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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 16 febbraio 1989; Pres. ed est....

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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 16 febbraio 1989; Pres. ed est. Alí; Soc. Geima - Gestione imprese agrumarie (Avv. Giuffrida Taviano) c. Guglielmo

sentenza 16 febbraio 1989; Pres. ed est. Alí; Soc. Geima - Gestione imprese agrumarie (Avv.Giuffrida Taviano) c. Guglielmo (Avv. Tabacco)Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 321/322-325/326Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184482 .

Accessed: 28/06/2014 09:33

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•GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

per azioni e a responsabilità limitata o nella Gazzetta Ufficiale della Re

pubblica italiana degli atti e fatti per i quali l'una o l'altra pubblicazione sia prescritta dal presente codice nel termine di un mese dall'iscrizione 0 dal deposito dell'atto nel registro delle imprese, salvo che sia previsto un termine diverso».

(Seduta del 25.1.1989)

Art. 21

L'art. 2457 ter del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 2457 ter. Effetti della pubblicazione nel Bollettino ufficiale delle

società per azioni e a responsabilità limitata e nella Gazzatta Ufficiale della Repubblica italiana.

Gli atti per i quali il codice prescrive, oltre l'iscrizione o il deposito nel registro delle imprese, la pubblicazione nel Bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata o nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, sono opponibili ai terzi soltanto dopo tale pub blicazione, a meno che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza.

Per le operazioni compiute entro il quindicesimo giorno dalla pubblica zione di cui al comma precedente, gli atti non sono opponibili ai terzi che provino di essere stati nell'impossibilità di averne conoscenza.

In caso di discordanza tra il contenuto dell'atto depositato o iscritto nel registro delle imprese con il testo pubblicato nel Bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata o nella Gazzetta Uffi ciale della Repubblica italiana, quest'ultimo non può essere opposto ai terzi. Costoro possono, tuttavia, valersene, salvo che la società provi che 1 terzi erano a conoscenza del testo iscritto o depositato nel registro delle

imprese».

(Seduta del 25.1.1989)

Art. 22

L'articolo 2538 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 2538. Fusione e scissione. La fusione e la scissione di società cooperative sono regolate dalle di

sposizioni degli articoli 2501 a 2504/8».

(seduta del 25.1.89)

Art. 23

L'articolo 2623 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 2623. Violazione di obblighi incombenti agli amministratori. Sono punite con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa

da lire quattrocentomila a due milioni gli amministratori che:

1) eseguono una riduzione di capitale o la fusione con altra società o una scissione in violazione degli articoli 2306, 2445 e 2503;

2) restituiscono ai soci palesemente o sotto forme simulate i conferi menti o li liberano dall'obbligo di eseguirli, fuori del caso di riduzione

del capitale sociale; 3) impediscono il controllo della gestione sociale da parte del collegio

sindacale o, nei casi previsti dalla legge, da parte dei soci».

Art. 24

L'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1975, n. 136 è sostituito dal seguente:

«Proposte di aumento di capitale. Nelle società con azioni quotate in borsa le proposte di aumento del

capitale sociale con esclusione o limitazione del diritto di opzione devono essere comunicate alla società incaricata della revisione, unitamente alla

relazione illustrativa degli amministratori di cui al sesto comma dell'arti colo 2441 del codice civile, almeno quarantacinque giorni prima di quello fissato per l'assemblea che deve discuterle.

Entro trenta giorni dal ricevimento della proposta la società di revisio

ne esprime per iscritto il proprio parere sulla congruità del prezzo di emis

sione delle azioni, sottoscrivendolo a norma del secondo comma del

precedente art. 4. In caso di aumento del capitale mediante conferimenti in natura, i compiti

attribuiti ai sindaci dall'art. 2440 del codice civile sono svolti dalla società

di revisione. La relazione degli amministratori e il parere della società di revisione

devono restare depositati nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea e finché questa non abbia deliberato. I soci

possono prenderne visione. I documenti predetti debbono essere allegati

agli altri documenti richiesti ai fini dell'iscrizione della deliberazione nel

registro delle imprese».

(seduta del 28.2.1989)

Art. 25

La legge 19 novembre 1942, n. 1472 recante «Provvedimenti per le

fusioni di società commerciali», è abrogata.

(seduta del 28.2.1989)

Il Foro Italiano — 1990 — Parte 1-6.

TRIBUNALE DI MESSINA; sentenza 16 febbraio 1989; Pres.

ed est. Ali; Soc. Geima - Gestione imprese agrumarie (Avv. Giuffrida Taviano) c. Guglielmo (Avv. Tabacco).

TRIBUNALE DI MESSINA;

Contratti agrari — Affitto di terreni agricoli — Affitto di azien

da — Disciplina applicabile.

All'affitto di terreni agricoli, prevalentemente coltivati ad agru

mi, denominato dalle parti affitto di azienda agricola, si appli cano le norme sull'affitto dei fondi rustici e va conseguente mente adeguato al canone legale quello liberamente pattuito tra le parti. (1)

(1) Non constano precedenti specifici. La società ricorrente, affittuaria di terreni prevalentemente coltivati ad

agrumi, conveniva in giudizio il concedente perché al contratto, denomi nato dalle parti come affitto d'azienda, fossero applicate le norme sul l'affitto di fondo rustico con la conseguente determinazione del canone

legale dovuto. Il concedente eccepiva che all'affitto di azienda non erano

applicabili le norme sull'affitto dei fondi rustici. La sentenza ha accolto la domanda proposta dalla società affittuaria

affermando che l'affitto di fondo rustico si risolve nell'affitto di un'orga nizzazione aziendale ed importa che all'affittuario venga concesso in af

fitto, come avvenuto nel caso di specie, oltre il godimento del terreno, costituente oggetto primario del rapporto, anche l'uso dei fabbricati e

dei mezzi di coltivazione, per cui è irrilevante distinguere tra affitto del l'azienda e affitto del fondo (a sostegno, sono state citate in motivazione

Cass. 11 maggio 1971, n. 1340, Foro it., 1971, I, 2992, che ha ritenuto l'unitarietà del contratto di affitto nel caso in cui il fabbricato rurale

era stato concesso separatamente dai terreni, considerando il fabbricato

pertinenza dei terreni, e Cass. 11 agosto 1965, n. 1929, id., Rep. 1965, voce Contratti agrari, n. 58, secondo cui l'affitto di un fondo rustico si estende normalmente ai fabbricati rurali e ai mezzi di coltivazione che

su di esso insistono, in quanto strumentali all'esercizio dell'azienda agra ria, di cui il fondo costituisce elemento costitutivo primario).

Ha ritenuto la sentenza in rassegna che i principi menzionati trovano

specifico addentellato in quelle norme della 1. 203/82 che riconoscono

la qualità di affittuario (nòn coltivatore diretto) anche all'imprenditore a titolo principale (art. 22); che subordinano la conversione dei contratti

di mezzadria in affitto alla possibilità di formazione di un'impresa agri cola, anche a seguito di «piano di sviluppo aziendale» (art. 31, 1° e 4°

comma); che danno rilevanza all'«azienda» pluripoderale (art. 31, 3° com

ma, e art. 32). In sede di discussione della causa il concedente aveva altresì' dedotto

la natura commerciale dell'azienda in questione, e la sentenza riportata, pur rilevando l'irritualità della proposta eccezione, ha ribadito la natura esclusivamente agricola dell'azienda e dell'attività esercitata dalla società

affittuaria, osservando che la natura agraria ovvero industriale-commerciale

riguardava generalmente i casi di esercizio da parte dell'affittuario del l'attività connessa di cui all'art. 2135, 2° comma, c.c.

A sostegno della natura autonoma dell'affitto d'azienda, il concedente

aveva prodotto in giudizio un parere pro ventate: tale parere, di E. Ca

pizzano, è riportato in Riv. dir. agr., 1988, II, 139 ss.; dello stesso auto

re, v. altresì' Il «nuovo» diritto dei contratti agrari, in Nuova giur. civ., 1987, II, 129 ss.

La questione dell'affitto di azienda, anziché di fondo rustico, e quindi dell'applicabilità o meno delle norme sull'affitto dei fondi rustici all'af

fitto di azienda, è stata dibattuta nel convegno organizzato dall'università

di Camerino, nei giorni 12-14 maggio 1988, sul tema: Impresa ed azienda nel diritto agrario. Strumenti della PAC e ruolo delle regioni.

Negli atti del convegno, pubblicati a cura dell'università di Camerino

nel 1989, possono leggersi gli interventi sul tema che interessa, tra cui

segnaliamo quelli di G.B. Ferri, F. Galgano e A. Jannarblli.

Ferri ha sostenuto l'affitto di azienda, come regolato dal codice civile,

sganciato dalla normativa sull'affitto di fondo rustico, puntando sulla

natura «commerciale» dell'attività agricola, in buona sostanza ripropo nendo una tematica che era stata dibattuta al tempo della codificazione

del 1942 e risolta, nel codice, nel senso della non equiparazione dell'atti

vità agricola a quella commerciale. Di contrario avviso Galgano, il quale ha osservato che la «commercia

lizzazione» dell'agricoltura è lungi dall'essersi realizzata in un'agricoltu

ra, come quella italiana, caratterizzata da imprese di medio-piccole di

mensioni, in cui il produttore normalmente vende al grossista. Ha osser

vato ancora l'a. citato che non può applicarsi la normativa codicistica

alla cessione di azienda dell'affittuario che abbia creato l'impresa sul fondo

altrui: in tal senso, l'affittuario non può cedere il contratto di affitto

senza il consenso del concedente, sicché può dirsi che il concetto di azien

da agricola ha un limitato rilievo, che non è quello che ha il concetto

di azienda in rapporto alle imprese commerciali.

A sua volta Jannarelli ha osservato che la tesi della «commercializza

zione» dell'agricoltura nega in buona sostanza che sia concepibile un'au

tonoma azienda agraria rispetto a quella commerciale: ma, a questo mo

do, perde ogni significato il richiamo ai contratti agrari e alla disciplina

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PARTE PRIMA

Motivi della decisione. — (Omissis). Nel merito va osservato,

preliminarmente, che col ricorso introduttivo la ricorrente, nel

richiedere la perequazione del canone, ha dedotto che il contratto

intervenuto tra le parti, denominato come «affitto di azienda agri

cola», sarebbe soggetto alle disposizioni di legge in materia di

affitto di fondi rustici, in quanto non vi sarebbe differenza, ai

fini della normativa applicabile, tra le due forme di affitto.

Il convenuto, nel contestare nella memoria di costituzione tale

assunto, ha, invece, sostenuto che l'affitto di azienda agricola,

intervenuto nella specie, sarebbe cosa diversa dell'affitto di fon

do rustico e non assoggettabile, quindi, alle norme concernenti

quest'ultimo.

dell'art. 27 1. 203/82 (secondo questa norma, le norme regolatrici dell'af

fitto dei fondi rustici si applicano a tutti i contratti agrari, aventi per

oggetto la concessione di fondi rustici o tra le cui prestazioni vi sia il

conferimento di fondi rustici).

* * *

Il richiamo alla mancata «commercializzazione» nel codice civile del

1942 dell'attività agricola, non tiene conto della peculiarità dell'agricoltu ra dell'epoca che, per l'eccessivo frazionamento della terra e per la debo

lezza dell'impresa, non avrebbe potuto sopportare il peso della «commer

cializzazione»; e non tiene conto che la scelta codicistica fu anche dettata dalla ragione politica, in contrapposizione alle aspirazioni dei coltivatori a contratto, di tutela della proprietà, a cui furono conservati tutti i privi

legi previsti dalla precedente legislazione (il codice di commercio del 1882 non considerava attività di impresa la coltivazione dei fondi rustici, con

la conseguente esclusione dalla tenuta dei libri contabili e dal fallimento

in caso di insolvenza). Né può dirsi che lo sviluppo dell'agricoltura nel secondo dopoguerra,

pur rilevante, abbia portato alla diffusa formazione di aziende ottimali

che potrebbero essere annoverate tra le aziende commerciali: è ancora

presente un eccessivo frazionamento della terra, con una prevalente pre senza di imprese coltivatrici, e quindi medio-piccole, a favore delle quali vi è stata nel secondo dopoguerra una rilevante produzione legislativa di sostegno.

Il richiamo alla «commercializzazione» dell'attività agricola, a ben guar dare, suona anche critica alla legislazione di sostegno dell'impresa colti

vatrice. Ma non può essere confuso l'aiuto necessario all'agricoltura con la sua degenerazione «assistenziale», non essendo possibile abbandonare

l'agricoltura, a pena della sua sopravvivenza, alle spietate leggi del mer

cato; e cioè, un'agricoltura senza aiuto non può esistere e non esiste nem

meno negli altri paesi europei ed anche extraeuropei. Tanto premesso, non può negarsi che la sentenza riportata ponga pro

blemi, che sono quelli dell'effettiva equità del canone d'affitto con riferi

mento a quei contratti di affitto a conduttore non coltivatore diretto nei

quali il concedente, oltre ai terreni, abbia concesso fabbricati e attrezzature.

È noto che il canone nell'affitto a conduttore non coltivatore diretto è di dieci punti superiore a quello dell'affitto a coltivatore diretto (art. 24 1. 203/82), con la possibilità di un ulteriore aumento di sessanta punti complessivi quando il fondo affittato sia dotato di un'idonea abitazione e di efficienti investimenti fissi (art. 9, 3° comma, 1. 203/82, che richiama le lett. a e b del terzo capoverso dell'art. 3 1. 814/73).

Con i meccanismi suddetti di determinazione del canone d'affitto, ap pare invero modesta la differenza di canone nei due tipi d'affitto, a con duttore non coltivatore diretto e a coltivatore diretto, per cui ci si deve chiedere se è corretta sul piano della legittimità costituzionale tale mode sta differenza di canone.

A nostro avviso, non può porsi in discussione la tutela dell'impresa, che deve sussistere anche nell'affitto a conduttore non coltivatore diretto, ma piuttosto la quasi equiparazione dei due tipi di affitto sancita dall'art.

23 1. 203/82: ai due tipi di affitto corrispondono realtà economiche e

sociali diverse, a cui dovrebbe corrispondere una più marcata differen

ziazione. Né ci sembra del tutto appagante l'osservazione, che è anche della sen

tenza qui riportata, che il problema dell'affitto di azienda può essere risolto con l'applicazione dell'art. 45 1. 203/82, modificativo dell'art. 23 1. 11/71, che prevede la possibilità di patti in deroga alle norme imperati ve previste dalla legge ove le parti siano assistite dalle rispettive organiz zazioni sindacali.

Ci sembra dubbio che possa stipularsi un contratto di affitto in deroga, sia pure con l'assistenza delle rispettive organizzazioni sindacali, in cui non sia garantito un «minimo» al disotto del quale non si può andare; «minimo» che potrebbe essere individuato nella reciproca convenienza

economica, senza il rispetto della quale si tradiscono le finalità perseguite dal legislatore. Pertanto, anche l'affitto di azienda che voglia stipularsi in deroga alle norme imperative previste dalla 1. 203/82, non dovrebbe fare a meno della considerazione della reciproca convenienza economica delle parti.

A nostro avviso, non esistono altre vie per dare una risposta ai dubbi

che solleva la sentenza riportata, sottolineando che la «tipizzazione» dei

Il Foro Italiano — 1990.

Alla stregua, quindi, di detti atti difensivi, due sono le questio ni da risolvere: 1) la prima, se ai contratti di affitto di azienda

agricola siano applicabili le norme in materia di affitto di fondi

rustici; 2) la seconda, in caso di risposta negativa al primo quesi

to, se nel contratto dedotto in giudizio sia ravvisabile un affitto

di azienda agricola ovvero un affitto di fondo rustico.

La soluzione della prima questione non può non essere affer

mativa.

Ed invero, anche secondo il costante insegnamento del Supre mo collegio, non può dubitarsi che l'affitto di un fondo rustico

si risolve normalmente nell'affitto di un'organizzazione aziendale

ed importa che normalmente all'affittuario venga concesso gene ralmente in affitto, come è avvenuto nella specie, oltre il godi mento del terreno, costituente oggetto primario del contratto, an

che l'uso di fabbricati rurali e dei mezzi di coltivazione, per cui

è irrilevante distinguere tra affitto dell'azienda ed affitto del fon

do (Cass. 11 maggio 1971, n. 1340, Foro it., 1971, I, 2992; 11

agosto 1965, n. 1929, id., Rep. 1965, voce Contratti agrari, n.

58). E difatti l'affitto di fondo rustico è caratterizzato proprio dalla gestione produttiva dell'immobile da parte dell'affittuario

(Cass. 3 settembre 1985, n. 4582, id., Rep. 1985, voce cit., n.

93), il quale ha un potere di iniziativa e gestione del fondo (art. 10 1. 11 febbraio 1971 n. 11) considerato come componente di

un'unità aziendale finalizzata alla produzione di beni ed alla com

mercializzazione dei prodotti. Del resto i menzionati principi trovano anche specifico adden

tellato in quelle norme della 1. n. 203 del 1982 che riconoscono

la qualità di affittuario (non a coltivatore diretto) anche all'im

prenditore agricolo a titolo principale (art. 22), che subordinano

la conversione dei contratti di mezzadria in affitto alla possibilità di formazione di un'impresa agricola, anche a seguito di «un pia no di sviluppo aziendale», (art. 31, 1° e 4° comma), e che danno

rilevanza all'«azienda» pluripoderiale (art. 31, 3° comma, e art.

32). La risposta affermativa al primo quesito renderebbe superfluo

occuparsi del secondo.

Tuttavia, per completezza di motivazione, non appare inutile

soggiungere che l'applicabilità delle norme sull'affitto non po trebbe negarsi anche se (per assurdo) ci si volesse porre nell'ottica

del convenuto ed ipotizzare una distinzione, rilevante ai fini della

disciplina vincolistica, tra affitto di fondo rustico ed affitto di

azienda agricola.

Mutuando, infatti, i principi distintivi in materia elaborati dal

la giurisprudenza tra locazione di immobile ed affitto di azienda

(opificio industriale), non può non rilevarsi come al fine di stabi

lire se si sia in presenza dell'uno o dell'altro debbasi avere riguar do anche all'effettiva consistenza dei beni dedotti in contratto, al fine di verificare se l'immobile sia stato specificamente consi

derato nella sua specifica consistenza con funzione prevalente ri

spetto agli altri beni, nel qual caso dovrebbesi ritenere la locazio

ne e non l'affitto di azienda.

Orbene nel contratto de quo, al di là delle espressioni usate

dalle parti ed in particolare sia della denominazione del contratto

come «affitto di azienda agricola», sia della dichiarazione, conte

nuta nell'allegato «A», che il fondo, i fabbricati rurali e le attrez

zature costituivano «parte dei beni aziendali in rapporto di com

plementarità e di interdipendenza con gli altri elementi dell'azien

da in guisa del fine produttivo», emerge ictu oculi l'assoluta

preminenza del terreno rispetto agli altri beni concessi in affitto:

di fronte ad un'estensione del primo di ben mq. 193.345 per la

maggior parte destinato a colture, i fabbricati sono costituiti da

due capannoni, cinque costruzioni rurali in cattivo stato, una ba

contratti agrari avviata da tempo nel nostro ordinamento (art. 13 1. 756/64, art. 27 1. 203/82), preclude la possibilità di introdurre nell'ordinamento

l'affitto di azienda sganciato dall'affitto di fondo rustico, non essendo

compreso l'affitto di azienda tra i contratti agrari possibili. In conclusione, la dilatazione del concetto di «agricoltura» non può

aversi con un'interpretazione evolutiva dell'art. 2135 c.c. (in argomento, v. per tutti A. Carrozza, La fattispecie codicistica dell'affitto di azienda

agraria (ossia un contratto bistrattato), in Riv. dir. agr., 1988, II, 130), o di altre norme, ma piuttosto con una riconsiderazione della materia

«agricoltura» rispetto a quanto previsto dal codice civile del 1942, tenen do conto delle particolari esigenze del mondo agricolo, anche sotto l'a

spetto sociale, ma senza particolarismi corporativi nei confronti delle al tre attività economiche; e ciò anche perché la normativa Cee tende a

considerare agricole attività che non sono specificamente tali. [D. Bel

LANTUONO]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

racca, e un magazzino, oltre a cinque vasche, alcune delle quali fornite di impianto di sollevamento; e le attrezzature da due mo

tocarri, una falciatrice, due trattori, due essicatori, tre motozap

pe, utensileria varie, pozzo, opere di irrigazione, con pompe e

cinquantasette fusti vuoti.

Non è chi non veda, quindi, come i fabbricati e gli attrezzi

sopraindicati non costituiscano altro che la normale dotazione

di un terreno di quelle dimensioni, la cui prevalenza rispetto agli altri beni sopra considerati non può essere minimamente conte

stata, prevalenza che costituisce un sicuro dato per desumerne

come ciò che le parti vollero effettivamente, in via primaria, sia

stato appunto l'affitto e lo sfruttamento agricolo del terreno, ri

spetto al quale del tutto secondari erano gli altri beni che ne co

stituivano normale pertinenza. E ciò, ripetesi, al di là delle poco affidabili dichiarazioni delle

parti chiaramente dirette a sottrarre il rapporto alle norme vinco

listiche sul presupposto (rivelatosi erroneo per quanto detto in

principio) che l'affitto di azienda non fosse soggetto a dette norme.

E la pretesa del convenuto di trarre elementi favorevoli alla

propria tesi dall'elevatezza del canone contrattuale non costitui

sce altro che un inammissibile ribaltamento dell'oggetto dell'in

dagine. In quanto cosi ragionando, si cerca di accertare la natura del

rapporto e la conseguente legittimità del canone pattuito in base

all'ammontare di quest'ultimo, mentre è proprio la legittimità di

tale ammontare che va accertata attraverso la qualificazione (tratta

aliunde) della natura del rapporto. E perfettamente compatibili con l'affitto di fondo rustico sono peraltro le altre clausole con

trattuali quali, in particolare, la diligente cura nella conduzione

del fondo (art. 9), l'obbligo di non modificarne la destinazione

(art. 11), il divieto di trasferimento o di subaffitto (art. 12), il subentro nei contratti pendenti (Enel, bracciantato agricolo, assi

curazioni (art. 13), la tenutezza dell'affittuario a rispondere solo

dei debiti successivi al contratto (art. 14), il potere di iniziativa

(art. 15), l'obbligo di pagare solo le imposte relative all'esercizio

dell'attività agricola (art. 16). Le superiori argomentazioni sarebbero sufficienti per ritenere

l'applicabilità al rapporto de quo della normativa in materia di

affitto di fondi rustici, se il convenuto, nella memoria di discus

sione del 4 novembre 1987, non avesse adombrato la tesi, del

tutto nuova, che oggetto del contratto sarebbe stata un'azienda

«commerciale», il che impone di spendere, al riguardo, qualche altra parola.

A parte l'ammissibilità, nel rito c.d. del «lavoro», di una sif

fatta immutazione della materia del contendere quale fissata dal

ricorso introduttivo e dalla memoria di costituzione, ed a parte l'attendibilità di tale tesi per l'evidente contrasto con la preceden te posizione difensiva del resistente, il quale mai aveva posto in

dubbio il carattere esclusivamente agricolo dell'azienda, si osser

va, comunque, che nessuna perplessità può sussistere sulla natura

agricola dell'attività che sul fondo l'affittuario sarebbe andato

a svolgere. Le questioni, infatti, che talora in dottrina e giurisprudenza

sono state fatte in ordine alla natura agraria ovvero industriale

commerciale dello sfruttamento di un fondo hanno riguardato

generalmente i casi di esercizio da parte dell'affittuario delle c.d.

attività connesse di cui al 2° comma dell'art. 2135 c.c., ravvisan

dosi talora il carattere industriale-commerciale in quelle situazio

ni in cui il fondo costituisse un'entità secondaria in relazione a

dette attività (cosi in materia di avicoltura, floricoltura, ecc.),

specie con riguardo all'importanza degli impianti e delle infra

strutture.

E questo è appunto il caso esaminato nelle sentenze del Tribu

nale di Como e della Corte d'appello di Milano prodotte a soste

gno del parere pro ventate addotto dal convenuto, là dove veniva

in discussione l'esercizio di una imponente attività avicola (alle

vamento di fagiani) con adeguate strutture, rispetto alle quali il

fondo, di modeste dimensioni, aveva chiara funzione accessoria.

I casi suddetti sono, quindi, completamente, al di fuori di quello

in esame dove l'oggetto assolutamente principale dell'attività è,

infatti, il diretto sfruttamento del terreno a fini agricoli e ciò

anche in considerazione della già rilevata assoluta preminenza del

fondo rispetto agli altri beni oggetto dell'affitto; attività, quella

ora detta, in rapporto alla quale si pone come meramente acces

soria e conseguenziale quella, connessa ai sensi del menzionato

art. 2135 c.c., della trasformazione e vendita dei prodotti del suolo.

Né il carattere agricolo può escludersi per il solo fatto che l'af

II Foro Italiano — 1990.

fittuario fosse una società ad accomandita semplice, potendo es

sere imprenditore agricolo anche una società costituita secondo

lo schema delle società commerciali (c.d. società formali), come

si argomenta dagli art. 2249, 2° comma, e 2308 (applicabile an

che alle società in accomandita semplice ai sensi dell'art. 2315) c.c.

E nella specie è pacifico che la società Geima ha sempre eserci

tato esclusivamente attività agricola, circostanza che, dedotta dal

l'istante fin dall'atto introduttivo e ribadita nei successivi atti di

causa, mai è stata specificamente contestata dal convenuto (dal che la superfluità della prova testimoniale chiesta al riguardo dal

la ricorrente).

Devesi, quindi, concludere per la piena applicabilità al rappor to de quo della legislazione agraria e, in particolare, delle disposi zioni in materia di canone di cui alla 1. 203/82 per gli affitti

a coltivatore non diretto.

Le considerazioni svolte dal convenuto in ordine alla iniquità di una siffatta soluzione in quanto si finirebbe con riservare lo

stesso trattamento a fondi che potrebbero presentare una ben di

versa organizzazione aziendale, non possono non cedere di fronte

al dettato legislativo, diretto principalmente a privilegiare chi col

tiva (direttamente o indirettamente) la terra, e senza dire che è

pur sempre consentito al concedente, ai sensi dell'art. 23 1. 11

febbraio 1971 n. 11 (cosi come lo era anche prima della modifica

di tale articolo apportata con la 1. 203/82) di stipulare contratti

in deroga alle norme vincolistiche con l'assistenza delle rispettive associazioni sindacali. (Omissis)

TRIBUNALE DI VERONA; sentenza 15 febbraio 1989; Pres.

Iannetti, Est. Fabiani; Min. finanze c. Fall. soc. Geco.

TRIBUNALE DI VERONA;

Fallimento — Credito di imposta — Ammissione al passivo degli interessi — Disciplina (Cod. civ., art. 1284; r.d. 16 marzo 1942

n. 267, disciplina del fallimento, art. 54, 55).

Gli interessi relativi a crediti per Iva, maturati dalla dichiarazione

di fallimento alla liquidazione dell'attivo, vanno calcolati in

ragione del tasso legale del cinque per cento previsto dall'art.

1284 c.c. (1)

(1) Non si rinvengono precedenti negli esatti termini; tuttavia in mate ria di liquidazione coatta amministrativa, v., in senso contrario, Trib. Milano 15 luglio 1982, Foro it., Rep. 1983, voce Fallimento, n. 460.

In materia di computo di interessi post-fallimentari di crediti assistiti da privilegio, pegno o ipoteca, l'applicazione del tasso legale del cinque

per cento previsto dall'art. 1284 c.c. costituisce oramai un indirizzo giuris prudenziale consolidato, cui lo stesso tribunale si richiama nel fondare

la propria motivazione: v. Cass. 3 dicembre 1986, n. 7148, id., 1987,

I, 39, con nota di richiami di Silvestri, cui adde: Trib. Napoli 30 maggio 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 305; Trib. Napoli 4 luglio 1984, ibid., n. 308; Trib. Prato 18 febbraio 1980, id., Rep. 1980, voce cit., nn. 247,

248; App. Firenze 31 gennaio 1979, ibid., n. 250, oltre alle recenti deci

sioni: Trib. Vicenza 2 marzo 1988, id., Rep. 1988, voce cit., nn. 321; Trib. Roma 24 luglio 1987, ibid., n. 319; contra, cfr. richiami in nota a Cass. 7148/86, cit., cui adde, Trib. Cassino 1° agosto 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 278 e Trib. Vicenza 4 novembre 1985, Fallimento,

1985, 692 (m). Per la dottrina che afferma l'applicazione dell'art. 1284 c.c., v. Man

feroce, Sull'ammissibilità al passivo della differenza fra il tasso conven

zionale e quello legale degli interessi prodotti da crediti ipotecari e pigno ratizi, id., 1986, 1361; Id., Il problema della misura e della collocazione nello stato passivo degli interessi post-fallimentari, con particolare riferi mento agli interessi derivanti da crediti muniti di privilegio speciale o

generale, id., 1985, 145; Santoni, Privilegi, fallimento e rivalutazione dei crediti di lavoro, in Giust. civ., 1982, I, 1653; Carpino, La rivaluta

zione dei crediti di lavoro e la disciplina degli interessi privilegiati nel

fallimento, id., 1981, II, 41; contra, avallano l'utilizzo del tasso conven

zionale o del tasso previsto da leggi speciali: Benedetti, Credito fondia rio e fallimento, in Fallimento, 1988, 1232; Danovi, Il problema degli interessi sui crediti nelle procedure concorsuali, id., 1985 , 329; Kiun, Se sia ammissibile al concorso la differenza tra interessi convenzionali e interessi legali sui crediti muniti di garanzia reale, id., 1984, 609; Bron

zini, Altro insuccesso del credito fondiario nel fallimento: interessi od

inflazione, in Dir. fallim., 1979, II, 482.

Per i crediti ipotecari e pignoratizi è stata inoltre avanzata una soluzio

ne intermedia, secondo la quale, dopo la dichiarazione di fallimento, la

prelazione opera nei soli limiti del cinque per cento mentre viene colloca

ta in sede chirografaria la differenza fra il tasso legale e quello previsto dalle leggi speciali; conformemente v. richiami in nota a Cass. 7148/86,

cit., cui adde Trib. Ancona 9 aprile 1986, Fallimento, 1986, 1151 (m);

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