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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 24 maggio 1991, n. 214 (Gazzetta...

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sentenza 24 maggio 1991, n. 214 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 29 maggio 1991, n. 21); Pres. Corasaniti, Est. Granata; Dal Fabbro c. Soc. Ascomall. Ord. Pret. Udine 18 giugno 1990 (G.U., 1 a s.s., n. 10 del 1991) Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1991), pp. 2663/2664-2665/2666 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23185655 . Accessed: 28/06/2014 13:07 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.167 on Sat, 28 Jun 2014 13:07:47 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 24 maggio 1991, n. 214 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 29 maggio 1991, n. 21);Pres. Corasaniti, Est. Granata; Dal Fabbro c. Soc. Ascomall. Ord. Pret. Udine 18 giugno 1990(G.U., 1 a s.s., n. 10 del 1991)Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 2663/2664-2665/2666Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185655 .

Accessed: 28/06/2014 13:07

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2663 PARTE PRIMA 2664

ne», cosicché il tribunale superiore delle acque pubbliche, per statuire sulla competenza ad emanarlo, deve fare applicazione dell'art. 91, n. 6, d.p.r. n. 616 del 1977, nella parte impugnata.

3. - Passando all'esame del merito, deve precisarsi che —

secondo quanto già sopra accennato — il giudice a quo, inter

pretando l'art. 91, n. 6, d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616 nel senso

che esso ha riservato alla competenza dello Stato le funzioni

amministrative concernenti l'utilizzazione di risorse idriche per la produzione di energia elettrica, ancorché riguardanti «piccole derivazioni» di acque pubbliche, ne ha dedotto, per tale parte, il contrasto con l'art. 76 Cost. Ciò sotto il profilo della viola

zione del principio stabilito nell'art. 1, lett. c), della legge di

delegazione 22 luglio 1975 n. 382, che non consentiva al legisla tore delegato di escludere dalla delega alle regioni funzioni am

ministrative ad esse già delegate in precedenza, quali erano quelle relative alle «piccole derivazioni» di acque pubbliche.

4. - La questione è fondata.

Tranne alcune tassative eccezioni (relative alle acque minerali

e termali e agli acquedotti d'interesse regionale), la disciplina e il governo delle acque non furono devoluti, dagli art. 117

e 118 Cost., alla competenza legislativa e amministrativa regio

nale, in base ad una precisa scelta del costituente, correlata al

l'opportunità di riservare alla valutazione dello Stato l'utilizza

zione delle acque in ogni parte del territorio nazionale, tenuto

conto dell'interesse unitario proprio alla materia.

In base a tale scelta l'art. 8, 2° comma, lett. a), d.p.r. 15

gennaio 1972 n. 8 aveva tenuto ferma la competenza degli orga ni statali in ordine «alla tutela, disciplina e utilizzazione delle

acque pubbliche». È da rilevare, poi, che l'art. 12 dello stesso d.p.r. n. 8 del

1972 trasferi alle regioni i provveditorati regionali alle opere

pubbliche (con esclusione di alcune particolari sezioni e di alcu

ni servizi). Poiché ai detti provveditorati era attribuita la com

petenza a provvedere in ordine alle concessioni relative alle pic cole derivazioni di acque pubbliche, l'art. 13, lett. d), dello stes

so d.p.r. n. 8 del 1972 delegò alle regioni le attribuzioni esercitate

da tali uffici relative alle piccole derivazioni.

La delega ora detta era fondata sull'art. 17, lett. b), 1. 16

maggio 1970 n. 281, secondo il quale il trasferimento delle fun

zioni statali alle regioni doveva realizzarsi per settori organici di materie ed essere effettuato «mediante il trasferimento degli uffici periferici dello Stato». Qualora gli uffici stessi fossero

titolari anche di competenze statali residue, queste dovevano

essere delegate alle regioni ai sensi dell'art. 118, 2° comma, Cost.

Nel momento in cui il legislatore procedeva (con la delega contenuta nella 1. 22 luglio 1975 n. 382) al riassetto delle attri

buzioni regionali, la competenza in ordine alle grandi derivazio

ni di acque pubbliche era, quindi, demandata al ministro per i lavori pubblici, di concerto col ministro delle finanze (art. 14, 1° comma, d.p.r. n. 1534 del 1955). La competenza a provve dere alle piccole derivazioni era, invece, delegata alle regioni, nei limiti in cui essa era precedentemente attribuita ai provvedi torati regionali alle opere pubbliche: ne erano soltanto eccettua

te, ai sensi dell'art. 14, 2° comma, d.p.r. n. 1534 del 1955, le ipotesi delle domande concorrenti e delle opposizioni, in rela

zione alle quali era competente il ministro dei lavori pubblici, salvo il caso previsto dall'art. 6 d.p.r. n. 1090 del 1968.

5. - La delega, prevista dall'art. 1 1. n. 382 del 1975, aveva

per contenuto e finalità il completamento della devoluzione alle

regioni delle funzioni amministrative per le materie indicate nel

l'art. 117 Cost.; non era consentito, invece, al legislatore dele

gato di ritrasferire allo Stato funzioni già attribuite alle regioni. In coerenza con tale indirizzo, la lett. c) dell'art. 1 1. n. 382

del 1975 prevedeva l'ampliamento della delega di funzioni am

ministrative, ex art. 118 Cost., al fine di «rendere possibile l'e

sercizio organico, da parte delle regioni delle funzioni trasferite

o già delegate». Non era consentito, quindi, di sottrarre alle

regioni competenze ad esse già delegate. In questo quadro normativo si è inserito il d.p.r. 24 luglio

1977 n. 616, emanato in attuazione della 1. n. 382 del 1975; l'art. 90 di tale decreto ha mantenuto ferma la titolarità dello

Stato inerente alle funzioni circa la tutela, la disciplina e l'uti

lizzazione delle risorse idriche, delegandone l'esercizio alle re

gioni. Sono eccettuate da tale delega le funzioni espressamente riservate allo Stato dall'art. 91: tra queste, il n. 6 di questa norma comprende le funzioni amministrative concernenti «l'uti

li Foro Italiano — 1991.

lizzazione di risorse idriche per la produzione di energia elettrica».

In tal modo il legislatore delegato è incorso nella violazione

del principio direttivo stabilito dall'art. 1, lett. c), 1. n. 382 del

1975, in quanto ha sottratto alle regioni le funzioni amministra

tive già ad esse delegate, comprensive anche di quelle inerenti

alle derivazioni per la produzione di energia elettrica.

Ne consegue che l'art. 91, n. 6, d.p.r. n. 616 del 1977 va

dichiarato costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art.

76 Cost., nella parte in cui non esclude dalla riserva allo Stato

le funzioni amministrative concernenti le «piccole derivazioni»

di acque pubbliche. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti

mità costituzionale dell'art. 91, n. 6, d.p.r. 24 luglio 1977 n.

616 (attuazione della delega di cui all'art. 1 1. 22 luglio 1975

n. 382), nella parte in cui non esclude dalla riserva allo Stato

le funzioni amministrative concernenti le «piccole derivazioni»

di acque pubbliche.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 maggio 1991, n. 214

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 29 maggio 1991, n. 21); Pres. Corasaniti, Est. Granata; Dal Fabbro c. Soc. Asco

mall. Orci. Pret. Udine 18 giugno 1990 (G.U., la s.s., n. 10

del 1991).

Procedimento davanti al pretore e al conciliatore — Contenuto

della domanda — Indicazione della scrittura privata offerta

in comunicazione — Mancata previsione — Incostituzionalità

(Cost., art. 24; cod. proc. civ., art. 215, 313).

È illegittimo, per violazione dell'art. 24 Cost., l'art. 313, 1°

comma, c.p.c., nella parte in cui non prevede che l'atto intro

duttivo del giudizio debba contenere, tra l'altro, l'indicazione della scrittura privata che l'attore offre in comunicazione. (1)

Fatto. — 1. - Nel giudizio civile promosso dal Dal Fabbro

Giuseppe contro la società Ascomall s.r.l. rimasta contumace, il Pretore di Udine — rilevato che l'attore, nel costituirsi, aveva

depositato in cancelleria la scrittura privata sulla quale fondava

la sua pretesa, ma che di tale produzione documentale non ave

va fatto menzione nell'atto di citazione — ha sollevato, con

(1) Con la sentenza in epigrafe la Corte costituzionale estende anche al processo dinanzi al pretore ed al conciliatore l'onere di indicare nel l'atto introduttivo del giudizio le scritture private prodotte, riconoscen do lesiva del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost, la disciplina del riconoscimento tacito della scrittura privata nei confronti della parte contumace (art. 215, n. 1, c.p.c.) ove a questa non sia stata offerta la possibilità di conoscere la scrittura stessa. In tal modo la sentenza costituisce logico sviluppo delle precedenti decisioni (sent. 28 novembre

1986, n. 250, Foro it., 1987, I, 1, con osservazioni critiche di A. Proto Pisani e Nuove leggi civ., 1987, 417, con nota critica di M.C. Alladio; 6 giugno 1989, n. 317, Foro it., 1989, I, 2388, con osservazioni critiche di A. Proto Pisani) con le quali era stata dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 292 c.p.c., nella parte in cui non prevede la notificazione al contumace del verbale in cui si dà atto della produzione delle scritture

private non indicate in atti precedentemente notificati. Nella riforma del codice di procedura civile, destinata ad entrare in

vigore il 1° gennaio 1992, la disciplina dell'atto introduttivo del giudi zio contenuta nell'attuale art. 313, 1° comma, c.p.c. non sarà più ap plicabile al processo pretorile, in cui la citazione dovrà avere il contenu to previsto dall'art. 163 c.p.c. (che richiede, tra l'altro, «l'indicazione dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione»). Essa rimane invece ferma per il procedimento dinanzi al conciliatore, in forza del nuovo art. 318 c.p.c. (cfr. art. 42 1. 26 novembre 1990 n. 353). La sentenza in epigrafe, dun

que, per un verso anticipa la riforma del processo pretorile, per un altro si pone come annuncio dell'incostituzionalità della nuova discipli na dell'atto introduttivo del procedimento dinanzi al conciliatore, nella

parte in cui riproduce l'attuale 1° comma dell'art. 313 c.p.c. senza pre vedere l'onere di comunicare al contumace le scritture private contro di lui prodotte.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ordinanza in data 18 giugno 1990, questione incidentale di legit timità costituzionale dell'art. 313, 1° comma, c.p.c., in relazio

ne all'art. 215, n. 1, dello stesso codice per violazione degli art. 3 e 24, 2° comma, Cost.

Il giudice rimettente — premesso che la Corte costituzionale

(con sentenze n. 250 del 1986, Foro it., 1987, I, 1 e n. 317

del 1989, id., 1989, I, 2388) ha dichiarato la parziale illegittimi tà costituzionale dell'art. 292 c.p.c., in relazione al medesimo

art. 215, n. 1, cit., per contrasto con l'art. 24 Cost, nella parte in cui non prevede la notificazione al contumace del verbale

in cui si dà atto della produzione della scrittura privata nei pro cedimenti di cognizione ordinaria — ritiene che anche nel caso

di deposito, in un giudizio innanzi al pretore o al conciliatore, di una scrittura privata sin dal momento della costituzione —

senza che però di tale documento sia fatta menzione, come è

possibile che sia ex art. 313 c.p.c., nell'atto di citazione — non

risulta garantita l'effettiva conoscibilità, da parte del contuma

ce, delle scritture private contro di lui prodotte. Diritto. — 1. - È stata sollevata questione di legittimità costi

tuzionale dell'art. 313, 1° comma, c.p.c. — in relazione agli art. 3 e 24, 1° comma, Cost. — nella parte in cui non prevede che l'atto introduttivo del giudizio di cognizione innanzi al pre tore ed al conciliatore debba contenere (cosi come invece di

spongono gli art. 163 e 414 c.p.c. per l'atto introduttivo innanzi

al tribunale o al pretore del lavoro) l'indicazione dei documenti

che la parte offre in comunicazione o comunque delle scritture

private suscettibili di tacito riconoscimento ai sensi dell'art. 215, n. 1, dello stesso codice nei confronti della controparte con

tumace.

2. - La questione è fondata.

È consolidato nella giurisprudenza di questa corte il principio — affermato in relazione all'art. 292 c.p.c. riguardo all'ipotesi di deposito della scrittura in corso di causa davanti al pretore

(sent. n. 250 del 1986) e davanti al tribunale (sent. n. 317 del

1989) — secondo.il quale viola l'art. 24 Cost, la disciplina del

c.d. riconoscimento tacito della scrittura privata nei confronti

della parte contumace, quando a questa non sia offerta la pos sibilità di conoscere la produzione, ex adverso effettuata, della

scrittura stessa.

Orbene, nel giudizio ordinario davanti al pretore ed al conci

liatore l'art. 313, 1° comma (tuttora vigente nell'attuale formu

lazione fino all'entrata in vigore della riforma di cui alla 1. 26

novembre 1990 n. 353) non prescrive, a differenza dell'art. 163, 3° comma, n. 5, quanto al giudizio in tribunale, che l'atto in

troduttivo debba, tra l'altro contenere «la indicazione specifi ca... dei documenti che (l'attore) offre in comunicazione» ed

è quindi, per questa parte, costituzionalmente illegittimo per vio

lazione dell'art. 24 Cost, in quanto non garantisce alla contro

parte convenuta la conoscibilità della scrittura privata che l'at

tore deposita al momento della sua costituzione in giudizio. 3. - Resta assorbito il profilo di incostituzionalità prospettato

in relazione all'art. 3 Cost.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 313, 1° comma, c.p.c. nella parte in cui non prevede che l'atto introduttivo del giudizio debba

contenere, tra l'altro, l'indicazione della scrittura privata che

l'attore offre in comunicazione.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 28 dicembre 1990, n.

584 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 9 gennaio 1991, n.

2); Pres. Conso, Est. Mengoni; Fazia (Avv. Ventura) c. Ber

tone; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato D'Ama

to). Orci. Trib. Genova 24 gennaio 1990 (G.U., la s.s., n.

28 del 1990).

Impugnazioni civili in genere — Termine annuale di decadenza — Decorrenza dalla pubblicazione — Questione inammissibi

le di costituzionalità (Cost., art. 24; cod. proc. civ., art. 324,

327, 430).

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale del

l'art. 327, 1° comma, c.p.c., in relazione all'art. 430 c.p.c.,

Il Foro Italiano — 1991.

nella parte in cui prevede che il termine annuale di decadenza

per l'impugnazione della sentenza decorre dalla pubblicazio ne e non già dalla comunicazione del deposito della sentenza

stessa, in riferimento all'art. 24 Cost, (in motivazione si pre cisa che il termine annuale di decadenza ex art. 327 c.p.c. costituisce logico corollario del principio di formazione del

giudicato indipendentemente dalla notificazione della senten

za, e che lo spostamento della decorrenza del termine annuale

alla data di comunicazione della sentenza richiederebbe una

modifica del sistema normativo non consentita alla Corte co

stituzionale). (1)

Fatto. — 1. - Nel corso del giudizio di appello, promosso con ricorso depositato il 3 luglio 1989, contro una sentenza del

Pretore di Genova in materia di lavoro, pubblicata il 23 giugno 1988 e non notificata, il Tribunale di Genova, con ordinanza

(1) La sentenza respinge la questione di legittimità costituzionale del l'art. 327, 1° comma, c.p.c., sollevata in riferimento all'art. 24 Cost., nella parte in cui prevede che il termine di un anno per l'impugnazione decorre dalla pubblicazione della sentenza, anziché dalla comunicazione del deposito ex art. 133 c.p.c. La necessità che il decorso dei termini

processuali di decadenza venga collegato alla data della loro comunica

zione, è stata invece affermata dalla corte con riguardo a fattispecie nelle quali la brevità del termine può determinare l'inoppugnabilità di un provvedimento giurisdizionale indipendentemente dalla conoscibilità da parte dell'interessato (cfr., fra le altre, Corte cost. 27 novembre 1980, n. 151 e n. 152, 2 dicembre 1980, n. 155, Foro it., 1981, I, 1, con osservazioni di A. Pizzorusso; 22 novembre 1985, n. 303, id., 1985, I, 3066, con osservazioni di M. Pagano; 22 aprile 1986, n. 102, id., 1986, I, 1762, con osservazioni di P. Menchini). Per il rilievo che la notevole ampiezza del termine ex art. 327, 1° comma, c.p.c. consente alle parti diligenti di venire a conoscenza della sentenza in tempo utile

per l'impugnativa, cfr. C.E. Balbi, La decadenza nel processo di cogni zione, Milano, 1983, 332.

La sentenza in epigrafe, dopo aver affermato che la decorrenza del termine annuale di cui all'art. 327 c.p.c. è un corollario del principio «secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma

indipendentemente dalla notificazione della sentenza (a istanza di par te)», non dichiara l'infondatezza della questione di legittimità costitu zionale sollevata, ma la sua inammissibilità. A tal riguardo la corte osserva che «lo spostamento del dies a quo alla data di comunicazione della sentenza», andrebbe ad esclusivo vantaggio delle sole parti costi tuite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata d'ufficio ex art. 133, 2° comma, c.p.c. Per evitare una simile conseguenza, osser va la corte, occorrerebbe prevedere la notifica d'ufficio della sentenza al contumace e la previsione per lo stesso di un termine annuale di

impugnazione a decorrere dalla data di tale notifica. Ma una siffatta modifica del sistema normativo, conclude la sentenza, «andrebbe oltre i poteri di questa corte».

La motivazione non convince. Delle due l'una: o l'art. 327 c.p.c. è compatibile con l'art. 24 Cost, (in tal senso, cfr., da ultimo, Cass. 20 aprile 1990, n. 3299, Foro it., Rep. 1990, voce Impugnazioni civili, n. 38), ed allora la questione andava dichiarata infondata; oppure, in

caso contrario, occorreva una sentenza di accoglimento. Il contumace

involontario, infatti, è già tutelato dall'art. 327, 2° comma, c.p.c. (su cui v., peraltro, la discutibile apertura effettuata da ultimo da Cass. 21 dicembre 1988, n. 6984, id., 1989, I, 2236, con osservazioni critiche di A. Proto Pisani). Pare francamente eccessivo negare alle parti costi tuite in giudizio la possibilità di ottenere una pronuncia su una norma ritenuta contrastante con il principio di difesa sancito dall'art. 24 Cost.,

per il solo rilievo che della pronuncia non potrebbe beneficiare chi ha volontariamente deciso di non partecipare al giudizio e di disinteressarsi del suo svolgimento.

Cosi facendo la corte lascia aperto il dubbio circa la conformità o

meno dell'art. 327, 1° comma, c.p.c. all'art. 24 Cost, e sembra preclu dersi la possibilità di intervento anche nell'ipotesi (improbabile ma non

impossibile) in cui la comunicazione dell'avvenuto deposito fosse omes

sa o avvenisse quando ormai è decorso il termine annuale ex art. 327.

Sembra comunque opportuno segnalare come l'esigenza di certezza

propria della tutela giurisdizionale dei diritti (su cui cfr. A. Cerino

Canova, La garanzia costituzionale del giudicato civile (meditazioni sul

l'art. Ili, 2° comma), in Riv. dir. civ., 1977, I, 395, ss.; V. Denti, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1987, 13 ss., sub art. Ili, e, da ultimo, A. Proto Pisani, Usi ed abusi

della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990,

I, 395 ss.) comporta la necessità della previsione di un termine finale

di decadenza (della specie di quello contenuto nell'art. 327, 1° comma,

c.p.c.) anche in un sistema che ammette rimessioni in termini per man

cato esercizio incolpevole del potere di impugnazione (cfr. Balbi, op. cit., 317 ss. e, da ultimo, L. Sbolci, Sanzioni dell'inattività delle parti nel processo, questioni di costituzionalità e «problema» della rimessio

ne in termini, in Foro it., 1991, I, 1388). [F. Donati]

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