sentenza 24 gennaio 1989, n. 24 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 1° febbraio 1989, n. 5);Pres. Saja, Est. Gallo; imp. Bufano e altri; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Trib. mil. Padova12 gennaio 1988 (G.U., 1 a s.s., n. 20 del 1988)Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 955/956-959/960Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183884 .
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PARTE PRIMA
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, 1° comma, lett. A, d.p.r. 31 luglio 1980
n. 618 [assistenza sanitaria ai cittadini italiani all'estero (art. 37,
1° comma, lett. a)'e ti), 1. n. 833 del 1978)], nella parte in cui
esclude l'erogazione dell'assistenza sanitaria di cui all'art. 1 ai
cittadini italiani che svolgono attività lavorativa all'estero, qualo
ra godano di prestazioni fornite dal datore di lavoro a livelli non
palesemente inferiori a quelli stabiliti ai sensi dell'art. 3 1. 23 di
cembre 1978 n. 833.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 gennaio 1989, n. 24
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 1° febbraio 1989, n. 5);
Pres. Saja, Est. Gallo; imp. Bufano e altri; interv. Pres. cons,
ministri. Ord. Trib. mil. Padova 12 gennaio 1988 (G.U., la
s.s., n. 20 del 1988).
Insubordinazione, rivolta, ammutinamento e disobbedienza —
Adunanza arbitraria di militari — Questione infondata di co
stituzionalità (Cost., art. 2, 3, 17, 21, 52; cod. pen. mil. pace,
art. 184)
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 184,
2° comma, c.p. mil. pace, che deve ritenersi riguardare solo
adunanze ostili o sediziose, in riferimento agli art. 2, 3, 17,
21 e 52, ultima parte, Cost. (1)
(1) Nella sentenza n. 126 del 29 aprile 1985 (Foro it., 1985, I, 1593, con nota di R. Messina, Reclami collettivi e disciplina militare), la Corte
costituzionale aveva sottolineato «la rilevanza centrale . . . che la libertà
di manifestazione del pensiero, anche e soprattutto in forma collettiva, assume ai fini dell'attuazione del principio democratico», ed aveva affer
mato che la valutazione coordinata di tale rilevanza e del precetto ex
art. 52 Cost, «induce ad escludere che una libertà costituente cardine
di democrazia nell'ordinamento generale possa subire una limitazione»
ampia e grave «in relazione ad esigenze proprie dell'ordinamento militare».
Sulla scorta di un cosi autorevole ed esplicito precedente, il Tribunale
militare di Padova ha ritenuto di poter riproporre una questione già di
chiarata infondata (Corte cost. 11 febbraio 1982, n. 31, id., 1982, I, 927, con nota di Fiandaca, Delitto di adunanza arbitraria di militari e diritto
di riunione) sotto il profilo che i diritti di riunione e di manifestazione
del pensiero, pur avendo «portata ed efficacia fondamentali», implicano
tuttavia, al pari di ogni diritto di libertà, «la imposizione di limiti e con
dizioni per la necessità di evitare che, attraverso il loro esercizio, vengano sacrificati altri beni di rilievo costituzionale».
In effetti, l'aspettativa sottesa all'ordinanza di rimessione appariva rea
lizzabile, perché la questione decisa nel 1982 era stata sollevata con riferi mento ai precetti costituzionali riguardanti sia il diritto di manifestazione
del pensiero (art. 21) sia quello di riunione (art. 17). Poteva sembrare
presumibile, pertanto, che la corte proseguisse sul cammino intrapreso attribuendo «rilevanza centrale» anche al precetto ex art. 17 Cost., e ne
gando la possibilità di limitarlo in modo ampio e grave in rapporto ad
esigenze proprie dell'ordinamento militare. Cosi non è stato. Nella decisione che si riporta, la corte ha tenuto
a chiarire che «l'art. 21 Cost., di cui si è occupata la sentenza n. 126
del 1985 per dichiarare l'illegittimità di altra fattispecie, non può venire
in esame nella presente questione . . . Non è, infatti, ravvisabile la neces
saria strumentalità del fatto previsto nella disposizione impugnata . . .
rispetto a quello contemplato nell'art. 180, 1° comma, c.p. mil. pace,
giacché istanze e reclami collettivi ben possono essere realizzati attraverso
numerose altre modalità, senza che si debbano all'uopo imprescindibil mente indire riunioni arbitrarie». E, a fugare ogni dubbio, la corte ha
aggiunto che mentre la semplice presentazione di un reclamo collettivo
non può compromettere le finalità dell'istituzione né attentare all'osser
vanza di particolari doveri, nella riunione arbitraria i militari possono venire distolti da eventuali servizi e comunque, «con la loro collettiva
presenza, essi vanno ad occupare ed impegnare luoghi militari destinati,
per loro natura, alle finalità proprie dell'istituzione, determinando anche
situazioni di disordine e di confusione». La possibile obiezione che simili argomenti fanno leva su mere even
tualità (i militari che si riuniscono possono, infatti, essere del tutto liberi
da ogni servizio, occupare luoghi «neutri» quanto a finalità difensive —
es., la sala convegno — e non determinare situazioni di disordine o con
fusione) viene prevenuta con un richiamo alla pericolosità in concreto.
Non basta che abbia luogo una qualsiasi riunione, per pacifica e innocua
che sia; occorre trovarsi di fronte ad «adunanze ostili e cariche di perico
li Foro Italiano — 1989.
Diritto. — 1. - Effettivamente l'art. 21 Cost., di cui si è oc
cupata la sentenza n. 126 del 1985 (Foro it., 1985, I, 1593) per
dichiarare l'illegittimità di altra fattispecie, non può venire in esame
nella presente questione, almeno sotto l'aspetto invocato dall'or
dinanza. Non è, infatti, ravvisabile la necessaria strumentalità del
fatto previsto nella disposizione impugnata — come sostiene l'or
dinanza — rispetto a quello contemplato nell'art. 180, 1° com
ma, c.p.mil.pace, giacché istanze e reclami collettivi ben possono
essere realizzati attraverso numerose altre modalità, senza che si
debbano all'uopo imprescindibilmente indire riunioni arbi
trarie.
La questione s'incentra, perciò, sulla compatibilità del divieto
penale di arbitrarie riunioni di militari in luoghi militari con l'e sercizio del diritto costituzionale di riunione previsto dall'art. 17
Cost. Un diritto questo effettivamente strumentale rispetto al per
seguimento di determinati fini, ma che, proprio per ciò, resta
condizionato dalla liceità o meno di essi, sicché non può esservi
dubbio che l'ordinamento, ma anche la stessa autorità militare,
debbano poterli valutare per apprezzare la liceità della riunione.
10 sia per la disciplina che per le finalità istituzionali costituzionalmente
tutelate . . . Non può esservi . . . alcun dubbio che, nel pensiero del legis
latore, la giustificazione della repressione penale delle «arbitrarie adunan
ze militari» previste dal 2° comma, dell'art. 184 c.p. mil. pace risiede
proprio nel loro carattere ostile e sedizioso che, mentre rappresenta di
per se stesso una lesione della disciplina, realizza nel contempo una situa
zione di concreto pericolo nei confronti dell'efficienza dell'istituzione in
funzione dei fini costituzionali». Conclusione: la norma in argomento non deve essere applicata in tutte le ipotesi in cui la liceità penale dei
fini si riverberi sulla liceità stessa dell'adunanza; fermo restando, natural
mente, l'illecito disciplinare della mancanza di autorizzazione ex art. 30, 2° comma, del regolamento di disciplina, e tenuto conto del fatto che, nella relazione allo schema di legge delega per il nuovo c.p. mil. pace, si chiede al legislatore delegato di rendere esplicito ed evidente, mediante
espresso riferimento alla «ribellione ed ostilità verso le autorità, a scopo di sovversione», ciò che, nell'attuale frammentarietà degli articoli da 180
a 185, è ancora implicito. Sembra una pronuncia sostanzialmente equilibrata, perché evita di as
sumere posizioni drastiche cercando di mediare esigenze diverse con gli strumenti positivi di cui attualmente si dispone. Non appare problematico 11 fatto che l'art. 184, 2° comma, c.p. mil. pace non prescrive testualmen
te l'insorgere di un pericolo: una fattispecie, infatti, può qualificarsi di
pericolo concreto, oltre che quando il pericolo venga positivamente ri
chiesto (es., art. 427 c.p.), anche quando la ratio dell'incriminazione sia
chiaramente orientata a proteggere un interesse da un determinato tipo di pericolo (su ciò amplius, R. Messina, Introduzione allo studio dei de
litti contro la personalità interna dello Stato, Milano, 1981, 166 ss.): cosa
che appunto avviene nel caso di specie, dato che la norma in esame mira
con sicurezza ad evitare pericoli per la disciplina. Residuano, tuttavia, notevoli margini di perplessità.
In primo luogo, il ricorso a concetti di senso alquanto vago, quali «osti
lità» e «sediziosità» (malgrado quest'ultimo termine sia stato riconosciu
to dotato di sufficiente determinatezza: Corte cost. 7 marzo 1984, n. 57, Foro it., 1984, I, 1461, con nota di R. Messina, Il reato militare di mani
festazioni e grida sediziose: una figura «determinata»?) non aiuta certo
l'interprete a districarsi nella ragnatela dei casi concreti, rende assai pro blematica una tendenziale e auspicabile uniformità della giurisprudenza e fa correre il rischio di consentire l'esplicazione di quei termini in sensi
disomogenei. In secondo luogo, letta nel senso voluto dalla corte la norma ex art.
184, 2° comma, essa si riduce a un mero doppione dell'art. 183 (manife stazioni e grida sediziose: «Il militare, che pubblicamente compie manife
stazioni sediziose . . .»): l'adunanza ostile o sediziosa non sarebbe altro
che una realizzazione collettiva della figura appena richiamata, che peral tro è punita con pena assai più severa (esattamente del doppio) dell'altra
e non è, come questa, perseguibile a richiesta. Solo fumose alchimie giu diziarie — come tali da guardare con estremo sospetto — potrebbero differenziare in concreto, e qualificare giuridicamente riportandoli all'u
no o all'altro dei parametri normativi, episodi assolutamente simili. Col
rischio, anche qui, di vistose disparità di trattamento.
In terzo luogo, è auspicabile che la tendenza «attendista» manifestata
dalla corte in questa decisione venga seguita, per l'avvenire, con la dovu
ta ponderatezza: vero che la gestazione del nuovo codice militare sembra
procedere senza troppi inconvenienti; ma è anche vero, per un verso, che il pericolo di intoppi improvvisi è sempre in agguato, e per altro
verso che dal futuro corpus legislativo non ci si deve aspettare la perfe zione. Le pronunzie della corte, oltre a sanare discrasie esistenti nella
normativa in vigore, servono e devono servire anche ad indicare la via
a chi ha il compito di creare una normativa nuova. [R. Messina]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Non deve essere, infatti, trascurato che la questione si riferisce
a riunioni «in luoghi militari» i quali, per loro natura, sono in
nanzitutto destinati al perseguimento delle finalità proprie delle
forze armate, nello spirito di cui all'art. 52, 1° comma, Cost.
Sembra evidente allora che il legislatore non possa indiscrimina
tamente consentire ai militari di riunirsi a loro libito in quei luo
ghi, senza pregiudicare quella disciplina, la quale pure rappresen
ta, nell'ordinamento militare, un bene giuridico degno di tutela.
Proprio su di essa, infatti, si fonda l'efficienza delle forze armate
e quindi, in definitiva, il perseguimento di quei fini che la Costi tuzione solennemente tutela.
È ben vero che «l'ordinamento delle forze armate si informa
allo spirito democratico della repubblica» (art. 52, ultimo com
ma, Cost): ma «informarsi allo spirito» non vuol dire la ricezione
pura e semplice di qualsiasi disposizione della Costituzione, senza
alcun riguardo alla natura dell'ordinamento in parola ed alle fi
nalità cui esso è ispirato, giusta la norma espressa dalla prima
parte dello stesso articolo.
Proprio di ciò si è dato carico il legislatore ordinario emanan
do le «norme di principio sulla disciplina militare» (1. 11 luglio 1978 n. 382), che all'art. 3 riconoscono bensì' ai militari i diritti
della Costituzione spettanti a tutti i cittadini, precisando, però, che «per garantire l'assolvimento dei compiti propri delle forze
armate, la legge impone ai militari limitazioni nell'esercizio di
alcuni di tali diritti, nonché l'osservanza di particolari doveri nel
l'ambito dei principi costituzionali». Disposizione questa che è
stata accolta con favore anche dalla dottrina, come quella che
ragionevolmente contempera i diritti costituzionali del cittadino
militare con le esigenze dei particolari doveri propri di un'istitu
zione intesa a perseguire finalità parimenti tutelate dalla Costitu
zione e concernenti l'interesse dell'intera collettività nazionale.
E puntualmente, per quanto si riferisce alla specie in esame, il regolamento di disciplina, contemplando il diritto di riunione, rimanda alla citata legge di principio sulla disciplina militare che,
all'art. 7, vieta le riunioni non di servizio nell'ambito dei luoghi militari: mentre poi è ancora il 2° comma del detto art. 30 del
regolamento a soggiungere che «nei casi in cui le riunioni sono
consentite, queste devono essere autorizzate dall'autorità compe
tente».
2. - Tuttavia, se tutto questo indica eloquentemente che il siste
ma tende ad imporre limiti proprio all'esercizio del diritto costi
tuzionale di riunione, nello spirito di cui al citato art. 3 della
legge di principio sulla disciplina militare, ciò tuttavia non risolve
il problema sollevato dall'ordinanza del Tribunale di Padova che,
non senza ragione, adombra l'eccessività di una tutela addirittura
penale nei riguardi di violazioni che, come quella di specie, pos
sono nella realtà presentarsi pacifiche ed innocue.
La questione, però, non può essere superata dal semplice rife
rimento all'art. 17 Cost., né dal mero richiamo alla sentenza n.
126 del 1985 di questa corte. Quest'ultima, infatti, ha potuto cor
rettamente ravvisare pregiudizio all'art. 21 Cost, nell'incrimina
zione del solo fatto della presentazione di una domanda o di un
esposto da parte di dieci o più militari perché la libertà di mani
festazione del pensiero in uno scritto diretto a presentare richie
ste, o a rappresentare ai superiori situazioni concernenti il servi
zio, non può in alcun modo compromettere le finalità dell'istitu
zione né attentare all'osservanza di particolari doveri. Ma altret
tanto non può dirsi della riunione arbitraria di militari in luoghi
militari, sia perché, da una parte, essi possono venire distolti da
eventuali servizi, sia perché, comunque, con la loro collettiva pre
senza, essi vanno ad occupare ed impegnare luoghi militari desti
nati, per loro natura, alle finalità proprie dell'istituzione, deter
minando anche situazioni di disordine e di confusione.
Ora, è ben vero che, se la riunione è pacifica e disarmata, e
se è diretta a trattare senza animosità di cose attinenti al servizio
o alla disciplina nell'intento di un inserimento partecipativo alla
vita della caserma, lungi dall'essere pericolosa, può rappresentare — come la sentenza di questa corte da ultimo citata ha detto
testualmente — mezzo di promozione e di «sviluppo in senso de
mocratico dell'ordinamento delle forze armate». Va, però, rileva
to che la fattispecie di «adunanza di militari», prevista nel 2°
comma, dell'art. 184 c.p. mil. pace, non contempla situazioni
cosi pacifiche ed innocue. Che, anzi, inserita com'è nel capo con
cernente la rivolta, l'ammutinamento e la sedizione militare, ed
in consecuzione alle ipotesi di sedizione previste dai due articoli
Il Foro Italiano — 1989.
che la precedono, non può che riferirsi ad adunanze ostili e cari
che di pericolo sia per la disciplina che per le finalità istituzionali
costituzionalmente tutelate: tant'è vero che lo «schema di dise
gno di legge delega» per il nuovo codice penale militare di pace
suggerisce al legislatore delegato di «ristrutturare le ipotesi di se
dizione militare come comportamenti collettivi (e anche come com
portamenti individuali idonei a promuovere un comportamento
collettivo) caratterizzati da ribellione ed ostilità verso le autorità
militari o verso le istituzioni» (art. 10, lett. d). E la relazione
precisa che «la materia della sedizione militare è da rivedere inte
gralmente, considerato che essa è attualmente collocata frammen
tariamente in diverse disposizioni (articoli da 180 a 185 c.p. mil.
pace), non tutte tra loro nettamente distinte, sulle quali la giuri
sprudenza manifesta un notevole travaglio interpretativo. In sede
di riforma, nella descrizione delle fattispecie legali, debbono esse
re espressi chiaramente i caratteri della sedizione, che costituisce
essenzialmente un reato collettivo, caratterizzato da ribellione ed
ostilità verso le autorità militari, con scopo di sovversione».
3. - Emerge chiaramente allora che, secondo la relazione allo
schema di legge delega, si chiede al legislatore delegato di rendere
esplicito ed evidente, mediante espresso riferimento alla «ribellio
ne ed ostilità verso le autorità, a scopo di sovversione», ciò che, nell'attuale frammentarietà degli articoli che vanno da 180 a 185, è tuttavia implicito. Del resto, anche la dottrina specialistica tra
dizionale considerava le ipotesi criminose contemplate negli art.
184 e 185 c.p. mil. pace come «forme complementari di sedizione
militare», ed i lavori preparatori al progetto preliminare del codi
ce attualmente vigente (n. 126) le definivano «pericolose manife
stazioni collettive».
Non può esservi, quindi, alcun dubbio che, nel pensiero del
legislatore, la giustificazione della repressione penale delle «arbi
trarie adunanze militari» previste dal 2° comma dell'art. 184 c.p. mil. pace risiede proprio nel loro carattere ostile e sedizioso che, mentre rappresenta di per se stesso una lesione della disciplina, realizza al contempo una situazione di concreto pericolo nei con
fronti dell'efficienza dell'istituzione in funzione dei fini costitu
zionali. Essendo, perciò, certo, da quanto fin qui s'è detto, che il legis
latore ha inteso reprimere con la sanzione penale adunanze arbi
trarie di militari a carattere sedizioso o rivoltoso, non è possibile
accogliere la richiesta di cancellare la fattispecie dal codice penale militare senza lascare impunite manifestazioni collettive cariche
di offensività per beni giuridici che la Costituzione ha consacrato.
Resta, però, il problema sollevato dall'ordinanza, giacché, nel
l'espressione letterale del dato testuale vengono ricomprese anche
ipotesi che di quell'offensività sono prive, in quanto si presenta no pacifiche e dirette a fini innocui che possono persino possede re un contenuto positivo. Ebbene, in tali casi, da vagliarsi volta
per volta dal giudice di merito nel contesto delle concrete circo
stanze in cui il fatto si svolge, la soluzione è da ricercare sul
piano interpretativo. Per il quale valgono sia l'evoluzione genera le dell'esperienza giuridica circa taluni principi fondamentali del
giure penale (esclusione di presunzioni di pericolosità, accerta
mento dell'offensività concreta di condotte tipiche, ecc.), sia la
stessa giurisprudenza di questa corte che ha legittimato talune
situazioni che il codice penale militare incriminava.
Cosi, se risulta acclarato che la finalità dell'adunanza non ave
va carattere ostile, ma soltanto quello di discutere iniziative co
muni dirette a rappresentare ai superiori la necessità di migliorare il rancio, appare evidente che, proprio nella prospettiva di cui
alla citata sentenza n. 126 del 1985 di questa corte, la liceità pe nale dei fini si riverbera — come in tutte le riunioni di cui all'art.
17 Cost. — nella liceità stessa dell'adunanza. Fermo restando ov
viamente l'illecito disciplinare della mancanza di autorizzazione
ai sensi dell'art. 30, 2° comma, del regolamento di disciplina.
Del resto, non senza ragione, per l'art. 260, 2° comma, c.p.
mil. pace la pena comminata è tale da far dipendere la punibilità
dalla richiesta del comandante del corpo: questi può cosi esercita
re un primo controllo sulla natura dell'adunanza, sulla quale pe
raltro ovviamente l'autorità giudiziaria militare è chiamata ad espri
mere il giudizio decisivo. Quando poi il nuovo codice penale mili tare avrà reso espliciti, in una rinnovata formulazione della nor
ma, i connotati del delitto di «adunanza arbitraria» (giusta quan
to prescrive la citata relazione allo schema di legge), gli attuali
dubbi interpretativi non potranno più sorgere.
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PARTE PRIMA
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 184, 2° comma, c.p. mil. pace, sollevata dal
Tribunale militare di Padova con ordinanza 12 gennaio 1988 in
riferimento agli art. 2, 3, 17, 21 e 52, ultimo comma, Cost.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 gennaio 1989, n. 22
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 1° febbraio 1989, n. 5);
Pres. Saja, Est. Mengoni; Sciuba c. Mancini; interv. Pres. cons,
ministri. Ord. Trib. Roma 9 febbraio 1988 (G.U., la s.s., n.
23 del 1988).
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Contratti in corso all'entrata in vigore della
legge — Detenzione dell'immobile dopo la cessazione del con
tratto — Obbligazioni del conduttore — Risarcimento del dan
no — Esclusione — Questione infondata di costituzionalità
(Cost., art. 3, 42; cod. civ., art. 1591; d.l. 25 settembre 1987
n. 393, norme in materia di locazione di immobili ad uso non
abitativo, di alloggi di edilizia agevolata e di prestiti emessi
dalle Ferrovie dello Stato, nonché interventi per il settore di
stributivo, art. 2; 1. 25 novembre 1987 n. 478, conversione in
legge, con modificazioni, del d.l. 25 settembre 1987 n. 393,
art. 1).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2
d.l. 25 settembre 1987 n. 393, convertito nella l. 25 novembre
1987 n. 478, che esonera il conduttore di immobile non abitati
vo dall'obbligo di risarcire i danni sofferti dal locatore a causa
della ritardata restituzione dell'immobile, per il periodo di pro
trazione del godimento del bene intercorso tra la data di sca
denza del regime transitorio ex legge 392/78 e la data fissata
giudizialmente per il rilascio ovvero quella di stipulazione del
nuovo contratto di locazione, in riferimento agli art. 3 e 42
Cost. (1)
(1-2) I. - Le ordinanze del Tribunale di Roma e del Pretore di Betto
la, che avevano sollevato la questione di costituzionalità, rispettivamente, dell'art. 2 d.l. 393/87 (1. 478/87) e dell'art. 2, 1° comma, d.l. 832/86
(1. 15/87), sono riportate in Foro it., 1988, I, 3101, con nota di richiami, e id., 1987, I, 1314, con nota di A. Cappabianca. Trib. Roma ha solleva
to in termini identici la questione di costituzionalità dell'art. 2 d.l. 393/87 con altre ordinanze, pubblicate in G.U., la s.s., 39/88, 48/88 e 2/89. Sulla base di argomentazioni analoghe a quelle del tribunale romano, Pret. Napoli, ord. 14 novembre 1988, in G.U., la s.s., 3/89, ha invece rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità degli art. 69, 10° comma, 1. 392/78 (nel testo risultante dopo la 1. 15/87) e 2, 4° com
ma, d.l. 832/86 (convertito nella citata 1. 15/87), in riferimento agli art. 3 e 42 Cost.
Le ordinanze di cui innanzi sono accomunate dalla circostanza che tut
te ravvisano nelle disposizioni di legge impugnate altrettante proroghe coatte delle locazioni non abitative (in particolare, di quelle già soggette al regime transitorio della 1. 392/78), dissimulate in modo tale da eludere il divieto derivante al riguardo da Corte cost. 23 aprile 1986, n. 108, Foro it., 1986, I, 1145, con nota di D. Piombo (nonché in Giust. civ., 1986, I, 1215, con nota di N. Izzo; Giur. it., 1986,1, 1, 961, con osserva
zioni di V. Cuffaro e nota di A. De Cupis; Arch, locazioni, 1986, 23, con nota di C. Sforza Fogliani; Corriere giur., 1986, 649, con nota di Lombardi).
II. - Delle questioni sollevate dai giudici a quibus, la Corte costituzio nale ha esaminato nel merito — con la sent. 22/89 — soltanto quella relativa all'art. 2 d.l. 393/87, adottando per l'altra una pronunzia di re
stituzione degli atti al giudice a quo, a seguito dello ius superveniens. La ragione di ciò va individuata nel fatto che, mentre la norma censurata dal Tribunale di Roma riguarda un aspetto (quello della misura dell'in dennità di occupazione dell'immobile locato dopo la cessazione del rap
porto, ex art. 1591 c.c.) non più disciplinato, almeno fino al recentissimo d.l. 551/88, dai provvedimenti legislativi successivamente intervenuti in
materia, il differimento della esecuzione degli sfratti riguardanti immobili ad uso diverso dall'abitazione, dopo il d.l. 832/86, ha formato oggetto di nuove disposizioni (art. 1 d.l. 393/87, convertito in 1. 478/87; art.
Il Foro Italiano — 1989.
II
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 21 luglio 1988, n. 910
0Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 3 agosto 1988, n. 31); Pres.
Saja, Est. Mengoni; Gioia (Aw. Barile, Sforza Fogliani);
interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato D'Amato). Ord.
Pret. Bettola 30 gennaio 1987 (G.U., la s.s., n. 15 del 1987).
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Contratti in corso all'entrata in vigore della
legge — Esecuzione dei provvedimenti di rilascio — Differi
mento — Questione di costituzionalità — «Ius superveniens» — Restituzione degli atti al giudice «a quo» (Cost., art. 3, 42;
d.l. 9 dicembre 1986 n. 832, misure urgenti in materia di con
tratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello
di abitazione, art. 2; 1. 6 febbraio 1987 n. 15, conversione in
legge, con modificazioni, del d.l. 9 dicembre 1986 n. 832, art. 1).
A seguito dello ius superveniens del d.l. 25 settembre 1987 n.
393, convertito nella l. 25 novembre 1987 n. 478, e, da ultimo,
del d.l. 8 febbraio 1988 n. 26, come convertito nella l. 8 aprile
1988 n. 108, in tema di proroga dell'esecuzione degli sfratti,
vanno restituiti al giudice a quo, perché valuti se permanga
la rilevanza della questione proposta, gli atti relativi alla que
stione di legittimità costituzionale dell'art. 2, 1° comma, d.l.
9 dicembre 1986 n. 832, convertito nella I. 6 febbraio 1987
n. 15, che differisce di nove mesi (dodici per le locazioni alber
ghiere) la data dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio di
immobili adibiti ad uso non abitativo fissata ai sensi dell'art.
56 I. 392/78, in riferimento agli art. 3 e 42 Cost. (2)
1 bis d.l. 26/88, come convertito nella 1. 108/88; da ultimo, art. 7 d.l.
551/88, convertito in 1. 61/89, oggetto della nota che segue. Mette conto osservare che questi ultimi provvedimenti legislativi, stabi
lendo ulteriori temporanee sospensioni dell'esecuzione degli sfratti in que stione (prima, fino al 31 ottobre 1987; poi, fino al 31 dicembre 1988;
attualmente, fino al 31 dicembre 1989), anziché superare, hanno tenden
zialmente aggravato il contrasto con i principi fondamentali dell'ordina
mento prospettato dal Pretore di Bettola.
La automatica restituzione degli atti al giudice a quo per il riesame
della rilevanza della questione sollevata a seguito dello ius superveniens
costituisce, peraltro, una prassi consolidata della Corte costituzionale, che
ha trovato frequente applicazione — in particolare — proprio con riferi
mento alle disposizioni dilatorie dell'esecuzione degli sfratti susseguitesi
posteriormente alla 1. 392/78, c.d. dell'equo canone; con l'effetto pratico di vanificare i tentativi di sottoporre al controllo di costituzionalità l'ope rato del legislatore. Per una disamina dei precedenti al riguardo, v. Corte
cost., ord. 19/80 e 225/82, Foro it., 1980, I, 557, e id., 1983, I, 2360
(relative a questioni di costituzionalità dell'art. 56 1. 392/78); ord. 312/86, 314/86 e 569/87, id., Rep. 1987, voce Locazione, n. 751, ibid., n. 750, e G.U., la s.s., 55/87 (riguardanti questioni di costituzionalità degli art. 1 e 2 d.l. 21/79); ord. 424/87, G.U., la s.s., 52/87 (riguardante la que stione di costituzionalità dell'art. 12 d.l. 9/82, sollevata da Pret. S. Donà
di Piave 23 ottobre 1982, Foro it., 1984, I, 322); ord. 304/84, 140/87, e 864/88, rispettivamente id., 1985, I, 638, Riv. giur. edilizia, 1987, I,
582, e G.U., la s.s., 30/88 (concernenti questioni di costituzionalità circa
i limiti di applicazione degli art. 13 ss. d.l. 9/82, convertito in 1. 94/82, in tema di proroga giudiziale della data di esecuzione degli sfratti relativi
ad immobili abitativi). In ordine alla prassi della automatica restituzione degli atti al giudice
rimettente in caso di ius superveniens, ed ai problemi che ne conseguono,
v., da ultimo, A. Pizzorusso, L'attività della Corte costituzionale nella
sessione 1987-1988, in Foro it., 1988, V, 389, spec. 406, il quale ritiene
possibile trovare una soluzione che consenta alla Corte costituzionale «di
controllare la legge sopravvenuta che sostanzialmente proroga quella de
nunciata come incostituzionale». V. anche A. Pizzorusso, La restituzio ne degli atti al giudice «a quo», Giuffrè, Milano, 1965, 43 ss., 78 ss.;
Id., Garanzie costituzionali, in Commentario della Costituzione a cura
di G. Branca, Bologna-Roma, 1981, 288 ss., 295 ss. (ove si rileva che
la restituzione degli atti per il riesame della rilevanza, nel caso di ius
superveniens, senza valutare l'efficacia nel tempo della nuova norma, non
è coerente con l'opinione — seguita dalla corte — di ritenere sindacabile
la valutazione del giudice a quo sulla rilevanza della questione sollevata); G. Zagrebelsky, Processo costituzionale, voce dell' Enciclopedia del di
ritto, Milano, 1987, XXXVI, 521, spec. 605 (il quale osserva che la prassi di cui si discorre è incompatibile con l'idea della «istantaneità del rappor to genetico» tra il giudizio principale e quello incidentale di costituziona
lità, ovvero della «indifferenza», di questo secondo, alle vicende inerenti
al primo).
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