sentenza 18 luglio 1989, n. 408 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 26 luglio 1989, n. 30);Pres. Saja, Est. Corasaniti; Soc. coop. Fornaci Le Piaggiole c. Fall. soc. impresa artigiana edileCamellini. Ord. Trib. Firenze 26 settembre 1988 (G.U., 1 a s.s., n. 3 del 1989)Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2691/2692-2693/2694Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184188 .
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2691 PARTE PRIMA 2692
ziamento, irrogate da datore di lavoro con meno di sedici dipen
denti, trova ragionevole giustificazione nel fatto che queste, a
differenza del licenziamento, sia pure disciplinare, intimato dal
medesimo datore di lavoro, possono essere effettivamente rimos
se per effetto dell'applicazione di dette garanzie, inidonee, inve
ce, ad impedire il risultato della risoluzione del rapporto di lavo
ro, ottenibile ad nutum. Né, in senso dirimente, possono invocar
si le necessità di tutela della dignità del lavoratore, che trovano
comunque adeguato presidio nei normali mezzi apprestati dal
l'ordinamento.
Diritto. — Il Tribunale di Vicenza dubita della legittimità co stituzionale dell'art. 7, 2° e 3° comma, 1. n. 300 del 1970, ove
interpretata alla stregua della giurisprudenza della corte regolatri
ce, nel senso della sua inapplicabilità all'ipotesi di licenziamento
disciplinare irrogato dal datore di lavoro con meno di sedici di
pendenti, in quanto risulterebbe violato l'art. 3 Cost, perché le
garanzie procedimentali previste dalla norma censurata sarebbero
applicate a lavoratori delle dette aziende per sanzioni di minore
entità, mentre il licenziamento c.d. disciplinare oltre a produrre la perdita del posto di lavoro lede la dignità professionale e per sonale del lavoratore.
La questione è fondata.
Questa corte ha affermato (sentenza n. 204 del 1982, Foro it.,
1982, I, 2981; ordinanza n. 345 del 1988) che le garanzie di cui
all'art. 7 1. n. 300 del 1970 si applicano ai licenziamenti qualifica bili come sanzione disciplinare secondo la legge o l'autonomia
collettiva; il relativo accertamento e la relativa qualificazione spet tano ai giudici remittenti e possono essere effettuati secondo l'in
dirizzo giurisprudenziale affermatosi in materia.
Nella fattispecie il Tribunale di Vicenza ha qualificato il licen
ziamento intimato di carattere sostanzialmente disciplinare.
Principi di civiltà giuridica ed innegabili esigenze di assicura zione della parità di trattamento garantita dal precetto costituzio
nale (art. 3 Cost.) richiedono che a favore del lavoratore, colpito dalla più grave delle sanzioni disciplinari, quale è quella espulsi
va, con perdita del posto di lavoro e lesione della dignità profes sionale e personale, siano assicurate le garanzie previste dall'art.
7 dello statuto dei lavoratori specificamente a favore di colui al
quale è stata inflitta una sanzione disciplinare. Il lavoratore deve essere posto in grado di conoscere l'infrazio
ne contestata, la sanzione ed i motivi; deve essere, inoltre, posto nella condizione di difendersi adeguatamente, di fare accertare
l'effettiva sussistenza dell'addebito in contraddittorio con l'altra
parte, cioè del datore di lavoro.
Queste ragioni attengono alle specie del licenziamento e ai mo
tivi che lo determinano e prescindono dal numero dei dipendenti
impiegati nell'impresa, il quale (numero) condiziona le conseguenze che derivano dall'eventuale declaratoria di illegittimità del licen
ziamento.
Sicché le garanzie di cui all'art. 7 dello statuto dei lavoratori
devono essere riconosciute anche ai lavoratori di imprese che oc
cupino meno di sedici dipendenti e non possono essere omesse
in alcun caso a tutela del lavoratore.
Non vi è dubbio infatti che il licenziamento per motivi discipli
re «principi di civiltà giuridica» — ai quali rispondono, appunto, le ga ranzie procedimentali in questione (38) — né, in generale, lo «zoccolo minimo» di tutela dei lavoratori (39).
Michele De Luca Michele De Luca
anni '80, vedi: La politica occupazionale per il prossimo decennio (c.d. piano De Michelis), documento approvato dal parlamento come allegato alla legge finanziaria per il 1986, ministero del lavoro e della previdenza sociale (a cura di), Lavoro e politica dell'occupazione in Italia, Rapporto '87 e Rapporto '88; Labour Marcket Flexibility, OCSE, 1986.
Nella dottrina giuridica, vedi, per tutti: AA.VV., Occupazione flessibi le e nuova tipologia del rapporto di lavoro, Napoli, 1988; M. De Luca, Fonti di diritto regionale del lavoro, Padova, 1988; Id., Statuto dei lavo ratori: prospettive del «garantismo» per gli anni '90, cit.
(38) in tal senso, vedi la sentenza in rassegna. Vedi, altresì' Cass. 5732/86
(Foro it., 1987, I, 2619, con nota di Brusco), 7320/87 (id., Rep. 1987, voce Lavoro in materia di navigazione, n. 18), che configurano come
«principio generale dell'ordinamento» la garanzia del contraddittorio nel la procedura di irrogazione delle sanzioni e, in particolare, dei licenzia menti disciplinari.
(39) Vedi De Luca, Statuto dei lavoratori: prospettive del «garanti smo» per gli anni '90, cit.
li Foro Italiano — 1989.
nari senza l'osservanza delle garanzie suddette può incidere sulla
sfera morale e professionale del lavoratore e crea ostacoli o addi
rittura impedimenti alle nuove occasioni di lavoro che il licenzia to deve poi necessariamente trovare. Tanto più grave è il pregiu dizio che si verifica se il licenziato non sia posto in grado di difendersi e fare accertare l'insussistenza dei motivi «disciplina
ri», peraltro unilateralmente mossi e addebitati dal datore di
lavoro.
Del resto la sfera di operatività dell'art. 2118 c.c., dopo gli interventi del legislatore in tema di licenziamento (1. n. 604 del
1966 e n. 300 del 1970) ispirati anche a raccomandazioni interna
zionali (sessioni della conferenza internazionale del lavoro) (sen tenza n. 2 del 1986, id., 1986, I, 1184), ed i numerosi accordi sindacali che sono intervenuti e continuamente intervengono in
materia, si è molto ridotta e la norma non è più, quindi, una
regola del nostro ordinamento di efficacia generale. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la illegittimi
tà costituzionale dell'art. 7, 2° e 3° comma, 1. 20 maggio 1970
n. 300 (norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro
e norme sul collocamento), nella parte in cui è esclusa la loro
applicabilità al licenziamento per motivi disciplinari irrogato da
imprenditore che abbia meno di sedici dipendenti.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 18 luglio 1989, n. 408 {Gazzetta ufficiate, 1" serie speciale, 26 luglio 1989, n. 30); Pres. Saja, Est. Corasaniti; Soc. coop. Fornaci Le Piaggiole c. Fall. soc. impresa artigiana edile Camellini. Ord. Trib. Fi renze 26 settembre 1988 (G.U., la s.s., n. 3 del 1989).
Fallimento — Crediti delle cooperative di produzione e lavoro — Privilegio generale — Interessi — Estensione della prelazio ne — Esclusione — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 36; cod.
civ., art. 2749, 2751 bis; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 54, 55, 169).
Sono illegittimi gli art. 55, 1° comma, 54, 3° comma, e 169 r.d.
16 marzo 1942 n. 267, nella parte in cui non estendono il privi
legio agli interessi dovuti sui crediti delle cooperative di produ
zione e lavoro nel periodo successivo alla dichiarazione di falli mento o alla ammissione della impresa al concordato pre ventivo. (1)
(1) Con la decisione in rassegna, la Corte costituzionale integra, ma non completa, il processo di erosione del principio della cristallizzazione dei crediti nelle procedure concorsuali liquidatone. La sentenza, infatti,
recepisce ampiamente le argomentazioni addotte da Corte cost. 20 aprile 1989, n. 204, Foro it., 1989, I, 2091, alla cui nota si rinvia per gli ulterio ri richiami, con cui venne dichiarata l'illegittimità costituzionale delle me desime norme, nella parte in cui non prevedevano l'estensione della pre lazione anche per gli interessi maturati dopo la declaratoria di fallimento.
Il giudice delle leggi, motiva la pronuncia di incostituzionalità con due
argomenti; da un lato la constatazione che nel diritto positivo sono fre
quenti le disposizioni che introducono trattamenti privilegiati a favore delle cooperative, riconoscendo, in particolare, benefici ai soci, non dissi mili da quelli assegnati ai lavoratori subordinati (sulla parificazione in materia antinfortunistica, Cass. 15 maggio 1987, n. 4480, id., Rep. 1988, voce Infortuni sul lavoro, n. 161; sulla assimilazione fiscale, Cass. 3 ago sto 1987, n. 6680, id., Rep. 1987, voce Ricchezza mobile, n. 10; sulla
equiparazione in materia di assegni familiari, Cass. 18 novembre 1987, n. 8463, ibid., voce Previdenza sociale, n. 576); dall'altro lato, la presa d'atto che, nella organizzazione cooperativistica, si assiste ad una forma di produzione alternativa che determina l'emersione della «funzione so
ciale», più che in ogni altro tipo di organizzazione produttiva (in tale
ottica, viene richiamato l'art. 45 Cost.). L'opzione fatta propria dalla
corte, per quanto attiene alla seconda valutazione, appare muoversi su un piano di politica generale, piuttosto che su solide basi giuridiche, ma, complessivamente, la decisione sembra in linea con la volontà di tutelare
più ampiamente la posizione di quei creditori che appaiono più deboli. Sul concetto di mutualità, da ultimo, si segnalano, Trib. Cassino 9
aprile 1987, id., 1987, I, 2851, con nota di richiami e, in dottrina,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Diritto. — 1. - Con l'ordinanza di rimessione è sollevata que stione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli art. 55, 1° comma, richiamato dagli art. 169 e 54, 3° comma,
r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (legge fallimentare), nella parte in cui non sancisce la prelazione a favore degli interessi sulle somme
oggetto di crediti delle società o enti cooperativi di produzione e di lavoro (crediti assistiti da privilegio ex art. 2751 bis, n. 5, c.c.) dopo la domanda di concordato preventivo. La questione
si riferisce, peraltro, anche all'ipotesi di fallimento del debitore, fallimento, che, nella specie, è seguito al concordato preventivo.
La legittimità costituzionale della norma è messa in dubbio in
riferimento all'art. 3, 1° comma, Cost. Ma l'invocazione da par te dell'ordinanza di rimessione del precedente costituito dalla sen
tenza di questa corte n. 300 del 1986 (Foro it., 1987, I, 320) — che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma ora
impugnata in quanto non sanciva la prelazione nel procedimento
di concordato preventivo a favore degli interessi sulle somme og
getto di crediti da lavoro dipendente per contrasto con gli art.
3, 1° comma, e 36 Cost. — inducono a ritenere che l'ordinanza
stessa faccia anche riferimento, per implicito, a quest'ultimo pre
cetto costituzionale.
2. - La questione è fondata.
In effetti questa corte, con la sentenza n. 300 del 1986, ha
dichiarato l'illegittimità della norma ora impugnata con riferi
mento agli art. 3 e 36 Cost., in quanto, non prevedendo prelazio
ne a favore degli interessi, decorrenti in sede di concordato pre
ventivo, sui crediti da lavoro dipendente — crediti pur assistiti da privilegio, ai sensi dell'art. 2751 bis, n. 1, c.c., e quindi da
prelazione nella detta sede — non costituiva adeguata tutela per
i lavoratori dipendenti. Con la recente sentenza n. 204 del 1989 (id., 1989, I, 2091),
questa corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, in riferi mento agli art. 3 e 36 Cost., della norma risultante dal coordina
mento degli art. 54, 3° comma, e 55, 1° comma, r.d. n. 267
del 1942, nella parte in cui non estende — in quanto non richia
ma gli art. 2749 e 2751 bis, n. 1, c.c. — la prelazione agli interes
si dovuti sui crediti privilegiati da lavoro dipendente nel fallimen to dell'imprenditore.
Con tali pronunce la corte ha ritenuto ingiustificata la discri
minazione operata fra crediti da lavoro e crediti per interessi sui
medesimi nelle procedure concorsuali — in quanto non estendo
no a questi la prelazione riconosciuta a quelli — perché contraria
a una compiuta tutela dei crediti comunque derivanti da lavoro
subordinato. Ricorrono tuttavia anche per gli interessi — decor
renti sia durante il procedimento di concordato preventivo che
durante quello di fallimento — sulle somme oggetto dei crediti
delle cooperative di produzione e lavoro assistiti da privilegio ai
sensi dell'art. 2751 bis, n. 5, c.c., valide ragioni per ritenere ille
gittima l'analoga discriminazione operata dalla norma impugnata.
i contributi di Cabras e Rordorf nel seminario di studi organizzato dalla
rivista Società, 1988, 905.
Piuttosto v'è da segnalare che con questa pronuncia si è, ulteriormen
te, esteso il divario fra singole categorie di creditori privilegiati, con la
conseguente amplificazione dei profili di legittimità costituzionale di un
siffatto modo di operare, già messi in evidenza nelle osservazioni di M.
Fabiani a Corte cost. 204/89, cit.
Non va, infine, trascurato che i vantaggi, che discendono dalla pro nuncia in esame, renderanno ancor più necessaria una attenta valutazione
delle caratteristiche reali delle società cooperative, cosi come già si è mes
so in rilievo da parte di alcuni giudici di merito. In particolare, il privile
gio può essere riconosciuto solo ai crediti di quelle cooperative nelle quali
i servizi prestati ed i prodotti venduti si ricollegano ad una attività diretta
dei soci (Trib. Genova 10 giugno 1988 (m), Fallimento, 1988, 1269; Trib.
Reggio Emilia 1° marzo 1988, Foro it., Rep. 1988, voce Privilegio, n.
31; Trib. Venezia 28 luglio 1987 (m), Fallimento, 1988, 85; Trib. Torino
4 giugno 1985, (m), id., 1985, 1111; in dottrina, Tucci, I privilegi, in
Trattato diretto da Resciono, XIX, Torino, 1985, 520; Calandra Bo
naura, Crediti di società cooperative e privilegio sui mobili, in Giur.
comm., 1980, II, 354; sulla individuazione delle cooperative di produzio
ne e lavoro, Romagnoli, La cooperazione di lavoro, in Cooperazione
e cooperative a cura di Buonocore, Napoli, 1977, 201).
A questo punto sarebbe opportuno che la corte, anziché sgretolare gli
art. 54 e 55 1. fall., provvedesse, invece, a provocarne la radicale caduca
zione con riferimento a tutte le categorie di crediti privilegiati. [M. Fabiani]
Il Foro Italiano — 1989.
Intanto non mancano nel diritto positivo altre discipline dirette
a introdurre trattamenti privilegiati a favore delle cooperative di
produzione e lavoro, le quali, se rispondenti ai requisiti previsti dalla legislazione sulla cooperazione (d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947
n. 1577), sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone giuri diche e dall'imposta locale sui redditi (art. 11 d.p.r. 29 settembre
1973 n. 601). E tali benefici sono certamente connessi, per un
verso, alla rilevanza della particolare posizione del socio, assimi
lata a quella del lavoratore subordinato per quanto riguarda il
trattamento fiscale del reddito (art. 47, lett. a, d.p.r. 29 settem
bre 1973 n. 597), nonché sotto il profilo della tutela antinfortuni
stica (art. 4, n. 7, d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124), della previden za (d.p.r. 30 aprile 1970 n. 602) e del diritto agli assegni familiari (art. 1 d.p.r. 30 maggio 1955 n. 797). E, per altro verso, alla
causa propria della costituzione delle cooperative suindicate, che
ha natura rigorosamente mutualistica, in quanto consiste nell'au
torganizzazione e autogestione in forma sociale (coorganizzazio ne e cogestione alla pari) di prestatori di lavoro per la migliore collocazione e per la più adeguata retribuzione del lavoro medesi
mo, con esclusione di fini di speculazione. Viene cosi in emersione l'art. 36, ma è coinvolto anche l'art.
45 Cost. A quest'ultimo proposito va osservato che, anche se
alla protezione costituzionale della cooperazione si attribuisce una
finalità che va oltre la generica tutela di categorie produttive de
boli, in quanto di estende al riconoscimento e alla promozione di una forma di produzione alternativa a quella capitalistica, la
giustificazione della protezione stessa è comunemente rinvenuta
nella più stretta inerenza che la «funzione sociale» presenta nel
l'organizzazione cooperativistica rispetto a quella che la detta fun
zione riveste nelle altre forme di organizzazione produttiva. Fun
zione sociale che qui viene individuata nella congiunta realizza
zione del decentramento democratico del potere di organizzazione
e gestione della produzione e della maggiore diffusione e più equa
distribuzione del risultato utile della produzione stessa (cfr., per
particolari aspetti, gli art. 43 , 44, 46 e 47, ma, su un piano più
generale, gli art. 1, 2, 3 e 4 Cost.). Ciò induce a ritenere che anche nel caso che ne occupa è ingiu
stificata, in riferimento ai cennati precetti costituzionali, la la
mentata discriminazione.
Va, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale della nor
ma risultante dal coordinamento degli art. 54, 3° comma, e 55,
1° comma, r.d. n. 267 del 1942, operante, in forza del rinvio
contenuto nel successivo art. 169, anche nel concordato preventi
vo, nella parte in cui, nelle procedure di fallimento del debitore
e di concordato preventivo, non estende — in quanto non richia
ma gli art. 2749 e 2751 bis c.c. — la prelazione agli interessi
sui crediti delle società o enti cooperativi di produzione e lavoro
di cui all'art. 2751 bis, n. 5, c.c.
È ovvio che la presente pronuncia va circoscritta agli interessi
sulle somme oggetto di crediti delle sole cooperative di produzio
ne e lavoro che rispondono ai requisiti prescritti dalla legislazione
in tema di cooperazione (d.l.c.p.s. 14 dicembre 1947 n. 1577,
e successive modificazioni). Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità
costituzionale degli art. 54, 3° comma, e 55, 1° comma, r.d. 16
marzo 1942 n. 267 (disciplina del fallimento, del concordato pre
ventivo, della amministrazione controllata e della liquidazione coat
ta amministrativa), nonché dell'art. 169 dello stesso r.d. là dove
richiama l'art. 55, nella parte in cui, nelle procedure di fallimen
to del debitore e di concordato preventivo, non estendono la pre
lazione agli interessi dovuti sui crediti privilegiati delle società
o enti cooperativi di produzione e di lavoro, di cui all'art. 2751
bis, n. 5, c.c., che rispondono ai requisiti prescritti dalla legisla
zione in tema di cooperazione.
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