sentenza 2 febbraio 1990, n. 40 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 7 febbraio 1990, n. 6);Pres. Saja, Est. Gallo; Colombi (Avv. Gianzi). Ord. Trib. Roma 14 dicembre 1988 (G.U., 1 a s.s.,n. 39 del 1989)Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 355/356-361/362Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184490 .
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PARTE PRIMA
Il criterio adoptio imitatur naturam liberato da vincolanti rife
rimenti biologici e opportunamente collegato con usi sociali, tro
va la sua tradizione moderna nell'art. 8, n. 3, della convenzione
di Strasburgo: «En règie générale, l'autorité compétente ne consi
dérera pas comme remplies les conditions précitées si la differen
ce d'àge entre l'adoptant et l'enfant est inférieure à celle qui sé
paré ordinairement les parents de leur enfants».
Nel contesto della stessa 1. n. 184 del 1983, per i casi particola ri sussunti nel titolo IV è richiesta ancora una volta la distanza
d'età di diciotto anni (art. 44, 5° comma: «In tutti i casi l'adot
tante deve superare di almeno diciotto anni l'età di coloro che
intende adottare»). Il ricorrere del dato temporale dei diciotto anni nella tradizione
legislativa italiana, la lungamente meditata elaborazione della vi
gente 1. n. 184 del 1983, nonché la considerazione storicamente
innanzi dimostrata che il termine diciottennale è frutto di ponde razione del legislatore senza immediato riferimento naturalistico
che valga ricerca di giustificazione esterna alla voluntas legis, fanno
si che l'art. 3 Cost., come non risulta valido ai fini della indivi
duazione di lesione del principio di eguaglianza, non lo è del pari
per fondare una valutazione di non ragionevolezza. 4. - La questione è, invece, fondata con riferimento all'art.
30, 1° e 3° comma, Cost., nel valore complessivo espresso, che
è quello dell'unità della famiglia. La particolare specie di adozio
ne prevista sub b), dal 1° comma dell'art. 44 il coniuge che adot
ta il minore figlio anche adottivo dell'altro coniuge è ispirata al
fine di consolidare l'unità familiare. Senza lo strumento adozio
nale cosi impiegato, malgrado la coppia genitoriale sia legata nel
matrimonio, la prole riconosciuta o adottata da uno dei coniugi resterebbe estranea all'altro coniuge, non porterebbe il cognome dei fratelli uterini generati in costanza di matrimonio, vivrebbe, anche in una forte coesione affettiva, il disagio sociale della ma
nifesta diversità di origine con possibili disarmonie nella forma
zione psicologica e morale. Il ricorso all'adozione ex art. 44, 1°
comma, lett. b), evitando le conseguenze dello scenario descritto,
agevola una più compiuta unione della coppia e della prole. Se però il non raggiunto divario d'età dei diciotto anni tra il
coniuge adottante e il minore adottando fosse considerato in ogni caso inderogabile, la realizzazione del valore costituzionale del
l'unità della famiglia potrebbe risultarne compromessa. Affinché
la norma impugnata non risulti in contrasto con l'art. 30, 1° e
3° comma, Cost., limitatamente all'ipotesi di cui alla lett. b) del
l'art. 44, 1° comma, 1. n. 184 del 1983, il giudice competente,
previo attento e severo esame delle circostanze del caso, al fine di corrispondere all'indicato preminente valore etico-sociale in
scritto in Costituzione, può accordare una ragionevole riduzione
del termine diciottennale.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 44, 5° comma, 1. 4 maggio 1983 n. 184
(disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), nella parte in cui, limitatamente al disposto della lett. b) del 1 ° comma, non
consente al giudice competente di ridurre, quando sussistano va
lidi motivi per la realizzazione dell'unità familiare, l'intervallo di età di diciotto anni.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 2 febbraio 1990, n. 40
(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 7 febbraio 1990, n. 6); Pres. Saja, Est. Gallo; Colombi (Avv. Gianzi). Ord. Trib.
Roma 14 dicembre 1988 (G.U., la s.s., n. 39 del 1989).
Notaio — Condanna penale — Inabilitazione e destituzione di
diritto — Valutazioni discrezionali e procedimento disciplinare — Mancata previsione — Incostituzionalità — Azione discipli nare — Sospensione in pendenza di processo penale — Omessa
previsione — Incostituzionalità (Cost., art. 3; 1. 16 febbraio
1913 n. 89, ordinamento del notariato e degli archivi notarili, art. 139, 142, 146, 158; 1. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale, art.
27).
È illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 139, n. 2, l. 16 febbraio 1913 n. 89, nella parte in cui prevede che il giudi ce penale inabiliti de iure, anziché sulla base di valutazioni di
screzionali, il notaio condannato, per alcuno dei reati indicati
nell'art. 5, n. 3, della stessa legge, con sentenza non ancora
passata in cosa giudicata. (1)
Il Foro Italiano — 1990.
È illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 142, ultimo
comma, l. 16 febbraio 1913 n. 89, nella parte in cui prevede la destituzione di diritto del notaio che ha riportato condanna
per uno dei reati previsti nell'art. 5, n. 3, della stessa legge, anziché riservare ogni provvedimento al procedimento discipli nare camerale avanti il tribunale civile, come per le altre cause
enunciate nel medesimo art. 142. (2) Sono conseguentemente illegittimi anche i primi tre commi del
l'art. 158 della stessa legge 16 febbraio 1913 n. 89. (3) In base all'art. 271. 11 marzo 1953 n. 87, deve dichiararsi illegit
timo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 146 l. 16 febbraio 1913 n. 89, nella parte in cui non prevede che l'azione discipli nare contro i notai rimanga sospesa fino al passaggio in giudi cato della sentenza, quando per il fatto illecito sia iniziato pro cedimento penale. (4)
Fatto. — 1. - Con ordinanza 14 dicembre 1988 il Tribunale
di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli art. 139, 142 e 158 1. 16 febbraio 1913 n. 89 (ordinamento del
notariato e degli archivi notarili) con riferimento all'art. 3 Cost.
Secondo il Tribunale di Roma le norme della legge notarile
che prevedono la destituzione e l'inabilitazione di diritto del no
taio che abbia riportato condanna per alcuno dei reati indicati
nell'art. 5, n. 3, della legge medesima, contrasterebbero con
il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.: e ciò in
quanto le dette sanzioni troverebbero applicazione automatica, senza che la condotta del notaio venga valutata in sede di
(1-3) Le affermazioni riprodotte nelle prime tre massime sono conse
guenza dell'estensione, alle sanzioni previste dalle norme dichiarate ille
gittime, dei principi enunciati dalla richiamata Corte cost. 14 ottobre 1988, n. 971 (Foro it., 1989, I, 22, con osservazioni di A. Romano e nota di G. Virga, «Revirement» della Corte costituzionale e conseguenze della
pronuncia d'incostituzionalità della destituzione di diritto nel campo del
pubblico impiego), dichiarativa della incostituzionalità degli art. 85, lett.
a), d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3 e 236 d.l.p.reg. sic. 29 ottobre 1955 n.
6, nella parte in cui non prevedono, in luogo della destituzione di diritto dei dipendenti dello Stato e degli enti locali della regione siciliana con dannati per i reati ivi elencati, l'apertura e lo svolgimento del procedi mento disciplinare. In precedenza, Corte cost. 23 giugno 1988, n. 701, id., Rep. 1988, voce Notaio, n. 25, ha ritenuto che il giudice il quale, dopo avere emesso mandato di cattura nei confronti di alcuni notai, ab bia pronunziato l'inabilitazione degli stessi all'esercizio della professione notarile, concludendo cosi, sia pure incompetentemente, la questione del l'inabilitazione professionale, non è legittimato a sollevare questione di costituzionalità dell'art. 139, n. 1, 1. 16 febbraio 1913 n. 89, per preteso contrasto con l'art. 27, 2° comma, Cost., nella parte in cui fa derivare
ope legis dal mandato di cattura l'inabilitazione all'esercizio della profes sione notarile, costantemente reputata, cosi come ribadito dalla riportata sentenza, una misura cautelare (fra le altre, Cass. 6 marzo 1987, Anasta
si, ibid., n. 27; 20 marzo 1979, n. 1615, id., 1980, I, 404, con osservazio ni di Di Lalla, che ricorda anche sez. un. 7 luglio 1962, Tripodo, men zionata dalla corte; cui adde, di recente, Protetti - Di Zenzo, La legge notarile, Giuffrè, Milano, 1987, 441 ss.).
Per quanto riguarda, poi, i rilievi sviluppati dalla corte nella parte mo tiva corrispondente all'enunciazione della seconda massima, è ii caso di ricordare, a proposito dei vari orientamenti concernenti la natura giuridi ca della destituzione del notaio, Cass. 24 aprile 1987, n. 4034, Foro it., 1988, I, 1222 (che differenzia la sanzione prevista dall'ultimo comma del l'art. 142 legge notarile, definita effetto accessorio della sentenza penale di condanna, da quella considerata nel 1° comma del medesimo art. 142, ricompresa fra le sanzioni disciplinari), e gli esaurienti precedenti di dot trina e di giurisprudenza richiamati in nota alla medesima sentenza.
(4) L'orientamento delle sezioni unite civili della Corte di cassazione, invocato dalla corte nell'iter argomentativo concluso dall'enunciazione rias sunta in massima, è quello espresso dalla sent. 16 gennaio 1968, n. 85, Foro it., 1968, I, 992, con nota redazionale; adde a proposito delle varie
implicazioni dell'interpretazione (finora) prevalente dell'art. 146 legge no tarile, Cass. 24 aprile 1987, n. 4034, cit.
Per la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costitu zionale dell'anzidetto art. 146, 1° comma, nella parte in cui non prevede che, in caso di atti di procedura, il termine di quattro anni per la prescri zione dell'azione disciplinare a carico di notai resti sospeso o venga inter rotto, in riferimento all'art. 3 Cost., Trib. Roma 6 novembre 1982, id., 1984, I, 1437, con nota di richiami; adde, Protetti - Di Zenzo, op. cit., 476, per i quali l'eccezione de qua, indipendentemente da ogni consi derazione sull'ammissibilità della stessa, siccome sollevata con riferimen to ad ipotesi di mancata instaurazione del processo penale, «potrebbe essere ritenuta fondata in quanto, in relazione ad una causa estintiva dell'illecito, verrebbe a trovarsi in una situazione di privilegio il notaio
sottoposto a procedimento penale rispetto a quello che abbia commesso una violazione al cui accertamento non sia pregiudiziale il giudicato pe nale». [C.M. Barone]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sciplinare. In proposito, l'ordinanza richiama la sentenza n. 971
del 1988 (Foro it., 1989, I, 22) di questa corte, che ha dichiarato
l'illegittimità dell'art. 85, lett. a), d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3
(statuto degli impiegati civili dello Stato) nonché di altre norme,
proprio nella parte in cui «non prevedono in luogo del provvedi mento di destituzione di diritto, l'apertura e lo svolgimento del
procedimento disciplinare». Secondo il tribunale, i principi ai quali ha fatto riferimento
la corte nella richiamata sentenza non possono non valere per le norme della legge notarile sopra richiamate; e ciò in quanto anche in esse l'applicazione delle gravi misure della inabilitazione
e della destituzione avviene in via automatica, senza quel dovero
so approfondimento del caso concreto, come avviene in sede di
sciplinare. Né potrebbe aver rilievo, ad avviso del tribunale, la natura di
misura cautelare che secondo parte della giurisprudenza dovrebbe
riconoscersi alla inabilitazione.
Ed invero, quale che sia il fine cui tende tale misura, nulla
esso toglie al carattere afflittivo della stessa, posto che ne conse
gue la preclusione all'esercizio delle funzioni notarili, cosi come
per la destituzione; ché, anzi, rispetto a questa, tale effetto è im
mediato, essendo la pronunzia della inabilitazione esecutiva no
nostante appello (art. 158, 4° comma, della legge impugnata).
(Omissis) Diritto. — 1. - Il Tribunale di Roma, richiamandosi alla sen
tenza n. 971 del 1988 di questa corte, ha rilevato che gli stessi
principi, cui la corte si è riferita nella detta sentenza, debbono
essere applicati a quelle norme della legge notarile che prevedono nei confronti dei notai gravi provvedimenti de iure, come la ina
bilitazione o la destituzione di diritto. Si tratta di misure forte
mente afflittive, che privano il notaio dell'esercizio della profes
sione, e che conseguono automaticamente a determinate situazio
ni, senza che la condotta del notaio possa essere adeguatamente
valutata, caso per caso, né da parte del giudice penale, né in
sede disciplinare. In riferimento agli impiegati civili dello Stato, questa corte ha,
infatti, dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 85, lett. a),
d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, e di altre analoghe norme, proprio «nella parte in cui non prevedono, in luogo del provvedimento di destituzione di diritto, l'apertura e lo svolgimento del procedi mento disciplinare».
Secondo il tribunale — a quanto si evince dall'ordinanza —
la corte avrebbe dovuto estendere la declaratoria d'illegittimità anche agli art. 139, 142 e 158 1. 16 febbraio 1913 n. 89 (ordina mento del notariato e degli archivi notarili). In mancanza, viene
sollevata l'odierna questione in riferimento all'art. 3 Cost., per violazione del principio di ragionevolezza.
2. - La proposta questione coinvolge due misure che non han
no identica natura: è opportuno, perciò, esaminare separatamen te il profilo di legittimità costituzionale che le riguarda.
È evidente, infatti, che l'inabilitazione è misura cautelare. Ciò
risulta chiaramente già dal testo degli art. 139 e 140 della legge
notarile, che prevedono la misura in relazione a situazioni di ca
rattere provvisorio, concernenti la pendenza di procedimento di
sciplinare o di processo penale, oppure l'espiazione di una pena restrittiva della libertà personale ma conseguente alla condanna
per reati diversi da quelli lesivi del prestigio o del decoro della
professione. Una misura, perciò, che è essa stessa provvisoria, perché desti
nata a caducarsi o ad essere revocata quando vengono a cessare
le situazioni che l'hanno determinata, o ad essere sostituita con
una sanzione disciplinare definitiva.
La giurisprudenza della magistratura ordinaria è ormai pacifi
ca sul punto, da quando nell'anno 1962 le sezioni unite della Corte
di cassazione hanno sottolineato il carattere provvisorio del prov
vedimento, perciò definito cautelare», finalizzato appunto alla sal
vaguardia del prestigio e del decoro della funzione notarile.
Sotto tale riguardo, quindi, non sembra meritare censura il 4°
comma dell'art. 158 impugnato, che tutela l'efficacia del provve
dimento cautelare, nonostante l'appello; cosi come, del resto, si
verifica per i provvedimenti interdittivi cautelari disposti dal giu
dice penale, e perfino per quelli cautelari restrittivi della libertà
personale, nonostante vengano sottoposti a giudizio di riesame
o alle ordinarie impugnazioni (art. 309-310-311 c.p.p.); con la
sola eccezione dell'ipotesi in cui il tribunale, accogliendo l'appel
lo del pubblico ministero, abbia disposto una misura cautelare
che il giudice aveva negato (art. 310, 3° comma, c.p.p.).
Il Foro Italiano — 1990.
Ciò che, invece, non può essere più accettato, in relazione ai
principi costituzionali, come giustamente lamenta l'ordinanza, è
l'automatismo della misura cautelare, che deve inderogabilmente essere applicata sol che si presentino le situazioni di cui all'art.
139 della legge notarile. Vero è che, per due di esse (nn. 1 e
3), venendo a trovarsi il notaio in istato di privazione della liber
tà personale, anche se relativa (ipotesi di arresti domiciliari, ecc.), è impensabile che possa essergli consentito di esercitare le funzio
ni notarili. Ma, a parte le difficoltà di fatto che vi si opporrebbe
ro, le dette ipotesi sono estranee alla rilevanza del caso di specie, anche se l'ordinanza di rimessione ha investito l'intero art. 139
della legge notarile.
Il giudizio, pertanto, dovrà essere limitato all'ipotesi prevista nel n. 2 dell'art. 139 predetto: ipotesi pacificamente affidata alla
competenza del giudice che procede, al quale dev'essere consenti
to di valutare discrezionalmente, in relazione alla gravità del fat
to e delle sue circostanze nonché alla personalità del soggetto agen
te, l'opportunità di applicare o meno la misura cautelare. Esigen za tanto più sentita nell'attuale evoluzione dell'ordinamento
giuridico-processuale, ove si rifletta che nemmeno in tema di mi
sure cautelari coercitive della libertà personale esiste più alcuna
preclusione, anche per i casi più gravi, al libero esercizio del po tere discrezionale del giudice che procede. È ormai inaccettabile,
perciò, che preclusioni gli vengano poste in ordine a semplici mi
sure interdittive, quando il codice processuale penale non le po
ne, affidando alla discrezione del giudice sia la sospensione dal
l'esercizio di un pubblico ufficio (art. 289), sia il divieto tempora neo di esercitare determinate attività professionali. E vi sono
sicuramente pubblici uffici, se non professioni, le cui funzioni
rivestono non minore delicatezza e pari importanza delle funzioni
notarili.
Sotto questo aspetto, pertanto, l'irrazionalità della disposizio ne che determina un trattamento gravemente differenziato a se
conda che il pubblico ufficio sia quello inerente alle funzioni del
notaio, o a quelle di altro pubblico ufficiale, appare evidente nel
contesto dell'art. 3 Cost, e ciò anche a prescindere dalla compa razione con altre professioni, come quella forense, dove pure esi
stono funzioni pubbliche, come quella di autenticazione di firme,
senza che per questo la legge imponga de iure il divieto tempora
neo di esercitare la professione in caso di condanna non definiti
va per falsità, oppure per altro dei delitti elencati nel n. 3 del
l'art. 5 della legge notarile.
Va, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale del n. 2 del
l'art. 139 della legge notarile in quanto fa obbligo al giudice di
inabilitare de iure, anziché sulla base delle valutazioni inerenti
ai suoi poteri discrezionali, il notaio che sia stato condannato
per alcuni dei reati indicati nell'art. 5, n. 3, con sentenza non
ancora passata in cosa giudicata. La facoltà discrezionale del giu
dice, peraltro, è già prevista nel secondo inciso dell'art. 140 della
legge, ed essa si estenderà conseguentemente, dopo la presente declaratoria d'illegittimità, a «qualunque reato», ivi compresi quelli di cui all'ora delegittimato n. 2 dell'art. 139.
Il secondo inciso dell'art. 140, pertanto, dovrà d'ora innanzi
essere letto cancellando dal testo l'aggettivo indefinito «altro»,
sicché la nuova versione risulterà la seguente: «Può essere inabili
tato all'esercizio delle sue funzioni... il notaro contro il quale sia stata pronunciata condanna non definitiva, per qualunque rea
to, a pena restrittiva della libertà personale non inferiore a tre
mesi».
Resta, tuttavia, da decidere la sorte del secondo inciso del n.
2 in parola, concernente l'ipotesi in cui «sia stata pronunciata la destituzione con sentenza o con provvedimento non ancora
definitivo». Anche di questa parte dovrà essere dichiarata l'illegittimità, per
le ragioni che vengono di seguito esposte. 3. - Sulla natura giuridica dell'istituto della «destituzione» del
notaio molto si è dibattuto. Anche se contestata in dottrina, so
stanziale prevalenza ha avuto in giurisprudenza la tesi della co
siddetta «natura mista», secondo cui essa ha natura di sanzione
disciplinare in relazione agli illeciti previsti dal 1° comma del
l'art. 142 della legge notarile, mentre avrebbe carattere di «effet
to penale» della condanna la destituzione prevista dall'ultimo com
ma dell'art. 142.
L'opinione relativa a questa seconda ipotesi si è evidentemente
formata con riguardo alla competenza, pacificamente attribuita
all'autorità giudiziaria in ragione del fatto che a questa spetta la pronunzia della condanna da cui scaturisce de iure la destitu
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PARTE PRIMA
zione. In realtà, invece, la nozione di «effetti penali della con
danna» si sostanzia in quelle conseguenze giuridiche sfavorevoli
che si ricollegano direttamente alla condanna stessa e che consi
stono nell'incapacità di conservare, esercitare o acquistare taluni
diritti soggettivi o facoltà giuridiche, oppure di conseguire bene
fici di diritto penale, o che sottopongono il condannato a parti colari aggravi. Si tratta di restrizioni giuridiche che trovano la
loro matrice nello stesso illecito criminoso accertato dalla senten
za, sicché è da escludere che vi possano essere ricompresi i prov vedimenti di carattere privatistico o amministrativo che, soltanto
per motivi di connessione, si affiancano al dispositivo penale, come la condanna ai danni o alle restituzioni quando sia stata
esercitata in sede penale l'azione civile riparatoria, o la inflizione di sanzioni disciplinari a determinate categorie (impiegati civili dello Stato, magistrati, avvocati, notai).
Certo si tratta di provvedimenti connessi che sono occasional
mente condizionati dalla contestualità della condanna penale, ma
essi rappresentano la reazione dell'ordinamento ad un illecito di
verso da quello penale, anche se accertato congiuntamente ad esso.
Tanto meno, poi, si può parlare di «pena accessoria», come
è stato ventilato da lontana ed isolata giurisprudenza ordinaria, sia per le stesse ragioni ora accennate a proposito degli altri «ef
fetti penali della condanna», sia perché, se qualche incertezza è
potuta sorgere a proposito di questi ultimi, è dipeso dal fatto che il codice non li definisce, ed occorre, perciò, enuclearne la
fisionomia contenutistica attraverso la numerosa e varia casistica
del codice e delle leggi speciali. Le pene accessorie, al contrario, sono espressamente e tassativamente elencate dal codice penale nell'art. 19, e non esiste disposizione transitoria o di coordina
mento che equipari la «destituzione del notaio» prevista dalla 1.
n. 89 del 1913 ad alcuna delle pene accessorie predette. Né potrebbe essere diversamente, ove si consideri che l'art. 135
della legge notarile ricomprende al n. 5 la «destituzione» fra le
sanzioni disciplinari previste per i notai (anche se impropriamen te, attesa la cultura dell'epoca, le definisce «pene»), sicché non
dovrebbe sussistere alcun dubio che tale sia effettivamente la sua
natura. La circostanza che la competenza ad infliggere la sanzio
ne sia attribuita al giudice quando l'illecito disciplinare sia con
nesso alla commissione di un illecito penale, non ha altra spiega zione se non nel fatto che il giudice penale accerta contestual
mente e l'uno e l'altro illecito, e non ha particolari valutazioni da esprimere sull'illecito disciplinare essendo la conseguente san
zione prevista de iure. Ma, in ogni altro caso, quando una valu
tazione di gravità, di opportunità, di circostanze, s'impone, la
sanzione è inflitta dal giudice disciplinare che, per i notai, è il
tribunale civile in camera di consiglio: cosi come spetta sempre al tribunale civile intervenire ogniqualvolta il giudice penale ab
bia concesso delle attenuanti, aprendo alla possibilità della sosti
tuzione della sanzione massima con quella molto meno grave del
la «sospensione» (art. 144 della legge notarile). Una volta cosi accertato che la «destituzione», prevista per i
notai che mancano al proprio dovere dall'art. 135 della legge, ha natura di sanzione disciplinare, sia quando viene applicata dal
giudice civile, sia quando venga inflitta de iure dal giudice penale in occasione della condanna per uno dei reati indicati nell'art.
5, n. 3, della legge, la soluzione del quesito proposto dal Tribu nale di Roma con la sollevata questione è consequenziale alla
premessa. A questo punto, infatti, non può esservi più alcuna difficoltà
a riconoscere che le ragioni che hanno indotto la corte a dichiara
re, nella invocata sentenza n. 971 del 1988, l'incompatibilità del
l'automatismo della sanzione della «destituzione» dell'impiegato civile di un ente pubblico (condannato per un delitto che la com
portava de iure) nei confronti dell'art. 3 Cost., valgono integral mente per l'analoga sanzione prevista per i notai. Nell'uno come
nell'altro caso, è indispensabile che il «principio di proporzione» che è alla base della razionalità che domina il «principio di egua glianza», regoli sempre l'adeguatezza della sanzione al caso concreto.
Ma è evidente che l'automatismo di un'unica massima sanzio
ne, prevista indifferentemente per l'infinita serie di situazioni che stanno nell'area della commissione di uno stesso pur grave reato, non può reggere il confronto con il principio di eguaglianza che, come esige lo stesso trattamento per identiche situazioni, postula un trattamento differenziato per situazioni diverse.
Dev'essere, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale del
l'art. 142, ultimo comma, della legge notarile, nella parte in cui
Il Foro Italiano — 1990.
sancisce che «è destituito di diritto» il notaio che ha riportato condanna per uno dei reati indicati nell'art. 5, n. 3.
4. - Ma, una volta eliminate dall'ultimo comma dell'alt. 142
della legge le parole «è destituito di diritto», anche l'ultimo com
ma, cosi' ridotto, viene ad allinearsi all'elencazione del comma
precedente, i cui alinea tutti iniziano con le parole «il notaro
che...». Ciò significa che anche l'ipotesi del notaio «che ha ripor tato una delle condanne indicate nell'art. 5, n. 3» viene ad assu
mere la sua corretta posizione sistematica fra le altre che compor tano la sanzione disciplinare discrezionale della destituzione.
E, in realtà, una volta cessata la ragione che giustificava l'attri
buzione al giudice penale, allorquando la destituzione, essendo
prescritta de iure, non implicava alcuna valutazione discreziona
le, la competenza all'inflizione della sanzione disciplinare deve
tornare alla sua sede naturale, che è appunto quella del tribunale civile quale giudice disciplinare. Come per tutte le altre cause di
destituzione previste dall'art. 142, il giudice disciplinare valuterà
l'entità dei fatti e delle circostanze nonché la personalità del con dannato e deciderà in sua discrezione.
Ne consegue che del 1° e del 3° comma dell'art. 158 della legge dovrà essere dichiarata l'illegittimità costituzionale, mentre per il 2° comma la declaratoria consegue innanzitutto in quanto pre vede l'obbligatorietà dell'inabilitazione, anziché la sua facoltati
vi, ma poi anche perché si riferisce alle «sentenze di condanna che producono di diritto la destituzione del notaio» nonché a
«quelle che pronunciano la destituzione», e perciò esclusivamente
all'art. 139, anziché semplicemente alle «sentenze di condanna
per reati che possono comportare la destituzione del notaio», con
seguentemente estendendo il riferimento anche all'art. 140, anzi
ché soltanto all'art. 139 della legge. 5. - Nel momento in cui la competenza per la sanzione discipli
nare della destituzione passa al giudice disciplinare anche per l'i
potesi in cui i fatti siano stati oggetto di processo penale, si pro
pone il problema della compatibilità dell'art. 146 della legge con
l'art. 3 Cost.
Com'è noto, infatti, il citato articolo stabilisce che l'azione di
sciplinare contro i notai, anche per le infrazioni punibili con la
destituzione, «si prescrive in quattro anni dal giorno della com
messa infrazione, ancorché vi siano stati atti di procedura». Poi
ché la disposizione si riferisce anche alla più tenue delle sanzioni,
quali l'avvertimento, sarebbe parso ragionevole attribuire l'espres sione «atti di procedura» esclusivamente al procedimento disci
plinare, sia quello innanzi al consiglio dell'ordine per le sanzioni
dell'avvertimento e della censura, sia quello camerale innanzi al
tribunale civile per le sanzioni dell'ammenda, della sospensione e della destituzione.
Ma la giurisprudenza della Corte di cassazione si è consolidata
nel senso che la disciplina dell'interruzione della prescrizione non
opera in nessun caso in materia di prescrizione dell'azione disci
plinare contro i notai, sicché il termine di quattro anni dal giorno della commessa infrazione è quello massimo, entro il quale, a
pena d'improcedibilità, deve intervenire la decisione irrevocabile. Il principio stabilito dall'art. 159 c.p. — hanno detto le sezioni unite — non è un principio generale dell'ordinamento, né può essere applicato analogicamente all'azione disciplinare contro i
notai, in quanto mancherebbero i presupposti del procedimento analogico, vale a dire: la similarità delle situazioni (art. 12 preleg gi) e la non eccezionalità della situazione cui la norma dovrebbe essere applicata (art. 14 preleggi). Mancherebbe, infatti, secondo la Cassazione, ogni similarità fra materia disciplinare e materia
penale, anche perché l'istituto della prescrizione è strettamente
collegato, nel codice penale, alla valutazione quantitativa dei rea ti in relazione alla misura delle pene: il che è escluso in materia
disciplinare. In altri termini — ad avviso della Corte di cassazio ne — la legge che prevede un termine di prescrizione per le infra zioni disciplinari è lex specialis, anche nell'ambito generale del
l'ordinamento, e non consente, perciò, l'applicazione analogica di altra legge speciale. Conseguentemente, o la legge concernente una determinata materia (ad esempio: professioni forensi o gior nalistiche) prevede essa stessa la recezione della disciplina ex art. 159 c.p., o altrimenti non sarebbe lecito arguirlo dal solo fatto che sia previsto un termine di prescrizione.
Siffatta interpretazione (sulla cui esattezza questa corte non ha
ragioni per pronunziarsi) non ha comportato gravi conseguenze in ordine alla sanzione disciplinare della destituzione finché la
competenza, in caso di procedimento penale, è rimasta affidata
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
al giudice penale. Deve dirsi, anzi, che probabilmente, proprio al fine di evitarne la prescrizione, si è andata consolidando la
tesi della «destituzione», come effetto penale della condanna, o
addirittura come «pena accessoria».
Ma, una volta che, con la presente sentenza, viene riconosciuta
la natura di sanzione disciplinare, cosi come emergente, del resto, ex art. 142 legge notarile, e restituita alla competenza del giudice
disciplinare per la necessità di procedere alle valutazioni discre
zionali del caso, attesa la dichiarata illegittimità di una applica zione de iure, la gravità delle conseguenze della riportata inter
pretazione si rende evidente.
Poiché, infatti, la Corte di cassazione esclude che la pregiudi zialità del processo penale rispetto a quello disciplinare — art.
28 vecchio codice, ora 653 c.p.p. — (e quindi la necessità di so
spensione di quest'ultimo) svolga alcuna influenza sul decorso della
prescrizione, la sanzione disciplinare della destituzione resterebbe
virtualmente inapplicabile nell'ordinamento notarile.
È appena il caso di rilevare, infatti, che, se già era arduo rite
nere possibile una sentenza penale definitiva entro il termine di
anni quattro, appare addiritura assurdo pensare che, entro lo stesso
termine, possano altresì svolgersi tre ulteriori gradi del procedi mento disciplinare.
Orbene, una siffatta situazione determinerebbe manifestamen
te un irrazionale trattamento di privilegio a favore dei notai che
commettono le infrazioni più gravi, e tali da dar luogo altresì
a processo penale. Accadrebbe, infatti, che, quando il fatto non
costituisca illecito penale, è possibile che le sanzioni disciplinari
(destituzione compresa) vengano inflitte entro il breve termine di
prescrizione previsto dalla legge, mentre quando il fatto è molto
più grave, al punto da meritare anche un processo ed eventual
mente una pena, resterebbe virtualmente escluso che una qualsia si sanzione disciplinare possa essere inflitta perché risulterebbe
impossibile l'osservanza di quel termine.
Deve essere ben chiaro, perciò, che in questo caso non si tratta
soltanto di una semplice situazione di fatto, ma di una situazione
tale che derivando dall'attuale pronunzia, comporta in realtà una
vanificazione definitiva della situazione giuridica concernente l'at
tività disciplinare nei confronti dei notai colpevoli delle violazioni
più gravi. La manifesta incompatibilità di tale situazione nei confronti
dell'art. 3 Cost, va, quindi, eliminata, applicando l'art. 27 1. 11
marzo 1953 n. 87.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 139, n. 2, 1. 16 febbraio 1913 n. 89 (ordi namento del notariato e degli archivi notarili) nella parte in cui
prevede che il giudice penale inabiliti de iure, anziché sulla base
di valutazioni discrezionali, il notaio che sia stato condannato,
per alcuno dei reati indicati nell'art. 5, n. 3, della legge stessa, con sentenza non ancora passata in cosa giudicata; dichiara l'ille
gittimità costituzionale dell'art. 142, ultimo comma, della legge notarile predetta, nella parte in cui prevede che «è destituito di
diritto» il notaio che ha riportato condanna per uno dei reati
indicati nell'art. 5, n. 3, della legge stessa, anziché riservare ogni
provvedimento al procedimento disciplinare camerale del tribu
nale civile, come per le altre cause enunciate nello stesso art. 142; dichiara l'illegittimità costituzionale dei primi tre commi dell'art.
158 della legge notarile predetta; dichiara, ex art. 27 1. 11 marzo
1953 n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 146 della stessa
legge nella parte in cui non prevede che l'azione disciplinare ri
manga sospesa fino al passaggio in giudicato della sentenza quando
per il fatto illecito sia promosso processo penale.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 29 dicembre 1989, n. 586
{Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 3 gennaio 1990, n. 1); Pres.
Saja, Est. Greco; Decio c. Soc. Aeroporti di Roma (Avv. Pro
speretti); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato D'Ami
co). Ord. Pret. Roma 1° giugno 1989 (G.U., la s.s., n. 35
del 1989).
Lavoro (rapporto) — Sanzioni disciplinari conservative — Impu
gnazione in sede giurisdizionale — Termine di decadenza —
Il Foro Italiano — 1990.
Omessa previsione — Questione infondata di costituzionalità
(Cost., art. 3, 41; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela
della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e
dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul colloca
mento, art. 7).
È infondata, in riferimento agli art. 3 e 41 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 71. 20 maggio 1970 n. 300, nella parte in cui non prevede alcun termine d'impugnazione in sede giurisdizionale delle sanzioni disciplinari conservative. (1)
Fatto. — 1. - Nel corso promosso da Decio Paolo, contro la
s.p.a. Aeroporti di Roma, sua datrice di lavoro, per ottenere l'an
nullamento della sanzione disciplinare (della sospensione per die
ci giorni dal servizio e dalla retribuzione) da quest'ultima inflitta
gli, l'adito Pretore di Roma, rilevando che l'atto introduttivo del
giudizio era stato notificato alla convenuta oltre due anni dopo la data del contestato provvedimento, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell'art. 7 1. 20 maggio 1970 n. 300, nel
la parte in cui non prevede alcun termine di decadenza per l'im
pugnazione in sede giurisdizionale delle sanzioni disciplinari. Ad avviso del giudice a quo tale carenza di previsione viola,
in primo luogo, l'art. 3 Cost., perché assoggetta a diverso tratta
mento il caso concernente siffatte sanzioni, impugnabili nel ter
mine quinquennale di prescrizione (essendo applicabile quello di
venti giorni, stabilito dalla stessa norma censurata, alla sola espe ribilità di azioni stragiudiziali), e quello del licenziamento, per
(1) L'ordinanza di rimessione Pret. Roma 1° giugno 1989 (G.U., 1"
s.s., 30 agosto 1989, n. 35) è inedita a quanto consta. Sui licenziamenti disciplinari e, segnatamente, sulla questione di legitti
mità costituzionale dell'art. 7 1. 300/70, vedi riferimenti di dottrina e
giurisprudenza in M. De Luca, Licenziamenti disciplinari nelle ((piccole imprese»: la Corte costituzionale estende la garanzia del contraddittorio, ma restano alcuni problemi (nota a Corte cost. 25 luglio 1989, n. 427), in Foro it., 1989, I, 2685). Adde, F. Greco, L'intervento della Corte
costituzionale in materia di lavoro, relazione al VI convegno nazionale del coordinamento giuridico della Federmeccanica (Firenze, 13-14 ottobre
1989), specie pag. 40 ss. del dattiloscritto; Scognamiglio, nota a Corte cost. 427/89, cit., in Mass. giur. lav., 1989, 319; Corte cost., ord. 30 novembre 1989, n. 517 (G.U., 1* s.s., n. 49 del 1989), che ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di costituzionalità dichiarata fondata con la sentenza n. 427/89, cit.
La sentenza in epigrafe muove dalla consolidata giurisprudenza di le
gittimità, che esclude l'applicabilità del termine (di venti giorni dall'«ap plicazione» della sanzione disciplinare), stabilito per promuovere la pro cedura arbitrale prevista contestualmente (art. 7, 6° comma, 1. 300/70), alla impugnazione in sede giurisdizionale delle sanzioni «conservative»
(al licenziamento — anche disciplinare — si applica, invece, il termine fissato dall'art. 6 1. 604/66): vedi Cass. 6622/87, Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 1113; 38/82, id., Rep. 1982, voce cit., n.
866; 1717/78, id., 1978, I, 2811, per la parte che qui non interessa, e, per esteso, in Giust. civ., 1978, I, 1474).
Nella giurisprudenza di merito, in senso conforme vedi Pret. Milano 20 giugno 1987, 3 ottobre 1986, Foro it., Rep. 1987, voce cit., nn. 1114, 1115; Pret. Milano 23 luglio 1985, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1022.
Contra, Trib. Monza 14 febbraio 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 699; Pret. Milano 23 settembre 1975, id., Rep. 1976, voce cit., n. 496.
La ratio decidendi della pronuncia di rigetto, in riferimento al princi pio costituzionale di uguaglianza, riposa essenzialmente sul rilievo — sot teso anche ai «precedenti» della Corte costituzionale in materia (sent, n. 427/89, cit.; n. 204/82, id., 1982, I, 2981, con osservazioni di Silve
stri) — che «il licenziamento per giusta causa e giustificato motivo è cosa assolutamente diversa dalle sanzioni disciplinari (conservative) sia
per la ragione che lo determina sia per gli effetti che si producono» (sul punto vedi l'interpretazione — per cosi dire «autentica» — dell'estensore della sent. n. 427/89 e di quella in epigrafe, di Greco, op. loc. cit.).
Tuttavia la Corte costituzionale sottolinea i «temperamenti» che l'o messa previsione di un termine, per impugnare in sede giurisdizionale le sanzioni disciplinari conservative, trova, fra l'altro, nel venir meno
dell'interesse a farne valere la nullità una volta che — con il decorso del biennio dalla loro «applicazione» — ne sia cessata Inefficacia» (art. 7, ultimo comma, 1. 300/70: v. Cass. n. 38/82, 1717/78, cit.).
Per quanto riguarda il parametro dell'art. 41 Cost., la sentenza in ras
segna — oltre ad evidenziare i «limiti» al potere organizzatorio del datore
di lavoro, «derivanti dalla finalità di attuazione di una razionale organiz zazione del lavoro e dalla tutela della libertà e dignità del lavoratore» — sottolinea che il paventato pregiudizio a quel potere, «per lo stato di incertezza sulla sorte della sanzione», può essere evitato dallo stesso
datore, promuovendo «con immediatezza» azione di accertamento della
legittimità della sanzione stessa.
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