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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 19 ottobre 1991; Pres. Delli...

Date post: 30-Jan-2017
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sentenza 19 ottobre 1991; Pres. Delli Priscoli, Est. Ciccolo; Soc. Fincantieri (Avv. Irti, M.S. Giannini, Cabras) e Soc. Oto Melara (Avv. Scoca, Irti) c. Min. commercio estero ed altri Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1991), pp. 3229/3230-3237/3238 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23185749 . Accessed: 28/06/2014 19:09 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.48 on Sat, 28 Jun 2014 19:09:18 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 19 ottobre 1991; Pres. Delli Priscoli, Est. Ciccolo; Soc. Fincantieri (Avv. Irti, M.S.Giannini, Cabras) e Soc. Oto Melara (Avv. Scoca, Irti) c. Min. commercio estero ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 3229/3230-3237/3238Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185749 .

Accessed: 28/06/2014 19:09

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

e i cui beni immobili siano totalmente destinati allo svolgimento delle attività politiche dei partiti rappresentati nelle assemblee nazionali e regionali, delle attività culturali, ricreative, sportive ed educative di circoli aderenti ad organizzazioni nazionali le

galmente riconosciute, delle attività sindacali dei sindacati rap presentati nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro.

Con d.l. 30 maggio 1988 n. 173, convertito nella 1. 26 luglio 1988 n. 291 (art. 8, 1° comma) furono stabiliti i seguenti nuovi

importi: — lire 9 milioni per le società con capitale da lire 200 milioni

a lire 499 milioni; — lire 18 milioni per le società con capitale da lire 500 milio

ni a lire 999 milioni; — lire 30 milioni per le società con capitale da lire 1.000

milioni a lire 4.999 milioni; — lire 60 milioni per le società con capitale da lire 5.000

a lire 9.999 milioni; — lire 120.000.000 per le società con capitale oltre 10.000

milioni; — lire 2.500.000 per le società a responsabilità limitata; — lire 500.000 per le società di altro tipo. Con d.l. 2 marzo 1989 n. 69, convertito nella 1. 27 aprile

1989 n. 154 (art. 36, 8° comma) furono stabiliti i seguenti nuovi

importi: — lire 12.000.000 per le società per azioni ed in accomandita

per azioni, quale che sia il capitale sociale; — lire 3.500.000 per le società a responsabilità limitata; — lire 500.000 per le società di altro tipo. 3. - L'art. 8 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 641, che contiene la

disciplina generale della tassa in questione, stabilisce che «gli atti per i quali sono dovute le tasse non sono efficaci sino a

quando queste non siano pagate». In ossequio a questo principio le cancellerie dei tribunali ri

fiutano di iscrivere una società di nuova costituzione, ove non

sia documentato il pagamento della tassa di concessione gover nativa.

È quanto è avvenuto nel caso in esame.

4. - Il ricorrente sostiene che la tassa di concessione governa tiva di cui si discute è in contrasto con la direttiva Cee 17 luglio 1969 n. 335, la quale cosi tra l'altro dispone:

«(art. 10) Oltre all'imposta sui conferimenti, gli Stati membri

non applicano, per quanto concerne le società, associazioni o

persone giuridiche che perseguono scopi di lucro, nessun'altra

imposizione, sotto qualsiasi forma:

a) per le operazioni previste dall'art. 4;

b) per i conferimenti, prestiti o prestazioni effettuati nel qua dro delle operazioni previste dall'art. 4;

c) per l'immatricolazione o per qualsiasi altra formalità preli minare all'esercizio di un'attività, alla quale una società, asso

ciazione o persona giuridica che persegue scopi di lucro può essere sottoposta in ragione della sua forma giuridica».

«(art. 12) Gli Stati membri possono applicare, in deroga alle

disposizioni degli art. 10 e 11:

a) imposte sui trasferimenti di valori mobiliari, riscosse forfe

tariamente o no;

b) imposte di trasferimento, ivi comprese le tasse di pubblici tà fondiaria, sul conferimento ad una società, associazione o

persona giuridica che persegue scopi di lucro, di beni immobili

o di aziende commerciali situati sul loro territorio;

e) imposte di trasferimento sui beni di qualsiasi natura che

sono oggetto di un conferimento ad una società, associazione

o persona giuridica che persegue scopi di lucro, nella misura

in cui il trasferimento di tali beni è remunerato altrimenti che

con quote sociali;

d) imposte sulla costituzione, iscrizione o cancellazione di pri

vilegi e ipoteche;

e) diritti di carattere remunerativo;

f) l'imposta sul valore aggiunto (. . .)». 5. - Con sentenza 8 aprile 1991, n. 168 la Corte costituzionale

ha ritenuto che il giudice nazionale debba disapplicare la norma

interna quante volte questa sia incompatibile non solo, come

già in precedenza ritenuto (cfr. Corte cost. 170/84, Foro it.,

1984, I, 2062; 113/85, id., 1985, I, 1600), con i regolamenti

comunitari, interpretati alla luce della giurisprudenza della Cor

te di giustizia delle Comunità europee, ma anche con le diretti

ve comunitarie, purché queste siano incondizionate (si da non

lasciare margine di discrezionalità agli Stati membri nella loro

Il Foro Italiano — 1991.

attuazione) e sufficientemente precise (nel senso che la fattispe cie astratta ivi prevista ed il contenuto del precetto ad essa ap plicabile devono essere determinati con compiutezza, in tutti i loro elementi) e purché lo Stato destinatario risulti inadempien te per essere inutilmente decorso il termine per dare attuazione alla direttiva.

Il ricorrente invoca questo principio, e chiede, pertanto, che il giudice del registro, accogliendo il ricorso, ritenuta l'imme diata applicabilità della direttiva 335/69 Cee e disapplicate di

conseguenza le norme, dianzi ricostruite, che impongono il pa

gamento della tassa di concessione governativa come condizio ne necessaria per l'iscrizione delle società nel registro delle im

prese (recte: registri di cancelleria in funzione di registro delle

imprese), ordini l'iscrizione rifiutata dal cancelliere.

Il ricorrente chiede, in linea subordinata, che il giudice del

registro sospenda la decisione e rimetta la questione della com

patibilità fra la normativa interna e la direttiva Cee alla Corte di giustizia, ai sensi dell'art. 177 del trattato di Roma.

6. - Il giudice del registro ritiene di dover accogliere l'istanza

subordinata.

La questione della compatibilità tra il regime della tassa di

concessione governativa sulle società e la direttiva Cee 335/69

è già stata rimessa alla Corte di giustizia delle Comunità euro

pee dal presidente del Tribunale di Genova (cfr. ordinanza 14

gennaio 1991, in ricorso Ponente Carni s.p.a. c. Amministra

zione delle finanze dello Stato, Società, 1991, 681). L'amministrazione delle finanze dello Stato ritiene che la nor

mativa fiscale in parola sia compatibile con la norma comunita

ria, in quanto essa prevederebbe tributi classificabili come dirit ti di carattere remunerativo, come tali consentiti ai sensi del

l'art. 12, lettera e), della direttiva.

La questione non appare di immediata ed evidente soluzione.

Ciò rende opportuno il ricorso alla Corte di giustizia. Si deve ritenere che l'art. 177 del trattato di Roma possa esse

re applicato anche ai fini di una decisione in sede di volontaria

giurisdizione, data l'ampia dizione della norma, che non sem

bra riferibile ai soli casi in cui sia stato radicato un procedimen to contenzioso.

Per questi motivi, il giudice del registro; visto l'art. 177 del

trattato di Roma, sospende la decisione sul ricorso, ordina che

gli atti siano rimessi alla Corte di giustizia delle Comunità euro

pee, alla quale richiede di pronunciarsi sulla seguente questione: se la normativa fiscale concernente la tassa di concessione go vernativa sulle società, attualmente vigente, e menzionata in mo

tivazione sub 2 e 3, sia compatibile con la direttiva Cee n. 335

del 1969; (omissis)

TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 19 ottobre 1991; Pres. Del

li Priscoli, Est. Ciccolo; Soc. Fincantieri (Avv. Irti, M.S.

Giannini, Cabras) e Soc. Oto Melara (Avv. Scoca, Irti) c.

Min. commercio estero ed altri.

TRIBUNALE DI ROMA; tt Dd tcoai t Cet r^tr^r^ r\i

Giurisdizione civile — Navi da guerra e materiale bellico —

Fornitura all'Iraq — Autorizzazione all'esportazione e licen

za di pubblica sicurezza — Sospensione e rifiuto di rilascio — Domanda di risarcimento danni — Improponibilità — Estre

mi — Fattispecie.

Le determinazioni con le quali i competenti ministeri italiani, aderendo alle direttive del consiglio di sicurezza dell'Onu, so

spendono l'autorizzazione all'esportazione delle navi da guer

ra, del supporto logistico e del relativo munizionamento, che

società nazionali avevano iniziato a fornire, in esecuzione di

precedenti regolari contratti, alla marina irachena, rifiutando altresì la concessione di ulteriori proroghe e il rilascio della

licenza di pubblica sicurezza, si configurano come atti politi

ci, in relazione ai quali non sussistono posizioni individuali

di diritto soggettivo tutelabili con l'azione risarcitoria. (1)

(1) I precedenti richiamati dal tribunale, a proposito della definizio ne degli atti politici e della insindacabilità dei medesimi in sede giudiziaria

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3231 PARTE PRIMA 3232

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato

il 17 giugno 1988 la s.p.a. Fincantieri - cantieri navali italiani

conveniva in giudizio i ministeri del commercio estero, delle fi

nanze, degli interni, del tesoro chiedendone la condanna al ri

sarcimento dei danni nella misura provvisoriamente'indicata in

lire 137.000.000.000 o in quella maggiore o minore da determi

nare in corso di giudizio. A sostegno della domanda deduceva le seguenti circostanze: — alla fine del dicembre 1980 le società Cantieri navali riuni

ti s.p.a. (oggi incorporata in Fincantieri - cantieri navali italiani

s.p.a.) e Oto Melara s.p.a. stipularono con la marina militare

irachena tre contratti aventi per oggetto la costruzione e la con

segna di undici navi da guerra, del supporto logistico e del rela

tivo munizionamento; — gli accordi furono seguiti e favoriti dalle autorità governa

tive italiane, che, oltre a presenziare alla firma dei contratti, assunsero verso l'Iraq garanzie circa il buon esito della fornitu

ra ed assicurarono una costante assistenza di organi del ministe

ro della difesa, per l'addestramento degli equipaggi ed il sup porto logistico;

— in data 25 febbraio 1981 veniva rilasciata dal ministero

del commercio con l'estero autorizzazione all'esportazione, con

validità di cinquanta mesi; tale termine fu prorogato al 30 otto

bre 1986 e, quindi, con provvedimento del 7 luglio 1986, fino

al 30 giugno 1987; — l'esecuzione dell'esportazione richiedeva, altresì, la licen

za del ministero dell'interno, prevista dall'art. 28 del testo uni

co delle leggi di pubblica sicurezza; essa veniva ottenuta soltan

to per l'esportazione di tre navi e dei primi lotti del muniziona

mento; vane, invece, restavano le richieste di licenza del 31

ottobre 1986 e del 28 gennaio 1987; e vani gli atti di significa zione notificati il 5 marzo 1987 e il 1° dicembre 1987;

— la mancata concessione della licenza di pubblica sicurezza

aveva reso impossibile la consegna di cinque navi, ultimate tra

lo scorcio del 1986 e i primi mesi del 1987, ed aveva, altresì', determinato l'inutilità della licenza di esportazione, scaduta il

30 giugno 1987 e non rinnovata; e questo senza che fossero

sopravvenuti, rispetto alla conclusione dei contratti ed alle pre cedenti proroghe delle licenze di esportazione, atti di rilievo giu ridico (interno o internazionale), che legittimassero il comporta mento degli organi statali;

— il comportamento dello Stato italiano, che pure aveva fa

vorito la conclusione dei contratti, garantito l'eseguibilità giuri dica e sostenuto concretamente la realizzazione aveva cagionato ad essa istante danni costituiti, al momento, da circa 26 miliar di per spese di conservazione e 111 miliardi per oneri finanziari, oltre quelli maturandi in corso di causa.

Con atto di citazione notificato il 23 giugno 1988, la s.p.a. Oto Melara conveniva in giudizio la presidenza del consiglio

e/o giurisdizionale, sono ricordati in nota a Cass. 5 giugno 1989, n. 2707, Foro it., 1989, I, 2785, con ulteriori indicazioni, del pari citata dalla sentenza in rassegna. Più di recente, la menzionata insindacabilità è stata ribadita da Cass. 26 luglio 1991, n. 8368, id., 1991, I, 2953, con osservazioni di C.M. Barone, che ha ricondotto fra gli atti politici o di governo il provvedimento di indizione di referendum abrogativo di legge, in relazione al quale (provvedimento) la precedente Cass. 9

gennaio 1978, n. 53, id., 1978, I, 612, con nota redazionale (invocata dalla pronuncia del 1991), rilevato che l'opportunità di modificare le

leggi dello Stato forma oggetto di una valutazione implicante l'apprez zamento di esigenze dell'intera collettività alla luce di criteri di politica generale, aveva affermato che «un interesse del cittadino alla conserva zione delle leggi attualmente in vigore ed all'esclusione del loro assog gettamento a modifiche future di sospetta costituzionalità non è presa in considerazione da alcuna norma né in via diretta ed immediata, né in occasione della tutela di un interesse più generale, onde non può neppure in astratto meritare la qualifica di diritto soggettivo o di inte resse legittimo».

Per qualche riferimento a proposito dell'incidenza delle sanzioni in ternazionali contro l'Iraq sui contratti in corso di fornitura di merci al medesimo paese, cons. Pret. Massa 4 aprile 1991, id., 1991, I, 2922, con nota di M. Gestri, cui si rinvia per un'attenta e argomentata disa mina delle varie implicazioni della questione.

Nella seconda parte della motivazione della riportata sentenza (non pubblicata per ragioni di spazio) il tribunale ha valutato le domande risarcitorie delle soc. Fincantieri e Oto Melara nella prospettiva della natura amministrativa delle varie determinazioni ministeriali adottate nella specie e, all'esito di una articolata riconsiderazione delle norme e dei precedenti giurisprudenziali rilevanti ai fini del decidere, ha disat teso, anche sotto il diverso profilo esaminato, le domande stesse.

Il Foro Italiano — 1991.

dei ministri, i ministeri del commercio estero, degli interni e

delle finanze, chiedendone la condanna al pagamento della som

ma di lire 253 miliardi, o di quella maggiore o minore determi

nata in corso di giudizio, a titolo di risarcimento danni o, in

subordine, di indennizzo.

A sostegno della domanda rappresentava fatti sostanzialmen

te identici a quelli esposti dall'altra attrice. In particolare dedu

ceva che: — in data 28 dicembre 1980 stipulò un contratto con la Iraqi

Navy per la fornitura di munizionamenti e quant'altro relativo

al loro supporto logistico, interdipendente con gli altri due con

tratti stipulati dalla società Cantieri navali italiani; — la validità dei contratti, alla cui conclusione aveva avuto

parte attiva il governo italiano, era esplicitamente subordinata

al rilascio della relativa autorizzazione all'esportazione da parte delle competenti autorità nazionali;

— il ministero del commercio estero e quello delle finanze, con atto del 25 febbraio 1981, autorizzarono l'Oto Melara all'e

sportazione delle suddette forniture e, con atti successivi, ap

portarono modifiche all'autorizzazione originaria e ne proroga rono la validità al 31 agosto 1987; furono, altresì, autorizzate

dall'amministrazione degli interni consegne per parte delle for

niture e fu prestata dagli organi della difesa la prevista assisten

za tecnica; — successivamente, senza preventiva comunicazione alle par

ti interessate, le amministrazioni degli interni e del commercio

con l'estero adottarono comportamenti che resero impossibile

l'adempimento del contratto; in particolare, il documento auto

rizzativo rilasciato dalla prefettura di La Spezia in data 22 apri le 1986 fu materialmente ritirato dagli uffici dell'Oto Melara; le domande di nulla osta all'esportazione presentate in data 5

febbraio 1987, 26 marzo 1987 e 23 aprile 1987 non ricevettero

alcuna risposta nonostante i solleciti con atti di comunicazione

e messa in mora; la richiesta di proroga dell'autorizzazione al

l'esportazione, inoltrata il 18 giugno 1987, rimase senza esito

e fu solo autorizzata la proroga delle fideiussioni bancarie; — il comportamento delle amministrazioni competenti, osta

tivo all'adempimento del contratto, veniva poi reso esplicito con

lettera del 14 agosto 1987 della prefettura di La Spezia, con

la quale si comunicava che «la validità delle autorizzazioni è

stata ed è tuttora sospesa in relazione ai noti criteri restrittivi

stabiliti dal governo»; — la mancata concessione delle autorizzazioni aveva reso im

possibile la consegna delle forniture già prodotte nel periodo di vigenza dell'autorizzazione del ministero del commercio con

l'estero ed in larga parte già collaudate ed accettate dal commit

tente; alla data del 30 aprile 1988 i danni consistevano: a) lire

83 miliardi circa per oneri finanziari; ti) lire 21 miliardi circa

per commissioni su fideiussioni, assicurazione, ecc.; c) 27 mi liardi circa per perdite su cambi; d) 122 miliardi per ripristini, sostituzioni e ricollaudi; oltre danni maturandi nel corso del

giudizio in relazione alle pretese della committente e, nel caso di cancellazione del contratto, alla difficoltà di reperire un altro

acquirente; — la responsabilità di quanto accaduto andava ricondotta al

l'illecito comportamento dello Stato italiano, il quale non si era limitato ad agire come pubblica autorità, ma era intervenuto con atti determinati, non di natura autoritativa (ed anche in

considerazione delle necessità di approvvigionamento di risorse

petrolifere derivanti dalle forme di adempimento dell'obbliga zione da parte irachena) nell'iter di formazione del contratto; in particolare, la condotta delle diverse amministrazioni si era

concretizzata in una serie di atti ed omissioni del tutto contrad

ditori in quanto dapprima diretti a indurre i soggetti interessati

a stipulare il contratto e produrre le merci e, in seguito, volti a non consentire la esecuzione degli impegni assunti;

— in via subordinata, quand'anche fosse ritenuto legittimo il comportamento dell'amministrazione, questa sarebbe egual mente tenuta ad indennizzare l'istante del pregiudizio subito aven dola privata della possibilità di adempiere ad una obbligazione, alla cui nascita, peraltro, era intervenuta in maniera determi

nante, e ciò in forza del principio generale secondo cui quando la legge riconosce ai pubblici poteri la facoltà di imporre ai

privati per pubblico interesse un determinato sacrificio, questo deve essere, di regola, indennizzato.

Istituitosi il contraddittorio, le due cause venivano riunite in

quanto connesse.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Le amministrazioni convenute deducevano la improponibilità delle istanze attrici per difetto assoluto di giurisdizione dell'a.g.o.

in quanto: — il denunciato comportamento omissivo era conseguenza

di una deliberazione collegiale adottata dal governo per corri

spondere ad impegni di carattere internazionale, epperciò as

sunta nell'espletamento di una funzione squisitamente politica; — quand'anche si volesse escludere l'esistenza dell'atto poli

tico, il comportamento omissivo sopracennato non sarebbe al

trimenti configurabile se non come un silenzio rifiuto dell'am

ministrazione a concedere i provvedimenti permissivi e proroga

tivi richiesti, rifiuto reso evidente dalle diffide notificate e

divenuto ormai inoppugnabile per l'inutile decorso del termine

d'impugnativa; un'attività, dunque, tipicamente amministrativa

di carattere discrezionale, che non era consentito al giudice or

dinario di sindacare; — l'interesse del privato all'esportazione non riceverebbe, co

munque, dall'ordinamento interno una protezione tale da ren

derne ammissibile il ristoro in caso di sua menomazione, essen

do subordinato alla valutazione discrezionale della pubblica am

ministrazione dell'interesse pubblico attinente alla realizzazione

della politica economica dello Stato e degli scambi con l'estero

e, per l'esportazione di materiali di armamento, anche alla sicu

rezza nazionale (art. 28 t.u. legge p.s.).

Egualmente, a dire dei convenuti, doveva ritenersi inammissi

bile la richiesta di indennizzo e per la mancanza nel privato

di un diritto soggettivo ad essere tutelato uti singulus e perché

il principio enunciato dall'art. 42 Cost, non è stato ritenuto

mai estensibile al di là dei limiti oggettivi emergenti dalla disci

plina normativa contenuta nell'art. 46 legge espropriazione per

p.i. Nel merito, infine, argomentavano che il lamentato danno

non sarebbe comunque conseguenza del comportamento omis

sivo imputato alle amministrazioni, quanto piuttosto del man

cato rispetto dei termini contrattuali nelle consegne come nei

pagamenti da parte irachena, ed ancora dell'evento bellico.

Prodotti vari documenti, sulle conclusioni di cui in epigrafe

le cause erano rimesse al collegio e trattenute in decisione alla

udienza dell'8 luglio 1991.

Motivi della decisione. — Va subito detto che appare corretta

la tesi difensiva delle amministrazioni convenute circa la pro

pria estraneità all'adempimento delle obbligazioni contrattuali

intercorse fra le società istanti ed il governo irakeno. Invero,

pur essendo pacifico che i contratti in questione furono conclu

si sotto gli auspici del governo italiano e con la sua assistenza,

è stato giustamente rilevato che le pattuizioni intervenute tra

gli stipulanti sono espressione della rispettiva autonomia priva

ta e si traducono in manifestazioni negoziali bilaterali a caratte

re privatistico che obbligano le sole parti contraenti.

È, perciò, da escludere la sussistenza di un qualisasi vincolo

giuridico delle amminstrazioni convenute rispetto all'esecuzione

del contratto e, conseguentemente, di qualsiasi obbligazione ri

sarcitoria connessa alla sua inosservanza. La possibile fonte delle

pretese risarcitone e indennitarie avanzate dalle attrici va, sem

mai, ricercata nelle modalità della condotta osservata dalla pub

blica amministrazione durante la fase autorizzativa dell'espor

tazione del materiale bellico.E a tal riguardo è opportuno ri

chiamare, in punto di fatto, i momenti della vicenda, quali

possono enuclearsi dalla documentazione acquisita.

Dopo la stipula dei contratti, furono rilasciate dal ministero

del commercio con l'estero e da quello delle finanze le autoriz

zazioni all'esportazione, successivamente prorogate, ed ebbe luo

go la consegna al ministero irakeno di parte del materiale belli

co e logistico. Alla fine del 1986 le operazioni di esportazione si bloccarono

a seguito di una serie di interventi delle pubbliche amministra

zioni competenti. Giova, a tal riguardo, ricordare che il consi

glio di sicurezza dell'Onu, deliberando in merito al conflitto

Iran-Iraq, con risoluzione n. 582 del 24 febbraio 1986 ed altre

successive, pur non adottando un formale provvedimento di em

bargo delle forniture di armi ai belligeranti, chiedeva agli Stati

di esercitare il massimo ritegno e di astenersi da qualunque atto

che potesse portare ad un ulteriore inasprimento ed allargamen

to del conflitto. Con telex in data 14 novembre 1986, diretto

al ministro delle finanze, il ministro del commercio estero, se

gnalando di aver provveduto ad inoltrare per la controfirma

degli altri ministri interessati il decreto di sospensione dell'e

sportazione di materiali strategici verso Iran, Iraq, e Siria, invi

li. Foro Italiano — 1991.

tava a dare disposizioni per la sospensione provvisoria delle ope

razioni doganali di esportazione a fronte autorizzazioni in corso

di validità. A seguito di tale telex il direttore generale delle do

gane comunicava ai capi compartimentali doganali che doveva

no attenersi alla richiesta del ministro del commercio estero.

Con altro telex del 4 marzo 1987, sempre diretto al ministero

delle finanze, il ministro del commercio estero, ricordando che

con decreto del 3 marzo 1987 era stato sospesa definitivamente

l'esportazione di materiali di armamento verso la Siria, per quan

to riguardava la sospensione provvisoria delle operazioni doga

nali concernenti esportazione di materiali strategici verso Iran

e Iraq comunicava che detta sospensione sarebbe stata revocata

caso per caso qualora l'apposito comitato speciale avesse accer

tato la compatibilità delle autorizzazioni in corso di validità con

i criteri restritivi adottati dal consiglio dei ministri nella seduta

del 4 dicembre 1986.

Intanto, con nota del 19 dicembre 1986 il ministero dell'inter

no, stante la sospensione delle esportazioni verso l'Iran, Iraq

e Siria imposta dal ministero del commercio estero, disponeva

che nessuna autorizzazione ex art. 28 t.u. legge p.s. venisse rila

sciata in merito, prima che il governo si fosse pronunziato col

legialmente sulla questione. Il blocco delle autorizzazioni ex art.

28 cit. veniva dal ministero dell'interno ribadito con nota del

9 gennaio 1987 e 20 gennaio 1987. Con nota del 14 agosto 1987

la prefettura di La Spezia informava la Oto Melara che la vali

dità dell'autorizzazione all'esportazione, rilasciata il 22 aprile

1986, era stata sospesa in relazione ai noti criteri restrittivi sta

biliti dal governo. In data 27 agosto 1987 la presidenza del consiglio dei ministri

emetteva un comunicato col quale si rendeva noto che nel corso

del consiglio dei ministri, riunitosi in pari data, sulla questione

dell'esportazione di materiali d'armamento verso Iran e Iraq

il ministro del commercio con l'estero aveva ricordato che nel

1984 erano stati adottati, a livello politico, criteri restrittivi; in

seguito, con telex inviato dal ministro Formica al ministero del

le finanze in data 14 novembre 1986 le esportazioni di armi

verso questi due paesi erano state temporaneamente sospese;

la sospensione era stata ribadita dal ministro dell'interno sulla

base delle sue competenze derivanti dall'art. 28 t.u. legge p.s.;

il ministro del commercio con l'estero aveva deciso, d'accordo

con il ministro delle finanze, che questa situazione di sospensi

va fosse confermata in attesa delle dcisioni che sarebbero state

adottate dalle Nazioni unite. Senza esito rimanevano le diffide

inviate dalle società attrici alle amministrazioni competenti per

ottenere il rilascio delle autorizzazioni richieste. Con nota dell'11

aprile 1990 il ministro del commercio con l'estero, ricordando

che con telex 14 novembre 1986 era stata disposta la sospensio

ne delle operazioni doganali verso l'Iraq, e facendo riferimento

alla riunione del consiglio di gabinetto 10 novembre 1989 ed

alla delibera Cipes 29 novembre 1989, autorizzava la ripresa

delle operazioni di esportazione e subordinava le operazioni stesse

alla disciplina dell'art. 1 d.m. 19 ottobre 1987 ed all'ottenimen

to della licenza dell'art. 28 t.u. legge di p.s. Senonché con telex 16 maggio 1990, lo stesso ministro comu

nicava che la consegna delle navi era subordinata ad aggiornate

valutazioni politiche da parte dei ministeri esteri, interni e dife

sa, e con altro telex del 14 giugno 1990 informava gli interessati

che il ministro degli esteri — cui la nuova legge sul commercio

internazionale del materiale di armamento attribuiva competen

za autorizzativa — aveva espresso parere contrario alla conse

gna delle forniture in oggetto in considerazione della delicata

fase. Vane restano le ulteriori diffide al rilascio delle autorizza

zioni. Infine, nell'agosto 1990 l'Onu decretava, a seguito del

l'invasione del Kuwait, l'embargo internazionale dei confronti

dell'Iraq, cui l'Italia si adeguava con il d.I. 23 agosto 1990 n. 247.

Cosi stando le cose, sostengono, in primo luogo, le parti con

venute che l'accertamento delle loro eventuali responsabilità sa

rebbe al giudice precluso dalla natura squisitamente politica del

denunciato operato delle autorità di governo, che ne comporte

rebbe, a norma dell'art. 31 t.u. 1924 n. 1054, l'insindacabilità

in sede giurisdizionale ordinaria e amministrativa.

Come è noto, l'individuazione dei c.d. atti politici o di gover no ha costituito da sempre oggetto di notevoli diatribe dottrina

rie. Mentre tutti concordano nella necessità della sussistenza di

due requisiti, l'uno formale (emanazione da parte del capo del

lo Stato o da organi appartenenti al governo dello Stato), l'al

tro materiale (emanazione dell'esercizio del c.d. «potere politi

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3235 PARTE PRIMA 3236

co», cioè della manifestazione più intensa del potere discrezio

nale in base a motivi ispirati da principi non determinati né

apprezzabili giuridicamente), sul piano concreto le soluzioni di

vergono. Secondo un orientamento restrittivo, gli atti istituzionali sot

tratti ad ogni sindacato giurisdizionale sarebbero solo quelli pre visti implicitamente ed esplicitamente dalla Costituzione, in quan to indispensabili per l'esplicazione della funzione di governo.

Altri, in una visione più estensiva hanno, di volta in volta, defi

nito politici gli atti costituzionali; gli atti concernenti la sicurez

za interna dello Stato (ad es., le misure prese per difendere il

paese da epidemia o per regolamentare il consumo di materie

prime): gli atti concernenti i rapporti internazionali e la sicurez

za esterna dello Stato (cosi sarebbero politici i rapporti che si

stabiliscono fra gli Stati, le relative convenzioni, gli atti com

piuti presso potenze straniere per ottenere riparazioni di danni

ricevuti dai sudditi, ecc.). Nel tentativo di enucleare da tale enumerazione la definizione

concettuale dell'atto politico o di governo, un'autorevole opi nione dottrinale ha osservato che vi è un elemento comune e

dominante che appare in ogni «fattispecie»: la considerazione

dell'interesse generale dello Stato nella sua unità. Si possono,

cioè, dire «politici» quegli atti che da questa suprema conside

razione dell'interesse generale dello Stato nella sua unità sono

causati, sia che concernano la determinazione delle finalità stes

se dello Stato, sia che riguardino il funzionamento organico dei

pubblici poteri e l'osservanza della Costituzione dello Stato, sia

la tutela dell'esistenza sua, della sua sicurezza ed integrità, del

suo prestigio, della sua libertà integrità, del suo prestigio, della

sua libertà d'azione contro forze interne o nei rapporti interna

zionali».

Come ulteriore corollario di siffatta impostazione si è af

fermato: — individuandosi l'atto politico per la sua causa, non assu

mono rilievo i motivi che eventualmente l'organo governativo abbia tenuto presenti nell'emanare un determinato provve

dimento; — non è indispensabile che l'atto da qualificarsi politico sia

più o meno disciplinato dal diritto; — l'attività di governo, per il compito che le è proprio, è

essenzialmente discrezionale, cosicché essa può venire determi

nata dalla esclusiva considerazione dell'interesse generale dello

Stato, secondo l'apprezzamento che l'organo competente ne fac

cia nei singoli casi; — il carattere straordinario o occasionale o di urgenza non

è di per sé elemento qualificante della natura politica dell'atto.

Tale impostazione è quella che trova più significativo riscon

tro nella giurisprudenza del Supremo collegio. Nella sentenza delle sezioni unite civili del 29 marzo 1956,

n. 896 (Foro it., 1956, I, 699) trovasi affermato testualmente:

«Per costante giurisdizione di questa Suprema corte sono quali ficabili come atti di potere politico, ai sensi dell"art. 31 t.u.

1924 n. 1054, quegli atti di pubblica potestà che hanno la loro

causa oggettiva nell'indeclinabile esigenza di tutelare gli interes

si supremi dello Stato in situazioni contingenti che possono tur

barne la vita o il funzionamento nell'ordine interno o interna

zionale».

Ed ancora nella sentenza sezioni unite del 12 luglio 1968, n.

2452 (id., 1969, I, 479): «È principio costantemente accolto dal

la dottrina e dalla giurisprudenza che nella categoria degli atti

politici rientrano senz'altro e in primo luogo gli atti che vengo no compiuti dallo Stato nel regolamento delle relazioni interna

zionali e che tali atti si sottraggono totalmente al sindacato sia

della giurisdizione amministrativa sia della giurisdizione ordina

ria. Ed invero la preminenza assoluta degli interessi della colle

ti vità organizzata a Stato, che con tali atti, vengono tutelati, vieta che nel compimento degli atti medesimi sia imposto il mi

nimo limite alla discrezionalità degli organi che li pongono in

essere» (in applicazione di tali principi è stata esclusa la tutela

bilità di interessi di singoli cittadini, quali diritti soggettivi o interessi legittimi, e la probabilità di pretese indennitorie o ri

sarcitone nei confronti di un atto compiuto dal governo italia

no in relazione al memorandum di Londra del 5 ottobe 1954). ■ Semre le sezioni unite civili, con la sentenza 14 novembre

1974, n. 3608 (id., 1975, I, 1158), nel caso della deportazione in Italia di un ex cittadino italiano da parte delle autorità gover

II Foro Italiano — 1991.

native statunitensi, hanno statuito che la questione doveva esse

re inquadrata esclusivamente nella disciplina normativa delle re

lazioni fra Stati sovrani nel settore politico-diplomatico e con

riferimento alla natura di atto di governo delle dichiarazioni

delle autorità italiane con conseguente difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

Ed ancora di recente le sezioni unite, con la decisione 5 giu

gno 1989, n. 2707 (id., 1989, I, 2785) hanno ribadito che al

sindacato giurisdizionale si sottraggono, per la loro natura poli

tica, gli atti compiuti dallo Stato nel regolamento delle relazioni

internazionali, data la preminenza assoluta degli interessi della

collettività organizzata a Stato che con tali atti vengono tutela

ti, per cui in relazione ad essi non sono configurabili né posizio ni di interesse legittimo, condizionatamente o indirettamente pro

tetto, né, a maggior ragione, posizioni di diritto soggettivo, re

stando l'interesse del singolo pienamente sacrificato di fronte

all'interesse della collettività, nei rapporti interstatali, e ponen

dosi la responsabilità degli organi di governo per gli atti inter

nazionali esclusivamente sul piano politico (va detto, però, che

nel caso preso in considerazione da quest'ultima pronuncia, lo

Stato italiano aveva adottato, a livello normativo, determinate

regole destinate ad operare nei confronti dei paesi che limitano

la libera concorrenza nei traffici marittimi internazionali con

misure pregiudizievoli per la marina mercantile italiana; la corte

ha ritenuto che gli atti meramente attuativi di tale normativa

non possono considerarsi «politici», in quanto lo Stato è in tal

sede vincolato ai presupposti da esso stesso predeterminati e

l'impresa straniera è titolare di un interesse differenziato, che

si configura come interesse legittimo alla regolarità del provve dimento auto rizzati vo).

Alla luce dei suesposti principi appare arduo escludere il ca

rattere politico degli interventi adottati nel caso di specie dai

ministeri competenti, e concretatisi nella sospensione delle auto

rizzazioni già concesse e nel rifiuto di concedere ulteriori dero

ghe e di rilasciare la licenza ex art. 28 t.u. legge di p.s.

Essi, infatti, rappresentano la diretta (a differenza del caso

precedente) esternazione di una posizione degli organi governa

tivi in relazione ad una vicenda internazionale di primario rilie

vo e trovano la loro immediata causa oggettiva nella indeclina

bile esigenza di attuare i precetti dell'art. 11 Cost, (i quali im

pongono all'Italia di ripudiare la guerra come strumento di offesa

alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle

controversie internazionali e di promuovere e favorire le orga nizzazioni sopranazionali rivolte a tale scopo), oltre che tutelare — nel delicato equilibrio medio-orientale, la cui turbativa pote

va, notoriamente, produrre conseguenze nefaste sul piano della

sicurezza anche interna (es. terrorismo) e degli interessi econo

mici (es. forniture di petrolio) — la posizione del nostro paese, nonché l'immagine dello stesso, quale nazione equidistante tra

gli Stati belligeranti, fautrice di soluzioni pacifiche del conflitto

ed ossequiosa delle raccomandazioni provenienti dal supremo consenso internazionale, il quale, come visto, pur non avendo

decretato l'embargo, aveva chiesto a tutti gli Stati di astenersi

da qualunque atto che potesse portare ad un ulteriore inaspri mento del conflitto (tra cui, ovviamente, rientravano le fornitu

re di armamenti ad alto potenziale bellico). Né per qualificare come politici gli interventi dei poteri pubblici che hanno carat

terizzato la presente vicenda può risultare ostativa la mancata

adozione di provvedimenti a livello normativo, visto che le scel

te governative godono della più ampia discrezionalità, che si

manifesta anche nella scelta degli strumenti operativi. E una

ulteriore conferma della natura eminentemente politica degli at

ti in esame si ricava dal fatto che il problema della consegna delle forniture ha costituito oggetto — non appena giunto a

soluzione il conflitto Iran-Iraq — di trattativa tra il presidente del consiglio italiano e il vice primo ministro iracheno, cui ha

fatto seguito l'iniziativa del ministero del commercio estero vol

ta ad autorizzare la ripresa delle esportazioni, poi nuovamente

subordinate ad aggiornate valutazioni politiche da parte dei mi

nistri competenti e, quindi, bloccate con l'insorgere del conflit

to kuwaitiano.

È ovvio che, ove si pervenga alla soluzione sopra esposta, la preminenza assoluta degli interessi della collettività organiz zata a Stato, che con gli atti — positivi o negativi — in discus

sione si è inteso tutelare, importa che questi non possano essere

valutati sotto il profilo della eventuale violazione delle norme di

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3237 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 3238

azione ed ancor meno di quelle di elazione, ma semmai con

i mezzi e attraverso gli istituti nei quali si concreta il controllo

politico sull'attività di governo. E quindi improponibile si palesa un sindacato giurisdizionale

di tali atti, od a maggior ragione, la formulazione di pretese

risarcitorie ed indennitarie connesse alla loro emanazione (cosi

Cass. 1968 n. 2452; 1989 n. 2707 cit.). (Omissis)

TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 29 maggio 1991; Pres. Car

meninj, Est. Galbiati; Bandinu (Avv. Bandinu) c. Min. gra

zia e giustizia e altri.

Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Illecito

commesso dal magistrato prima dell'effetto abrogativo del re

ferendum — Disciplina previgente — Fattispecie (Cod. proc.

civ., art. 20, 25, 55, 56; 1. 13 aprile 1988 n. 117, risarcimento

dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e

responsabilità civile dei magistrati, art. 19).

Competenza civile — Competenza per territorio — Fatto illeci

to — Responsabilità della pubblica amministrazione — Luo

go del fatto (Cod. proc. civ., art. 20, 25).

L'azione di risarcimento proposta dal privato per fatto illecito

posto in essere da un magistrato, nell'esercizio delle sue fun

zioni, in epoca anteriore all'effetto abrogativo del referen

dum sugli art. 55, 56 e 74 c.p.c., resta disciplinata, stante

l'irretroattività delle norme processuali e sostanziali della l.

117/88, dalla normativa previgente, fatta eccezione per l'art.

56 c.p.c.; ne deriva, pertanto, che la competenza va determi

nata alla stregua delle norme ordinarie (art. 20 e 25 c.p.c.),

senza applicazione del foro commissario dell'art. 56 c.p.c. (1)

(1) La fattispecie esaminata e l'affermazione, secondo cui ad essa

va applicata la disciplina previgente, richiamano Cass., sez. un., 27 di

cembre 1990, n. 12170, Foro it., 1991, I, 1826, con nota di M. Pagano,

Sulle orme della Consulta: primo «arrét» della Suprema corte sulla leg

ge sulla responsabilità civile dei magistrati, cui si rinvia per la completa

rassegna delle posizioni assunte da dottrina e giurisprudenza sul punto. Si tratta, in entrambi i casi, di un giudizio di responsabilità per fatti

commessi da un magistrato prima del referendum abrogativo degli art.

55, 56 e 74 c.p.c.; giudizio pure iniziato anteriormente al verificarsi

dell'effetto abrogativo, differito al 7 aprile 1988 dal d.p.r. 9 dicembre

1987 n. 497. Tanto la Suprema corte quanto il tribunale ritengono ap

plicabili le norme sostanziali e processuali previgenti e non ancora uti

lizzabile, invece, la disciplina introdotta dalla 1. 13 aprile 1988 n. 117

(risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati): ciò perché l'art. 19 1. 117/88 esclude

l'irretroattività della legge medesima, entrata in vigore il 16 aprile 1988.

A differenza della Cassazione, però, il tribunale giudica «non più

invocabile» l'art. 56 c.p.c., che disponeva, quale presupposto di propo

nibilità della domanda per la dichiarazione di responsabilità del giudi

ce, la preventiva autorizzazione del ministero di grazia e giustizia, e

che prevedeva, inoltre, la designazione del foro competente ad opera

della Cassazione, su richiesta della parte autorizzata. A fondamento

di tale assunto vengono richiamate Corte cost. 22 ottobre 1990, n. 468

(ibid., 1041, con nota di Tucci, Controllo preliminare di non manifesta

infondatezza e responsabilità civile dei magistrati), e l'ordinanza di ri

messione Trib. Roma 22 gennaio 1990 (id., 1990, I, 2008). Il richiamo

fa riferimento, peraltro, a fattispecie diverse da quella presa in esame

dalla decisione in epigrafe. La sentenza della Corte costituzionale, infatti, ha dichiarato l'illegit

timità dell'art. 19, 2" comma, 1. 117/88, nella parte in cui non prevede

un meccanismo di «filtro» per i giudizi di responsabilità civile dei magi

strati, relativi a fatti anteriori al 16 aprile 1988 (entrata in vigore della

1. 117/88) e iniziati successivamente al 7 aprile 1988 (decorrenza dell'ef

fetto abrogativo del referendum). Tanto sul duplice presupposto dell'i

napplicabilità, in tali casi, dell'art. 56 c.p.c. e della rilevanza costituzio

nale del meccanismo di «filtro» medesimo. Ne deriva, con lettura a

contrario, la conseguenza che l'azione, proposta (come si ricava dalla

Il Foro Italiano — 1991.

Territorialmente competente sull'azione di risarcimento da fat

to illecito, proposta da un privato nei confronti di un'ammi

nistrazione dello Stato, è esclusivamente il giudice del luogo

in cui si è verificato il fatto (salvo lo spostamento previsto

dall'art. 25, prima parte, c.p.c.). (2)

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato

in data 30 e 31 marzo 1988, Eugenio Bandinu conveniva in giu

dizio innanzi al Tribunale di Roma il ministero di grazia e giu

sentenza del Tribunale di Roma) nel marzo 1988, è disciplinata dall'art.

56 c.p.c. e che scorrettamente si finisce per escludere un qualsivoglia controllo di ammissibilità sulla domanda, laddove si ritengano non ap

plicabili tanto la 1. 117/88, quanto la norma del codice di rito. Analogo discorso può svolgersi con riguardo all'ordinanza di rimessione del Tri

bunale di Roma, la quale si riferisce ad un giudizio, relativo sì a fatti

anteriori al referendum abrogativo, ma instaurato nel giugno 1988, dun

que già nel vigore della 1. 117/88.

Un punto, tuttavia, merita di essere segnalato, perché potrebbe con

durre, sia pure attraverso un itinerario diverso, alla medesima soluzione

accolta dal Tribunale di Roma. Esso tribunale afferma, in sostanza,

che convenuto in giudizio è esclusivamente lo Stato e non anche i magi

strati, cui il fatto dannoso viene imputato: «...la citazione impersonale del procuratore della repubblica e del giudice istruttore presso il Tribu

nale di Nuoro lascia ritenere che trattasi di citazione degli uffici e non

di persone fisiche. La costituzione del ministero di grazia e giustizia

copre, pertanto, l'intero arco dei soggetti convenuti».

Se la deduzione del tribunale dovesse ritenersi esatta, potrebbe allora

richiamarsi quell'indirizzo della giurisprudenza che — sulla scia di Cor

te cost. 14 marzo 1968, n. 2, id., 1968, I, 585 — ha ammesso, sia

pure nei limiti di cui all'art. 55 c.p.c., l'azione di responsabilità nei

confronti dello Stato (v., ad es., Cass., sez. un., 6 novembre 1975, n. 3719, id., 1976, I, 2867; 3 aprile 1979, n. 1916, id., 1979, I, 1133;

App. Milano 15 febbraio 1972, id., Rep. 1972, voce Astensione, n.

23; Trib. Milano 30 ottobre 1969, id., Rep. 1970, voce Ricusa, n. 16;

Trib. Roma 16 ottobre 1974, id., Rep. 1975, voce Responsabilità civile,

n. 73) senza bisogno dell'autorizzazione di cui all'art. 56 c.p.c. (Cass.

12170/90, cit., in motivazione). Sulla responsabilità dello Stato per fatto del magistrato ed altresì' sul

tentativo di ampliare tale responsabilità oltre i limiti dell'art. 55 c.p.c.,

si rimanda, anche per ulteriori richiami, a Scotti, La responsabilità civile dei magistrati, Milano, 1988, 43 ss., ed inoltre a Picardi, in Nuo

ve leggi civ., 1989, 1213 ss. e a Capponi, ibid., 1417.

Ad ogni modo, in conseguenza dell'inapplicabilità dell'art. 56 c.p.c.

il tribunale ritiene che la competenza debba essere regolata alla stregua delle norme ordinarie. Sul rapporto fra le questioni di competenza e

quelle relative al «filtro» di ammissibilità dell'azione di responsabilità verso il giudice, v. la più volte citata Cass. 12170/90, secondo cui, se

manca l'autorizzazione, «il giudice adito deve limitarsi a prendere atto

che manca il presupposto processuale previsto dalle norme per la pro

ponibilità della domanda, mentre non può porsi alcun problema di com

petenza, non sussistendo, in difetto di quella autorizzazione (e quindi della conseguente designazione), nessun giudice competente ad esami

nare la domanda risarcitoria».

(2) L'iter argomentativo che ha portato alla formulazione della se

conda massima si sviluppa attraverso i seguenti passaggi.

A) La norma dell'art. 25 c.p.c., nell'ipotesi in cui lo Stato sia conve

nuto in un giudizio riguardante rapporti obbligatori, fa riferimento ai

soli criteri del forum contractus e del forum destinatae solutionis (pre

visti pure dall'art. 20 c.p.c.), escludendo il forum rei (art. 19 c.p.c.).

a) Per l'affermazione che nei confronti dello Stato non è applicabile, al fine di determinare la competenza per territorio, il criterio della sede

delle persone giuridiche, v. Cass. 10 maggio 1974, n. 1329, Foro it.,

1974, I, 2686, con nota di richiami e App. Roma 16 giugno 1980, id.,

1981, I, 2830, con nota di richiami; in dottrina, Scoca, Foro dello

Stato, voce del Novissimo digesto, Torino, 1961, VII, 594; Segré, Del

la competenza per territorio, in Commentario del c.p.c. diretto da Al

lorio, Torino, 1973, I, 278, Tanto sulla base sia della considerazione

che lo Stato è presente allo stesso modo su tutto il territorio che lo

costituisce, sia della circostanza che l'art. 25 c.p.c. non opera alcun

riferimento al criterio sopra menzionato.

b) Neppure si dubita che la norma dell'art. 20 c.p.c. — e dunque

l'analoga disposizione dell'art. 25 c.p.c. — trovino applicazione anche

con riferimento alle obbligazioni di risarcimento danni da illecito. Per

l'espressa affermazione di questo principio, v. Cass. 10 ottobre 1967,

n. 2390, Foro it., Rep. 1967, voce Competenza civile, n. 207; 6 feb

braio 1962, n. 214, id., Rep. 1962, voce cit., nn. 256, 257; 14 novembre

1961, n. 2659, ibid., n. 255; 26 luglio 1960, n. 2134, id., Rep. 1960,

voce cit., n. 179; 5 ottobre 1957, n. 3626, id., Rep. 1957, voce cit.,

n. 255. In dottrina, Lancellotti, Il foro facoltativo per le cause relati

ve a diritti di obbligazione da fatto illecito, in Riv. trim. dir. e proc.

civ., 1955, 691 ss.; Rocco, Competenza civile, voce del Novissimo dige

sto, Torino, 1959, III, 759; Segré, op. cit., 244; Levoni, Competenza

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