svolgimen

to della gara, con conseguente pregiudizio per tutti i creditori

e, in particolare, per quelli chirografari che vedrebbero cosi ri

dotta la massa liquida ripartibile senza validi motivi, dal momen

to che né l'invocata norma di cui all'art. 584 c.p.c., né quella

dell'art. 571 dalla stessa richiamata, fanno discriminazioni (ecce

zion fatta per il debitore) per quanto riguarda i soggetti che pos

sono fare le offerte.

Va considerato, infine, che la pretesa del reclamante il quale,

con l'esclusione dell'offerente di sesto, vorrebbe sottrarsi alla nuova

gara passando da aggiudicatario provvisorio a definitivo, può es

sere comunque frustrata dal giudice delegato il quale, in presenza

della offerta più vantaggiosa presentata dal Colombo, può legit

II Foro Italiano — 1989.

timamente esercitare il potere di sospendere la vendita in corso

ai sensi del già ricordato 3° comma dell'art. 108,1. fall, e dispor ne una ex novo;

che l'esecizio di tale facoltà comporterebbe, però, inutili ritardi

e maggiori oneri senza alcun vantaggio per la massa e per i sog

getti interessati.

Per le svolte considerazioni, poiché il provvedimento reclamato

del giudice delegato deve ritenersi non solo legittimo, perché con

forme a legge, ma anche opportuno, il collegio deve necessaria

mente concludere con il rigetto del reclamo.

TRIBUNALE DI NAPOLI; sentenza 15 marzo 1988; Pres. ed

est. Militerni; Maida e Sgueglia (Avv. Napolitano).

TRIBUNALE DI NAPOLI;

Matrimonio — Inconsumazione — Divorzio — Domanda con

giunta — Inammissibilità (L. 1° dicembre 1970 n. 898, discipli na dei casi di scioglimento del matrimonio, art. 3; 1. 6 marzo

1987 n. 74, nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimen to del matrimonio, art. 8).

Il procedimento di divorzio su domanda congiunta non è ammis

sibile nell'ipotesi di matrimonio non consumato. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 22 giun

go 1987, Costantino Maida e Mariarosaria Sgueglia, premesso che I'll settembre 1986 avevano contratto matrimonio civile; che

la loro unione non si era mai perferzionata né con la convivenza

né con la consumazione del matrimonio; tutto ciò premesso, chie

devano pronunziarsi lo scioglimento del matrimonio ex art. 3,

n. 2/F, 1. 1° dicembre 1970 n. 898 e succ. modificazioni.

Comparsi in camera di consiglio, i coniugi ribadivano la circo

stanza di non avere consumato il matrimonio, e quindi, insisteva

no sulla richiesta di scioglimento. Motivi della decisione. — La questione sottoposta all'esame

del tribunale consiste nello stabilire se il procedimento previsto dall'art. 4, n. 13, 1. 1° dicembre 1970 n. 898 e succ. modif. possa essere esperito in tutte le ipotesi previste dall'art. 3 oppure unica

mente in quelle in cui l'accertamento dei requisiti stabiliti dalla

legge non richieda particolari indagini istruttorie, con conseguen

te esclusione della inconsumazione e della separazione di fatto.

È opportuno premettere, al fine di una più corretta soluzione

del prospettato problema, che, ai sensi dell'art. 12 disp. prel., la norma giuridica dev'essere interpretata soprattutto e principal mente dal punto di vista letterale, non potendosi al testo legislati

vo attribuire altro senso se non quello fatto palese dal significato

proprio delle parole, secondo la connessione di esse, e, unica

(1) In termini sostanzialmente analoghi, v. Trib. Napoli 11 febbraio

1988, Corriere giur., 1988, 241, secondo un orientamento per cui cfr.

F. Cap asso, Il nuovo processo introdotto dalla riforma del divorzio, id.,

1987, 872. A favore, invece, dell'ammissibilità del ricorso congiunto (e della procedura di cui all'art. 4, 13° comma, 1. div., quale risultante ai

sensi dell'art. 8 1. 6 marzo 1987 n. 74) anche nell'ipotesi di mancata con

sumazione del matrimonio (art. 3, n. 2, lett. f), v., in nota alla decisione

dianzi citata, A. Catalano, Disco rosso per il divorzio congiunto, id.,

1988, 242 e F. Cipriani, in F. Cipriani e E. Quadri, La nuova legge sul divorzio, Napoli, 1988, II, 335, ove si evidenzia la fragilità dell'argo mento costituito dall'impiego, da parte del legislatore, del termine «veri

ficare», invece che di quello «accertare», e l'applicabilità, quanto all'istruttoria del procedimento camerale in questione, dei principi gene rali relativi a tale rito (quali emergenti, in particolare, dalla giurispruden za della Corte costituzionale: e v., in tema di procedimento di revisione

dei provvedimenti adottati in sede di divorzio, Corte cost. 10 luglio 1975,

n. 202, Foro it., 1975, I, 1575, che ammette testimonianza e consulenza

tecnica). Nello stesso senso, sottolineando la possibilità di un'istruttoria,

cfr. anche L. Barbera, Il divorzio dopo la seconda riforma, Bologna,

1988, 86 e M. Dogliotti, Separazione e divorzio, Torino, 1988, 131,

nonché, implicitamente, A. Finocchiaro, in A. e M. Finocchiaro, Di

ritto di famiglia, III (Il divorzio), Milano, 1988, 342.

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PARTE PRIMA

mente nelle ipotesi in cui tale significato non sia già tanto chiaro

e univoco da rifiutare una diversa e contrastante interpretazione, si deve ricorrere al criterio logico al fine di individuare, attraver

so una congrua valutazione del fondamento della norma, la pre cisa intenzione del legislatore (Cass. n. 5901/79, Foro it., Rep.

1979, voce Legge, n. 38). Nel caso in esame, il menzionato art. 4 dispone che la doman

da congiunta dei coniugi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, che indichi anche compiutamente le condizioni inerenti alla prole ed ai rapporti economici è propo sto con ricorso al tribunale in camera di consiglio. Il tribunale, — precisa, poi, la norma — sentiti i coniugi, verificata l'esistenza

dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni

all'interesse dei figli, decide con sentenza.

Orbene, dalla chiara ed univoca formulazione letterale della

disposizione, appare evidente che l'ipotesi della inconsumazione

non possa essere fatta valere con il procedimento di divorzio con

giunto. Infatti, il termine «verificare» usato dal legislatore, indi

ca espressamente che il tribunale deve limitarsi unicamente a

controllare l'esistenza dei presupposti previsti dalla legge, presup

posti che già debbono risultare dagli atti e non possa, al contra

rio, eseguire accertamenti o indagini istruttorie per determinare

la esistenza delle condizioni che consentono lo scioglimento o la

cessazione degli effetti civili del matrimonio. I poteri del giudice, nella fattispecie in esame, si esauriscono, quindi, in un semplice controllo formale dei requisiti che consentono la proposizione della

domanda congiunta di divorzio.

L'ipotesi della inconsumazione, al contrario, richiede l'accerta

mento della mancata costituzione fra i coniugi di quella unione

materiale e spirituale, che costituisce la base del matrimonio e

tale accertamento, comportando indagini istruttorie complesse (pro va testimoniale, consulenza tecnica) non è compatibile con le fi

nalità — anche in relazione ai tempi del processo — che il

legislatore intendeva perseguire con la menzionata disposizione.

TRIBUNALE DI TORINO; sentenza 7 marzo 1988; Pres. ed est.

Gamba; Laurenzano (Aw. Caterina) c. Soc. Laminati plastici e rivestimenti (Avv. Russo, Rolando).

TRIBUNALE DI TORINO;

Lavoro (rapporto) — Dipendente in cassa integrazione guadagni — Licenziamento per svolgimento di altra attività — Lavoro

presso impresa familiare — Fattispecie (Cod. civ., art. 230 bis,

2106, 2119).

Costituisce giusta causa di licenziamento l'avere un dipendente in cassa integrazione guadagni gestito un'agenzia di pratiche automobilistiche o l'avervi lavorato in modo continuativo e si

stematico partecipando ad impresa familiare, tanto più che al

l'atto della messa in cassa integrazione si era impegnato per iscritto a non svolgere per conto di terzi alcuna attività retri

buita e che la grave e prolungata crisi aziendale in cui versava il datore rendeva particolarmente oneroso il mantenimento dei

rapporti di lavoro. (1)

(1) La sentenza conferma Pret. Torino 16 febbraio 1987, Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 2391. In senso conforme, ma in una

fattispecie in cui vi era stato impegno del lavoratore di comunicare all'a zienda e all'istituto previdenziale lo svolgimento di altra attività, cfr. Trib. Cassino 14 febbraio 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 2056. Sempre in senso conforme, ma in ipotesi in cui la prestazione del dipendente in c.i.g. è stata svolta in «nero» a favore di impresa concorrente, cfr. Trib. Alba 3 maggio 1986 e Pret. Bra 2 gennaio 1986, id., Rep. 1986, voce cit., nn. 2161, 2162. Contra, ma in un caso nel quale il contratto collettivo prevedeva la licenziabilità del solo lavoratore non sospeso, cfr. Trib. Treviso 18 aprile 1986, ibid., n. 2199. Pure in senso contrario, nel rilievo che il rapporto di lavoro e quello previdenziale sono autonomi e che la giusta causa di recesso può essere ravvisata solo quando appaia chiaro che la permanenza del rapporto viene sistematicamente usata per conseguire un illecito arricchimento e non ove vengano svolte prestazioni occasionali e sporadiche, cfr. Pret. Nocera Inferiore 16 novembre 1985, ibid., n. 1685. In tema di giusta causa di licenziamento, cfr., da ultimo, Pret. Milano 5 dicembre 1988, in questo fascicolo, I, 564, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1989.

Motivi della decisione. — Il pretore ha ritenuto che il Lauren

zano, durante il periodo in cui si trovava in c.i.g.s, abbia svolto

attività lavorativa presso una agenzia di pratiche automobilistiche

e che tale attività si debba considerare «remunerata» ai sensi del

l'art. 230 bis c.c., in quanto prestata in una impresa familiare.

Pertanto il Laurenzano avrebbe violato sia la diposizione dell'art.

3 d.l. lgt. 9 novembre 1945 n. 788, che stabilisce la incompatibili tà tra corresponsione di integrazione salariale e prestazione di

attività remunerata, e sia l'impegno di non svolgere attività retri

buita per conto terzi, assunto al momento in cui era stato posto in c.i.g.s. Cosi facendo egli avrebbe violato il dovere di fedeltà

e i principi di correttezza e di buona fede, facendo venire meno

la fiducia del datore di lavoro e dando luogo a una giusta causa

di licenziamento.

L'appellante censura la decisione pretorile sostenendo: la stri

dente sproporzione tra l'entità della circostanza di fatto e la loro

esagerata valutazione; l'esistenza di una vera e propria attività

lavorativa; la presunzione di gratuità del lavoro svolto a favore

del padre; la non violazione di obblighi di legge. Il tribunale osserva anzitutto, in linea di fatto, che la contesta

zione degli addebiti tra la sua origine da una indagine espletata da una agenzia investigativa su richiesta della spa L.P.R.

I due dipendenti della agenzia investigativa che effettuarono

il controllo, Posadino Giovanni e Pontanari Marco, hanno con

cordemente testimoniato di avere controllato l'agenzia di pratiche automobilistiche per una decina di giorni, dalla apertura alla chiu

sura, per tutto il giorno; che il Laurenzano apriva e chiudeva

l'agenzia, si tratteneva in essa tutto il giorno, allentandosene solo

qualche volta, per una ora circa, stava al banco parlando con

i clienti, batteva a macchina; che nella agenzia non lavoravano

persone più anziane del Laurenzano, mentre saltuariamente era

presente una persona più giovane. Anche il dirigente commercia

le della spa L.P.R., recatosi presso l'agenzia, .vi trovò il Lauren

zano seduto alla scrivania.

Nella valutazione della condotta del Laurenzano, bisogna tene

re conto che essa fu riscontrata nel corso di accertamenti «occa

sionali» e si mantenne costante e uguale per tutta la durata degli

stessi; che il padre, titolare della agenzia, non è mai stato visto

nella stessa; che il Laurenzano in un primo tempo ha addirittura

negato di avere svolto alcuna attività lavorativa (lettera 19 luglio

1985) e poi ha asserito di essersi recato in una o due occasioni

nell'agenzia del padre a «dargli una mano» o di essersi recato

saltuariamente nella stessa per aiutare il padre; inoltre non è sta

to dedotto o provato che tali «presenze» fossero dovute a motivi

contingenti ed occasionali.

Dall'esame delle risultanze di causa si ricava quindi la convin

zione che il Laurenzano lavorava nella agenzia in modo conti

nuativo e sistematico e che anzi gestiva l'agenzia stessa.

Molto si è discusso in causa circa il carattere oneroso o gratui to della attività del Laurenzano, in quanto prestata in una agen zia di pratiche automobilistiche intestata al padre, in relazione

alla disciplina dell'impresa familiare ex art. 230 bis c.c. A parte che in ordine a tale intestazione (peraltro concordemente riferita

dalle due parti) non è stata data alcuna prova, né sull'inizio e

sulla cessazione né delle vicende formali e sostanziali della agen zia stessa, è peraltro rilevante e significativa la considerazione

che l'indagine istruttoria non ha evidenziato alcuna partecipazio ne del padre alla attività della agenzia mentre è emerso che era

il Laurenzano a gestirla per cui la sua posizione in seno alla azienda

risultava quantomeno preponderante. Ad ogni modo, anche a volere inquadrare l'attività del Lauren

zano come collaborazione nella agenzia del padre e cioè come

partecipazione ad impresa familiare, bisogna ricordare l'insegna

mento, ormai consolidato, che la giurisprudenza della Corte di

cassazione ha elaborato in ordine alla natura e alle caratteristiche

essenziali dell'istituto dell'impresa familiare, secondo la nuova di

sciplina introdotta all'art. 230 bis c.c. della legge di riforma del

diritto di famiglia n. 151 del 1975. La corte con la sentenza 8 aprile 1981, n. 2021 (Foro it., 1981,

I, 2209), si è espressa nei seguenti termini: «È già stato, invero, sottolineato dalla dottrina che la richiamata disposizione legislati va riveste una funzione residuale o suppletiva, essendo diretta

ad apprestare una tutela minima ed inderogabile a quei rapporti che si svolgono negli aggregati familiari e che in passato vedeva

no spesso taluni membri della comunità familiare esplicitare una

preziosa attività lavorativa, in forme molteplici, senza alcuna ga

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