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sentenza 19 ottobre 1991; Pres. Delli Priscoli, Est. Ciccolo; Soc. Fincantieri (Avv. Irti, M.S.Giannini, Cabras) e Soc. Oto Melara (Avv. Scoca, Irti) c. Min. commercio estero ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 3229/3230-3237/3238Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185749 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
e i cui beni immobili siano totalmente destinati allo svolgimento delle attività politiche dei partiti rappresentati nelle assemblee nazionali e regionali, delle attività culturali, ricreative, sportive ed educative di circoli aderenti ad organizzazioni nazionali le
galmente riconosciute, delle attività sindacali dei sindacati rap presentati nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro.
Con d.l. 30 maggio 1988 n. 173, convertito nella 1. 26 luglio 1988 n. 291 (art. 8, 1° comma) furono stabiliti i seguenti nuovi
importi: — lire 9 milioni per le società con capitale da lire 200 milioni
a lire 499 milioni; — lire 18 milioni per le società con capitale da lire 500 milio
ni a lire 999 milioni; — lire 30 milioni per le società con capitale da lire 1.000
milioni a lire 4.999 milioni; — lire 60 milioni per le società con capitale da lire 5.000
a lire 9.999 milioni; — lire 120.000.000 per le società con capitale oltre 10.000
milioni; — lire 2.500.000 per le società a responsabilità limitata; — lire 500.000 per le società di altro tipo. Con d.l. 2 marzo 1989 n. 69, convertito nella 1. 27 aprile
1989 n. 154 (art. 36, 8° comma) furono stabiliti i seguenti nuovi
importi: — lire 12.000.000 per le società per azioni ed in accomandita
per azioni, quale che sia il capitale sociale; — lire 3.500.000 per le società a responsabilità limitata; — lire 500.000 per le società di altro tipo. 3. - L'art. 8 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641, che contiene la
disciplina generale della tassa in questione, stabilisce che «gli atti per i quali sono dovute le tasse non sono efficaci sino a
quando queste non siano pagate». In ossequio a questo principio le cancellerie dei tribunali ri
fiutano di iscrivere una società di nuova costituzione, ove non
sia documentato il pagamento della tassa di concessione gover nativa.
È quanto è avvenuto nel caso in esame.
4. - Il ricorrente sostiene che la tassa di concessione governa tiva di cui si discute è in contrasto con la direttiva Cee 17 luglio 1969 n. 335, la quale cosi tra l'altro dispone:
«(art. 10) Oltre all'imposta sui conferimenti, gli Stati membri
non applicano, per quanto concerne le società, associazioni o
persone giuridiche che perseguono scopi di lucro, nessun'altra
imposizione, sotto qualsiasi forma:
a) per le operazioni previste dall'art. 4;
b) per i conferimenti, prestiti o prestazioni effettuati nel qua dro delle operazioni previste dall'art. 4;
c) per l'immatricolazione o per qualsiasi altra formalità preli minare all'esercizio di un'attività, alla quale una società, asso
ciazione o persona giuridica che persegue scopi di lucro può essere sottoposta in ragione della sua forma giuridica».
«(art. 12) Gli Stati membri possono applicare, in deroga alle
disposizioni degli art. 10 e 11:
a) imposte sui trasferimenti di valori mobiliari, riscosse forfe
tariamente o no;
b) imposte di trasferimento, ivi comprese le tasse di pubblici tà fondiaria, sul conferimento ad una società, associazione o
persona giuridica che persegue scopi di lucro, di beni immobili
o di aziende commerciali situati sul loro territorio;
e) imposte di trasferimento sui beni di qualsiasi natura che
sono oggetto di un conferimento ad una società, associazione
o persona giuridica che persegue scopi di lucro, nella misura
in cui il trasferimento di tali beni è remunerato altrimenti che
con quote sociali;
d) imposte sulla costituzione, iscrizione o cancellazione di pri
vilegi e ipoteche;
e) diritti di carattere remunerativo;
f) l'imposta sul valore aggiunto (. . .)». 5. - Con sentenza 8 aprile 1991, n. 168 la Corte costituzionale
ha ritenuto che il giudice nazionale debba disapplicare la norma
interna quante volte questa sia incompatibile non solo, come
già in precedenza ritenuto (cfr. Corte cost. 170/84, Foro it.,
1984, I, 2062; 113/85, id., 1985, I, 1600), con i regolamenti
comunitari, interpretati alla luce della giurisprudenza della Cor
te di giustizia delle Comunità europee, ma anche con le diretti
ve comunitarie, purché queste siano incondizionate (si da non
lasciare margine di discrezionalità agli Stati membri nella loro
Il Foro Italiano — 1991.
attuazione) e sufficientemente precise (nel senso che la fattispe cie astratta ivi prevista ed il contenuto del precetto ad essa ap plicabile devono essere determinati con compiutezza, in tutti i loro elementi) e purché lo Stato destinatario risulti inadempien te per essere inutilmente decorso il termine per dare attuazione alla direttiva.
Il ricorrente invoca questo principio, e chiede, pertanto, che il giudice del registro, accogliendo il ricorso, ritenuta l'imme diata applicabilità della direttiva 335/69 Cee e disapplicate di
conseguenza le norme, dianzi ricostruite, che impongono il pa
gamento della tassa di concessione governativa come condizio ne necessaria per l'iscrizione delle società nel registro delle im
prese (recte: registri di cancelleria in funzione di registro delle
imprese), ordini l'iscrizione rifiutata dal cancelliere.
Il ricorrente chiede, in linea subordinata, che il giudice del
registro sospenda la decisione e rimetta la questione della com
patibilità fra la normativa interna e la direttiva Cee alla Corte di giustizia, ai sensi dell'art. 177 del trattato di Roma.
6. - Il giudice del registro ritiene di dover accogliere l'istanza
subordinata.
La questione della compatibilità tra il regime della tassa di
concessione governativa sulle società e la direttiva Cee 335/69
è già stata rimessa alla Corte di giustizia delle Comunità euro
pee dal presidente del Tribunale di Genova (cfr. ordinanza 14
gennaio 1991, in ricorso Ponente Carni s.p.a. c. Amministra
zione delle finanze dello Stato, Società, 1991, 681). L'amministrazione delle finanze dello Stato ritiene che la nor
mativa fiscale in parola sia compatibile con la norma comunita
ria, in quanto essa prevederebbe tributi classificabili come dirit ti di carattere remunerativo, come tali consentiti ai sensi del
l'art. 12, lettera e), della direttiva.
La questione non appare di immediata ed evidente soluzione.
Ciò rende opportuno il ricorso alla Corte di giustizia. Si deve ritenere che l'art. 177 del trattato di Roma possa esse
re applicato anche ai fini di una decisione in sede di volontaria
giurisdizione, data l'ampia dizione della norma, che non sem
bra riferibile ai soli casi in cui sia stato radicato un procedimen to contenzioso.
Per questi motivi, il giudice del registro; visto l'art. 177 del
trattato di Roma, sospende la decisione sul ricorso, ordina che
gli atti siano rimessi alla Corte di giustizia delle Comunità euro
pee, alla quale richiede di pronunciarsi sulla seguente questione: se la normativa fiscale concernente la tassa di concessione go vernativa sulle società, attualmente vigente, e menzionata in mo
tivazione sub 2 e 3, sia compatibile con la direttiva Cee n. 335
del 1969; (omissis)
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 19 ottobre 1991; Pres. Del
li Priscoli, Est. Ciccolo; Soc. Fincantieri (Avv. Irti, M.S.
Giannini, Cabras) e Soc. Oto Melara (Avv. Scoca, Irti) c.
Min. commercio estero ed altri.
TRIBUNALE DI ROMA; tt Dd tcoai t Cet r^tr^r^ r\i
Giurisdizione civile — Navi da guerra e materiale bellico —
Fornitura all'Iraq — Autorizzazione all'esportazione e licen
za di pubblica sicurezza — Sospensione e rifiuto di rilascio — Domanda di risarcimento danni — Improponibilità — Estre
mi — Fattispecie.
Le determinazioni con le quali i competenti ministeri italiani, aderendo alle direttive del consiglio di sicurezza dell'Onu, so
spendono l'autorizzazione all'esportazione delle navi da guer
ra, del supporto logistico e del relativo munizionamento, che
società nazionali avevano iniziato a fornire, in esecuzione di
precedenti regolari contratti, alla marina irachena, rifiutando altresì la concessione di ulteriori proroghe e il rilascio della
licenza di pubblica sicurezza, si configurano come atti politi
ci, in relazione ai quali non sussistono posizioni individuali
di diritto soggettivo tutelabili con l'azione risarcitoria. (1)
(1) I precedenti richiamati dal tribunale, a proposito della definizio ne degli atti politici e della insindacabilità dei medesimi in sede giudiziaria
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3231 PARTE PRIMA 3232
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 17 giugno 1988 la s.p.a. Fincantieri - cantieri navali italiani
conveniva in giudizio i ministeri del commercio estero, delle fi
nanze, degli interni, del tesoro chiedendone la condanna al ri
sarcimento dei danni nella misura provvisoriamente'indicata in
lire 137.000.000.000 o in quella maggiore o minore da determi
nare in corso di giudizio. A sostegno della domanda deduceva le seguenti circostanze: — alla fine del dicembre 1980 le società Cantieri navali riuni
ti s.p.a. (oggi incorporata in Fincantieri - cantieri navali italiani
s.p.a.) e Oto Melara s.p.a. stipularono con la marina militare
irachena tre contratti aventi per oggetto la costruzione e la con
segna di undici navi da guerra, del supporto logistico e del rela
tivo munizionamento; — gli accordi furono seguiti e favoriti dalle autorità governa
tive italiane, che, oltre a presenziare alla firma dei contratti, assunsero verso l'Iraq garanzie circa il buon esito della fornitu
ra ed assicurarono una costante assistenza di organi del ministe
ro della difesa, per l'addestramento degli equipaggi ed il sup porto logistico;
— in data 25 febbraio 1981 veniva rilasciata dal ministero
del commercio con l'estero autorizzazione all'esportazione, con
validità di cinquanta mesi; tale termine fu prorogato al 30 otto
bre 1986 e, quindi, con provvedimento del 7 luglio 1986, fino
al 30 giugno 1987; — l'esecuzione dell'esportazione richiedeva, altresì, la licen
za del ministero dell'interno, prevista dall'art. 28 del testo uni
co delle leggi di pubblica sicurezza; essa veniva ottenuta soltan
to per l'esportazione di tre navi e dei primi lotti del muniziona
mento; vane, invece, restavano le richieste di licenza del 31
ottobre 1986 e del 28 gennaio 1987; e vani gli atti di significa zione notificati il 5 marzo 1987 e il 1° dicembre 1987;
— la mancata concessione della licenza di pubblica sicurezza
aveva reso impossibile la consegna di cinque navi, ultimate tra
lo scorcio del 1986 e i primi mesi del 1987, ed aveva, altresì', determinato l'inutilità della licenza di esportazione, scaduta il
30 giugno 1987 e non rinnovata; e questo senza che fossero
sopravvenuti, rispetto alla conclusione dei contratti ed alle pre cedenti proroghe delle licenze di esportazione, atti di rilievo giu ridico (interno o internazionale), che legittimassero il comporta mento degli organi statali;
— il comportamento dello Stato italiano, che pure aveva fa
vorito la conclusione dei contratti, garantito l'eseguibilità giuri dica e sostenuto concretamente la realizzazione aveva cagionato ad essa istante danni costituiti, al momento, da circa 26 miliar di per spese di conservazione e 111 miliardi per oneri finanziari, oltre quelli maturandi in corso di causa.
Con atto di citazione notificato il 23 giugno 1988, la s.p.a. Oto Melara conveniva in giudizio la presidenza del consiglio
e/o giurisdizionale, sono ricordati in nota a Cass. 5 giugno 1989, n. 2707, Foro it., 1989, I, 2785, con ulteriori indicazioni, del pari citata dalla sentenza in rassegna. Più di recente, la menzionata insindacabilità è stata ribadita da Cass. 26 luglio 1991, n. 8368, id., 1991, I, 2953, con osservazioni di C.M. Barone, che ha ricondotto fra gli atti politici o di governo il provvedimento di indizione di referendum abrogativo di legge, in relazione al quale (provvedimento) la precedente Cass. 9
gennaio 1978, n. 53, id., 1978, I, 612, con nota redazionale (invocata dalla pronuncia del 1991), rilevato che l'opportunità di modificare le
leggi dello Stato forma oggetto di una valutazione implicante l'apprez zamento di esigenze dell'intera collettività alla luce di criteri di politica generale, aveva affermato che «un interesse del cittadino alla conserva zione delle leggi attualmente in vigore ed all'esclusione del loro assog gettamento a modifiche future di sospetta costituzionalità non è presa in considerazione da alcuna norma né in via diretta ed immediata, né in occasione della tutela di un interesse più generale, onde non può neppure in astratto meritare la qualifica di diritto soggettivo o di inte resse legittimo».
Per qualche riferimento a proposito dell'incidenza delle sanzioni in ternazionali contro l'Iraq sui contratti in corso di fornitura di merci al medesimo paese, cons. Pret. Massa 4 aprile 1991, id., 1991, I, 2922, con nota di M. Gestri, cui si rinvia per un'attenta e argomentata disa mina delle varie implicazioni della questione.
Nella seconda parte della motivazione della riportata sentenza (non pubblicata per ragioni di spazio) il tribunale ha valutato le domande risarcitorie delle soc. Fincantieri e Oto Melara nella prospettiva della natura amministrativa delle varie determinazioni ministeriali adottate nella specie e, all'esito di una articolata riconsiderazione delle norme e dei precedenti giurisprudenziali rilevanti ai fini del decidere, ha disat teso, anche sotto il diverso profilo esaminato, le domande stesse.
Il Foro Italiano — 1991.
dei ministri, i ministeri del commercio estero, degli interni e
delle finanze, chiedendone la condanna al pagamento della som
ma di lire 253 miliardi, o di quella maggiore o minore determi
nata in corso di giudizio, a titolo di risarcimento danni o, in
subordine, di indennizzo.
A sostegno della domanda rappresentava fatti sostanzialmen
te identici a quelli esposti dall'altra attrice. In particolare dedu
ceva che: — in data 28 dicembre 1980 stipulò un contratto con la Iraqi
Navy per la fornitura di munizionamenti e quant'altro relativo
al loro supporto logistico, interdipendente con gli altri due con
tratti stipulati dalla società Cantieri navali italiani; — la validità dei contratti, alla cui conclusione aveva avuto
parte attiva il governo italiano, era esplicitamente subordinata
al rilascio della relativa autorizzazione all'esportazione da parte delle competenti autorità nazionali;
— il ministero del commercio estero e quello delle finanze, con atto del 25 febbraio 1981, autorizzarono l'Oto Melara all'e
sportazione delle suddette forniture e, con atti successivi, ap
portarono modifiche all'autorizzazione originaria e ne proroga rono la validità al 31 agosto 1987; furono, altresì, autorizzate
dall'amministrazione degli interni consegne per parte delle for
niture e fu prestata dagli organi della difesa la prevista assisten
za tecnica; — successivamente, senza preventiva comunicazione alle par
ti interessate, le amministrazioni degli interni e del commercio
con l'estero adottarono comportamenti che resero impossibile
l'adempimento del contratto; in particolare, il documento auto
rizzativo rilasciato dalla prefettura di La Spezia in data 22 apri le 1986 fu materialmente ritirato dagli uffici dell'Oto Melara; le domande di nulla osta all'esportazione presentate in data 5
febbraio 1987, 26 marzo 1987 e 23 aprile 1987 non ricevettero
alcuna risposta nonostante i solleciti con atti di comunicazione
e messa in mora; la richiesta di proroga dell'autorizzazione al
l'esportazione, inoltrata il 18 giugno 1987, rimase senza esito
e fu solo autorizzata la proroga delle fideiussioni bancarie; — il comportamento delle amministrazioni competenti, osta
tivo all'adempimento del contratto, veniva poi reso esplicito con
lettera del 14 agosto 1987 della prefettura di La Spezia, con
la quale si comunicava che «la validità delle autorizzazioni è
stata ed è tuttora sospesa in relazione ai noti criteri restrittivi
stabiliti dal governo»; — la mancata concessione delle autorizzazioni aveva reso im
possibile la consegna delle forniture già prodotte nel periodo di vigenza dell'autorizzazione del ministero del commercio con
l'estero ed in larga parte già collaudate ed accettate dal commit
tente; alla data del 30 aprile 1988 i danni consistevano: a) lire
83 miliardi circa per oneri finanziari; ti) lire 21 miliardi circa
per commissioni su fideiussioni, assicurazione, ecc.; c) 27 mi liardi circa per perdite su cambi; d) 122 miliardi per ripristini, sostituzioni e ricollaudi; oltre danni maturandi nel corso del
giudizio in relazione alle pretese della committente e, nel caso di cancellazione del contratto, alla difficoltà di reperire un altro
acquirente; — la responsabilità di quanto accaduto andava ricondotta al
l'illecito comportamento dello Stato italiano, il quale non si era limitato ad agire come pubblica autorità, ma era intervenuto con atti determinati, non di natura autoritativa (ed anche in
considerazione delle necessità di approvvigionamento di risorse
petrolifere derivanti dalle forme di adempimento dell'obbliga zione da parte irachena) nell'iter di formazione del contratto; in particolare, la condotta delle diverse amministrazioni si era
concretizzata in una serie di atti ed omissioni del tutto contrad
ditori in quanto dapprima diretti a indurre i soggetti interessati
a stipulare il contratto e produrre le merci e, in seguito, volti a non consentire la esecuzione degli impegni assunti;
— in via subordinata, quand'anche fosse ritenuto legittimo il comportamento dell'amministrazione, questa sarebbe egual mente tenuta ad indennizzare l'istante del pregiudizio subito aven dola privata della possibilità di adempiere ad una obbligazione, alla cui nascita, peraltro, era intervenuta in maniera determi
nante, e ciò in forza del principio generale secondo cui quando la legge riconosce ai pubblici poteri la facoltà di imporre ai
privati per pubblico interesse un determinato sacrificio, questo deve essere, di regola, indennizzato.
Istituitosi il contraddittorio, le due cause venivano riunite in
quanto connesse.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Le amministrazioni convenute deducevano la improponibilità delle istanze attrici per difetto assoluto di giurisdizione dell'a.g.o.
in quanto: — il denunciato comportamento omissivo era conseguenza
di una deliberazione collegiale adottata dal governo per corri
spondere ad impegni di carattere internazionale, epperciò as
sunta nell'espletamento di una funzione squisitamente politica; — quand'anche si volesse escludere l'esistenza dell'atto poli
tico, il comportamento omissivo sopracennato non sarebbe al
trimenti configurabile se non come un silenzio rifiuto dell'am
ministrazione a concedere i provvedimenti permissivi e proroga
tivi richiesti, rifiuto reso evidente dalle diffide notificate e
divenuto ormai inoppugnabile per l'inutile decorso del termine
d'impugnativa; un'attività, dunque, tipicamente amministrativa
di carattere discrezionale, che non era consentito al giudice or
dinario di sindacare; — l'interesse del privato all'esportazione non riceverebbe, co
munque, dall'ordinamento interno una protezione tale da ren
derne ammissibile il ristoro in caso di sua menomazione, essen
do subordinato alla valutazione discrezionale della pubblica am
ministrazione dell'interesse pubblico attinente alla realizzazione
della politica economica dello Stato e degli scambi con l'estero
e, per l'esportazione di materiali di armamento, anche alla sicu
rezza nazionale (art. 28 t.u. legge p.s.).
Egualmente, a dire dei convenuti, doveva ritenersi inammissi
bile la richiesta di indennizzo e per la mancanza nel privato
di un diritto soggettivo ad essere tutelato uti singulus e perché
il principio enunciato dall'art. 42 Cost, non è stato ritenuto
mai estensibile al di là dei limiti oggettivi emergenti dalla disci
plina normativa contenuta nell'art. 46 legge espropriazione per
p.i. Nel merito, infine, argomentavano che il lamentato danno
non sarebbe comunque conseguenza del comportamento omis
sivo imputato alle amministrazioni, quanto piuttosto del man
cato rispetto dei termini contrattuali nelle consegne come nei
pagamenti da parte irachena, ed ancora dell'evento bellico.
Prodotti vari documenti, sulle conclusioni di cui in epigrafe
le cause erano rimesse al collegio e trattenute in decisione alla
udienza dell'8 luglio 1991.
Motivi della decisione. — Va subito detto che appare corretta
la tesi difensiva delle amministrazioni convenute circa la pro
pria estraneità all'adempimento delle obbligazioni contrattuali
intercorse fra le società istanti ed il governo irakeno. Invero,
pur essendo pacifico che i contratti in questione furono conclu
si sotto gli auspici del governo italiano e con la sua assistenza,
è stato giustamente rilevato che le pattuizioni intervenute tra
gli stipulanti sono espressione della rispettiva autonomia priva
ta e si traducono in manifestazioni negoziali bilaterali a caratte
re privatistico che obbligano le sole parti contraenti.
È, perciò, da escludere la sussistenza di un qualisasi vincolo
giuridico delle amminstrazioni convenute rispetto all'esecuzione
del contratto e, conseguentemente, di qualsiasi obbligazione ri
sarcitoria connessa alla sua inosservanza. La possibile fonte delle
pretese risarcitone e indennitarie avanzate dalle attrici va, sem
mai, ricercata nelle modalità della condotta osservata dalla pub
blica amministrazione durante la fase autorizzativa dell'espor
tazione del materiale bellico.E a tal riguardo è opportuno ri
chiamare, in punto di fatto, i momenti della vicenda, quali
possono enuclearsi dalla documentazione acquisita.
Dopo la stipula dei contratti, furono rilasciate dal ministero
del commercio con l'estero e da quello delle finanze le autoriz
zazioni all'esportazione, successivamente prorogate, ed ebbe luo
go la consegna al ministero irakeno di parte del materiale belli
co e logistico. Alla fine del 1986 le operazioni di esportazione si bloccarono
a seguito di una serie di interventi delle pubbliche amministra
zioni competenti. Giova, a tal riguardo, ricordare che il consi
glio di sicurezza dell'Onu, deliberando in merito al conflitto
Iran-Iraq, con risoluzione n. 582 del 24 febbraio 1986 ed altre
successive, pur non adottando un formale provvedimento di em
bargo delle forniture di armi ai belligeranti, chiedeva agli Stati
di esercitare il massimo ritegno e di astenersi da qualunque atto
che potesse portare ad un ulteriore inasprimento ed allargamen
to del conflitto. Con telex in data 14 novembre 1986, diretto
al ministro delle finanze, il ministro del commercio estero, se
gnalando di aver provveduto ad inoltrare per la controfirma
degli altri ministri interessati il decreto di sospensione dell'e
sportazione di materiali strategici verso Iran, Iraq, e Siria, invi
li. Foro Italiano — 1991.
tava a dare disposizioni per la sospensione provvisoria delle ope
razioni doganali di esportazione a fronte autorizzazioni in corso
di validità. A seguito di tale telex il direttore generale delle do
gane comunicava ai capi compartimentali doganali che doveva
no attenersi alla richiesta del ministro del commercio estero.
Con altro telex del 4 marzo 1987, sempre diretto al ministero
delle finanze, il ministro del commercio estero, ricordando che
con decreto del 3 marzo 1987 era stato sospesa definitivamente
l'esportazione di materiali di armamento verso la Siria, per quan
to riguardava la sospensione provvisoria delle operazioni doga
nali concernenti esportazione di materiali strategici verso Iran
e Iraq comunicava che detta sospensione sarebbe stata revocata
caso per caso qualora l'apposito comitato speciale avesse accer
tato la compatibilità delle autorizzazioni in corso di validità con
i criteri restritivi adottati dal consiglio dei ministri nella seduta
del 4 dicembre 1986.
Intanto, con nota del 19 dicembre 1986 il ministero dell'inter
no, stante la sospensione delle esportazioni verso l'Iran, Iraq
e Siria imposta dal ministero del commercio estero, disponeva
che nessuna autorizzazione ex art. 28 t.u. legge p.s. venisse rila
sciata in merito, prima che il governo si fosse pronunziato col
legialmente sulla questione. Il blocco delle autorizzazioni ex art.
28 cit. veniva dal ministero dell'interno ribadito con nota del
9 gennaio 1987 e 20 gennaio 1987. Con nota del 14 agosto 1987
la prefettura di La Spezia informava la Oto Melara che la vali
dità dell'autorizzazione all'esportazione, rilasciata il 22 aprile
1986, era stata sospesa in relazione ai noti criteri restrittivi sta
biliti dal governo. In data 27 agosto 1987 la presidenza del consiglio dei ministri
emetteva un comunicato col quale si rendeva noto che nel corso
del consiglio dei ministri, riunitosi in pari data, sulla questione
dell'esportazione di materiali d'armamento verso Iran e Iraq
il ministro del commercio con l'estero aveva ricordato che nel
1984 erano stati adottati, a livello politico, criteri restrittivi; in
seguito, con telex inviato dal ministro Formica al ministero del
le finanze in data 14 novembre 1986 le esportazioni di armi
verso questi due paesi erano state temporaneamente sospese;
la sospensione era stata ribadita dal ministro dell'interno sulla
base delle sue competenze derivanti dall'art. 28 t.u. legge p.s.;
il ministro del commercio con l'estero aveva deciso, d'accordo
con il ministro delle finanze, che questa situazione di sospensi
va fosse confermata in attesa delle dcisioni che sarebbero state
adottate dalle Nazioni unite. Senza esito rimanevano le diffide
inviate dalle società attrici alle amministrazioni competenti per
ottenere il rilascio delle autorizzazioni richieste. Con nota dell'11
aprile 1990 il ministro del commercio con l'estero, ricordando
che con telex 14 novembre 1986 era stata disposta la sospensio
ne delle operazioni doganali verso l'Iraq, e facendo riferimento
alla riunione del consiglio di gabinetto 10 novembre 1989 ed
alla delibera Cipes 29 novembre 1989, autorizzava la ripresa
delle operazioni di esportazione e subordinava le operazioni stesse
alla disciplina dell'art. 1 d.m. 19 ottobre 1987 ed all'ottenimen
to della licenza dell'art. 28 t.u. legge di p.s. Senonché con telex 16 maggio 1990, lo stesso ministro comu
nicava che la consegna delle navi era subordinata ad aggiornate
valutazioni politiche da parte dei ministeri esteri, interni e dife
sa, e con altro telex del 14 giugno 1990 informava gli interessati
che il ministro degli esteri — cui la nuova legge sul commercio
internazionale del materiale di armamento attribuiva competen
za autorizzativa — aveva espresso parere contrario alla conse
gna delle forniture in oggetto in considerazione della delicata
fase. Vane restano le ulteriori diffide al rilascio delle autorizza
zioni. Infine, nell'agosto 1990 l'Onu decretava, a seguito del
l'invasione del Kuwait, l'embargo internazionale dei confronti
dell'Iraq, cui l'Italia si adeguava con il d.I. 23 agosto 1990 n. 247.
Cosi stando le cose, sostengono, in primo luogo, le parti con
venute che l'accertamento delle loro eventuali responsabilità sa
rebbe al giudice precluso dalla natura squisitamente politica del
denunciato operato delle autorità di governo, che ne comporte
rebbe, a norma dell'art. 31 t.u. 1924 n. 1054, l'insindacabilità
in sede giurisdizionale ordinaria e amministrativa.
Come è noto, l'individuazione dei c.d. atti politici o di gover no ha costituito da sempre oggetto di notevoli diatribe dottrina
rie. Mentre tutti concordano nella necessità della sussistenza di
due requisiti, l'uno formale (emanazione da parte del capo del
lo Stato o da organi appartenenti al governo dello Stato), l'al
tro materiale (emanazione dell'esercizio del c.d. «potere politi
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3235 PARTE PRIMA 3236
co», cioè della manifestazione più intensa del potere discrezio
nale in base a motivi ispirati da principi non determinati né
apprezzabili giuridicamente), sul piano concreto le soluzioni di
vergono. Secondo un orientamento restrittivo, gli atti istituzionali sot
tratti ad ogni sindacato giurisdizionale sarebbero solo quelli pre visti implicitamente ed esplicitamente dalla Costituzione, in quan to indispensabili per l'esplicazione della funzione di governo.
Altri, in una visione più estensiva hanno, di volta in volta, defi
nito politici gli atti costituzionali; gli atti concernenti la sicurez
za interna dello Stato (ad es., le misure prese per difendere il
paese da epidemia o per regolamentare il consumo di materie
prime): gli atti concernenti i rapporti internazionali e la sicurez
za esterna dello Stato (cosi sarebbero politici i rapporti che si
stabiliscono fra gli Stati, le relative convenzioni, gli atti com
piuti presso potenze straniere per ottenere riparazioni di danni
ricevuti dai sudditi, ecc.). Nel tentativo di enucleare da tale enumerazione la definizione
concettuale dell'atto politico o di governo, un'autorevole opi nione dottrinale ha osservato che vi è un elemento comune e
dominante che appare in ogni «fattispecie»: la considerazione
dell'interesse generale dello Stato nella sua unità. Si possono,
cioè, dire «politici» quegli atti che da questa suprema conside
razione dell'interesse generale dello Stato nella sua unità sono
causati, sia che concernano la determinazione delle finalità stes
se dello Stato, sia che riguardino il funzionamento organico dei
pubblici poteri e l'osservanza della Costituzione dello Stato, sia
la tutela dell'esistenza sua, della sua sicurezza ed integrità, del
suo prestigio, della sua libertà integrità, del suo prestigio, della
sua libertà d'azione contro forze interne o nei rapporti interna
zionali».
Come ulteriore corollario di siffatta impostazione si è af
fermato: — individuandosi l'atto politico per la sua causa, non assu
mono rilievo i motivi che eventualmente l'organo governativo abbia tenuto presenti nell'emanare un determinato provve
dimento; — non è indispensabile che l'atto da qualificarsi politico sia
più o meno disciplinato dal diritto; — l'attività di governo, per il compito che le è proprio, è
essenzialmente discrezionale, cosicché essa può venire determi
nata dalla esclusiva considerazione dell'interesse generale dello
Stato, secondo l'apprezzamento che l'organo competente ne fac
cia nei singoli casi; — il carattere straordinario o occasionale o di urgenza non
è di per sé elemento qualificante della natura politica dell'atto.
Tale impostazione è quella che trova più significativo riscon
tro nella giurisprudenza del Supremo collegio. Nella sentenza delle sezioni unite civili del 29 marzo 1956,
n. 896 (Foro it., 1956, I, 699) trovasi affermato testualmente:
«Per costante giurisdizione di questa Suprema corte sono quali ficabili come atti di potere politico, ai sensi dell"art. 31 t.u.
1924 n. 1054, quegli atti di pubblica potestà che hanno la loro
causa oggettiva nell'indeclinabile esigenza di tutelare gli interes
si supremi dello Stato in situazioni contingenti che possono tur
barne la vita o il funzionamento nell'ordine interno o interna
zionale».
Ed ancora nella sentenza sezioni unite del 12 luglio 1968, n.
2452 (id., 1969, I, 479): «È principio costantemente accolto dal
la dottrina e dalla giurisprudenza che nella categoria degli atti
politici rientrano senz'altro e in primo luogo gli atti che vengo no compiuti dallo Stato nel regolamento delle relazioni interna
zionali e che tali atti si sottraggono totalmente al sindacato sia
della giurisdizione amministrativa sia della giurisdizione ordina
ria. Ed invero la preminenza assoluta degli interessi della colle
ti vità organizzata a Stato, che con tali atti, vengono tutelati, vieta che nel compimento degli atti medesimi sia imposto il mi
nimo limite alla discrezionalità degli organi che li pongono in
essere» (in applicazione di tali principi è stata esclusa la tutela
bilità di interessi di singoli cittadini, quali diritti soggettivi o interessi legittimi, e la probabilità di pretese indennitorie o ri
sarcitone nei confronti di un atto compiuto dal governo italia
no in relazione al memorandum di Londra del 5 ottobe 1954). ■ Semre le sezioni unite civili, con la sentenza 14 novembre
1974, n. 3608 (id., 1975, I, 1158), nel caso della deportazione in Italia di un ex cittadino italiano da parte delle autorità gover
II Foro Italiano — 1991.
native statunitensi, hanno statuito che la questione doveva esse
re inquadrata esclusivamente nella disciplina normativa delle re
lazioni fra Stati sovrani nel settore politico-diplomatico e con
riferimento alla natura di atto di governo delle dichiarazioni
delle autorità italiane con conseguente difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Ed ancora di recente le sezioni unite, con la decisione 5 giu
gno 1989, n. 2707 (id., 1989, I, 2785) hanno ribadito che al
sindacato giurisdizionale si sottraggono, per la loro natura poli
tica, gli atti compiuti dallo Stato nel regolamento delle relazioni
internazionali, data la preminenza assoluta degli interessi della
collettività organizzata a Stato che con tali atti vengono tutela
ti, per cui in relazione ad essi non sono configurabili né posizio ni di interesse legittimo, condizionatamente o indirettamente pro
tetto, né, a maggior ragione, posizioni di diritto soggettivo, re
stando l'interesse del singolo pienamente sacrificato di fronte
all'interesse della collettività, nei rapporti interstatali, e ponen
dosi la responsabilità degli organi di governo per gli atti inter
nazionali esclusivamente sul piano politico (va detto, però, che
nel caso preso in considerazione da quest'ultima pronuncia, lo
Stato italiano aveva adottato, a livello normativo, determinate
regole destinate ad operare nei confronti dei paesi che limitano
la libera concorrenza nei traffici marittimi internazionali con
misure pregiudizievoli per la marina mercantile italiana; la corte
ha ritenuto che gli atti meramente attuativi di tale normativa
non possono considerarsi «politici», in quanto lo Stato è in tal
sede vincolato ai presupposti da esso stesso predeterminati e
l'impresa straniera è titolare di un interesse differenziato, che
si configura come interesse legittimo alla regolarità del provve dimento auto rizzati vo).
Alla luce dei suesposti principi appare arduo escludere il ca
rattere politico degli interventi adottati nel caso di specie dai
ministeri competenti, e concretatisi nella sospensione delle auto
rizzazioni già concesse e nel rifiuto di concedere ulteriori dero
ghe e di rilasciare la licenza ex art. 28 t.u. legge di p.s.
Essi, infatti, rappresentano la diretta (a differenza del caso
precedente) esternazione di una posizione degli organi governa
tivi in relazione ad una vicenda internazionale di primario rilie
vo e trovano la loro immediata causa oggettiva nella indeclina
bile esigenza di attuare i precetti dell'art. 11 Cost, (i quali im
pongono all'Italia di ripudiare la guerra come strumento di offesa
alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali e di promuovere e favorire le orga nizzazioni sopranazionali rivolte a tale scopo), oltre che tutelare — nel delicato equilibrio medio-orientale, la cui turbativa pote
va, notoriamente, produrre conseguenze nefaste sul piano della
sicurezza anche interna (es. terrorismo) e degli interessi econo
mici (es. forniture di petrolio) — la posizione del nostro paese, nonché l'immagine dello stesso, quale nazione equidistante tra
gli Stati belligeranti, fautrice di soluzioni pacifiche del conflitto
ed ossequiosa delle raccomandazioni provenienti dal supremo consenso internazionale, il quale, come visto, pur non avendo
decretato l'embargo, aveva chiesto a tutti gli Stati di astenersi
da qualunque atto che potesse portare ad un ulteriore inaspri mento del conflitto (tra cui, ovviamente, rientravano le fornitu
re di armamenti ad alto potenziale bellico). Né per qualificare come politici gli interventi dei poteri pubblici che hanno carat
terizzato la presente vicenda può risultare ostativa la mancata
adozione di provvedimenti a livello normativo, visto che le scel
te governative godono della più ampia discrezionalità, che si
manifesta anche nella scelta degli strumenti operativi. E una
ulteriore conferma della natura eminentemente politica degli at
ti in esame si ricava dal fatto che il problema della consegna delle forniture ha costituito oggetto — non appena giunto a
soluzione il conflitto Iran-Iraq — di trattativa tra il presidente del consiglio italiano e il vice primo ministro iracheno, cui ha
fatto seguito l'iniziativa del ministero del commercio estero vol
ta ad autorizzare la ripresa delle esportazioni, poi nuovamente
subordinate ad aggiornate valutazioni politiche da parte dei mi
nistri competenti e, quindi, bloccate con l'insorgere del conflit
to kuwaitiano.
È ovvio che, ove si pervenga alla soluzione sopra esposta, la preminenza assoluta degli interessi della collettività organiz zata a Stato, che con gli atti — positivi o negativi — in discus
sione si è inteso tutelare, importa che questi non possano essere
valutati sotto il profilo della eventuale violazione delle norme di
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3237 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 3238
azione ed ancor meno di quelle di elazione, ma semmai con
i mezzi e attraverso gli istituti nei quali si concreta il controllo
politico sull'attività di governo. E quindi improponibile si palesa un sindacato giurisdizionale
di tali atti, od a maggior ragione, la formulazione di pretese
risarcitorie ed indennitarie connesse alla loro emanazione (cosi
Cass. 1968 n. 2452; 1989 n. 2707 cit.). (Omissis)
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 29 maggio 1991; Pres. Car
meninj, Est. Galbiati; Bandinu (Avv. Bandinu) c. Min. gra
zia e giustizia e altri.
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Illecito
commesso dal magistrato prima dell'effetto abrogativo del re
ferendum — Disciplina previgente — Fattispecie (Cod. proc.
civ., art. 20, 25, 55, 56; 1. 13 aprile 1988 n. 117, risarcimento
dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e
responsabilità civile dei magistrati, art. 19).
Competenza civile — Competenza per territorio — Fatto illeci
to — Responsabilità della pubblica amministrazione — Luo
go del fatto (Cod. proc. civ., art. 20, 25).
L'azione di risarcimento proposta dal privato per fatto illecito
posto in essere da un magistrato, nell'esercizio delle sue fun
zioni, in epoca anteriore all'effetto abrogativo del referen
dum sugli art. 55, 56 e 74 c.p.c., resta disciplinata, stante
l'irretroattività delle norme processuali e sostanziali della l.
117/88, dalla normativa previgente, fatta eccezione per l'art.
56 c.p.c.; ne deriva, pertanto, che la competenza va determi
nata alla stregua delle norme ordinarie (art. 20 e 25 c.p.c.),
senza applicazione del foro commissario dell'art. 56 c.p.c. (1)
(1) La fattispecie esaminata e l'affermazione, secondo cui ad essa
va applicata la disciplina previgente, richiamano Cass., sez. un., 27 di
cembre 1990, n. 12170, Foro it., 1991, I, 1826, con nota di M. Pagano,
Sulle orme della Consulta: primo «arrét» della Suprema corte sulla leg
ge sulla responsabilità civile dei magistrati, cui si rinvia per la completa
rassegna delle posizioni assunte da dottrina e giurisprudenza sul punto. Si tratta, in entrambi i casi, di un giudizio di responsabilità per fatti
commessi da un magistrato prima del referendum abrogativo degli art.
55, 56 e 74 c.p.c.; giudizio pure iniziato anteriormente al verificarsi
dell'effetto abrogativo, differito al 7 aprile 1988 dal d.p.r. 9 dicembre
1987 n. 497. Tanto la Suprema corte quanto il tribunale ritengono ap
plicabili le norme sostanziali e processuali previgenti e non ancora uti
lizzabile, invece, la disciplina introdotta dalla 1. 13 aprile 1988 n. 117
(risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati): ciò perché l'art. 19 1. 117/88 esclude
l'irretroattività della legge medesima, entrata in vigore il 16 aprile 1988.
A differenza della Cassazione, però, il tribunale giudica «non più
invocabile» l'art. 56 c.p.c., che disponeva, quale presupposto di propo
nibilità della domanda per la dichiarazione di responsabilità del giudi
ce, la preventiva autorizzazione del ministero di grazia e giustizia, e
che prevedeva, inoltre, la designazione del foro competente ad opera
della Cassazione, su richiesta della parte autorizzata. A fondamento
di tale assunto vengono richiamate Corte cost. 22 ottobre 1990, n. 468
(ibid., 1041, con nota di Tucci, Controllo preliminare di non manifesta
infondatezza e responsabilità civile dei magistrati), e l'ordinanza di ri
messione Trib. Roma 22 gennaio 1990 (id., 1990, I, 2008). Il richiamo
fa riferimento, peraltro, a fattispecie diverse da quella presa in esame
dalla decisione in epigrafe. La sentenza della Corte costituzionale, infatti, ha dichiarato l'illegit
timità dell'art. 19, 2" comma, 1. 117/88, nella parte in cui non prevede
un meccanismo di «filtro» per i giudizi di responsabilità civile dei magi
strati, relativi a fatti anteriori al 16 aprile 1988 (entrata in vigore della
1. 117/88) e iniziati successivamente al 7 aprile 1988 (decorrenza dell'ef
fetto abrogativo del referendum). Tanto sul duplice presupposto dell'i
napplicabilità, in tali casi, dell'art. 56 c.p.c. e della rilevanza costituzio
nale del meccanismo di «filtro» medesimo. Ne deriva, con lettura a
contrario, la conseguenza che l'azione, proposta (come si ricava dalla
Il Foro Italiano — 1991.
Territorialmente competente sull'azione di risarcimento da fat
to illecito, proposta da un privato nei confronti di un'ammi
nistrazione dello Stato, è esclusivamente il giudice del luogo
in cui si è verificato il fatto (salvo lo spostamento previsto
dall'art. 25, prima parte, c.p.c.). (2)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
in data 30 e 31 marzo 1988, Eugenio Bandinu conveniva in giu
dizio innanzi al Tribunale di Roma il ministero di grazia e giu
sentenza del Tribunale di Roma) nel marzo 1988, è disciplinata dall'art.
56 c.p.c. e che scorrettamente si finisce per escludere un qualsivoglia controllo di ammissibilità sulla domanda, laddove si ritengano non ap
plicabili tanto la 1. 117/88, quanto la norma del codice di rito. Analogo discorso può svolgersi con riguardo all'ordinanza di rimessione del Tri
bunale di Roma, la quale si riferisce ad un giudizio, relativo sì a fatti
anteriori al referendum abrogativo, ma instaurato nel giugno 1988, dun
que già nel vigore della 1. 117/88.
Un punto, tuttavia, merita di essere segnalato, perché potrebbe con
durre, sia pure attraverso un itinerario diverso, alla medesima soluzione
accolta dal Tribunale di Roma. Esso tribunale afferma, in sostanza,
che convenuto in giudizio è esclusivamente lo Stato e non anche i magi
strati, cui il fatto dannoso viene imputato: «...la citazione impersonale del procuratore della repubblica e del giudice istruttore presso il Tribu
nale di Nuoro lascia ritenere che trattasi di citazione degli uffici e non
di persone fisiche. La costituzione del ministero di grazia e giustizia
copre, pertanto, l'intero arco dei soggetti convenuti».
Se la deduzione del tribunale dovesse ritenersi esatta, potrebbe allora
richiamarsi quell'indirizzo della giurisprudenza che — sulla scia di Cor
te cost. 14 marzo 1968, n. 2, id., 1968, I, 585 — ha ammesso, sia
pure nei limiti di cui all'art. 55 c.p.c., l'azione di responsabilità nei
confronti dello Stato (v., ad es., Cass., sez. un., 6 novembre 1975, n. 3719, id., 1976, I, 2867; 3 aprile 1979, n. 1916, id., 1979, I, 1133;
App. Milano 15 febbraio 1972, id., Rep. 1972, voce Astensione, n.
23; Trib. Milano 30 ottobre 1969, id., Rep. 1970, voce Ricusa, n. 16;
Trib. Roma 16 ottobre 1974, id., Rep. 1975, voce Responsabilità civile,
n. 73) senza bisogno dell'autorizzazione di cui all'art. 56 c.p.c. (Cass.
12170/90, cit., in motivazione). Sulla responsabilità dello Stato per fatto del magistrato ed altresì' sul
tentativo di ampliare tale responsabilità oltre i limiti dell'art. 55 c.p.c.,
si rimanda, anche per ulteriori richiami, a Scotti, La responsabilità civile dei magistrati, Milano, 1988, 43 ss., ed inoltre a Picardi, in Nuo
ve leggi civ., 1989, 1213 ss. e a Capponi, ibid., 1417.
Ad ogni modo, in conseguenza dell'inapplicabilità dell'art. 56 c.p.c.
il tribunale ritiene che la competenza debba essere regolata alla stregua delle norme ordinarie. Sul rapporto fra le questioni di competenza e
quelle relative al «filtro» di ammissibilità dell'azione di responsabilità verso il giudice, v. la più volte citata Cass. 12170/90, secondo cui, se
manca l'autorizzazione, «il giudice adito deve limitarsi a prendere atto
che manca il presupposto processuale previsto dalle norme per la pro
ponibilità della domanda, mentre non può porsi alcun problema di com
petenza, non sussistendo, in difetto di quella autorizzazione (e quindi della conseguente designazione), nessun giudice competente ad esami
nare la domanda risarcitoria».
(2) L'iter argomentativo che ha portato alla formulazione della se
conda massima si sviluppa attraverso i seguenti passaggi.
A) La norma dell'art. 25 c.p.c., nell'ipotesi in cui lo Stato sia conve
nuto in un giudizio riguardante rapporti obbligatori, fa riferimento ai
soli criteri del forum contractus e del forum destinatae solutionis (pre
visti pure dall'art. 20 c.p.c.), escludendo il forum rei (art. 19 c.p.c.).
a) Per l'affermazione che nei confronti dello Stato non è applicabile, al fine di determinare la competenza per territorio, il criterio della sede
delle persone giuridiche, v. Cass. 10 maggio 1974, n. 1329, Foro it.,
1974, I, 2686, con nota di richiami e App. Roma 16 giugno 1980, id.,
1981, I, 2830, con nota di richiami; in dottrina, Scoca, Foro dello
Stato, voce del Novissimo digesto, Torino, 1961, VII, 594; Segré, Del
la competenza per territorio, in Commentario del c.p.c. diretto da Al
lorio, Torino, 1973, I, 278, Tanto sulla base sia della considerazione
che lo Stato è presente allo stesso modo su tutto il territorio che lo
costituisce, sia della circostanza che l'art. 25 c.p.c. non opera alcun
riferimento al criterio sopra menzionato.
b) Neppure si dubita che la norma dell'art. 20 c.p.c. — e dunque
l'analoga disposizione dell'art. 25 c.p.c. — trovino applicazione anche
con riferimento alle obbligazioni di risarcimento danni da illecito. Per
l'espressa affermazione di questo principio, v. Cass. 10 ottobre 1967,
n. 2390, Foro it., Rep. 1967, voce Competenza civile, n. 207; 6 feb
braio 1962, n. 214, id., Rep. 1962, voce cit., nn. 256, 257; 14 novembre
1961, n. 2659, ibid., n. 255; 26 luglio 1960, n. 2134, id., Rep. 1960,
voce cit., n. 179; 5 ottobre 1957, n. 3626, id., Rep. 1957, voce cit.,
n. 255. In dottrina, Lancellotti, Il foro facoltativo per le cause relati
ve a diritti di obbligazione da fatto illecito, in Riv. trim. dir. e proc.
civ., 1955, 691 ss.; Rocco, Competenza civile, voce del Novissimo dige
sto, Torino, 1959, III, 759; Segré, op. cit., 244; Levoni, Competenza
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