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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 23 febbraio 1989, n. 56 (Gazzetta...

Date post: 31-Jan-2017
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sentenza 23 febbraio 1989, n. 56 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 1° marzo 1989, n. 9); Pres. Saja, Est. Caianiello; Pres. cons. ministri c. Regione Molise Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 2401/2402-2407/2408 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184130 . Accessed: 28/06/2014 17:44 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 17:44:53 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 23 febbraio 1989, n. 56 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 1° marzo 1989, n. 9);Pres. Saja, Est. Caianiello; Pres. cons. ministri c. Regione MoliseSource: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2401/2402-2407/2408Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184130 .

Accessed: 28/06/2014 17:44

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

secondo l'insegnamento della più autorevole dottrina, da sempre in linea con la relazione ministeriale al progetto preliminare del codice penale (Lavori preparatori, vol. II, p. 44), senza che que sta corte abbia motivo di discostarsene (v. già la sentenza n. 16

del 1973, Foro it., 1973, I, 965, in risposta a più ordinanze di rimessione, una delle quali relativa proprio ad un'ipotesi di isti

gazione a disertare). Del resto, a ricondurre la dedotta questione nei limiti indicati

non sono soltanto le esigenze sottostanti al requisito della rile

vanza, strettamente correlate all'addebito contestato nel procedi mento principale. Non minore peso riveste la considerazione

evidenziata dall'avvocatura dello Stato nell'atto di intervento del

presidente del consiglio dei ministri, là dove si sottolinea come, unicamente con riguardo alle fattispecie di istigazione a commet

tere un reato, esista la possibilità di commisurare la pena per

l'istigazione alla pena concernente il reato al quale si riferisce

l'istigazione. 3. — Nel merito la questione è fondata.

Peraltro, delle due argomentazioni prospettate nell'ordinanza

di rimessione non può essere condivisa quella, più generale, se

condo cui dagli art. 212 (istigazione a commettere reati militari) e 213 (istigazione di militari a disobbedire alle leggi) c.p. mil. pace nonché dall'art. 302 (istigazione a commettere alcuno dei

delitti preveduti dai capi primo e secondo) c.p., si evincerebbe

«che è principio comune del nostro ordinamento positivo penale e militare che l'istigazione a commettere un reato non consenta

una pena superiore alla metà della pena prevista per il reato isti

gato» tutte le volte che l'istigazione venga incriminata dal legisla tore di per se stessa, in deroga all'art. 115, 3° e 4° comma, c.p., dove l'istigazione non seguita dalla commissione del reato è con

figurata semplicemente come ipotesi di quasi reato, passibile sol

tanto di una misura di sicurezza.

Tale argomentazione non è confortata dall'analisi della norma

tiva vigente in materia di istigazione. In primo luogo, si rivela addirittura controproducente l'inseri

mento dell'art. 213 c.p. mil. pace fra le norme in cui troverebbe

estrinsecazione il preteso principio generale. Poiché tale disposi zione — nell'incriminare «il militare che commette alcuno dei

fatti d'istigazione o di apologia indicati nell'art. 266 c.p.» (con l'ovvia eccezione del fatto del «militare che istiga uno o più mili

tari in servizio alle armi a commettere un reato militare», fatti

specie oggetto di apposita, autonoma previsione ad opera dell'art.

212 c.p. mil. pace) — prende a base proprio le pene «stabilite»

dall'art. 266, resta a priori escluso che in essa si possa ritrovare

traccia di un qualsiasi riferimento alla pena prevista per il reato

istigato. Ma — anche a prescindere dall'art. 213 c.p. mil. pace, che,

a causa dell'inclusione nell'art. 212 dell'ipotesi di istigazione a

commettere reati militari, rimane comunque estraneo alla temati

ca in esame — non si può affermare che la commisurazione della

pena applicabile per l'istigatore alla pena prevista per il reato

istigato (nel senso che la prima dev'essere sempre applicata non

già, come asserisce il giudice a quo, «in misura non superiore», bensì «in misura inferiore alla metà della pena stabilita per il

delitto al quale si riferisce l'istigazione») assurga a principio ge nerale per i reati di istigazione. Vi fa ostacolo la constatazione

che, per quanto riguarda l'ordinameto penale comune, tale limi

te, pur previsto nel codice penale dall'art. 302, 2° comma, e, in forma diversa, dall'art. 322 (istigazione alla corruzione), è as

sente non solo nell'art. 266, ma anche nell'art. 303 (pubblica isti

gazione e apologia), nell'art. 327 (eccitamento al dispregio e

vilipendio delle istituzioni, delle leggi e degli atti dell'autorità) e nell'art. 414 (istigazione a disobbedire alle leggi), i cui rapporti con l'art. 414 non sono dissimili da quelli tra l'art. 213 e l'art.

212 c.p. mil. pace. Per quanto riguarda, poi, l'ordinamento mili

tare, il limite, pur presente nell'art. 212, non figura né nell'art.

78, n. 1 (istigazione all'alto tradimento) né nell'art. 98 (istigazio ne od offerta) del codice penale militare di pace.

4. - Resta da considerare l'altra argomentazione del giudice a quo; quella secondo cui, indipendentemente dall'esistenza del

principio ora confutato, l'art. 266 c.p. violerebbe l'art. 3 Cost,

perché la fattispecie in esame, pur rivestendo minore o, almeno,

pari gravità, non fruirebbe della commisurazione limitativa rico

nosciuta a chi deve rispondere di una delle fattispecie previste o dall'art. 302 c.p. o dall'art. 212 c.p. mil. pace.

Per quanto accomunate dall'ordinanza di rimessione, le situa

zioni sottostanti ai rapporti che intercorrono, da un lato, fra l'art.

Il Foro Italiano — 1989.

266 e l'art. 302 c.p., dall'altro, fra lo stesso art. 266 e l'art. 212

c.p. mil. pace vanno prese in esame separatamente, in ragione della non omogenea fisionomia delle due fattispecie (art. 302 e

212) assunte come tertia comparationis. 5. - Le differenze fra l'art. 266 e l'art. 302 c.p. risultano trop

po marcate perché la disparità di trattamento riscontrabile a pro posito del limite di pena posto dal 2° comma dell'art. 302, e non contemplato dall'art. 266, possa apparire priva di ogni razio

nale giustificazione. Soprattutto il fatto che tra i comportamenti

contemplati dall'art. 302 figuri pure l'istigazione a commettere il delitto previsto dall'art. 266 e, quindi, l'istigazione di militari

a disobbedire alle leggi, sta a dimostrare non solo come le due

norme operino su piani diversi, ma anche come la condotta nei

riguardi della quale il legislatore ha posto il limite di pena (cioè, l'istigazione) si presenti di minor gravità rispetto alla condotta

rappresentata dall'istigazione di militari a disobbedire alle leggi, essendo la prima più lontana della seconda dal perseguito obietti

vo di far disobbedire alle leggi uno o più militari.

6. - Del tutto corrispondenti sono, invece, le fattispecie (istiga zione a commettere reati militari ed istigazione di militari a com

mettere un reato militare) che vengono in esame quando il

confronto si instaura tra l'art. 212 c.p. mil. pace e la parte impu

gnata dell'art. 266 c.p. Appare, pertanto, priva di razionale giu stificazione la disparità di trattamento riscontrabile a proposito del limite di pena posto dal 2° comma dell'art. 212 c.p. mil. pace

(«la pena è sempre applicata in misura inferiore alle metà della

pena stabilita per il reato al quale si riferisce l'istigazione») e

non previsto dall'art. 266 c.p. Fatta eccezione per la diversa qua lifica del soggetto agente (militare nel primo caso, non militare

nel secondo), la ragion d'essere delle due norme a confronto so

stanzialmente coincide. Né rileva in contrario che l'art. 212

c.p. mil. pace, pur comminando «la stessa pena», dedichi il 1°

comma all'ipotesi del «militare, che istiga uno o più militari in

servizio alle armi a commettere un reato militare» ed il 2° com

ma all'ipotesi del militare che istiga «un militare in congedo illi

mitato, e l'istigazione si riferisce ad uno dei reati per i quali, secondo l'art. 7 di questo codice, ai militari in congedo illimitato

è applicabile la legge penale militare». Entrambe le ipotesi, se

realizzate da un non militare, rientrano, infatti, nella più generi ca previsione dell'art. 266 c.p.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 266 c.p., nella parte in cui non prevede che per l'istigazione di militari a commettere un reato militare

la pena sia «sempre applicata in misura inferiore alla metà della

pena stabilita per il reato al quale si riferisce l'istigazione».

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 23 febbraio 1989, n. 56

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 1° marzo 1989, n. 9); Pres.

Saja, Est. Caianiello; Pres. cons, ministri c. Regione Molise.

Regione — Molise — Personale dipendente — Reinquadramento — Finalità perequativa — Questione infondata di costituziona

lità (Cost., art. 3, 97).

È infondata, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost., la questione di legittimità costituzionale della I. reg. Molise 29 luglio 1988, riapprovata il 18 ottobre 1988, in quanto il reinquadramento a domanda del personale, sulla base dei titoli e dell'anzianità posseduta al 31 gennaio 1981, è dettata dall'esigenza di pere

quazione con personale assunto successivamente e che aveva

già potuto far valere quei titoli e quell'anzianità in forza delle rispettive leggi di inquadramento succedutesi nel tempo. (1)

(1-2) Nella «rincorsa» dei dipendenti degli enti locali agli inquadra menti superiori ed a repentini miglioramenti di carriera la corte abbando na per un momento (sent. 56/89) la severa linea censoria in altre occasioni

seguita, a motivo di una evidente situazione di sperequazione originata

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2403 PARTE PRIMA 2404

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 14 febbraio 1989, n. 38 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 22 febbraio 1989, n. 8); Pres. Saja, Est. Spagnoli; Pres. cons, ministri (Avv. dello Sta

to Laporta) c. Regione Lazio (Aw. Chiappetti).

Regione — Lazio — Personale dipendente — Lavoro straordina

rio — Deroghe agli schemi della legge-quadro sul pubblico im

piego — Incostituzionalità (Cost., art. 97, 117; 1. 29 marzo

1983 n. 93, legge-quadro sul pubblico impiego).

È illegittimo, per violazione dell'art. 117 Cost., l'art. 1 l. reg.

Lazio approvata il 28 marzo 1988 e riapprovata I'll maggio

1988, che regola le prestazioni di lavoro straordinario del per sonale del consiglio regionale e della giunta regionale per il fun

zionamento degli organi istituzionali, in violazione della

disciplina dettata dalla legge-quadro 29 marzo 1983 n. 93 e dal

la l. reg. Lazio 11 gennaio 1985 n. 6, omettendo l'intesa con

le organizzazioni sindacali e senza prevedere limiti alla deroga

per numero di ore o per dipendenti interessati. (2)

I

Diritto. — 1. - Con ricorso del governo è stata impugnata la

legge della regione Molise, che, a seguito di rilievi, era stata riap

provata dal consiglio regionale il 18 ottobre 1988. Tale legge pre vede che il personale, già inquadrato in ruolo a seguito di

precedenti leggi regionali può essere reinquadrato, anche in so

prannumero, in base a nuovi criteri, con un duplice passaggio di livello avente effetto retroattivo.

Si sostiene nel ricorso che la legge regionale violerebbe l'art.

97 Cost., perché genererebbe un sovvertimento delle posizioni di

ruolo determinatesi per effetto della 1. n. 1 del 1983, con conse

guente frustrazione del ragionevole affidamento di quel personale che non riceve beneficio alcuno dal nuovo inquadramento.

Nel ricorso si sostiene altresì la violazione dell'art. 3 Cost, per ché la legge impugnata darebbe luogo a disparità di trattamento

nell'ambito delle medesime categorie del personale (di provenien za statale o parastatale) transitato in altre regioni. Mentre difatti

si assume che i criteri di inquadramento previsti dalla 1. reg. n.

1 del 1983, erano conformi a quelli dell'intesa del 10 febbraio

1982, recepita da tutte le regioni, i nuovi criteri di reinquadra mento riguardano unicamente il personale transitato nella regio ne Molise, il solo perciò ad avvantaggiarsene.

2.1. - La questione dedotta in riferimento all'art. 97 Cost, non

è fondata.

Come si afferma nella memoria difensiva della regione resi

stente, la legge impugnata ha la finalità di perequare le posizioni

giuridiche di un considerevole numero di dipendenti che era stato

a suo tempo inquadrato sulla base della sola anzianità di servizio

prestato presso la regione, là dove altri erano stati inquadrati, in virtù di leggi successive, secondo formule e criteri diversi che

avevano loro consentito di raggiungere, pur possedendo titoli ed

anzianità pari o addirittura inferiori, qualifiche e carriere rimaste

precluse ai primi. Tale assunto non trova smentita nel ricorso proposto dal go

verno che, come si è rilevato, deduce la violazione dell'art. 97

Cost., sostenendo che la regione Molise aveva già disciplinato con la 1. n. 1 del 1983 l'inquadramento in ruolo del personale

al repentino susseguirsi di disposizioni di favore per l'inquadramento dei

dipendenti nuovi assunti, a discapito di quelli già in ruolo. Nella sent.

38/89, invece, la corte ritorna nel solco della sua giurisprudenza, attenta a limare le normative regionali troppo permissive nell'attribuire ai dipen denti benefici privi di riscontri obiettivi e reali nelle mansioni esercitate ovvero non rispettose dei criteri generali e procedurali dettati dalla legge quadro sul pubblico impiego.

Per ogni riferimento in tema di inquadramento e carriera dei dipenden ti pubblici anche in relazione ai precetti costituzionali, v. la nota di ri chiami a Corte cost. 3 marzo 1988, n. 233, Foro it., 1989, I, 1052; sui limiti della potestà legislativa regionale nella disciplina del personale se condo i principi generali dettati dalla 1. 93/83, v. la nota di richiami a Corte cost. 24 gennaio 1989, n. 21, ed altre, ibid., 1370.

Il Foro Italiano — 1989.

comandato con esclusivo riferimento alla posizione giuridica rive

stita dagli interessati alla data dell'11 gennaio 1981 e che quindi il reinquadramento a domanda a distanza di cinque anni, che

consentirebbe lo scavalcamento di alcuni rispetto ad altri, vanifi

cherebbe il ragionevole affidamento del personale alla progressio ne in carriera. Un affidamento consolidatosi nel tempo e scaturente

dall'iniziale inquadramento che a norma dell'art. 5 1. reg. n. 1

del 1983 avrebbe dovuto garantire stabilità alle reciproche posizioni. La tesi sostenuta dal ricorrente non può essere condivisa per

ché, come è stato già affermato da questa corte (sentenze n. 99

del 1986, Foro it., 1987, I, 9; n. 349 del 1985, id., Rep. 1986, voce Legge, n. 31; n. 277 e n. 278 del 1983, id., 1984, I, 2094

e n. 10 del 1980, id., 1980, I, 597), non esiste in assoluto un

principio costituzionale di intangibilità, da parte del legislatore, di posizioni acquisite, le quali possono quindi essere sacrificate

in base a considerazioni che risultino in armonia con altri princi

pi costituzionali.

Né, per quel che riguarda il presente giudizio, tale principio

dell'intangibilità potrebbe trovare un referente normativo nell'in

vocato art. 97 Cost, perché, come si dirà meglio in prosieguo, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, il legislatore sembra

proprio aver voluto realizzare i principi enunciati nel suddetto

parametro costituzionale.

Per quel che riguarda, poi, la censura attinente alla violazione

del principio di buon andamento, va ricordato che questa corte

ha sempre affermato che tale principio non può essere invocato

se non quando si assuma l'arbitrarietà o la manifesta irragione volezza della disciplina impugnata (v., per tutte, sentenze n. 269

del 1988, id., 1988, I, 1797 e n. 277 del 1983). Rimane perciò affidata al prudente apprezzamento del legisla

tore la possibilità di modificare l'assetto di certi rapporti definiti

da precedenti leggi, quando ragionevolmente ritenga, e ciò risulti

in concreto, che certe posizioni siano state acquisite sulla base

di leggi che, ad un più approfondito esame, o a seguito dell'espe rienza derivante dalla loro applicazione, non rispondano a criteri

di equità. Muovendo da queste considerazioni, risulta che la legge regio

nale impugnata consente a tutto il personale transitato nella re

gione Molise di ottenere, a domanda, un nuovo inquadramento

per far valere titoli ed anzianità (maturati anche anteriormente

al servizio prestato presso la regione) che, in base alle rispettive

leggi di inquadramento succedutesi nel tempo, solo alcuni aveva

no potuto far valere.

2.2. - Né potrebbe a contrario essere invocato, a sostegno della

illegittimità costituzionale della legge, quanto risulta da una pre cedente pronuncia (sentenza n. 331 del 1988) che ha ritenuto ra

gionevole e congrua una legge regionale, la quale, nel disporre il reinquadramento, aveva tentato di evitare uno sconvolgimento delle posizioni «attualmente» ricoperte dai dipendenti ed aveva

predisposto, in sede di primitiva attuazione, criteri di salvaguar dia diretti a facilitare il mantenimento effettivo delle responsabi lità di un servizio a favore di chi ne era già stato investito. Nel

caso ora in esame — a parte la considerazione che la violazione

dell'art. 97 non è prospettata sotto tale preciso profilo, e cioè

per la mancanza della previsione di un analogo meccanismo di

conservazione delle posizioni acquisite — devesi in ogni caso os

servare che, se questa corte non ha ritenuto incongruo e arbitra

rio l'aver previsto tale meccanismo di salvaguardia, ciò non può

portare a ritenere l'illegittimità costituzionale della legge regiona le impugnata che, nel disporre il reinquadramento, non si preoc

cupa di salvare le posizioni acquisite. Se difatti il legislatore regionale — nel suo discrezionale apprezzamento e nell'intento

di realizzare il fine, ritenuto evidentemente prevalente, di porre rimedio con una nuova legge di inquadramento a situazione di

disparità pregresse — non ha ritenuto di operare quella salva

guardia, ciò non appare in contrasto con il parametro costituzio

nale invocato, sempre se posto in relazione con l'art. 3 Cost.,

perché ciò risponde al disegno complessivo della legge impugna

ta, ed è perciò coerente con l'intento perequativo perseguito. 2.3. - Si è dunque in presenza di una legge di carattere corretti

vo che, secondo quanto è possibile ricavare dai criteri da essa

dettati, tende a porre tutto il personale su di uno stesso piano e ad eliminare, perciò, quelle sperequazioni verificatesi in dipen denza del fatto che, come si è già osservato, il personale coman

dato o comunque transitato nella regione in epoche diverse era

stato inquadrato con normative e criteri fra loro differenti che

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

avevano favorito alcuni rispetto ad altri. Ininfluente è poi l'argo mento del ricorrente, secondo cui, modificandosi un assetto dei ruoli ormai consolidato, ne risentirebbe il buon andamento degli uffici per le inevitabili frustrazioni e malcontento cui andrebbe incontro il personale che potrebbe ricevere svantaggi dalla legge impugnata. In proposito è sufficiente richiamare quanto si è già accennato, e cioè che l'intento riequilibratore, perseguito dalla

legge in parola, muove proprio dall'esigenza di consentire al per sonale, rimasto in precedenza escluso, di far valere certi titoli e certe anzianità che il restante personale aveva invece potuto far valere. Si tende quindi a parificare tutti secondo un canone di giustizia distributiva ed a rimuovere, perciò, frustrazioni e mal contento di altro personale. Non appare perciò irragionevole che il legislatore regionale, nella prudente valutazione di contrapposti interessi, abbia preferito rimuovere il malcontento derivante da una disparità di trattamento ed assicurare la parità, anche a costo di incidere su posizioni già acquisite da alcuni, perché, mentre quello della parità è un principio costituzionalmente garantito, non lo è in assoluto, come si è già precisato, quello della intangi bilità dell'assetto delle carriere dei pubblici impiegati, specie quando l'incisione su posizioni acquisite risponda all'esigenza di assicura re l'eguaglianza a parità di situazioni.

2.4. - Giova comunque rammentare, in ordine ai profili tratta

ti, che questa corte, nell'occuparsi di problemi di inquadramento di personale regionale, ha dichiarato (sentenza n. 21 del 1989, id., 1989, I, 1370) l'illegittimità costituzionale di una legge regio nale, riguardante solo alcune categorie di dipendenti, che dispo neva un reinquadramento — non subordinato ad alcun esame delle mansioni concretamente svolte in precedenza — sulla base della semplice presentazione di una domanda.

La sentenza richiamata ha ritenuto che la legge predetta non fosse rispettosa dell'esigenza affermata in altre pronunce (senten ze n. 331 del 1988 e n. 17 del 1987, id., 1987, I, 1003) secondo cui il reinquadramento o il passaggio a livelli superiori debba fon

darsi su una valutazione congrua e razionale dei dipendenti, di retta cioè a far ragionevolmente ritenere che essi siano in possesso di requisiti necessari per il detto inquadramento.

Nella specie si è invece in presenza di un reinquadramento cui

tutto il personale può accedere a domanda, nel quale i titoli di

ciascuno vengono valutati con criteri rigidamente predeterminati nella legge stessa, appare perciò rispettata l'esigenza della valuta

zione congrua e razionale diretta a far ragionevolmente ritenere

che gli aventi diritti siano in possesso dei requisiti necessari per pervenire alle qualifiche consentite dal nuovo reinquadramento.

3. - Anche la questione prospettata in riferimento all'art. 3

Cost, non è fondata.

In primo luogo va precisato che l'intesa del 10 febbraio 1982, richiamata nel ricorso del governo, è intervenuta prima della legge

quadro sul pubblico impiego e non risulta a questa conforme nel

la procedura e negli oggetti. Ad essa perciò, come è già stato affermato da questa corte

(sentenza n. 217 del 1987, id., Rep. 1987, voce Regione, nn.

135-137), non può attribuirsi quella valenza che vorrebbe confe

rirle il ricorrente, potendosi solo considerare «un mero fatto poli tico ancorché rilevante come tale, di fronte al quale il potere della

regione di disciplinare l'organizzazione dei propri uffici e l'ordi

namento delle carriere ex art. 117 Cost, resta del tutto integro, libero cioè di seguire le proprie autonome valutazioni e di disco

starsi pertanto dal contenuto dell'accordo stesso».

La censura con cui si assume la violazione dell'art. 3 Cost.,

per il diverso trattamento operato nei confronti del personale del

la regione Molise rispetto al personale delle altre regioni, muove

in sostanza dal presupposto di un contrasto della legge regionale con un accordo che, a detta del ricorrente, avrebbe dovuto assi

curare uniformità di trattamento del personale di tutte le regioni, anche sotto gli aspetti disciplinati da tale legge. Essendo però errato il presupposto, perché l'accordo invocato non ha i requisi ti idonei a far scaturire per le regioni il vincolo giuridico asserito dal ricorrente, la censura non è fondata.

In ogni caso l'esigenza di adeguamento degli accordi alle realtà

regionali (sentenza n. 219 del 1984, id., 1985, I, 67), e quindi l'esigenza di eliminare pregresse disparità di trattamento riscon

trate nell'assetto del personale di una determinata regione, con

sente a questa di porre in essere interventi legislativi di riequilibrio anche se, in ipotesi, si fosse in presenza di accordi di natura

cogente.

Il Foro Italiano — 1989.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale della legge della regione Molise approvata dal consiglio regionale il 28 luglio 1988 e riap provata il 18 ottobre 1988 (reinquadramento del personale già inquadrato alla regione con leggi regionali nn. 11/74, 12/74, 12/80, 10/81, 26/81, 1/83, 3/85), sollevate, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.

II

Diritto. — 1. - L'art. 1 1. reg. Lazio approvata il 28 marzo 1988 e riapprovata I'll maggio 1988 — impugnato dalla presi denza del consiglio dei ministri — prevede che, al fine di assicu rare la funzionalità del consiglio regionale e di alcuni settori della

giunta regionale, l'ufficio di presidenza e la giunta, in caso di

esigenze particolari, sono autorizzati a disporre che un numero limitato di dipendenti indispensabile a garantire lo svolgimento delle sedute del consiglio e degli altri organismi consiliari ed isti tuzionali e gli adempimenti conseguenti, nonché gli autisti, cen

tralinisti, ausiliari addetti al servizio di custodia ed attesa ed altro

personale addetto a servizi tecnici, può effettuare prestazioni di lavoro straordinario oltre i limiti fissati dalle leggi generali. Ag

giunge la norma, al 2° comma, che nei provvedimenti di autoriz

zazione debbono essere indicati i motivi per i quali le prestazioni sono rese, l'entità del personale impiegato, il periodo di tempo

per il quale è richiesto il lavoro straordinario, nonché il numero di ore riconosciuto indispensabile per corrispondere alle straordi

narie ed indilazionabili esigenze di lavoro. La presidenza del consiglio ritiene la norma cosi riportata lesi

va dell'art. 117 Cost, in quanto, discostandosi dall'accordo na

zionale per i dipendenti regionali — recepito integralmente dalla

legge della regione Lazio n. 6 del 1985 — violerebbe i «principi fondamentali» posti dalla legge-quadro sul pubblico impiego n.

93 del 1983. Nel ricorso è pure menzionato l'art. 97 Cost., anche se non è poi ripreso nelle conclusioni.

2. - La regione Lazio ha eccepito l'inammissibilità dell'impu

gnativa, per pretesa difformità tra motivi del rinvio e i motivi di ricorso, e ciò perché nel telegramma di rinvio non sarebbe

stata contestata né la violazione dell'art. 97 Cost., né quella dei

«principi fondamentali» vigenti in materia.

L'eccezione va rigettata. Infatti, per ciò che riguarda l'art. 97

Cost., effettivamente non menzionano neppure per implicito nel

l'atto di rinvio, deve osservarsi che il ricorso, pur richiamandolo

incidentalmente in motivazione, non formula alcuna specifica cen

sura nei suoi confronti. Quanto alla seconda ragione di asserita

inammissibilità, va detto che, poiché le disposizioni della legge quadro sul pubblico impiego costituiscono «principi fondamenta li» della materia ai sensi dell'art. 117 Cost. (art. 1), il rilievo

sinteticamente formulato nell'atto di rinvio circa la difformità su

punti specifici della normativa impugnata rispetto ad un contrat

to collettivo concluso sulla base di tale legge, non poteva che

tradursi in una censura di mancato rispetto di quei «principi»

e, in particolare, del principio della «disciplina legislativa» in ba se ad accordi», desumibile — secondo quanto risulta anche dalla

giurisprudenza di questa corte (v. spec. sent. 219/84, Foro it.,

1985, I, 67; 217/87, id., Rep. 1987, voce Regione, nn. 135-137) — dagli art. 3 e 10 della legge medesima, principio il quale impo ne una corrispondenza di massima del contenuto della legge re

gionale alla regolamentazione pattizia.

Pertanto, poiché nell'atto di rinvio non mancava, sia pure in

forma implicita e concisa, l'enunciazione di elementi atti a prefi

gurare quella denunzia di violazione dell'art. 117 Cost, poi svolta

ampiamente nel ricorso, deve concludersi, anche per tale profilo, in applicazione dei principi ripetutamente affermati da questa corte

(v. per es. sent. 726/88, id., 1989, I, 1669), per l'ammissibilità del ricorso medesimo.

3. - Passando alla valutazione del merito dell'impugnativa, va

innanzi tutto messa in rilievo l'inesattezza dell'assunto della re

gione secondo il quale questa corte con l'ordinanza n. 15 del 1988

avrebbe deciso nel senso della manifesta infondatezza una que stione praticamente identica a quella oggetto dell'attuale impu

gnazione, attesa l'asserita sostanziale corrispondenza del contenuto

della legge precedentemente impugnata a quello della legge at

tualmente all'esame della corte. Infatti, va detto in contrario che — a parte il fatto che diversi sono sia i parametri e i profili

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Page 5: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 23 febbraio 1989, n. 56 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 1° marzo 1989, n. 9); Pres. Saja, Est. Caianiello; Pres.

2407 PARTE PRIMA 2408

rispettivamente dedotti sia i testi delle due leggi, dettando la pri

ma, a differenza della seconda, una disciplina transitoria «in at

tesa della copertura dei posti previsti in organico per il personale addetto ai servizi tecnici» (art. 1,1° comma) — le due questioni

presentano una profonda e decisiva differenza, concernendo, quella

precedente, il contrasto della legge regionale con un accordo na

zionale stipulato prima della legge-quadro sul pubblico impiego,

quella presente invece il mancato rispetto, da parte del legislatore

regionale, di un accordo concluso — e poi regolarmente recepito dalla regione con la 1. n. 6 del 1985 — in applicazione dei princi

pi e delle procedure posti dalla legge-quadro medesima.

Ciò rende palese l'impossibilità di una meccanica trasposizione della ratio decidendi dell'ordinanza n. 15 del 1988 al caso attuale, attesa soprattutto la diversità del vincolo gravante nelle due ipo tesi sul legislatore regionale: mentre gli accordi precedenti alla

ripetuta legge quadro non costituiscono che un mero fatto politi co che lascia integro il potere di quest'ultimo, viceversa quelli adottati secondo detta legge determinano a suo carico un «vinco

lo direttivo di massima», consistente nell'obbligatorio rispetto della

disciplina pattizia, salvi, ove occorra, i necessari adeguamenti al

le peculiarità dell'ordinamento degli uffici regionali entro il limi te delle disponibilità finanziarie all'uopo stanziate nel bilancio

regionale (v. spec. sent. 219 e 290/84, id., 1985, I, 658; 72/85,

ibid., 1606; 217/87; cfr. pure art. 10 1. n. 93 del 1983, come

mod. dalla 1. n. 426 del 1985). 4. - Ciò premesso, deve tuttavia rilevarsi che, cosi caratteriz

zandosi il vincolo della legge regionale nei confronti del nuovo

tipo di accordo sindacale, non ogni ipotesi di difformità di conte

nuto tra le rispettive discipline si traduce di per sé nella violazio

ne del principio fondamentale della legislazione in base ad accordi

e, dunque, dell'art. 117 Cost., ma soltanto quelle in cui si tratti

di modifiche o integrazioni che esulano dall'ambito del necessa

rio adeguamento del contenuto dell'accordo ad esigenze peculiari della regione interessata.

Nel caso di specie, non è contestata neppure dalla regione resi

stente la sussistenza di un contrasto della legge impugnata con

le norme pattizie in ordine agli specifici punti segnalati nel ricorso.

Invero il contratto collettivo nazionale per il personale regiona le relativo al triennio 1983-1985 — sul punto recepito in toto dal

la più volte ricordata legge del Lazio n. 6 del 1985 — nel

disciplinare il lavoro straordinario reso necessario da esigenze ec

cezionali relative all'attività di diretta assistenza agli organi istitu

zionali, prevedeva che potesse essere superato il limite massimo

individuale stabilito in via generale, fissando però, al contempo, un tetto al numero dei dipendenti a tal fine utilizzabili, imponen do comunque il rispetto del monte ore complessivo definito an

ch'esso in via generale, e richiedendo il previo confronto con le

organizzazioni sindacali. Una previsione analoga è dettata anche

dal successivo contratto collettivo nazionale per il triennio

1985-1987, relativo ai dipendenti (anche) regionali e recepito con

d.p.r. 13 maggio 1987 n. 268 (peraltro annullato, quest'ultimo, nella parte in cui ha esteso la propria efficacia al personale delle

regioni e degli enti da esse dipendenti, perché contrario alla pro cedura di recepimento sancita nell'art. 10 della legge-quadro, v.

sent. 1003/88). Le disposizioni in esame dunque stabilivano una disciplina del

lavoro straordinario, connesso all'attività degli organi istituzio

nali regionali, diversa e più flessibile rispetto a quella vigente in

generale per il personale degli altri uffici ma, ad un tempo, impo nevano limiti sostanziali e procedurali alla discrezionalità del re

lativo potere autorizzatorio riconosciuto a tali organi, con ciò

contemperando le particolari esigenze di questi con i principi del

la contrattazione e del rigore ed efficienza amministrativi, posti dalla Costituzione (risp. art. 39 e 97) e ribaditi dalla legge-quadro.

La legge impugnata invece detta, per la medesima ipotesi, una

regolamentazione priva non solo della previsione del previo con

fronto con gli organismi sindacali del personale, ma anche di qual siasi predeterminazione di limiti in ordine al numero dei dipendenti utilizzabili e delle ore di lavoro straordinario necessarie, non po tendo certo ritenersi a questi equivalente la mera previsione della

relativa spesa, dettata al fine del soddisfacimento dell'obbligo di

copertura. Cosi facendo, il legislatore regionale ha esorbitato dai confini

di quel potere di «adeguamento» della normativa collettiva che

gli è riconosciuto, il quale, mentre richiede che siano rispettati i criteri di massima che informano tale normativa, deve essere

altresì finalizzato alla soddisfazione di necessità particolari della

Il Foro Italiano — 1989.

regione. Simile adeguamento dunque, nel caso di specie, avrebbe

comportato, da un lato, che, sia pure con riferimento ad indici

diversi e superiori, una prefissione di limiti fosse comunque effet tuata; dall'altro, che un qualche meccanismo di partecipazione delle associazioni sindacali nello stabilire i criteri della nuova re

golamentazione non fosse del tutto pretermesso. Per altro verso non è dato rinvenire alcun elemento idoneo

a far riternere la sussistenza nella regione Lazio di una situazione

particolare e diversa, che richieda una disciplina radicalmente dif

ferenziata, nei sensi sopra illustrati, rispetto a quella dettata per le altre regioni. Non esiste, in tal senso, alcun cenno nel testo

della legge impugnata, né soccorrono i lavori preparatori della

medesima, i quali non fanno alcuna menzione, neppure in occa

sione del riesame seguito dal rinvio governativo, delle ragioni giu stificative delle deroghe apportate alla precedente disciplina

dell'argomento culminata nella ricordata 1. reg. n. 6 del 1985.

Né rileva in contrario che la legge ora impugnata abbia parzial mente riprodotto la disciplina risultante dalla di poco anteriore

1. n. 10 del 1988 (già approvata nel 1980 e cosi promulgata a

seguito dell'ordinanza n. 15 del 1988 di questa corte): ciò non

può certo costituire idonea ragione giustificativa — sotto il profi lo che qui interessa — della legge attuale, che, in un diverso qua dro normativo, si è limitata a porre come definitiva una disciplina

originariamente transitoria e motivata dalla necessità di sopperire alla (in allora) mancata copertura dei posti in organico.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 1. reg. Lazio approvata il 28 marzo 1988

e riapprovata I'll maggio 1988 (prestazioni di lavoro straordina

rio del personale del consiglio regionale e della giunta regionale

per il funzionamento degli organi istituzionali).

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 15 novembre 1988, n. 1032

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 23 novembre 1988, n. 47); Pres. Saja, Est. Baldassarre; Maranto ed altri; interv. Regio ne Sicilia (Aw. Turrisi). Ord. Corte conti, sez■ giur. reg. sic., 2 luglio 1981 (G.U. n. 150 del 1982).

Sicilia — Pubblico dipendente — Giudizio di responsabilità per danni — Limitazione delia responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave — Questioni infondate di costituzionalità (Cost., art. 3, 5, 28, 97, 103; r.d. leg. 15 maggio 1946 n. 455, approva zione dello statuto della regione siciliana, art. 1, 14; 1. reg. sic. 23 marzo 1971 n. 7, ordinamento degli uffici e del persona le della amministrazione regionale, art. 52).

Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art.

52, 1° comma, l. reg. sic. 23 marzo 1971 n. 7, che limita la

responsabilità del dipendente per danni causati all'amministra

zione ai soli casi di dolo o colpa grave, in riferimento agli art.

3 e 97 Cost, ed all'art. 14 statuto della regione Sicilia (1)

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 3 novembre 1988, n. 1007

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 9 novembre 1988, n. 45); Pres. Saja, Est. Baldassarre; Comune di Carentini e Comune

di Aragona. Ord. Corte conti, sez. giur. reg. sic., 19 marzo 1987 e 17 aprile 1986 (G.U., la s.s., n. 43 e n. 1 del 1987).

(1-3) L'ordinanza 2 luglio 1981 è riassunta in Foro it., 1982, III, 456, con nota di richiami; l'ordinanza 17 aprile 1986, n. 324 è massimata id., Rep. 1987, voce Sicilia, n. 21.

Sull'attività di controllo della Corte dei conti e sull'art. 103 Cost., v. i richiami in nota a Corte cost. 9 marzo 1989, n. 104, ed altre, id., 1989, I, 1346, nonché la sentenza della Corte costituzionale discussa nell'udien

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