sentenza 17 marzo 1988, n. 304 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 23 maggio 1988, n. 12);Pres. Saja, Est. Gallo; Barletta. Ord. Pret. Milano 11 febbraio 1984 (G.U. n. 7 bis del 1985)Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 649/650-651/652Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183835 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 17 marzo 1988, n. 304
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 23 maggio 1988, n. 12); Pres. Saja, Est. Gallo; Barletta. Ord. Pret. Milano 11 feb
braio 1984 (G.U. n. 7 bis del 1985).
Casellario giudiziale — Non menzione della condanna — Limite
di un milione per la pena pecuniaria — Incostituzionalità (Cost.,
art. 3; cod. pen., art. 135, 175).
È illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 175, 1° com
ma, c.p., nella parte in cui prevede che la non menzione nel
certificato del casellario giudiziale di condanna a sola pena pe
cuniaria possa essere ordinata dal giudice quando non sia supe
riore a un milione, anziché a somma pari a quella risultante
dal ragguaglio della pena detentiva di anni due, a norma del
l'art. 135 c.p. (1)
(1) I. - L'ordinanza di rimessione Pret. Milano 11 febbraio 1984, è
riportata per esteso in Foro it., 1986, II, 136, e in Riv. it. dir. e proc.
pen., 1985, 587, con nota di Giannone, La non menzione della condanna
nel certificato del casellario a richiesta di privati: problemi e prospettive
dopo la l. 24 novembre 1981 n. 689.
La Corte costituzionale, con la presente decisione, ha ritenuto in con
trasto con i principi di razionalità ed uguaglianza il limite di un milione,
previsto dal 1° comma dell'art. 175 c.p. per l'applicabilità del beneficio
della «non menzione» alla condanna alla sola pena pecuniaria, in raf
fronto con quello «di gran lunga più ampio» che, invece, il legislatore ha riservato nello stesso comma alla condanna alla sola pena detentiva.
La comparazione tra le due previsioni legislative è stata effettuata in
base al criterio del ragguaglio fra pena detentiva e pena pecuniaria previ sto all'art. 135 c.p., il cui attuale parametro (lire venticinquemila per
un giorno) introdotto dall'art. 101 1. n. 689 del 1981, comporta che il
limite di anni due di pena detentiva corrisponde a ben diciotto milioni
di lire, mentre quello di un milione per la pena pecuniaria è equivalente a mesi uno e giorni dieci di pena detentiva.
Siffatta disparità, ad avviso della corte, è priva di ogni razionale giusti ficazione dal momento che non vi è dubbio che la pena detentiva sia
riservata a fatti di maggiore gravità e, di contro, non sarebbe sufficiente
mente rilevante «il più grave disdoro» che deriva al condannato dalla
menzione della relativa condanna nel certificato penale. Ne consegue la
incompatibilità con l'art. 3 Cost, dell'art. 175, 1° comma, c.p. nella par
te in cui prevede che la non menzione possa essere ordinata dal giudice
quando la condanna a sola pena pecuniaria non sia superiore ad un mi
lione, «anziché a somma pari a quella risultante dal ragguaglio della pena
detentiva di anni due, a norma dell'art. 135 c.p.».
Senonché, la disposizione censurata aveva sempre previsto il limite per
la condanna alla pena pecuniaria in maniera autonoma rispetto a quello
relativo alla pena detentiva. Per esempio, sulla base del parametro (lire
cinquemila per un giorno) indicato nel testo previgente dell'art. 135 c.p.,
la somma di un milione non costituiva l'equivalente di anni due di pena
detentiva (ma, unicamente, di mesi sei e giorni venti). Soltanto in ordine
alla condanna alla pena congiunta, successivamente alla riforma dell'art.
175 c.p. operata dalla 1. 1911 del 1962, si è fatto sempre riferimento
al criterio del ragguaglio, prima, in maniera implicita, e, in seguito, espres
samente, allorché l'art. 104 1. 689/81, riformulando ancora una volta
la disposizione, ha sostituito — in conseguenza della dichiarazione di in
costituzionalità dell'art. 136 c.p. (Corte cost. 21 novembre 1979, n. 131,
Foro it., 1979, I, 2801) — l'espressione «pena pecuniaria convertita a
norma di legge», con quella «pena pecuniaria ragguagliata a norma del
l'art. 135 c.p.» (cfr., per la natura formale della modifica, Musco, Com
mento all'art. 104 l. 24 novembre 1981 n. 689, in Legislazione pen. 1982,
426). La disuguaglianza di trattamento tra le situazioni — condanna alla so
la pena pecuniaria e condanna alla sola pena detentiva —, regolamentate dal 1° comma dell'art. 175 c.p., è stata, allora, determinata più dal man
cato adeguamento del limite della pena pecuniaria secondo la rivalutazio
ne operata dall'art. 113 1. 689/81 (cosi come è avvenuto, ex art. 112
stessa legge, per il perdono giudiziale), che dalla modifica dell'equilibrio
tra di esse, causata dal nuovo parametro di ragguaglio.
Né, in contrario avviso, appare decisivo il raffronto, operato dalla sen
tenza sulla scia della ordinanza di rimessione, con la ipotesi di pena con
giunta. Secondo la corte, qualunque fosse «la filosofia» che ispira la di
sciplina di cui al 1° comma dell'art. 175 c.p., essa sarebbe in ogni caso
«smentita» da quanto previsto dal 2° comma dello stesso articolo, che
consente, in ordine alla condanna a pena congiunta, certamente più grave
di quella a sola pena pecuniaria, di ordinare la non menzione anche se
la pena pecuniaria oltrepassi lire ventidue milioni (cosi come nell'esempio
prospettato dall'ordinanza di rimessione: lire 22.250.000, corrispondenti
a mesi trenta — lire 125.000, corrispondenti alla pena detentiva minima
di giorni cinque, lire 22.125.000). Tale raffronto, infatti, si fonda su una interpretazione del 2° comma
dell'art. 175 c.p. in contrasto con l'unanime indirizzo giurisprudenziale
e dottrinale, senza che peraltro la corte indichi le ragioni del dissenso.
Si è, invero, costantemente ritenuto che il 2° comma dell'art. 175 c.p.
li Foro Italiano — 1989.
Diritto. — 1. - La questione è fondata. Essa è, d'altra parte,
rilevante, una volta che il pretore, considerati tutti gli elementi
nella sua autonomia decisionale, afferma che il giudicabile sareb
be meritevole della concessione della non menzione, nel certifica
to del casellario giudiziale, della condanna a pena pecuniaria che
egli si accinge ad infliggere all'incensurato. Ma poiché la pena
da infliggere supererebbe, nella concreta volontà del giudice, il
limite del milione fissato dal 1° comma dell'art. 175 c.p. impu
gnato per la concedibilità del beneficio, egli non può definire com
piutamente il giudizio se prima non viene risolta la questione esat
tamente proposta.
non possa essere interpretato isolatamente dal 1° comma, con la conse
guenza che, anche nella ipotesi di pena detentiva congiunta a pena pecu
niaria, quest'ultima, nonostante la mancata indicazione di limiti, non de
ve essere superiore a lire un milione, e, ove la pena detentiva sia di due
anni, non deve essere superiore a quella che, ragguagliata alla pena de
tentiva, superi i sei mesi (cfr. Cass. 18 marzo 1965, Bevilacqua, Foro
it., Rep. 1966, voce Casellario giudiziale, n. 4, e in Cass, pen., 1965,
761, con nota di Petrone; 4 marzo 1969, Fiori, Foro it., Rep. 1970,
voce cit., nn. 3, 4, e in Mass. pen., 1970, 1168; 5 aprile 1971, Moratti,
Foro it., Rep. 1972, voce cit., nn. 2, 3; e, in dottrina, Cavaiaa, Non
menzione della condanna nel certificato del casellario, in Giust. pen.,
1966, II, 793; Giannone, op. cit., 583 e 585, n. 10). È apparso «assurdo ed irrazionale» alla corte proprio il ritenere che
la non menzione non possa essere ordinata, ai sensi del 1° comma, nel
caso di condanna dell'imputato alla sola pena pecuniaria superiore a un
milione di lire, e, invece, lo possa, a norma del 2° comma, nel caso
di condanna dell'imputato a pena pecuniaria superiore ad un milione di
lire congiunta a pena detentiva. Peraltro, il testo dell'art. 175 c.p., prima della modifica apportatavi dalla 1. 1911 del 1962, stabiliva un unico limite
massimo (lire centosessantamila) per la pena pecuniaria, fosse o meno
congiunta a pena detentiva, e solo a seguito di detta riforma è stato ag
giunto il 2° comma chiaramente al fine di attuare un temperamento della
pena pecuniaria nel caso fosse applicata congiuntamente alla pena deten
tiva nel massimo di anni due.
Andava, allora, semmai rilevato come, a seguito della modifica del
parametro di ragguaglio, si imponesse a maggior ragione la rivalutazione
del limite della pena pecuniaria. Ove, invero, si tenga presente che lire
un milione corrisponde, secondo il vigente parametro, a giorni quaranta,
mai la pena pecuniaria, ragguagliata e cumulata alla pena detentiva di
due anni, avrebbe potuto privare complessivamente il condannato della
libertà personale per un tempo non superiore a trenta mesi (ma, unica
mente, a mesi venticinque e giorni dieci). È ovvio, però, che non poteva competere alla corte — soprattutto di
nanzi alla circostanza che lo stesso legislatore del 1981 aveva riformulato
il testo dell'art. 175 c.p. — operare una scelta del moltiplicatore di rivalu
tazione (anche tra quelli indicati dall'art. 113 1. 689/81) e, pertanto, la
soluzione adottata risultava l'unica percorribile, anche se finisce per con
sentire una automatica estensione del limite relativo alla pena pecuniaria
per effetto di ogni modifica del parametro di ragguaglio. II. - Va, altresì, segnalato che l'art. 175, 1° comma, c.p., come sosti
tuito dall'art. 104 1. 689/81, è stato già dichiarato illegittimo da Corte
cost. 5 giugno 1984, n. 155 (Foro it., 1984, I, 2387, con nota di richiami),
anche nella parte in cui, riproducendo il testo del previgente art. 175
c.p. (già dichiarato incostituzionale da Corte cost. 17 luglio 1975, n. 225,
id., 1975, I, 2157), escludeva che potessero concedersi ulteriori non men
zioni di condanna nel certificato del casellario giudiziale spedito a richie
sta dei privati nel caso di condanna, per reati anteriormente commessi,
a pene che, cumulate con quelle già irrogate, non superassero i limiti
di applicabilità del beneficio. Cfr., in dottrina, Bernardi, La reiterazio
ne di una declaratoria d'incostituzionalità parziale in tema di «non men
zione» della condanna penale, in Legislazione pen., 1984, 602 ss.
Sulla portata della decisione, v. Cass. 9 gennaio 1985, Caponi, Foro
it., Rep. 1986, voce cit., n. 4, secondo cui «anche a seguito delle sentenze
n. 225 del 1975 e n. 155 del 1984 della Corte costituzionale . . . quando
sussista un precedente penale di qualsiasi natura e vengano poi commessi
ulteriori reati, successivamente alla prima condanna, il beneficio stesso
non può mai essere concesso».
Per la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzio
nale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 175 c.p., nella parte in cui,
non prevedendo la possibilità di concedere una seconda non menzione
nel caso di condanna, per reati successivamente commessi, a pena che,
cumulata con quella già irrogata, non superi i limiti di applicabilità del
beneficio, determina una disparità di trattamento rispetto a coloro che
possono godere una seconda volta della sospensione condizionale della
pena, cfr. Cass. 8 ottobre 1984, Morea, id., Rep. 1985, voce cit., n.
6; nonché Cass. 6 dicembre 1984, Colombiano, id., Rep. 1986, voce cit.,
n. 6, secondo cui «la limitazione della reiterazione del beneficio della
non menzione, all'ipotesi di reato anteriormente commesso, ed il diverso
trattamento rispetto alla sospensione condizionale della pena, che può
essere reiterata per un fatto successivo, trova giustificazione nella diffe
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PARTE PRIMA
2. - Ed è vero che lo stesso 1° comma contiene in se stesso
il tertium comparationis proprio nell'alternativa previsione della
condanna a pena detentiva, che mette in luce l'irrazionalità e l'i
neguaglianza della parte della disposizione concernente la pena
pecuniaria. Non potendosi revocare in dubbio che la pena deten
tiva sia riservata a fatti di maggiore gravità, non esiste una ragio nevole giustificazione al limite di gran lunga più ampio che, inve
ce, il legislatore riserva alla pena più grave per consentire la con
cessione del beneficio. Come, infatti, correttamente osserva il pre
tore, il limite di anni due di pena detentiva, ragguagliato secondo
gli attuali criteri dell'art. 135 c.p., corrisponde a ben diciotto mi
lioni di lire. Né può essere ipotizzabile che siffatta disparità corrisponda ad
una scelta discrezionale del legislatore, ispirata a qualche partico lare considerazione attorno alla diversa natura delle due pene, in relazione al più grave disdoro che deriva al condannato dalla
comparsa sul certificato penale della pena detentiva.
E ciò sia perché anche un siffatto criterio non apparirebbe pe raltro plausibile sul piano della razionalità, e sia perché soprat tutto esso comunque, qualsivoglia fosse per essere la filosofia che
lo ispira, troverebbe clamorosa smentita nel 2° comma dello stes
so articolo.
Ivi, infatti, come pure ha sottolineato l'ordinanza di rimessio
ne, consentendo che, in ordine ad una condanna a pena congiun ta detentiva e pecuniaria, il giudice possa concedere il beneficio
fino ad un massimo di mesi trenta di pena complessiva, raggua
gliata per la parte pecuniaria, il legislatore ha di fatto reso possi bile concedere la non menzione ad una condanna a pena pecunia ria che può oltrepassare addirittura i ventidue milioni. E nessuno
potrebbe sostenere che una condanna a pena detentiva congiunta a pena pecuniaria sia meno grave di una condanna a sola pena
pecuniaria. Tutto questo, però, porta a ritenere che in realtà la denunziata
illegittimità sia limitata al 1 ° comma dell'articolo impugnato; men
tre il 2° comma, lungi dal poter essere coinvolto nella censura, contribuisce anzi a dare più significativo risalto all'incompatibili tà del 1° comma nei confronti dell'art. 3 Cost.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale del 1° comma dell'art. 175 c.p., nella parte in cui
prevede che la non menzione nel certificato del casellario giudi ziale di condanna a sola pena pecuniaria possa essere ordinata
dal giudice quando non sia superiore a un milione, anziché a
somma pari a quella risultante dal ragguaglio della pena detenti
va di anni due, a norma dell'art. 135 c.p.
rente ratio dei due istituti, costituendo la sospensione condizionale della
pena una possibile causa di estinzione del reato e la non menzione un
particolare effetto della pronuncia riguardo ad esigenze di documentazio ne di rilevante interesse pubblico; tale esigenza pubblicistica prevale sul beneficio individuale della non menzione quando, chi abbia subito una
precedente condanna, commette un altro reato». Sull'istituto della «non menzione», in generale, cfr. Bellavista, Non
menzione della condanna nel certificato de! casellario giudiziale, voce del Novissimo digesto, 1965, XI, 324; Dolce, Condanna penale (non men
zione della condanna nel certificato del casellario giudiziale), voce del
VEnciclopedia del diritto, 1961, Vili, 741; Drigani, Non menzione della condanna nel certificato del casellario, voce del Novissimo digesto, ap pendice, 1984, V, 231; Rossetti, in Giurisprudenza sistematica di diritto
penale. Parte generale, a cura di Bricola e Zagrebelsky, Torino, 1984, III, 1401 ss. [E. D'Angelo]
Il Foro Italiano — 1989.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 2 febbraio 1988, n. 123
{Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 17 febbraio 1988, n. 7); Pres. Saja, Est. Spagnoli; Inadel c. Molinari ed altri; (omis
sis); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato D'Amico, Mat aloni). Ord. Trib. Brescia 22 aprile 1982 (G.U. n. 88 del
1983); 8 luglio 1982 (G.U., la s.s., n. 60 del 1986); Pret. Vene
zia 18 maggio 1977 (G.U. n. 32 bis del 1985); Pret. Siena 16 agosto 1984 (G.U. n. 53 bis del 1985); Pret. Piacenza 9 luglio 1984 (G.U. n. 59 bis del 1985); Pret. Pisa 2 ottobre 1984 (cin
que) (G.U. n. 44 bis del 1985); 27 giugno 1985 (G.U., la s.s., n. 23 del 1986); 23 luglio 1986 (G.U., la s.s., n. 1 del 1987); Pret. Roma 22 novembre 1984 (G.U. n. 137 bis del 1985); 21
maggio 1985 (G.U., la s.s., n. 20 del 1985); Pret. Trieste 16
maggio 1985 (G.U. n. 293 bis del 1985); Pret. Firenze 8 feb braio 1985 (G.U., la s.s., n. 11 del 1986); Trib. Modena 19
giugno 1985 e Pret. Brescia 24 luglio 1985 (G.U., la s.s., n.
10 del 1986); Pret. Lucca 15 giugno 1985 (due) (G.U., la s.s., n. 20 del 1986); Pret. Genova 1° ottobre 1985 (G.U., la s.s., n. 22 del 1986); Pret. Pistoia 22 ottobre 1985 (G.U., la s.s., n. 25 del 1986); Pret. Oristano 17 gennaio 1986 (G.U., la s.s., n. 30 del 1986); 21 febbraio 1986 (due) (G.U., la s.s., n. 43 del 1986); Pret. L'Aquila 17 maggio 1985 (quattro) (G.U., la
s.s., n. 28 del 1986); Pret. Parma 21 febbraio 1986 (G.U., la
s.s., n. 36 del 1986); Pret. Ancona 27 giugno 1986 (G.U., la
s.s., n. 56 del 1986); Trib. Verona 22 marzo 1985 (G.U., la
s.s., n. 4 del 1987); Cass. 30 ottobre 1986 (G.U., la s.s., n.
28 del 1987) e 30 ottobre 1986 (quindici) (G.U., la s.s., nn.
20 e 21 del 1987); Pret. Cosenza 9 gennaio 1987 (G.U., la
s.s., n. 14 del 1987); Trib. Torino 13 febbraio 1987 (G.U., la s.s., n. 31 del 1987).
Impiegato dello Stato e pubblico — Ex combattenti — Benefici — Oneri finanziari — Copertura — Questioni manifestamente
inamissibili, inammissibili e infondate di costituzionalità (Cost., art. 3, 5, 52, 81, 114, 119, 120, 136; 1. 24 maggio 1970 n.
336, norme a favore dei dipendenti civili dello Stato e di enti
pubblici ex combattenti ed assimilati, art. 4; 1. 9 ottobre 1971
n. 824, norme di attuazione, modificazione ed integrazione del
la 1. 24 maggio 1970 n. 336, art. 6; 1. 26 aprile 1983 n. 131, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 28 febbraio
1983 n. 55, recante provvedimenti urgenti per il settore della
finanza locale per l'anno 1983, art. 30 bis).
Impiegato dello Stato e pubblico — Ex combattenti — Benefici — Trattamento a carico dell'assicurazione generale obbligato ria — Estensione — Interpretazione autentica — Estinzione dei
giudizi pendenti — Questioni manifestamente inammissibili, in
fondate e manifestamente infondate di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 38, 41, 53, 81, 101, 113; 1. 24 maggio 1970 n. 336, art. 4; 1. 9 ottobre 1971 n. 824, art. 6; 1. 26 aprile 1983 n.
131, art. 30 ter; 1. 9 maggio 1984 n. 118, interpretazione auten tica della 1. 24 maggio 1970 n. 336, relativamente alla estensio ne dei benefici ai trattamenti di pensione a carico dell'assicura
zione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, art. unico).
Sono manifestamente inammissibili, inammissibili, infondate o da riesaminare alla luce della normativa sopravvenuta, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 30 bis /. 26 aprile 1983 n. 131, degli art. 1, 2, 3, 1°, 2° e 3° comma, l. 24 maggio 1970 n. 336 e dell'art. 6 l. 9
ottobre 1971 n. 824, dopo la sua dichiarazione di illegittimità parziale pronunziata da Corte cost. n. 92/81, nella parte in cui stabiliscono che gli enti e le aziende datori di lavoro devono
far fronte agli oneri finanziari relativi ai benefici combattenti stici riconosciuti ai propri dipendenti «parzialmente utilizzando o le disponibilità del proprio bilancio provenienti dai trasferi menti operati a carico del bilancio dello Stato, o quelle affluite in bilancio in relazione alle specifiche attività svolte» dagli enti ed aziende medesime, in riferimento agli art. 3, 5, 52, 81, 114, 119, 128 e 136 Cost. (1)
(1-4) Per riferimenti sulle questioni prese nuovamente in esame dalla Corte costituzionale ed ampiamente dibattute in giurisprudenza, v., da ultimo, Pret. Oristano 21 febbraio 1986, Foro it., 1988, I, 1341, con nota di R. Tarchi, Le leggi interpretative come strumento di dialogo (o di bisticcio?) fra parlamento e giudici.
Fra le ordinanze di rimessione, oltre Pret. Oristano, cit. e le altre ri
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