sentenza 15 settembre 1987; Pres. Verde, Est. Izzo; Centro iniziativa giuridica Calamandrei(Avv. Ghia, Rescigno) c. Bonino e Gruppo parlamentare radicale (Avv. Mellini, De Stefano)Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 907/908-911/912Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183877 .
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PARTE PRIMA
curazione (contratto), n. 222; 23 aprile 1981, n. 2428, id., Rep. 1981, voce cit., n. 347); nello stesso senso si esprime la c.d. giuris
prudenza pisana per la quale la disposizione del 3° comma del
l'art. 4 1. 39/77 si riferisce pur sempre ad una ipotesi di danno
incidente sul reddito e, quindi, non può essere utilizzata per la
liquidazione del diverso danno biologico; che il criterio sub 2), non è utilizzabile nel caso concreto in esame, essendo mancata
la determinazione della percentuale di invalidità nei soggetti agenti;
che, quindi, l'unico criterio praticabile nel caso concreto, appare essere quello equitativo che, però, dovrà essere utilizzato tenendo
conto della durata delle immissioni acustiche intollerabili, dell'in
cidenza di queste sulla salute e sulla vita di relazione degli attori,
dell'età, dell'attività, delle condizioni sociali e familiari dei dan neggiati, ecc.
Il tribunale, tenuto conto che gli attori, all'atto dell'acquisto,
sapevano della particolare ubicazione dell'appartamento da essi
scelto e, quindi, della probabilità di inconvenienti del tipo di quello
poi lamentati; del fatto che malgrado tale inconveniente, essi hanno
continuato ad occupare tale appartamento; che l'insopportabilità delle immissioni rumorose si è gradatamente attenuata nel tempo
per effetto degli interventi manutentivi eseguiti dal condominio, fino a risolversi del tutto (come il sig. Saccone ha espressamente dichiarato nell'assemblea del 3 dicembre 1987); che da tali immis
sioni acustiche non è derivata una specifica ed accertata invalidi
tà, né un particolare impedimento degli attori alla vita di relazione
ed all'attività lavorativa; che, ciò nonostante, non si può negare che gli attori abbiano subito effetti negativi sul bene primario della salute; tutto ciò considerato, liquida equitativamente, a fa
vore degli attori, a titolo di danno c.d. biologico, la complessiva somma di lire 25 milioni. Gli attori chiedono, altresì, la liquida zione del danno patrimoniale, consistito nel deprezzamento eco
nomico subito dal loro appartamento. La domanda va respinta, sia perché è mancata la prova (in
combente agli attori) dell'assunto deprezzamento, sia perché i la
vori eseguiti dal condominio lo hanno comunque eliminato. Va
altresì disattesa la richiesta di danno ex art. 2059 c.c.; non assu
mendo il fatto illecito di cui è causa le connotazioni di reato.
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 15 settembre 1987; Pres. Ver
de, Est. Izzo; Centro iniziativa giuridica Calamandrei (Avv.
Ghia, Rescigno) c. Bonino e Gruppo parlamentare radicale
(Avv. Mellini, De Stefano).
TRIBUNALE DI ROMA;
Persona giuridica — Fondazione — Atto costitutivo condiziona
to — Irrevocabilità — Condizioni (Cod. civ., art. 15).
L'atto costitutivo di una fondazione sottoposto alla condizione
sospensiva del riconoscimento da parte dell'autorità competen te non può essere revocato, e la revoca costituisce atto illegitti mo ed inefficace, se la fondazione abbia iniziato e proseguito la sua attività con il pieno consenso del fondatore. (1)
(1) Non constano precedenti sul punto; tuttavia, v. Cass. 29 febbraio
1968, n. 654, Foro it., 1968, I, 913 (e in Giur. it., 1968, I, 1, 1354, con nota di Rescigno), secondo cui il privato che ha attribuito beni ad una costituenda fondazione a condizione che questa ottenga il riconosci mento ed il suo statuto sia approvato nel testo allegato all'atto costituti
vo, può in caso di difformità dello statuto approvato da quello originario predisposto, chiedere al giudice ordinario la risoluzione della attribuzione
patrimoniale. Sull'applicabilità dell'art. 15 c.c. anche alle istituzioni pubbliche di as
sistenza e beneficenza, v. Cass. 4 luglio 1959, n. 2130, Foro it., 1959, I, 1990.
In ordine alla capacità dell'ente, l'orientamento prevalente nega alla fondazione in attesa di riconoscimento la capacità giuridica e l'autono mia giuridica dei beni devoluti allo scopo (v. Pret. Ali Terme 6 luglio 1981, id., Rep. 1984, voce Persona giuridica, n. 8, e in Giur. merito, 1984, 84, con nota di Vigotti; Cass. 7 agosto 1967, n. 2096, Foro it., Rep. 1968, voce cit., n. 8; Tar Toscana 27 marzo 1981, n. 150, id., Rep. 1981, voce cit., n. 4; App. Trento 27 maggio 1974, id., Rep. 1974, voce cit., n. 2). Di conseguenza, si ritiene responsabile di tutte le obbligazioni contrattuali ed extracontrattuali colui che è preposto all'amministrazione
Il Foro Italiano — 1989.
Motivi della decisione. — In via pregiudiziale, e con argomen tazioni diverse, il centro Calamandrei deduce che tanto l'on. Em
ma Bonino quanto il gruppo parlamentare radicale, in persona del presidente Francesco Rutelli, non sono legittimati a revocare
l'atto costitutivo della fondazione «centro di iniziativa giuridica Piero Calamandrei».
A parere del collegio l'eccezione è senz'altro fondata per quan to riguarda l'on. Bonino, mentre è priva di giuridico fondamento
per quanto riguarda il gruppo parlamentare radicale.
Invero, l'on. Bonino risulta intervenuta all'atto di revoca 11
febbraio 1986 a titolo personale come risulta dalla intestazione
dell'atto stesso. È evidente che, a tale titolo, l'on. Bonino non
può arrogarsi il potere di revocare l'atto di fondazione, alla cui
costituzione era invervenuto il gruppo parlamentare radicale, nel
la persona dell'allora presidente on. Bonino. Essendo quest'ulti ma cessata da tale carica, ella non ha più alcun titolo per l'esercizio
del potere di revoca, che compete, ai sensi dell'art. 15 c.c., esclu
sivamente al fondatore.
Sotto diverso profilo si deduce il difetto di legittimazione del
gruppo parlamentare radicale a revocare l'atto di fondazione. Si
assume dal centro Calamandrei la totale estinzione del gruppo
parlamentare radicale esistente nel 1978, alla scadenza di quella
legislatura. Pertanto, il gruppo parlamentare radicale del 1986
non può considerarsi a nessun titolo fondatore del centro Cala
mandrei ed è totalmente carente del potere di revocare una fon
dazione costituita dal gruppo esistente nel 1978.
L'assunto, a parere del collegio, non è fondato.
Com'è noto nel nostro ordinamento, i gruppi parlamentari,
espressamente previsti dalla Costituzione (art. 72, 3° comma), sono
disciplinati dai regolamenti parlamentari — la loro costituzione
è prevista dagli art. 14 e 15 del regolamento della camera e del
regolamento del senato — ed hanno avuto un esplicito riconosci
mento legislativo con la 1. n. 195 del 1974 sul finanziamento pub blico dei partiti, che ha conferito all'esistenza e all'attività dei
gruppi una sia pur limitata rilevanza esterna. Qualificati ora co
me organi interni delle camere ora come organi del partito, la
dottrina più recente ritiene che essi costituiscano figure soggettive
autonome, sia rispetto alla camera sia rispetto al partito, pur co
stituendo una necessaria articolazione della prima ed un necessa
dei beni (App. Bari 16 settembre 1963, id,, Rep. 1964, voce cit., n. 7). In senso contrario, Trib. Milano 19 settembre 1968, id., Rep. 1968, voce
cit., n. 12, secondo cui la fondazione in attesa di riconoscimento deve
reputarsi dotata di limitata soggettività; Trib. Rovereto 23 marzo 1973, id.. Rep. 1973, voce cit., n. 3, che ritiene ammissibile nel nostro ordina mento la figura della fondazione non riconosciuta.
La dottrina è concorde nel riconoscere l'inammissibilità della fondazio ne «di fatto»: v. Vigotti, Sul regime delle fondazioni in attesa di ricono
scimento, in Giur. merito, 1984, 84; Capozzi, Le associazioni in attesa di riconoscimento, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1970, 467, secondo
cui, qualora per le fondazioni venga svolta medio tempore un'attività in nome dell'ente, il fenomemo potrà essere ricondotto alla rappresentan za della persona giuridica futura. In senso contrario, Galgano, Sulla am missibilità d'una fondazione non riconosciuta, in Riv. dir. civ., 1963, II, 172.
Sulle modifiche dello statuto dell'ente in sede di riconoscimento, v. Cons. Stato, sez. I, 9 ottobre 1956, n. 1713, Foro it., Rep. 1958, voce cit., n. 4. Sui limiti a tali modifiche, v. App. Firenze 14 maggio 1964, id., Rep. 1964, voce cit., n. 11.
In dottrina, sull'atto di riconoscimento della fondazione, v. Rescigno, Negozio privato di fondazione e atto amministrativo di riconoscimento, in Giur. it., 1968, I, 1, 1353; Bassi, Contributo allo studio dell'atto di riconoscimento della personalità giuridica, in Riv. trim. dir. pubbl., 1961, 877.
Riguardo alla struttura del negozio di fondazione, v. Cass. 26 novem bre 1960, n. 3141, Foro it., Rep. 1961, voce cit., n. 4. Comunemente si ritiene (Cass. 4 luglio 1959, n. 2130, id., 1959, I, 1990; 14 dicembre
1967, n. 2958, id., Rep. 1968, voce cit., n. 16; 18 ottobre 1960, n. 2785, id., Rep. 1961, voce cit., n. 11) che, se il negozio di fondazione di un ente e quello di dotazione dei beni risultano contenuti nello stesso testo, sono inscindibilmente connessi, tanto da essere ricondotti ad un'unità fun zionale per il nesso teleologico; in tal caso, le vicende dell'uno si riper cuotono sull'altro.
In dottrina, sulla struttura del negozio di fondazione, v. Greco, Le
fondazioni non riconosciute, Milano, 1980; sulla ratio della differenza tra atto di fondazione e atto di dotazione, v. Rescigno, op. cit., 1355; Galgano, Delle associazioni e delle fondazioni, in Commentario Scialoja - Branca, Bologna - Roma, 1968, sub art. 14, 164 ss. Più in generale, v. Alpa, Il regime delle fondazioni in Italia e in Francia, in Le fondazio ni. Tradizione e modernità, Padova, 1988, 1-33.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
rio strumento di azione del secondo. Come entità distinta dal
partito, il gruppo si atteggia come centro di imputazioni giuridi
che, e quindi come soggetto di diritto distinto dagli associati e — avuto riguardo alla autonomia patrimoniale e di gestione —
esso può qualificarsi come associazione non riconosciuta, al pari del partito politico di cui è espressione. La giurisprudenza ha ri
conosciuto al gruppo parlamentare cosi qualificato la legittima zione ad agire in giudizio anche a tutela del proprio onore e della
propria reputazione (vedi Cass. 27 marzo 1962, n. 617, Foro it.,
Rep. 1962, voce Associazione non riconosciuta, n. 6; 20 agosto
1954, n. 2981, id., Rep. 1954, voce Partiti, n. 3; App. Roma
9 marzo 1962, id., 1962, I, 1369; Trib. Roma 10 marzo 1982,
id., 1982, I, 1405). Come soggetto autonomo rispetto agli associati, il gruppo par
lamentare permane come entità anche se ad ogni legislatura i suoi
componenti cambino.
Deve, pertanto, ritenersi che l'attuale gruppo parlamentare ra
dicale sia rimastro in astratto titolare del potere di revoca dell'at
to di fondazione, anche se diverso nella sua componente soggettiva
rispetto al 1978.
Nel merito, ritiene il collegio che sulla base di quanto disposto
dall'art. 15 c.c. la facoltà di revoca non poteva essere in concreto
esercitata. Com'è noto, la revoca del negozio di fondazione, —
espressione del più generale principio della revocabilità dei negozi
unilaterali — è sottoposta dal citato art. 15 ad una duplice limi
tazione: che non sia intervenuto il riconoscimento della fondazio
ne e che il fondatore non abbia fatto iniziare l'attività dell'opera
da lui disposta. La prima condizione appare senz'altro coerente con il sistema,
essendo il distacco del patrimonio destinato alla fondazione dai
beni del fondatore subordinato proprio alla concessione del rico
noscimento (Cass. 7 agosto 1967, n. 2096, id., Rep. 1967, voce
Persona giuridica, n. 3).
Quanto alla seconda condizione, un'autorevole dottrina, rifa
cendosi alla relazione del codice civile del guardasigilli (n. 35),
ha ritenuto che si debba spiegare con il fatto che, una volta dato
inizio alla opera, questa non rimane più nella sfera del fondato
re, ma, interessando ormai la generalità dei cittadini, non può
essere posta nel nulla ad arbitrio dei privati.
Tale argomentazione non è sembrata appagante ad altra parte
della dottrina, secondo cui l'interesse dei terzi risulterebbe suffi
cientemente tutelato applicando, ove ne ricorressero i presuppo
sti, l'art. 1989 c.c. che regola la vincolatività della promessa al
pubblico. Si è, dunque, considerato l'inizio tacito dell'attività una
rinuncia tacita alla facoltà di revoca.
Nel caso in esame è documentalmente provato che il centro
Calamandrei ha iniziato la sua attività immediatamente dopo la
costituzione, e l'ha proseguita, attraverso una intensa e serrata
serie di iniziative, ininterrottamente fino al 1986.
Questi dati di fatto risultano documentalmente provati, e non
sono contestati dalle controparti. L'inizio dell'attività da parte
del centro Calamandrei e la sua prosecuzione non sono, d'altro
canto, dovuti ad unilaterale iniziativa del consiglio di ammini
strazione del centro, poiché sono l'espressione di una costante
ed esplicita volontà del fondatore.
Risulta infatti per tabulas, attraverso i documenti esibiti, che
il gruppo parlamentare radicale ha costantemente rifinanziato l'at
tività del centro Calamandrei negli anni successivi al 1980; e che
ha, esplicitamente o implicitamente, espresso la propria adesione
alla utilizzazione dei fondi versati all'atto della costituzione, nel
lo svolgimento di tale attività, utilizzazione che risultava puntual
mente dagli annuari pubblicati dal centro.
Per di più, il gruppo parlamentare radicale, oltre a finanziare
direttamente l'attività del centro Calamandrei, si è attivamente
e fattivamente adoperato perché tale attività fosse finanziata an
che da altri soggetti (ed in quel caso dal partito radicale).
È dunque del tutto evidente che il centro Calamandrei ha ini
ziato l'attività, immediatamente dopo la costituzione, e l'ha pro
seguita, con il pieno consenso del fondatore.
Questa circostanza, corroborata dal consenso del fondatore,
integra pienamente la fattispecie di cui all'ultima parte del 1°
comma dell'art. 15.
In definitiva, poiché è incontestato che il centro Calamandrei
abbia iniziato e proseguito la sua attività con il pieno consenso
del fondatore, è indubbio che l'atto costitutivo del centro Cala
mandrei non può essere revocato neppure dal suo fondatore. Va
Il Foro Italiano — 1989.
ulteriormente rilevato che il patrimonio del centro Calamandrei,
quale risultante dalla dotazione effettuata dal fondatore gruppo
parlamentare radicale, era essenzialmente costituito da denaro li
quido; e che, in virtù delle norme statutarie, l'attività del centro
Calamandrei doveva svolgersi attraverso l'utilizzazione e la spen dita del fondo di dotazione. In buona sostanza, l'attività del cen
tro Calamandrei poteva e doveva svolgersi attraverso l'utilizzazione
e la spendita del fondo, e non attraverso l'utilizzazione e la spen dita dei soli frutti del fondo.
Ora, nella specie è evidente, dai bilanci pubblicati negli annua
ri del centro Calamandrei, che il fondo di dotazione iniziale è
stato interamente speso da tempo, sicché già nell'anno 1981 tale
fondo si era esaurito.
La successiva attività del centro Calamandrei è stata realizzata
utilizzando contributi provenienti dallo Stato o da soggetti priva
ti, tra i quali il partito radicale.
Questa obiettiva situazione, non solo ben nota al fondatore,
ma che costituiva esplicito oggetto di una previsione statutaria
del centro Calamandrei, nello statuto quale voluto dallo stesso
fondatore, integra gli estremi di una vera e propria impossibilità
in senso tecnico giuridico di far luogo alla revoca della fondazio
ne, quando questa abbia non solo iniziato e proseguito la propria
attività, ma anche interamente speso — in tale attività — tutto
il fondo di dotazione erogato dal fondatore.
Queste considerazioni e deduzioni valgono anche a chiarire co
me il comportamento del fondatore, successivo alla costituzione
del centro, si ponga in insanabile e stridente contrasto con la
condizione sospensiva contenuta nell'art. 5 dell'atto costitutivo.
Anche ammesso che questa possa essere intesa come una con
dizione volontaria, anziché, come appare attendibile dallo stesso
contesto dell'atto, di una condizione legale, sta in fatto che l'aver
consentito e favorito l'inizio e la prosecuzione dell'attività del
centro configura un comportamento totalmente incompatibile con
il mantenimento dell'elemento accidentale.
La tesi esposta dai convenuti, secondo la quale ci si troverebbe
di fronte, nel caso di specie, ad una sorta di fattispecie a forma
zione progressiva, nella quale il negozio di fondazione non sareb
be completo se non con l'intervento del riconoscimento da parte
dello Stato, è certamente infondata.
La scomposizione del negozio di fondazione in due o più di
stinti negozi, in particolare in un negozio di fondazione in senso
stretto ed un negozio di dotazione dei beni, sostenuta in passato
dalla dottrina, è ora abbandonata, e del resto anche la giurispru
denza (Cass. 14 dicembre 1967, n. 2958, id., Rep. 1968, voce
cit., n. 16), afferma la sostanziale unità, almeno teleologica, del
negozio di fondazione e di quello di dotazione.
La giurisprudenza ha anche avuto modo di affermare che il
negozio di fondazione non è confondibile con altre figure di libe
ralità, tra vivi o a causa di morte, ma costituisce un genus a
sé stante, e precisamente costituisce un «atto di privata autono
mia con il quale viene manifestata la destinazione di cespiti patri
moniali al conseguimento di uno scopo, viene determinato tale
scopo ed il modo di attuazione di questo e viene disposto che
i cespiti così destinati si trasferiscono all'ente, la cui costituzione
è prevista nell'atto stesso» (Cass. 29 febbraio 1969, n. 654).
Se volesse accedersi alla tesi dei convenuti, va osservato, nella
specie, che l'atto di fondazione è stato reso pubblico e che per
tanto esso ha assunto la sostanza di una promessa al pubblico
ai sensi dell'art. 1989 c.c. con, tutte le conseguenze sia in ordine
alla responsabilità patrimoniale, che in ordine alla rilevanza ver
so i terzi. Al riguardo va precisato che secondo la più recente
giurisprudenza l'atto di dotazione «produce l'immediato effetto
di destinare i beni all'ente nascituro, sottraendoli non soltanto
ad ogni altra destinazione, ma anche al suo precedente titolare,
il quale non può più disporre di quei beni se non con la revoca
dell'atto di fondazióne, nei limiti previsti dall'art. 15 c.c.» rico
noscendo in tal modo una sorta di limitata soggettività della fon
dazione in attesa di riconoscimento (Cass. 15 aprile 1975, n. 1427,
id., 1976 I, 1683; Trib. Milano 19 settembre 1968, id., Rep. 1968, voce cit., n. 12).
Va infine precisato che, sempre accedendo alla tesi della fatti
specie a formazione progressiva e pur prescindendo dal successi
vo comportamento del gruppo parlamentare radicale, il contegno
del gruppo, se diretto a impedire senza idonea giustificazione l'av
verarsi dell'evento, in ipotesi dedotto in condizione volontaria so
spensiva — e sempre che questa possa ritenersi effettivamente
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PARTE PRIMA
operante, — non può sfuggire alla applicazione dell'art. 1358 c.c.
In conclusione, anche alla stregua delle tesi dei convenuti, non
può negarsi che alla fattispecie si applichino integralmente le di
sposizioni di cui all'art. 15 c.c., e che pertanto l'atto di revoca
in data 19 febbraio 1986 debba essere dichiarato illegittimo ed
inefficace.
La domanda principale proposta dal centro va, pertanto, accolta.
Va invece respinta la domanda di risarcimento dei danni non
essendo stata fornita prova alcuna del pregiudizio economico su
bito dallo stesso centro in conseguenza dell'atto di revoca del
negozio di fondazione.
PRETURA DI ROMA; ordinanza 30 giugno 1988; Giud. Giulia
ni; Soc. Tota (Avv. Galluzzo) c. Rai-Tv (Avv. Esposito, Sa
vini) e altri.
PRETURA DI ROMA;
Diritti d'autore — Schema di programma televisivo — Opera del
l'ingegno — Esclusione (L. 22 aprile 1941 n. 633, protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, art. 102).
Lo schema di un programma televisivo, che resti nell'àmbito del
la genericità e necessiti di ulteriori elaborazioni, non assurge al rango di opera letteraria e, quindi, non è tutelabile ai sensi
della normativa sul diritto d'autore. (1)
Vanno preliminarmente considerate le domande di cautela ati
pica, spiegate dalla ricorrente e dai terzi intervenuti, le quali at
tengono, rispettivamente, alla tutela dei diritti di utilizzazione
economica sopra l'idea-soggetto per un talk-show dal titolo «La
taverna dei sette peccati», acquistati dalla srl «Tota» in forza
alla scrittura privata in data 27 luglio 1987, ovvero la tutela dei
diritti morali e relativi diritti patrimoniali (di utilizzazione econo
mica, condizionatamente alla mancata realizzazione del program ma da parte dell'istante entro il termine di due anni dalla cessione, e di conseguimento del 25% degli utili che la Tota avrebbe potu to ottenere nell'ipotesi invece di realizzazione appunto del pro
gramma medesimo) spettanti agli autori Barboni e Miglietta. In merito, occorre pregiudizialmente considerare se «La taver
na dei sette peccati» possa o meno formare oggetto del diritto
d'autore, siccome opera dell'ingegno di carattere creativo, ai sen
si degli art. 2575 c.c. e 1 ss. 1. n. 633 del 1941.
Al riguardo, ritiene il giudicante, sulla base della stessa pro
spettazione delle parti interessate («Idea per un talk-show» si leg
ge infatti sul frontespizio del testo de «La taverna dei sette peccati»
depositato dalla ricorrente, laddove, nell'atto introduttivo, si ac
cenna, rispettivamente, ad «una articolata idea» ovvero ad una
«idea-soggetto»), che nella specie ci si trovi in presenza di una
c.d. «idea elaborata», cioè a dire non di un semplice suggerimen to generico per la creazione di una opera dell'ingegno, ma ap
punto di uno «schema elaborato» che possa già servire da traccia
concreta per ulteriore attività creativa (da compiersi in genere da
altri soggetti) che porti ad una completa e specifica opera del
l'ingegno. Se così è, giova subito osservare come sia da escluderne la pro
tezione, giusta l'orientamento accolto tanto in dottrina quanto in giurisprudenza.
(1) Negli esatti termini, v. Pret. Roma 8 giugno 1987, Foro it., Rep. 1987, voce Diritti d'autore, n. 80. Laddove, invece, lo schema di pro gramma si sia esplicitato in un vero e proprio spettacolo televisivo, dota to di individualità e di autonomia, la giurisprudenza accorda la tutela ai sensi del diritto d'autore: v., da ultimo, Pret. Torino 8 aprile 1987, ibid., n. 79, per esteso in Dir. autore, 1987, 554, con nota di P. Lax, È possibile parlare di soggetto televisivo? Dottrina e giurisprudenza, in fatti (v., per tutti, Lax, cit., con ampi richiami), hanno ripetutamente escluso il ricorso alla 1. 633/41 ogni volta che la querelle riguardasse un mero scheletro di programma, una semplice ipotesi di lavoro, per di più non ancora destinata alla fruizione diretta dei telespettatori (come nel caso de quo). Direttamente conseguenziale è, poi, l'esclusione di ogni profilo di concorrenza sleale, non trattandosi di opera dell'ingegno: v., da ultimo, Cass. 5 febbraio 1988, n. 1264, Foro it., 1988, I, 1554.
Il Foro Italiano — 1989.
Viene infatti affermato che l'autore dello schema non è autore
di opera dell'ingegno quando si limiti ad indicare il genus entro
il quale dovrà inquadrarsi una successiva creazione altrui o, in
altre parole, quando enunci certe regole cui deve attenersi il futu
ro autore dell'opera specifica. In particolare, non è da considerare autore colui che suggerisce
l'idea di un programma radiofonico o televisivo nemmeno se in
dica con una certa precisione l'oggetto da trattare, i mezzi di
espressione da utilizzare, gli interpreti da impiegare.
Costui, infatti, si afferma in dottrina, ha solo enunciato certe
regole da seguire per ottenere certi risultati che egli ritiene racco
mandabili. L'opera suscettibile di protezione a norma del diritto d'autore
sarà invece quella dell'altro soggetto che ha seguito quelle regole si da inquadrare la sua attività nello schema — generico appunto
perché utilizzabile per una serie indeterminata di opere specifiche — ma che ha creato liberamente nell'ambito del genus.
Coerentemente con siffatti principi, anche la giurisprudenza ha
riconosciuto che gli schemi ideativi e gli elementi embrionali di
un'opera, del tipo appunto delle idee per uno spettacolo televisi
vo, i quali per raggiungere individualità e completezza di rappre sentazione e di espressione debbono essere sottoposti ad ulteriore
processo di elaborazione e di integrazione con altri elementi crea
tivi, non possono considerarsi ancora l'opera dell'ingegno previ sta e tutelata dalla 1. n. 633 del 1941 (App. Torino 8 aprile 1960, Foro it., Rep. 1060, voce Diritti d'autore, n. 43), neppure ove
contengano la specificazione delle modalità esecutive di svolgi
mento, posto che a tal fine non basta una semplice schematizza
zione, più o meno articolata, di talune idee-base, ma occorre
l'organica elaborazione di tali idee, in guisa da realizzare un'e
spressione compiuta nell'ambito dei generi creativi conosciuti (cfr. Pret. Roma 5 gennaio 1968, id., 1968, I, 2643), laddove in siffat
ti schemi manca appunto quella compiutezza formale di espres sione e rappresentazione dalla quale possa ricavarsi la «creatività»,
requisito essenziale dell'opera dell'ingegno (Trib. Roma 13 luglio
1963, id., Rep. 1965, voce cit. n. 23; Pret. Verona 26 gennaio
1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 24). In questo senso, si è precisato che le ideazioni in esame, per
assurgere a dignità di «soggetto», cioè per essere un'opera viven
te di vita autonoma a prescindere dalla sua trasposizione nello
spettacolo televisivo, dovrebbero contenere la rappresentazione, se non ancora nella forma dettagliata della sceneggiatura, quanto meno come compendio dello sviluppo visivo e verbale dello svol
gimento dei vari temi (App. Torino 8 aprile 1960, cit.). Ciò postula, però, che lo «schema» sia espresso in modo da
potere esso stesso, senza la necessaria intermediazione dell'opera che eventualmente si volesse creare mediante quello schema ap
punto, funzionare da stimolo a reazioni emotive nel percipiente
(cosi come accade, ad esempio, per lo schema di un racconto, destinato ad una successiva elaborazione cinematografica, il qua le possa configurarsi come autonoma opera letteraria, o, addirit
tura, per la sceneggiatura del film, la quale è pacificamente ammesso che possa essere protetta come opera letteraria), senza
viceversa dover concludere nel senso di riconoscere tutela esclusi
vamente all'«esteriorizzazione» o «esecuzione organica» del pro
getto (cfr. Pret. Milano 22 maggio 1963, id., Rep. 1964, voce
cit., n. 13) che faccia assurgere quest'ultimo, indipendentemente dalla sua «originalità» (nient'affatto determinante ai fini della
tutela), alla dignità di opera dell'ingegno. Tutto ciò premesso, ritiene il giudicante che tale non possa es
sere considerata l'idea per un talk-show di Barboni e Miglietta dal titolo «La taverna dei sette peccati» e che a detta «idea»
non competa quindi la tutela riconosciuta in materia di diritti
d'autore, restando in tal modo assorbita ogni ulteriore questione, sia per quanto attiene al «raffronto» tra «La taverna dei sette
peccati» ed il programma televisivo «Di che vizio sei?» (ciò che,
evidentemente, costituisce un posterius logico-giuridico rispetto al profilo preliminare sin qui esaminato, relativo appunto alla
configurabilità dell'idea articolata dei terzi intervenuti quale «opera
protetta») sia per quanto attiene — ancora oltre — alla stessa
sussistenza del requisito dell'imminenza del pregiudizio in ragio ne del sopravvenuto esaurimento del ciclo di sette puntate del
programma «Di che vizio sei?».
In proposito, varrà per un verso sottolineare la «genericità» dello schema per cui è causa, il quale, ancorché imperniato su
determinate idee-base originali, più o meno articolate, ha poi avuto,
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