sentenza 19 ottobre 1988, n. 981 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 26 ottobre 1988, n. 43);Pres. Saja, Est. Caianiello; imp. Ingales ed altri; interv. Regione Sicilia. Ord. Pret. Avola 26giugno 1987 (G.U., 1 a s.s., n. 53 del 1987); Pret. Sortino 23 novembre 1987 (tre) (G.U., 1 a s.s.,n. 14 del 1988)Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 359/360-361/362Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183774 .
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PARTE PRIMA
La sentenza di divorzio non elimina interamente la vis matri
monii, la quale permane sul piano dei rapporti patrimoniali nei
limiti dell'ultrattività del rapporto regolata dall'art. 5 1. n. 898
del 1970 e, per il periodo successivo alla morte del coniuge tenuto
a corrispondere all'altro l'assegno divorzile, dagli art. 9 e 9 bis.
Inversamente, la sentenza di separazione personale conserva il vin
colo coniugale, ma nei confronti del coniuge separato con adde
bito ne attenua l'efficacia sul piano dei rapporti patrimoniali riducendola al solo diritto agli alimenti in caso di bisogno. Per
tanto, tra la posizione del coniuge divorziato, «che sia titolare
dell'assegno di cui all'art. 5», e la posizione del coniuge separato con addebito, che sia titolare dell'assegno alimentare di cui al
l'art. 156, 3° comma, c.c., si può ragionevolmente riconoscere
una analogia, la quale comporta che pure al secondo, come al
primo, debba essere attribuito il diritto alla pensione di reversibilità.
3. - Inoltre, dopo la riforma dell'istituto della separazione per sonale dei coniugi, attuata dalla 1. n. 151 del 1975, la norma
impugnata è venuta a trovarsi in contrasto con l'art. 38 Cost.
Questo articolo deve essere interpretato in correlazione con l'art.
36, onde la tutela previdenziale, garantita al lavoratore dal 2°
comma, deve intendersi riferita anche ai familiari da lui economi
camente dipendenti. Nel regime anteriore alla novella del 1975 la funzione sanzio
natoria della separazione personale privava il rapporto di matri
monio, nei confronti del coniuge colpevole, dell'efficacia di titolo
di acquisto sia di diritti mortis causa sul patrimonio dell'altro
coniuge, sia di diritti verso terzi condizionati alla sua morte, co
me il diritto alla pensione di reversibilità. Cessata la rilevanza
della colpa quale fondamento della separazione, la dichiarazione
di addebito non può avere una funzione sanzionatoria a tutela
di un pubblico interesse, ma soltanto una funzione di tutela del
l'interesse privato dell'altro coniuge, in particolare dell'interesse
all'espulsione del coniuge colpevole dal novero degli eredi legittimi. In questa mutata prospettiva non è più giustificabile il diniego
al coniuge, cui è stata addebitata la separazione, di una tutela
che gli assicuri la continuità dei mezzi di sostentamento che il
defunto era tenuto a fornigli. Lo stesso legislatore del 1975 ha provveduto a correggere il
rigore punitivo della disciplina precedente nel campo del diritto
successorio, riconoscendo al rapporto di matrimonio, qualora il
coniuge superstite fosse separato con addebito e godesse degli alimenti a carico del de cuius, la limitata rilevanza di titolo di
acquisto del diritto a un assegno vitalizio a carico dell'eredità
(art. 548 c.c., richiamato dall'art. 585). Per la medesima ragione,
qualora il godimento degli alimenti fosse una forma di fruizione
indiretta di una pensione di cui era titolare il de cuius, il rapporto familiare derivante dal matrimonio deve essere riconosciuto, an
che in favore del coniuge separato per colpa (o con addebito), titolo del diritto al trattamento di reversibilità, in conformità del
l'esigenza di tutela previdenziale del lavoratore e dei suoi familia
ri sancita dall'art. 38 Cost.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 20 1° comma, lett. a), 1. 2 febbraio 1973 n. 12 (natura e compiti dell'Ente nazionale di assistenza per gli
agenti e i rappresentanti di commercio e riordinamento del tratta mento pensionistico integrativo a favore degli agenti e dei rappre sentanti di commercio»), nella parte in cui esclude dal diritto a
pensione di reversibilità il coniuge superstite quando «sia stata
pronunciata sentenza di separazione legale per colpa dello stesso».
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 19 ottobre 1988, n. 981
0Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 26 ottobre 1988, n. 43); Pres. Saja, Est. Caianiello; imp. Ingales ed altri; interv. Re
gione Sicilia. Ord. Pret. Avola 26 giugno 1987 (G.U., la s.s., n. 53 del 1987); Pret. Sortino 23 novembre 1987 (tre) (G.U., la s.s., n. 14 del 1988).
Sicilia — Rifiuti urbani — Gestione di discariche comunali —
Esonero dei comuni dall'autorizzazione regionale — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 3, 25, 32; r.d.leg. 15 maggio 1946 n. 455, approvazione dello statuto della regio ne siciliana, art. 17; d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, attuazione
Il Foro Italiano — 1989.
delle direttive (Cee) n. 75/442, relativa ai rifiuti, n. 76/403, relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotri fenili e n. 78/319, relativa ai rifiuti tossici e nocivi, art. 10, 25; 1. reg. Sicilia 21 agosto 1984 n. 67, disposizioni per la disci plina dello smaltimento dei rifiuti, art. 1).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1
1. reg. sic. 21 agosto 1984 n. 67, nella parte in cui consente
per implicito che i comuni possano gestire discariche di rifiuti urbani in assenza dell'apposita autorizzazione regionale, in ri
ferimento all'art. 17 statuto della regione siciliana e agli art.
2, 3, 25, 2° comma, 32, 1° comma, Cost. (1)
Diritto. — 1. - Con una ordinanza del Pretore di Avola e con
tre distinte ordinanze del Pretore di Sortino viene sollevata que stione di legittimità costituzionale, dell'art. 11. reg. sic. 21 agosto 1984 n. 67 «nella parte in cui consente che i comuni possano
gestire discariche per rifiuti urbani in assenza della apposita auto
rizzazione regionale». Ad avviso dei giudici rimettenti detta norma — diversamente
dagli art. 10 e 25 d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915 che impone anche ai comuni che gesticono impianti di rifiuti di munirsi del
l'autorizzazione regionale — prescriverebbe tale autorizzazione solo
in via transitoria e cioè per l'impianto di nuove discariche prima
dell'approvazione del piano regionale, escludendola, seppur im
plicitamente, in relazione al regime ordinario.
A causa di tale diversità rispetto alla disciplina statale dettata
dagli art. 10 e 25 del richiamato d.p.r. n. 915 del 1982, la norma
regionale impugnata sarebbe in contrasto con l'art. 17 dello sta
tuto speciale, perché eluderebbe i limiti «dei principi e degli inte
ressi generali cui si informa la legislazione dello Stato» in materia
di igiene e sanità; con l'art. 25, 2° comma, Cost., perché finireb
be per variare, restringendone l'ambito dei destinatari, una di
sposizione penale; con gli art. 32, 1° comma, e 2 Cost., perché la mancata preventiva autorizzazione favorirebbe l'insorgere di
inquinamento ambientale lesivo del diritto alla salute del sogget
to, sia uti singulus che quale partecipe di formazioni sociali; con
l'art. 3 Cost., perché creerebbe una ingiustificata disparità di trat
tamento, nell'ambito regionale, rispetto ai soggetti privati sotto
posti all'obbligo di munirsi di detta autorizzazione e, nell'ambito
nazionale, rispetto agli altri comuni, anch'essi assoggettati a tale
obbligo.
(1) Nel corso di alcuni procedimenti penali contro amministratori loca li imputati di aver gestito una discarica di rifiuti urbani in assenza della
prescritta autorizzazione regionale imposta dall'art. 10 d.p.r. n. 915 del
1982, il Pretore di Avola ed il Pretore di Sortino eccepirono la legittimità costituzionale dell'art. 1 1. reg. sic. 21 agosto 1984 n. 67 osservando che, mentre la normativa statale, in base all'opinione della dottrina e della
giurisprudenza prevalenti, imporrebbe anche ai comuni l'obbligo di mu nirsi dell'autorizzazione regionale per la gestione di discariche, la disposi zione denunciata invece, «nel prescrivere tale obbligo solo in via transitoria e cioè per le nuove discariche realizzate prima dell'approvazione del pia no regionale, lo escluderebbe, seppur implicitamente, in relazione al regi me ordinario». La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la
questione non già assumendo come premessa principale un'interpretazio ne della normativa statale diversa da quella postulata dai giudici remit tenti, ma al contrario rilevando che l'addotta interpretazione della norma
impugnata «va al di là della portata della norma stessa . . . risultando chiaro che la norma censurata ha invece dettato esclusivamente una disci
plina transitoria, senz'affatto incidere sul regime ordinario che — in man canza di espressa deroga, ove consentita dalle competenze della regione — deve ritenersi quello contenuto nella normativa statale e cioè nel d.p.r. n. 915 del 1982». La corte puntualizza che «resta cosi confermato che, per quanto riguarda il regime ordinario, il legislatore regionale, lungi dal
derogare per implicito a quanto disposto dalla normativa statale, adotta ta in attuazione delle direttive Cee, abbia invece, per implicito, dato per scontato che, una volta superato il periodo transitorio necessario per la
predisposizione del piano previsto dall'art. 6 d.p.r. n. 915 del 1982 . . . debba essere proprio tale normativa statale a disciplinare la ma teria, il che fa venir meno l'assunto sulla cui base è stata sollevata la
questione di legittimità costituzionale oggetto di esame». La pronuncia della corte ribadisce, quindi, sia pure senza un approfondimento specifi co della problematica, che anche i comuni che vogliano gestire una disca rica di rifiuti urbani devono ottenere la prescritta autorizzazione regionale: in argomento, cfr., da ultimo, Cass. 18 giugno 1987, Francucci, Pret.
Squillace 2 maggio 1988 e Pret. Lanciano 6 ottobre 1987, Foro it., 1988, II, 563, con nota di richiami.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 362
2. - Osserva la corte che la questione sollevata nei termini anzi
detti dai giudici remittenti, muove da una interpretazione della
norma impugnata che non può essere condivisa perché va al di
là della portata della norma stessa.
Si assume difatti che il legislatore regionale, nel dettare la di
sciplina transitoria, avrebbe per implicito esonerato i comuni, che
gestiscono tali impianti, dall'autorizzazione regionale una volta
che con l'approvazione del piano regionale di organizzazione e
di smaltimento dei rifiuti, previsto dall'art. 6 d.p.r. n. 915 del
1982, si sia pervenuti al regime ordinario.
Questa tesi interpretativa non può essere seguita, risultando chia
ro che la norma censurata ha invece dettato esclusivamente una
disciplina transitoria, senza affatto incidere sul regime ordinario
che — in mancanza di espressa deroga, ove consentita dalle com
petenze della regione — deve ritenersi quello contenuto nella nor
mativa statale e cioè nel d.p.r. n. 915 del 1982. Stabilisce difatti
l'art. 1 1. reg. n. 67 del 1984, oggetto dell'incidente di legittimità
costituzionale, che, nelle more della predisposizione del piano di
competenza della regione, previsto dall'art. 6 d.p.r. n. 915 del
1982, i comuni che si trovino nella comprovata impossibilità di
smaltire i rifiuti solidi urbani, possano impiantare nuove discari
che per rifiuti urbani e speciali,, previa autorizzazione da rila
sciarsi dall'assessore regionale per il territorio e l'ambiente.
Da tale prescrizione non può dunque arguirsi, neppure per im
plicito, che l'obbligo dell'autorizzazione non sussista una volta
predisposto il piano di competenza regionale, perché la norma
denunciata, per come è formulata, non intende affatto spingere
la sua portata (sia pur per implicito) al di là del momento della
predisposizione del piano. Essa difatti è stata emanata solo per
consentire ai comuni, in via provvisoria — e cioè anche prima
di tale predisposizione —, di impiantare nuove discariche, purché
autorizzati dalla regione. Il carattere esclusivamente transitorio
della normativa regionale emerge del resto dalla relazione della
commissione legislativa (Atto assemblea n. 783 A del 28 giugno
1984) che aveva accompagnato il disegno di legge (poi divenuto
la legge regionale di cui fa parte la norma impugnata) in cui si
precisa che «il d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, emanato facendo
seguito alle direttive Cee 75/22, 76/403 e 78/319, contiene nor
me, di natura cogente e programmatica, che concernono la disci
plina dei rifiuti ... È da dire però che il suddetto decreto non
può trovare ancora compiuta applicazione in quanto l'apposito
comitato interministeriale non ha definito ... le direttive sulle
competenze statali in materia».
Resta cosi confermato che, per quanto riguarda il regime ordi
nario, il legislatore regionale lungi dal derogare per implicito a
quanto disposto dalla normativa statale, adottata in attuazione
delle direttive Cee, abbia invece, per implicito, dato per scontato
che, una volta superato il periodo transitorio necessario per la
predisposizione del piano previsto dall'art. 6 d.p.r. n. 915 del
1982 (espressamente richiamato nel testo della norma censurata),
debba essere proprio tale normativa statale a disciplinare la mate
ria, il che fa venir meno l'assunto sulla cui base è stata sollevata
la questione di legittimità costituzionale oggetto di esame.
Né argomenti idonei a sostenere tale assunto possono desumer
si dalla circostanza che esso sarebbe suffragato — come sembre
rebbe adombrarsi nelle ordinanze di rimessione — da alcune
circolari della regione, qualcuna delle quali è giunta perfino ad
affermare che, quando sia il comune a gestire l'impianto, l'auto
rizzazione regionale non sia prescritta proprio in virtù del d.p.r.
n. 915 del 1982, tesi quest'ultima sostenuta dalla regione nell'atto
di intervento.
In proposito è appena il caso di ricordare che — mentre esula
dal presente giudizio stabilire la portata delle norme statali, in
quanto esse non formano oggetto dell'incidente di costituzionali
tà — per quel che riguarda l'interpretazione della norma regiona
le denunciata, offerta da circolari dell'amministrazione, essa non
è vincolante per il giudice che, al più, ove debba irrogare sanzio
ni penali, potrà tenerne conto solo per valutare il comportamento
dell'imputato. Ma, al di là di questo aspetto, che esula del resto
dall'ambito del giudizio di legittimità costituzionale, l'interpreta zione di norme legislative contenute nelle circolari amministrative
non vincola il giudice che deve pervenire alla applicazione della
legge sulla base della propria interpretazione che, come è noto,
va condotta alla stregua dei canoni all'uopo dettati dall'ordi
namento.
Il Foro Italiano — 1989.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 1 1. reg. sic. 21 agosto 1984 n. 67 («disposizioni
per lo smaltimento dei rifiuti, proroga dei termini per attività
di pianificazione e modificazioni alla 1. reg. 4 agosto 1980 n. 78»)
sollevata, in riferimento all'art. 17 dello statuto regionale della
Sicilia ed agli art. 2, 3, 25, 2° comma, 32, 1° comma, Cost.,
con le ordinanze indicate in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 19 ottobre 1988, n. 978
(Gazzetta ufficiale, la s.s., 26 ottobre 1988, n. 43); Pres. Saja,
Est. Conso; Carbone (Aw. M.S.Giannini, Prosperetti) c. Min.
industria ed altro; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato
Tallarida). Ord. Tar Lazio, sez. Ili, 14 marzo 1985 (G.U., la s.s., n. 54 del 1987).
Pubblica sicurezza — Ammininistratore di società — Revoca per
appartenenza ad associazioni segrete — Modalità di accerta
mento del presupposto — Disparità di trattamento nei confronti
dei pubblici dipendenti — Questione infondata di costituziona
lità (Cost., art. 3; 1. 25 gennaio 1982 n. 17, norme di attuazio
ne dell'art. 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete e scioglimento dell'associazione denominata loggia P2, art. 4).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4,
11° comma, l. 25 gennaio 1982 n. 17, che qualifica l'apparte
nenza alle associazioni segrete di cui al'art. 1 della stessa legge
come giusta causa di revoca dell'incarico di commissario nel
l'amministrazione straordinaria di imprese in crisi, nella parte
in cui non prevede che l'accertamento dell'appartenenza all'as
sociazione segreta avvenga con le garanzie previste per i casi
in cui tali accertamenti riguardano pubblici dipendenti ai fini
dell'applicazione di sanzioni disciplinari, in riferimento all'art.
3 Cost. (1)
(1) L'ordinanza di rimessione Tar Lazio, sez. Ili, è riprodotta con la
data 23 marzo 1985, n. 306, in Trib. amm. reg., 1985, I, 1178, e in
Giur. merito, 1986, 180. Lo stesso giudice aveva precedentemente accolto
un ricorso proposto dalla stessa parte contro un primo provvedimento di revoca determinato dalla stessa causa nel quale erano stati ravvisati
vizi di forma: cfr. Tar Lazio, sez. Ili, 5 luglio 1982, n. 686, Foro it.,
1983, III, 223, con nota di richiami.
Tra le pronunce disciplinari adottate nei confronti di magistrati appar tenenti alla loggia P2, cfr. Cass. 30 gennaio 1985, nn. 550-557, una delle
quali è riprodotta id., 1985, I, 378, con nota di richiami, contenente i
riferimenti alla «storia giudiziaria» della loggia P2 svoltasi fino a quel
momento, e con nota di G. Corso, mentre una delle pronunce della se
zione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, 9 febbraio
1983, Raspini, cui si riferiscono le pronunce della Cassazione, è massima
ta id., Rep. 1983, voci Ordinamento giudiziario, n. 143 e Pubblica sicu
rezza, n. 11. Tra le pronunce concernenti sanzioni disciplinari adottate nei confronti
di funzionari amministrativi, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 febbraio 1986,
n. 93, Foro it., Rep. 1986, voce Pubblica sicurezza (amministrazione del
la), n. 31, che ha ritenuto legittima l'irrogazione della sanzione del rim
provero ad un ufficiale di pubblica sicurezza, già appartenente alla loggia
P2, per avere dimostrato superficialità, scarso senso di opportunità e man
canza di cautela nell'aver ritenuto sufficiente l'interruzione del versamen
to delle quote associative per ritenersi dissociato da tale organizzazione
(la sentenza confermata, Tar Liguria 26 gennaio 1984, n. 20, è riassunta
id., Rep. 1984, voce cit., n. 27); Tar Lazio, sez. I, 29 febbraio 1984,
n. 203, id., 1984, III, 253, ha ritenuto legittimo un provvedimento di
rimprovero inflitto ad un ufficiale superiore che era appartenuto alla log
gia P2 fino al febbraio 1981; Tar Veneto 28 gennaio 1985, n. 40, id.,
Rep. 1985, voce Impiegato dello Stato, n. 866, che, pur annullando per
altri motivi il provvedimento impugnato, ha confermato che, per i pub
blici dipendenti, l'appartenenza ad un'associazione segreta costituisce ille
cito disciplinare ex art. 212 t.u.l.p.s. Contrasti sono sorti circa la legittimità della sospensione dei giornalisti
appartenenti alla loggia P2: mentre Pret. Roma 21 luglio 1981, id., 1981,
I, 2223, con nota di richiami e osservazioni di G. Silvestri, ha ritenuto
legittimo un tale provvedimento, Pret. Roma 3 novembre 1982, id., Rep.
1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1323, ha deciso in senso contrario, ar
gomentando dalla mancanza di una precisa disposizione in tal senso.
Circa il procedimento disciplinare nei confronti di militare iscritto alla
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