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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 15 settembre 1987; Pres. Verde, Est....

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sentenza 15 settembre 1987; Pres. Verde, Est. Izzo; Centro iniziativa giuridica Calamandrei (Avv. Ghia, Rescigno) c. Bonino e Gruppo parlamentare radicale (Avv. Mellini, De Stefano) Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 907/908-911/912 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183877 . Accessed: 28/06/2014 09:21 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.103.2 on Sat, 28 Jun 2014 09:21:15 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 15 settembre 1987; Pres. Verde, Est. Izzo; Centro iniziativa giuridica Calamandrei(Avv. Ghia, Rescigno) c. Bonino e Gruppo parlamentare radicale (Avv. Mellini, De Stefano)Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 907/908-911/912Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183877 .

Accessed: 28/06/2014 09:21

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PARTE PRIMA

curazione (contratto), n. 222; 23 aprile 1981, n. 2428, id., Rep. 1981, voce cit., n. 347); nello stesso senso si esprime la c.d. giuris

prudenza pisana per la quale la disposizione del 3° comma del

l'art. 4 1. 39/77 si riferisce pur sempre ad una ipotesi di danno

incidente sul reddito e, quindi, non può essere utilizzata per la

liquidazione del diverso danno biologico; che il criterio sub 2), non è utilizzabile nel caso concreto in esame, essendo mancata

la determinazione della percentuale di invalidità nei soggetti agenti;

che, quindi, l'unico criterio praticabile nel caso concreto, appare essere quello equitativo che, però, dovrà essere utilizzato tenendo

conto della durata delle immissioni acustiche intollerabili, dell'in

cidenza di queste sulla salute e sulla vita di relazione degli attori,

dell'età, dell'attività, delle condizioni sociali e familiari dei dan neggiati, ecc.

Il tribunale, tenuto conto che gli attori, all'atto dell'acquisto,

sapevano della particolare ubicazione dell'appartamento da essi

scelto e, quindi, della probabilità di inconvenienti del tipo di quello

poi lamentati; del fatto che malgrado tale inconveniente, essi hanno

continuato ad occupare tale appartamento; che l'insopportabilità delle immissioni rumorose si è gradatamente attenuata nel tempo

per effetto degli interventi manutentivi eseguiti dal condominio, fino a risolversi del tutto (come il sig. Saccone ha espressamente dichiarato nell'assemblea del 3 dicembre 1987); che da tali immis

sioni acustiche non è derivata una specifica ed accertata invalidi

tà, né un particolare impedimento degli attori alla vita di relazione

ed all'attività lavorativa; che, ciò nonostante, non si può negare che gli attori abbiano subito effetti negativi sul bene primario della salute; tutto ciò considerato, liquida equitativamente, a fa

vore degli attori, a titolo di danno c.d. biologico, la complessiva somma di lire 25 milioni. Gli attori chiedono, altresì, la liquida zione del danno patrimoniale, consistito nel deprezzamento eco

nomico subito dal loro appartamento. La domanda va respinta, sia perché è mancata la prova (in

combente agli attori) dell'assunto deprezzamento, sia perché i la

vori eseguiti dal condominio lo hanno comunque eliminato. Va

altresì disattesa la richiesta di danno ex art. 2059 c.c.; non assu

mendo il fatto illecito di cui è causa le connotazioni di reato.

TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 15 settembre 1987; Pres. Ver

de, Est. Izzo; Centro iniziativa giuridica Calamandrei (Avv.

Ghia, Rescigno) c. Bonino e Gruppo parlamentare radicale

(Avv. Mellini, De Stefano).

TRIBUNALE DI ROMA;

Persona giuridica — Fondazione — Atto costitutivo condiziona

to — Irrevocabilità — Condizioni (Cod. civ., art. 15).

L'atto costitutivo di una fondazione sottoposto alla condizione

sospensiva del riconoscimento da parte dell'autorità competen te non può essere revocato, e la revoca costituisce atto illegitti mo ed inefficace, se la fondazione abbia iniziato e proseguito la sua attività con il pieno consenso del fondatore. (1)

(1) Non constano precedenti sul punto; tuttavia, v. Cass. 29 febbraio

1968, n. 654, Foro it., 1968, I, 913 (e in Giur. it., 1968, I, 1, 1354, con nota di Rescigno), secondo cui il privato che ha attribuito beni ad una costituenda fondazione a condizione che questa ottenga il riconosci mento ed il suo statuto sia approvato nel testo allegato all'atto costituti

vo, può in caso di difformità dello statuto approvato da quello originario predisposto, chiedere al giudice ordinario la risoluzione della attribuzione

patrimoniale. Sull'applicabilità dell'art. 15 c.c. anche alle istituzioni pubbliche di as

sistenza e beneficenza, v. Cass. 4 luglio 1959, n. 2130, Foro it., 1959, I, 1990.

In ordine alla capacità dell'ente, l'orientamento prevalente nega alla fondazione in attesa di riconoscimento la capacità giuridica e l'autono mia giuridica dei beni devoluti allo scopo (v. Pret. Ali Terme 6 luglio 1981, id., Rep. 1984, voce Persona giuridica, n. 8, e in Giur. merito, 1984, 84, con nota di Vigotti; Cass. 7 agosto 1967, n. 2096, Foro it., Rep. 1968, voce cit., n. 8; Tar Toscana 27 marzo 1981, n. 150, id., Rep. 1981, voce cit., n. 4; App. Trento 27 maggio 1974, id., Rep. 1974, voce cit., n. 2). Di conseguenza, si ritiene responsabile di tutte le obbligazioni contrattuali ed extracontrattuali colui che è preposto all'amministrazione

Il Foro Italiano — 1989.

Motivi della decisione. — In via pregiudiziale, e con argomen tazioni diverse, il centro Calamandrei deduce che tanto l'on. Em

ma Bonino quanto il gruppo parlamentare radicale, in persona del presidente Francesco Rutelli, non sono legittimati a revocare

l'atto costitutivo della fondazione «centro di iniziativa giuridica Piero Calamandrei».

A parere del collegio l'eccezione è senz'altro fondata per quan to riguarda l'on. Bonino, mentre è priva di giuridico fondamento

per quanto riguarda il gruppo parlamentare radicale.

Invero, l'on. Bonino risulta intervenuta all'atto di revoca 11

febbraio 1986 a titolo personale come risulta dalla intestazione

dell'atto stesso. È evidente che, a tale titolo, l'on. Bonino non

può arrogarsi il potere di revocare l'atto di fondazione, alla cui

costituzione era invervenuto il gruppo parlamentare radicale, nel

la persona dell'allora presidente on. Bonino. Essendo quest'ulti ma cessata da tale carica, ella non ha più alcun titolo per l'esercizio

del potere di revoca, che compete, ai sensi dell'art. 15 c.c., esclu

sivamente al fondatore.

Sotto diverso profilo si deduce il difetto di legittimazione del

gruppo parlamentare radicale a revocare l'atto di fondazione. Si

assume dal centro Calamandrei la totale estinzione del gruppo

parlamentare radicale esistente nel 1978, alla scadenza di quella

legislatura. Pertanto, il gruppo parlamentare radicale del 1986

non può considerarsi a nessun titolo fondatore del centro Cala

mandrei ed è totalmente carente del potere di revocare una fon

dazione costituita dal gruppo esistente nel 1978.

L'assunto, a parere del collegio, non è fondato.

Com'è noto nel nostro ordinamento, i gruppi parlamentari,

espressamente previsti dalla Costituzione (art. 72, 3° comma), sono

disciplinati dai regolamenti parlamentari — la loro costituzione

è prevista dagli art. 14 e 15 del regolamento della camera e del

regolamento del senato — ed hanno avuto un esplicito riconosci

mento legislativo con la 1. n. 195 del 1974 sul finanziamento pub blico dei partiti, che ha conferito all'esistenza e all'attività dei

gruppi una sia pur limitata rilevanza esterna. Qualificati ora co

me organi interni delle camere ora come organi del partito, la

dottrina più recente ritiene che essi costituiscano figure soggettive

autonome, sia rispetto alla camera sia rispetto al partito, pur co

stituendo una necessaria articolazione della prima ed un necessa

dei beni (App. Bari 16 settembre 1963, id,, Rep. 1964, voce cit., n. 7). In senso contrario, Trib. Milano 19 settembre 1968, id., Rep. 1968, voce

cit., n. 12, secondo cui la fondazione in attesa di riconoscimento deve

reputarsi dotata di limitata soggettività; Trib. Rovereto 23 marzo 1973, id.. Rep. 1973, voce cit., n. 3, che ritiene ammissibile nel nostro ordina mento la figura della fondazione non riconosciuta.

La dottrina è concorde nel riconoscere l'inammissibilità della fondazio ne «di fatto»: v. Vigotti, Sul regime delle fondazioni in attesa di ricono

scimento, in Giur. merito, 1984, 84; Capozzi, Le associazioni in attesa di riconoscimento, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1970, 467, secondo

cui, qualora per le fondazioni venga svolta medio tempore un'attività in nome dell'ente, il fenomemo potrà essere ricondotto alla rappresentan za della persona giuridica futura. In senso contrario, Galgano, Sulla am missibilità d'una fondazione non riconosciuta, in Riv. dir. civ., 1963, II, 172.

Sulle modifiche dello statuto dell'ente in sede di riconoscimento, v. Cons. Stato, sez. I, 9 ottobre 1956, n. 1713, Foro it., Rep. 1958, voce cit., n. 4. Sui limiti a tali modifiche, v. App. Firenze 14 maggio 1964, id., Rep. 1964, voce cit., n. 11.

In dottrina, sull'atto di riconoscimento della fondazione, v. Rescigno, Negozio privato di fondazione e atto amministrativo di riconoscimento, in Giur. it., 1968, I, 1, 1353; Bassi, Contributo allo studio dell'atto di riconoscimento della personalità giuridica, in Riv. trim. dir. pubbl., 1961, 877.

Riguardo alla struttura del negozio di fondazione, v. Cass. 26 novem bre 1960, n. 3141, Foro it., Rep. 1961, voce cit., n. 4. Comunemente si ritiene (Cass. 4 luglio 1959, n. 2130, id., 1959, I, 1990; 14 dicembre

1967, n. 2958, id., Rep. 1968, voce cit., n. 16; 18 ottobre 1960, n. 2785, id., Rep. 1961, voce cit., n. 11) che, se il negozio di fondazione di un ente e quello di dotazione dei beni risultano contenuti nello stesso testo, sono inscindibilmente connessi, tanto da essere ricondotti ad un'unità fun zionale per il nesso teleologico; in tal caso, le vicende dell'uno si riper cuotono sull'altro.

In dottrina, sulla struttura del negozio di fondazione, v. Greco, Le

fondazioni non riconosciute, Milano, 1980; sulla ratio della differenza tra atto di fondazione e atto di dotazione, v. Rescigno, op. cit., 1355; Galgano, Delle associazioni e delle fondazioni, in Commentario Scialoja - Branca, Bologna - Roma, 1968, sub art. 14, 164 ss. Più in generale, v. Alpa, Il regime delle fondazioni in Italia e in Francia, in Le fondazio ni. Tradizione e modernità, Padova, 1988, 1-33.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

rio strumento di azione del secondo. Come entità distinta dal

partito, il gruppo si atteggia come centro di imputazioni giuridi

che, e quindi come soggetto di diritto distinto dagli associati e — avuto riguardo alla autonomia patrimoniale e di gestione —

esso può qualificarsi come associazione non riconosciuta, al pari del partito politico di cui è espressione. La giurisprudenza ha ri

conosciuto al gruppo parlamentare cosi qualificato la legittima zione ad agire in giudizio anche a tutela del proprio onore e della

propria reputazione (vedi Cass. 27 marzo 1962, n. 617, Foro it.,

Rep. 1962, voce Associazione non riconosciuta, n. 6; 20 agosto

1954, n. 2981, id., Rep. 1954, voce Partiti, n. 3; App. Roma

9 marzo 1962, id., 1962, I, 1369; Trib. Roma 10 marzo 1982,

id., 1982, I, 1405). Come soggetto autonomo rispetto agli associati, il gruppo par

lamentare permane come entità anche se ad ogni legislatura i suoi

componenti cambino.

Deve, pertanto, ritenersi che l'attuale gruppo parlamentare ra

dicale sia rimastro in astratto titolare del potere di revoca dell'at

to di fondazione, anche se diverso nella sua componente soggettiva

rispetto al 1978.

Nel merito, ritiene il collegio che sulla base di quanto disposto

dall'art. 15 c.c. la facoltà di revoca non poteva essere in concreto

esercitata. Com'è noto, la revoca del negozio di fondazione, —

espressione del più generale principio della revocabilità dei negozi

unilaterali — è sottoposta dal citato art. 15 ad una duplice limi

tazione: che non sia intervenuto il riconoscimento della fondazio

ne e che il fondatore non abbia fatto iniziare l'attività dell'opera

da lui disposta. La prima condizione appare senz'altro coerente con il sistema,

essendo il distacco del patrimonio destinato alla fondazione dai

beni del fondatore subordinato proprio alla concessione del rico

noscimento (Cass. 7 agosto 1967, n. 2096, id., Rep. 1967, voce

Persona giuridica, n. 3).

Quanto alla seconda condizione, un'autorevole dottrina, rifa

cendosi alla relazione del codice civile del guardasigilli (n. 35),

ha ritenuto che si debba spiegare con il fatto che, una volta dato

inizio alla opera, questa non rimane più nella sfera del fondato

re, ma, interessando ormai la generalità dei cittadini, non può

essere posta nel nulla ad arbitrio dei privati.

Tale argomentazione non è sembrata appagante ad altra parte

della dottrina, secondo cui l'interesse dei terzi risulterebbe suffi

cientemente tutelato applicando, ove ne ricorressero i presuppo

sti, l'art. 1989 c.c. che regola la vincolatività della promessa al

pubblico. Si è, dunque, considerato l'inizio tacito dell'attività una

rinuncia tacita alla facoltà di revoca.

Nel caso in esame è documentalmente provato che il centro

Calamandrei ha iniziato la sua attività immediatamente dopo la

costituzione, e l'ha proseguita, attraverso una intensa e serrata

serie di iniziative, ininterrottamente fino al 1986.

Questi dati di fatto risultano documentalmente provati, e non

sono contestati dalle controparti. L'inizio dell'attività da parte

del centro Calamandrei e la sua prosecuzione non sono, d'altro

canto, dovuti ad unilaterale iniziativa del consiglio di ammini

strazione del centro, poiché sono l'espressione di una costante

ed esplicita volontà del fondatore.

Risulta infatti per tabulas, attraverso i documenti esibiti, che

il gruppo parlamentare radicale ha costantemente rifinanziato l'at

tività del centro Calamandrei negli anni successivi al 1980; e che

ha, esplicitamente o implicitamente, espresso la propria adesione

alla utilizzazione dei fondi versati all'atto della costituzione, nel

lo svolgimento di tale attività, utilizzazione che risultava puntual

mente dagli annuari pubblicati dal centro.

Per di più, il gruppo parlamentare radicale, oltre a finanziare

direttamente l'attività del centro Calamandrei, si è attivamente

e fattivamente adoperato perché tale attività fosse finanziata an

che da altri soggetti (ed in quel caso dal partito radicale).

È dunque del tutto evidente che il centro Calamandrei ha ini

ziato l'attività, immediatamente dopo la costituzione, e l'ha pro

seguita, con il pieno consenso del fondatore.

Questa circostanza, corroborata dal consenso del fondatore,

integra pienamente la fattispecie di cui all'ultima parte del 1°

comma dell'art. 15.

In definitiva, poiché è incontestato che il centro Calamandrei

abbia iniziato e proseguito la sua attività con il pieno consenso

del fondatore, è indubbio che l'atto costitutivo del centro Cala

mandrei non può essere revocato neppure dal suo fondatore. Va

Il Foro Italiano — 1989.

ulteriormente rilevato che il patrimonio del centro Calamandrei,

quale risultante dalla dotazione effettuata dal fondatore gruppo

parlamentare radicale, era essenzialmente costituito da denaro li

quido; e che, in virtù delle norme statutarie, l'attività del centro

Calamandrei doveva svolgersi attraverso l'utilizzazione e la spen dita del fondo di dotazione. In buona sostanza, l'attività del cen

tro Calamandrei poteva e doveva svolgersi attraverso l'utilizzazione

e la spendita del fondo, e non attraverso l'utilizzazione e la spen dita dei soli frutti del fondo.

Ora, nella specie è evidente, dai bilanci pubblicati negli annua

ri del centro Calamandrei, che il fondo di dotazione iniziale è

stato interamente speso da tempo, sicché già nell'anno 1981 tale

fondo si era esaurito.

La successiva attività del centro Calamandrei è stata realizzata

utilizzando contributi provenienti dallo Stato o da soggetti priva

ti, tra i quali il partito radicale.

Questa obiettiva situazione, non solo ben nota al fondatore,

ma che costituiva esplicito oggetto di una previsione statutaria

del centro Calamandrei, nello statuto quale voluto dallo stesso

fondatore, integra gli estremi di una vera e propria impossibilità

in senso tecnico giuridico di far luogo alla revoca della fondazio

ne, quando questa abbia non solo iniziato e proseguito la propria

attività, ma anche interamente speso — in tale attività — tutto

il fondo di dotazione erogato dal fondatore.

Queste considerazioni e deduzioni valgono anche a chiarire co

me il comportamento del fondatore, successivo alla costituzione

del centro, si ponga in insanabile e stridente contrasto con la

condizione sospensiva contenuta nell'art. 5 dell'atto costitutivo.

Anche ammesso che questa possa essere intesa come una con

dizione volontaria, anziché, come appare attendibile dallo stesso

contesto dell'atto, di una condizione legale, sta in fatto che l'aver

consentito e favorito l'inizio e la prosecuzione dell'attività del

centro configura un comportamento totalmente incompatibile con

il mantenimento dell'elemento accidentale.

La tesi esposta dai convenuti, secondo la quale ci si troverebbe

di fronte, nel caso di specie, ad una sorta di fattispecie a forma

zione progressiva, nella quale il negozio di fondazione non sareb

be completo se non con l'intervento del riconoscimento da parte

dello Stato, è certamente infondata.

La scomposizione del negozio di fondazione in due o più di

stinti negozi, in particolare in un negozio di fondazione in senso

stretto ed un negozio di dotazione dei beni, sostenuta in passato

dalla dottrina, è ora abbandonata, e del resto anche la giurispru

denza (Cass. 14 dicembre 1967, n. 2958, id., Rep. 1968, voce

cit., n. 16), afferma la sostanziale unità, almeno teleologica, del

negozio di fondazione e di quello di dotazione.

La giurisprudenza ha anche avuto modo di affermare che il

negozio di fondazione non è confondibile con altre figure di libe

ralità, tra vivi o a causa di morte, ma costituisce un genus a

sé stante, e precisamente costituisce un «atto di privata autono

mia con il quale viene manifestata la destinazione di cespiti patri

moniali al conseguimento di uno scopo, viene determinato tale

scopo ed il modo di attuazione di questo e viene disposto che

i cespiti così destinati si trasferiscono all'ente, la cui costituzione

è prevista nell'atto stesso» (Cass. 29 febbraio 1969, n. 654).

Se volesse accedersi alla tesi dei convenuti, va osservato, nella

specie, che l'atto di fondazione è stato reso pubblico e che per

tanto esso ha assunto la sostanza di una promessa al pubblico

ai sensi dell'art. 1989 c.c. con, tutte le conseguenze sia in ordine

alla responsabilità patrimoniale, che in ordine alla rilevanza ver

so i terzi. Al riguardo va precisato che secondo la più recente

giurisprudenza l'atto di dotazione «produce l'immediato effetto

di destinare i beni all'ente nascituro, sottraendoli non soltanto

ad ogni altra destinazione, ma anche al suo precedente titolare,

il quale non può più disporre di quei beni se non con la revoca

dell'atto di fondazióne, nei limiti previsti dall'art. 15 c.c.» rico

noscendo in tal modo una sorta di limitata soggettività della fon

dazione in attesa di riconoscimento (Cass. 15 aprile 1975, n. 1427,

id., 1976 I, 1683; Trib. Milano 19 settembre 1968, id., Rep. 1968, voce cit., n. 12).

Va infine precisato che, sempre accedendo alla tesi della fatti

specie a formazione progressiva e pur prescindendo dal successi

vo comportamento del gruppo parlamentare radicale, il contegno

del gruppo, se diretto a impedire senza idonea giustificazione l'av

verarsi dell'evento, in ipotesi dedotto in condizione volontaria so

spensiva — e sempre che questa possa ritenersi effettivamente

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PARTE PRIMA

operante, — non può sfuggire alla applicazione dell'art. 1358 c.c.

In conclusione, anche alla stregua delle tesi dei convenuti, non

può negarsi che alla fattispecie si applichino integralmente le di

sposizioni di cui all'art. 15 c.c., e che pertanto l'atto di revoca

in data 19 febbraio 1986 debba essere dichiarato illegittimo ed

inefficace.

La domanda principale proposta dal centro va, pertanto, accolta.

Va invece respinta la domanda di risarcimento dei danni non

essendo stata fornita prova alcuna del pregiudizio economico su

bito dallo stesso centro in conseguenza dell'atto di revoca del

negozio di fondazione.

PRETURA DI ROMA; ordinanza 30 giugno 1988; Giud. Giulia

ni; Soc. Tota (Avv. Galluzzo) c. Rai-Tv (Avv. Esposito, Sa

vini) e altri.

PRETURA DI ROMA;

Diritti d'autore — Schema di programma televisivo — Opera del

l'ingegno — Esclusione (L. 22 aprile 1941 n. 633, protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, art. 102).

Lo schema di un programma televisivo, che resti nell'àmbito del

la genericità e necessiti di ulteriori elaborazioni, non assurge al rango di opera letteraria e, quindi, non è tutelabile ai sensi

della normativa sul diritto d'autore. (1)

Vanno preliminarmente considerate le domande di cautela ati

pica, spiegate dalla ricorrente e dai terzi intervenuti, le quali at

tengono, rispettivamente, alla tutela dei diritti di utilizzazione

economica sopra l'idea-soggetto per un talk-show dal titolo «La

taverna dei sette peccati», acquistati dalla srl «Tota» in forza

alla scrittura privata in data 27 luglio 1987, ovvero la tutela dei

diritti morali e relativi diritti patrimoniali (di utilizzazione econo

mica, condizionatamente alla mancata realizzazione del program ma da parte dell'istante entro il termine di due anni dalla cessione, e di conseguimento del 25% degli utili che la Tota avrebbe potu to ottenere nell'ipotesi invece di realizzazione appunto del pro

gramma medesimo) spettanti agli autori Barboni e Miglietta. In merito, occorre pregiudizialmente considerare se «La taver

na dei sette peccati» possa o meno formare oggetto del diritto

d'autore, siccome opera dell'ingegno di carattere creativo, ai sen

si degli art. 2575 c.c. e 1 ss. 1. n. 633 del 1941.

Al riguardo, ritiene il giudicante, sulla base della stessa pro

spettazione delle parti interessate («Idea per un talk-show» si leg

ge infatti sul frontespizio del testo de «La taverna dei sette peccati»

depositato dalla ricorrente, laddove, nell'atto introduttivo, si ac

cenna, rispettivamente, ad «una articolata idea» ovvero ad una

«idea-soggetto»), che nella specie ci si trovi in presenza di una

c.d. «idea elaborata», cioè a dire non di un semplice suggerimen to generico per la creazione di una opera dell'ingegno, ma ap

punto di uno «schema elaborato» che possa già servire da traccia

concreta per ulteriore attività creativa (da compiersi in genere da

altri soggetti) che porti ad una completa e specifica opera del

l'ingegno. Se così è, giova subito osservare come sia da escluderne la pro

tezione, giusta l'orientamento accolto tanto in dottrina quanto in giurisprudenza.

(1) Negli esatti termini, v. Pret. Roma 8 giugno 1987, Foro it., Rep. 1987, voce Diritti d'autore, n. 80. Laddove, invece, lo schema di pro gramma si sia esplicitato in un vero e proprio spettacolo televisivo, dota to di individualità e di autonomia, la giurisprudenza accorda la tutela ai sensi del diritto d'autore: v., da ultimo, Pret. Torino 8 aprile 1987, ibid., n. 79, per esteso in Dir. autore, 1987, 554, con nota di P. Lax, È possibile parlare di soggetto televisivo? Dottrina e giurisprudenza, in fatti (v., per tutti, Lax, cit., con ampi richiami), hanno ripetutamente escluso il ricorso alla 1. 633/41 ogni volta che la querelle riguardasse un mero scheletro di programma, una semplice ipotesi di lavoro, per di più non ancora destinata alla fruizione diretta dei telespettatori (come nel caso de quo). Direttamente conseguenziale è, poi, l'esclusione di ogni profilo di concorrenza sleale, non trattandosi di opera dell'ingegno: v., da ultimo, Cass. 5 febbraio 1988, n. 1264, Foro it., 1988, I, 1554.

Il Foro Italiano — 1989.

Viene infatti affermato che l'autore dello schema non è autore

di opera dell'ingegno quando si limiti ad indicare il genus entro

il quale dovrà inquadrarsi una successiva creazione altrui o, in

altre parole, quando enunci certe regole cui deve attenersi il futu

ro autore dell'opera specifica. In particolare, non è da considerare autore colui che suggerisce

l'idea di un programma radiofonico o televisivo nemmeno se in

dica con una certa precisione l'oggetto da trattare, i mezzi di

espressione da utilizzare, gli interpreti da impiegare.

Costui, infatti, si afferma in dottrina, ha solo enunciato certe

regole da seguire per ottenere certi risultati che egli ritiene racco

mandabili. L'opera suscettibile di protezione a norma del diritto d'autore

sarà invece quella dell'altro soggetto che ha seguito quelle regole si da inquadrare la sua attività nello schema — generico appunto

perché utilizzabile per una serie indeterminata di opere specifiche — ma che ha creato liberamente nell'ambito del genus.

Coerentemente con siffatti principi, anche la giurisprudenza ha

riconosciuto che gli schemi ideativi e gli elementi embrionali di

un'opera, del tipo appunto delle idee per uno spettacolo televisi

vo, i quali per raggiungere individualità e completezza di rappre sentazione e di espressione debbono essere sottoposti ad ulteriore

processo di elaborazione e di integrazione con altri elementi crea

tivi, non possono considerarsi ancora l'opera dell'ingegno previ sta e tutelata dalla 1. n. 633 del 1941 (App. Torino 8 aprile 1960, Foro it., Rep. 1060, voce Diritti d'autore, n. 43), neppure ove

contengano la specificazione delle modalità esecutive di svolgi

mento, posto che a tal fine non basta una semplice schematizza

zione, più o meno articolata, di talune idee-base, ma occorre

l'organica elaborazione di tali idee, in guisa da realizzare un'e

spressione compiuta nell'ambito dei generi creativi conosciuti (cfr. Pret. Roma 5 gennaio 1968, id., 1968, I, 2643), laddove in siffat

ti schemi manca appunto quella compiutezza formale di espres sione e rappresentazione dalla quale possa ricavarsi la «creatività»,

requisito essenziale dell'opera dell'ingegno (Trib. Roma 13 luglio

1963, id., Rep. 1965, voce cit. n. 23; Pret. Verona 26 gennaio

1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 24). In questo senso, si è precisato che le ideazioni in esame, per

assurgere a dignità di «soggetto», cioè per essere un'opera viven

te di vita autonoma a prescindere dalla sua trasposizione nello

spettacolo televisivo, dovrebbero contenere la rappresentazione, se non ancora nella forma dettagliata della sceneggiatura, quanto meno come compendio dello sviluppo visivo e verbale dello svol

gimento dei vari temi (App. Torino 8 aprile 1960, cit.). Ciò postula, però, che lo «schema» sia espresso in modo da

potere esso stesso, senza la necessaria intermediazione dell'opera che eventualmente si volesse creare mediante quello schema ap

punto, funzionare da stimolo a reazioni emotive nel percipiente

(cosi come accade, ad esempio, per lo schema di un racconto, destinato ad una successiva elaborazione cinematografica, il qua le possa configurarsi come autonoma opera letteraria, o, addirit

tura, per la sceneggiatura del film, la quale è pacificamente ammesso che possa essere protetta come opera letteraria), senza

viceversa dover concludere nel senso di riconoscere tutela esclusi

vamente all'«esteriorizzazione» o «esecuzione organica» del pro

getto (cfr. Pret. Milano 22 maggio 1963, id., Rep. 1964, voce

cit., n. 13) che faccia assurgere quest'ultimo, indipendentemente dalla sua «originalità» (nient'affatto determinante ai fini della

tutela), alla dignità di opera dell'ingegno. Tutto ciò premesso, ritiene il giudicante che tale non possa es

sere considerata l'idea per un talk-show di Barboni e Miglietta dal titolo «La taverna dei sette peccati» e che a detta «idea»

non competa quindi la tutela riconosciuta in materia di diritti

d'autore, restando in tal modo assorbita ogni ulteriore questione, sia per quanto attiene al «raffronto» tra «La taverna dei sette

peccati» ed il programma televisivo «Di che vizio sei?» (ciò che,

evidentemente, costituisce un posterius logico-giuridico rispetto al profilo preliminare sin qui esaminato, relativo appunto alla

configurabilità dell'idea articolata dei terzi intervenuti quale «opera

protetta») sia per quanto attiene — ancora oltre — alla stessa

sussistenza del requisito dell'imminenza del pregiudizio in ragio ne del sopravvenuto esaurimento del ciclo di sette puntate del

programma «Di che vizio sei?».

In proposito, varrà per un verso sottolineare la «genericità» dello schema per cui è causa, il quale, ancorché imperniato su

determinate idee-base originali, più o meno articolate, ha poi avuto,

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