sentenza 25 febbraio 1988, n. 206 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 marzo 1988, n. 9);Pres. Saja, Est. Gallo; Gritti c. Inail. Ord. Pret. Monza 2 marzo 1981 (G.U. n. 283 del 1981)Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 2463/2464-2469/2470Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184839 .
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2463 PARTE PRIMA 2464
Diritto. — 1. -La questione di legittimità costituzionale del
l'art. 1 1. n. 270 del 1974, sollevata dal Tribunale di Catania, è fondata.
Non occorre qui riepilogare tutta la complessa vicenda dell'in
tervento legislativo in materia di enfiteusi, a partire dalla 1. 22
luglio 1966 n. 607, che ha profondamente modificato l'istituto
nel quadro di una politica diretta a favorire la congiunzione della
proprietà dei fondi rustici con la titolarità delle imprese agricole che li coltivano. È sufficiente riassumere la posizione di questa
corte, quale risulta specialmente dalle sentenze n. 145 del 1973
(Foro it., 1973, I, 2341) e n. 53 del 1974 (id., 1974, I, 971) circa i limiti imposti a tale politica legislativa dal rispetto del diritto
di proprietà garantito dall'art. 42 Cost. Essa si articola essenzial
mente in due punti:
a) sebbene la nuova disciplina dell'enfiteusi stabilisca per il ca
pitale di affranco una misura d'imperio in luogo del valore vena
le effettivo della nuda proprietà, «appare arbitrario equiparare
all'espropriazione l'esercizio della facoltà di riscatto della piena
proprietà mediante l'affrancazione» (sent. n. 53 del 1974). Per
tanto, come ha ribadito la sentenza n. 246 del 1984 (id., Rep.
1985, voce Enfiteusi, n. 4) le norme con le quali sono stati stabi
liti nuovi criteri di determinazione del canone, e quindi del capi tale di affranco, non sono soggette al requisito della giustificazio ne per motivi di interesse generale statuito dal 3° comma dell'art.
42, né possono essere confrontate con le norme in tema di espro
priazione per pubblica utilità, in riferimento all'art. 3 Cost.;
b) tuttavia, poiché il capitale di affranco del fondo enfiteutico
non ha più, come nella disciplina originaria del codice civile, fun
zione di corrispettivo (prezzo), bensì ha assunto la funzione di
«indennizzo», sono applicabili per analogia i criteri di valutazio
ne di congruità dell'indennizzo da corrispondere in caso di espro
priazione, i quali devono essere «applicabili senza grave e ingiu stificata lesione dei diritti dei concedenti»: pur non essendo rag
guagliabile al valore di mercato, la somma pagata al proprietario non può essere meramente simbolica o irrisoria, ma deve rappre sentare un serio ristoro. In questo senso la sentenza n. 145 del
1973 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 2 1. 18 di
cembre 1970 n. 1138 per violazione dell'art. 42, 3° comma, nella
parte in cui, per le enfiteusi costituite dopo il 23 ottobre 1941, determinava il canone, e quindi il capitale di affrancazione (pari a quindici volte il canone), in misura fissa corrispondente al red
dito dominicale risultante dal catasto secondo la revisione del 1939
e rivalutato con il d. leg. n. 356 del 1947.
2. - La sentenza n. 145 del 1973 ha indicato quello che, ad
avviso della corte, deve essere il parametro per una congrua in
dennità, identificandolo nei criteri stabiliti dalle leggi del 1950
(«legge Sila» n. 230 «legge stralcio» n. 84) per la determinazione
dell'indennizzo dei proprietari espropriati in attuazione della ri
forma agraria. Il dispositivo della sentenza è stato recepito alla lettera dalla
1. n. 270 del 1974 senza le integrazioni che da parte del legislatore sarebbero state necessarie per coglierne, alla stregua della moti
vazione, l'esatto significato e tradurlo in norma giuridica. La mo
tivazione precisa che il riferimento al reddito imponibile risultan
te dai dai catastali non è illegittimo a condizione che sia tenuta
«distinta la funzione generica del ricorso ai dati catastali dalla
misura della loro operatività in concreto, affinché ne sia mante
nuta adeguata, nei limiti di una ragionevole approssimazione, la
corrispondenza con la affettiva realtà economica». Alla stregua di questa direttiva si deve ritenere — come osserva l'ordinanza
di rimessione — che «la Corte costituzionale abbia fatto riferi
mento non tanto alla misura fissa consistente nell'indennità che
sarebbe stata corrisposta qualora i terreni fossero stati espropria
parte in cui, ai fini della determinazione del canone enfiteutico, si riferi sce sii parametri stabiliti dalle leggi di riforma fondiaria.
In tema di enfiteusi e di affrancazione del fondo, v., da ultimo, Corte cost. 20 dicembre 1988, n. 1105, id., 1989, I, 286, con nota di richiami, che ha dichiarato illegittimo l'art. 404 c.p.c., nella parte in cui non am metteva opposizione di terzo avverso l'ordinanza con cui il pretore dispo ne l'affrancazione del fondo ai sensi dell'art. 4 1. 607/66.
Sui criteri di determinazione dell'indennità per l'espropriazione per pub blico interesse, v., da ultimo, Cass. 29 novembre 1989, n. 5215, 16 giu gno 1989, n. 2891 e 31 marzo 1989, n. 1579, id., 1990, I, 884 e 581, con note di richiami e osservazioni di Catalano.
Il Foro Italiano — 1990.
ti in applicazione delle leggi di riforma agraria, quanto invece
ai criteri stabiliti da quelle leggi», nel senso che i capitali di af
franco non possono essere inferiori ai valori assunti per l'applica zione dell'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio a norma
dell'art. 9 d. leg. n. 143 del 1947, periodicamente aggiornati me
diante «coefficienti di maggiorazione stabiliti e pubblicati man
mano dalla commissione censuaria centrale».
Invece l'art. 1 1. n. 270 determina i capitali di affranco in mi
sura fissa ragguagliata ai valori medi dei terreni per il periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947 calcolati a norma dell'art. 9 del
citato decreto n. 143 del 1947, cioè in una misura già nel 1974
incongrua, e nel 1982 — anno in cui è stata domandata l'affran
cazione nel caso in controversia — senz'altro irrisoria, come di
mostra puntualmente l'ordinanza di rimessione, dalla quale si ap
prende che l'indennizzo dovuto al concedente è stato fissato dal
pretore in lire 122.236.
3. - Non si può pensare che l'art. 1 1. n. 270 del 1974 sia impli citamente integrato dalla 1. 20 ottobre 1954 n. 1044, la quale pre vedeva che le tabelle compilate dalla commissione censuaria cen
trale per l'applicazione dell'imposta progressiva straordinaria sul
patrimonio fossero aggiornate secondo un coefficiente determi
nato ogni anno dalla medesima commissione. Questa legge, che
prevedeva un procedimento di accertamento automatico dell'im
ponibile per l'applicazione dell'imposta di successione sui fondi
rustici, è stata abrogata dall'art. 58 d.p.r. 26 ottobre 1972 n.
637, entrato in vigore il 1° gennaio 1973; infatti l'ultimo aggior namento del coefficiente di maggiorazione ai sensi dell'art. 1 del
la legge risale al 1972.
Nemmeno si può pensare che la norma in questione sia integra bile con l'art. 8 1. 17 dicembre 1986 n. 880 (che ha introdotto
per tutti i terreni un nuovo sistema di accertamento automatico
dell'imponibile per l'applicazione dell'imposta di successione), sia
per ragioni giuridiche, la 1. n. 880 essendo retroattiva solo fino
al 1° luglio 1986 e comunque, trattandosi di legge tributaria, non
estensibile oltre il caso previsto, sia per ragioni tecniche, posto che la base di partenza per la determinazione dei canoni enfiteuti
ci non è il reddito dominicale risultante dal catasto secondo la
revisione del 1939, bensì' il valore medio per il periodo 1° luglio 1946-31 marzo 1947 determinato — sulla base del reddito cata
stale — mediante l'applicazione dei coefficienti previsti dall'art.
9 del decreto n. 143 del 1947.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, dichiara l'illegittimi tà costituzionale dell'art. 1 1. 14 giugno 1974 n. 270 («norme in
materia di enfiteusi») nella parte in cui non prevede che il valore
di riferimento da esso prescelto per la determinazione del canone
enfiteutico sia periodicamente aggiornato mediante l'applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata, con una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con l'ef
fettiva realtà economica.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 febbraio 1988, n. 206
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 marzo 1988, n. 9); Pres.
Saja, Est. Gallo; Gòtti c. Inail. Ord. Pret. Monza 2 marzo 1981 (G.U. n. 283 del 1981).
Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Malattie profes sionali — «Manifestazione» — Incostituzionalità (Cost., art.
3, 38; d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, t.u. delle disposizioni sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro
e le malattie professionali, art. 135).
È illegittimo l'art. 135, 2° comma, d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, nella parte in cui individua la «manifestazione» della malattia
professionale, in caso di non abbandono del lavoro, nel giorno in cui viene presentata all'Inail la relativa denuncia corredata
da certificato medico. (1)
(1) L'ordinanza di rimessione Pret. Monza 2 marzo 1981 è massimata in Foro it., Rep. 1982, voce Infortuni sul lavoro, n. 122. La sentenza in epigrafe è annotata da G. Ciafrè, in Riv. it. dir. lav., 1988, II, 880,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 15 gennaio
1990, n. 124; Pres. Menichino, Est. Battaglia, P.M. Visalli
(conci, diff.); Inail (Aw. Mancini, Graziani, Ruffini) c. Pe
tranzan (Avv. Cabibbo). Cassa Trib. Padova 12 luglio 1986.
Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Malattie profes sionali — Diritto alle prestazioni — Prescrizione — Decorenza
(D.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, art. 112, 135).
La prescrizione triennale del diritto alle prestazioni assicurative,
relative a malattie professionali che non comportino l'abban
dono del lavoro, decorre dalla «manifestazione» di esse da in
dividuare, a seguito di Corte cost. 206/88 che ha dichiarato
l'incostituzionalità dell'art. 135 t.u. 1124/65, nel momento del
l'accertamento medico concernente i postumi consolidati e de
finitivi dell'incapacità lavorativa nella misura minima indenniz
zabile. (2)
I
Diritto. — 1. - Effettivamente l'ulteriore presunzione iuris et
de iure che il 2° comma dell'art. 135 della legge impugnato dal
giudice a quo pone ad esclusivo carico del lavoratore non è sol
tanto eccessiva ma è anche incompatibile con i principi di cui
agli art. 3 e 38 Cost.
È sufficiente, infatti, considerare che essa comporta la perdita di ogni indennizzo qualora la denunzia sia presentata oltre il ter
mine previsto dalla tabella ali. 4 per ciascuna malattia professio
nale, per rendersi conto che il principio dell'art. 38 Cost, resta
vanificato da un'inosservanza meramente formale. Un'inosservan
za, poi, che spesso non è nemmeno imputabile al lavoratore, ma
piuttosto all'insidioso decorso della malattia e al suo tardivo ac
certamento da parte dei sanitari: di talché ben può accadere che,
pur essendosi essa manifestata nel corso del termine previsto dal
la tabella, il suo riconoscimento sia intervenuto tardivamente, ma
gari al limite dello spirare del termine. D'altra parte, quand'an che la tardiva presentazione della denunzia fosse ascrivibile in
tutto o in parte all'ignoranza o alla negligenza o alle stesse pessi
me condizioni di salute del lavoratore, il privarlo per ciò solo
di ogni indennizzo rappresenta pur sempre una manifesta viola
zione del principio di cui all'art. 38 Cost.
Ma anche l'art. 3 Cost, resta coinvolto dalla disposizione in
esame: e non tanto per il confronto instaurato dall'ordinanza con
l'ipotesi in cui la malattia professionale determina la morte, giac
ché sul punto la risposta dell'Inail sembra effettivamente perti
nente ed esaustiva. Quanto piuttosto perché, rispetto ai lavorato
ri, nei confronti dei quali la manifestazione della malattia e il
suo tempestivo accertamento ha consentito una regolare denun
ove è riportata insieme a Corte cost. 18 febbraio 1988, n. 179, che ha
ritenuto l'incostituzionalità del sistema tabellare tassativo delle malattie
professionali: quest'ultima si legge anche in Foro it., 1988, I, 1031, con
nota di A. Rossi; in Giust. civ., 1988, I, 588, con nota di Morelli; in
Mass. giur. lav., 1988, 16, con nota di Alibrandi.
Per ulteriori riferimenti, da ultimo, cfr. Cass., sez. un., 9 marzo 1990, n. 1919, Foro it., 1990, I, 1158, con nota di richiami.
(2) Significativa la precisazione, contenuta in motivazione, che Corte
cost. 206/88 non ha modificato la ratio dell'art. 135 t.u. 1124/65 nella
parte in cui annette rilevanza al concetto di «manifestazione» e non a
quello di «insorgenza» della malattia professionale, con l'evidente intento
di soddisfare un'esigenza di certezza.
Nel senso che la decorrenza della prescrizione ex art. 112 t.u. cit. vada
individuata nella data di verificazione dei postumi definitivi nella misura
del minimo indennizzabile, v. Cass. 8 ottobre 1985, n. 4857, Foro it.,
Rep. 1985, voce Infortuni sul lavoro, n. 310.
Sulla decorrenza dalla denuncia con certificato medico, ovvero dalla
data di aggravamento dei postumi in misura superiore al minimo inden
nizzabile, Cass. 28 dicembre 1983, n. 7634, id., Rep. 1983, voce cit.,
n. 374; 18 gennaio 1984, n. 437, id., Rep. 1984, voce cit., n. 928; 4
febbraio 1984, n. 866, ibid., n. 294. Corte cost. 8 luglio 1969, n. 116,
id., 1969, I, 2076, con nota di richiami, ha dichiarato l'incostituzionalità
dell'art. 112, 1° comma, t.u. cit., nella parte in cui disponeva che l'azio
ne per conseguire la rendita per inabilità permanente si prescrivesse col
decorso del termine previsto anche nel caso in cui entro lo stesso termine
tale inabilità non avesse ridotto l'attitudine al lavoro in misura superiore al minimo indennizzabile.
Il Foro Italiano — 1990.
zia, la situazione del lavoratore sostanzialmente identica, la cui
malattia si è pure verificata nei termini tabellari ma viene tardiva
mente accertata, o comunque tardivamente denunziata, riceve un
trattamento di enorme disparità che non trova una razionale giu stificazione.
2. - In definitiva, qui non si tratta di vincere la presunzione
tabellare, che peraltro, questa corte (con sentenza 179/88, Foro
it., 1988, I, 1031) ha pure superato, ammettendo il lavoratore
a provare natura ed eziologia della contratta malattia anche al
di fuori delle previsioni tabellari. Si tratta soltanto di escludere
che una denunzia tardiva possa privare automaticamente dell'in
dennizzo il lavoratore la cui malattia si sia verificata nei termini
tabellari.
Il che non comporta alcun aggravio per l'istituto assicuratore
giacché, da una parte, l'onere della prova dell'effettiva verifica
zione della malattia nei termini tabellari ricadrà sul lavoratore:
e se la prova fallisse, egli non potrà avvalersi delle favorevoli
presunzioni discendenti dalla tabella, ma dovrà allora anche di
mostrare che — giusta i nuovi principi ora fissati da questa corte — la malattia, pur essendosi verificata fuori dei termini indicati
dalla tabella, ha tuttavia carattere professionale e dipende dalla
lavorazione morbigena cui era addetto.
Dall'altra, poi, se la tardività della denunzia non potrà più, di per se stessa, privare il lavoratore dell'indennizzo, resta ferma,
tuttavia, comunque, la decorrenza dalla data della denunzia —
secondo i principi generali — della corresponsione dell'indennità
quando risulti dovuta.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità
costituzionale del 2° comma dell'art. 135 del d.p.r. 30 giugno
1965, n. 1124 (testo unico delle disposizioni per l'assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie profes
sionali).
II
Svolgimento del processo. — Paolino Petranzan con ricorso
del 17 luglio 1984 al Pretore di Padova, in funzione di giudice del lavoro, esponeva: che fino al settembre 1981 aveva lavorato
alle dipendenze della Savi s.r.l. con mansioni di autista adibito
al trasporto, a mezzo di cisterne, di materiali chimici particolar mente tossici — tra cui il «Temidon TDI», acido solforico, for
maldeide e acido benzoico —; che, a causa anche dell'incarico
delle operazioni di carico e scarico del materiale e di pulizia delle
cisterne, gli era insorta una grave bronchite cronica con enfise
ma, di natura allergica; che il nesso di causalità tra esposizione al rischio e malattia era evidenziato anche dalla circostanza che
egli, affetto da bronchite asmatica in tenera età, era quasi del
tutto guarito da tale affezione, per cui la nuova malattia era da
attribuire soltanto ai successivi fattori professionali. Ciò premes
so, il Petranzan chiedeva il riconoscimento, nei confronti dell'I
nail, di rendita per inabilità permanente.
L'Inail, costituitosi, eccepiva anzitutto la prescrizione del dirit
to alla rendita in quanto la manifestazione della malattia era av
venuta entro il 1978 mentre il ricorso giudiziale era stato deposi tato solo nel 1984; e contestava poi la ricorrenza di una malattia
professionale, sostenendo che i disturbi dipendevano da labilità
dell'apparato respiratorio del Petranzan e si erano semmai aggra vati solo per due episodi (del 29 luglio 1972 e del 12 giugno 1973) consistenti in infortuni sul lavoro.
Il pretore, dopo consulenza tecnica d'ufficio, accoglieva la do
manda quantificando nel 40% la misura dell'inabilità.
Contro la sentenza proponeva appello l'Inail, insistendo nel
l'eccezione di prescrizione, sostenendo la necessità di prove aller
gologiche (non compiute) per dimostrare l'effetto permanente del
l'esposizione al TDI, e assumendo un'erronea fissazione della de
correnza degli interessi.
Il Tribunale di Padova con sentenza del 12 luglio 1986 rigetta
va il gravame, osservando: che gli episodi del 28 agosto 1972
e del 12 gennaio 1973, caratterizzati da cause violente, rapide
e concentrate, erano da qualificare infortuni sul lavoro ed erano
intervenuti in quadro bronchiale non del tutto integro per pre
gressi fatti asmatici; che, pertanto, a quell'epoca l'inalazione del
le sostanze tossiche era già iniziata e aveva raggiunto livelli eleva
ti; che, se, pertanto, non era accettabile un riferimento a malattia
del 1972, non era poi condivisibile l'avviso del pretore che aveva
considerato come certificato — ai fini del decorso della prescri
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2467 PARTE PRIMA 2468
zione — il documento redatto dal solo ammalato e ricevuto dal
l'Inail il 27 marzo 1980, e che invece il termine triennale di pre scrizione era sicuramente decorso dal 25 novembre 1982, data
in cui il medico del patronato, che tutelava gli interessi del lavo
ratore, aveva richiesto all'Inail il riconoscimento della malattia
professionale, richiesta comunque — che, a voler lasciare ferma
la data del 27 marzo 1980 — valeva come atto interruttivo della
prescrizione, essendo l'istituto dell'interruzione applicabile nella
sua ampiezza se non voleva trasformarsi la prescrizione in deca
denza; che il pretore aveva sufficientemente motivato sull'inabili
tà fondandosi sull'esauriente documentazione medica esaminata
dal c.t.u., senza che residuassero dubbi sull'asma bronchiale in
sorta chiaramente come malattia professionale a causa dell'attivi
tà di lavoro dell'assicurato, e senza che occorressero ulteriori ac
certamenti clinici bastando quelli già acquisiti; che la decorrenza
infine degli interessi era da fissare alla domanda senza necessità
di riforma contenendo la decisione impugnata interpretazione uni
voca al riguardo, pur se non esplicata. Ricorre per cassazione l'Inail con tre motivi. Resiste con con
troricorso il Petranzan.
Motivi della decisione. — Col primo motivo (violazione e falsa
applicazione degli art. Ili, 112, 1° comma, 53 e 135 d.p.r. 30
giugno 1965 n. 1124 in relazione agli art. 2697 c.c., 115 e 116
c.p.c., nonché all'art. 2943 c.c., omessa, insufficiente e contrad
dittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, il tutto in relazione all'art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.), il ricorrente
deduce: che per l'art. 135 cit. elemento integrativo della denuncia
di malattia è il certificato medico, il quale con la prima fa ritene
re per fictio iuris verificata la malattia, per cui la prescrizione non può decorrere dal 25 novembre 1982 non essendo la richiesta
di tal data del medico del patronato il certificato medico dell'art.
53 («relazione particolareggiata della sintomatologia accusata dal
l'ammalato e di quella rilevata dal medico certificatore»), ma dal
27 marzo 1980, avendo in quest'ultima data l'interessato unito
all'istanza cartelle cliniche, da considerarsi valido sostitutivo del
certificato medico, mentre nessuna efficacia interruttiva può ave
re l'atto del 25 novembre 1982 non avendo nella materia questa efficacia atti diversi dalla domanda giudiziale o da quelli di cui
agli art. 104, 2° e 3° comma, e 112, 4° comma, d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124; che, comunque, per il tenore dell'art. 112, 1° com
ma, dopo la sentenza 116/69 (Foro it., 1969, I, 2076) della Corte
costituzionale, la prescrizione decorre non più dal giorno della
manifestazione della malattia, ma dal momento in cui l'inabilità
ha superato il minimo dell'indennizzabilità, e nella specie già la
denuncia del 27 marzo 1980 indica che il ricorrente era portatore di malattia professionale indennizzabile.
Col secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli art.
74, 111 e 112, 1° comma, d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 in rela
zione all'art. 113 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia) il ricor
rente deduce inoltre che il tribunale doveva, ritenendo il diritto
dell'assicurato insorto il 25 novembre 1982, far decorrere la ren
dita da tale data e non confermare sul punto la decisione di pri mo grado che faceva decorrere la rendita dal 27 marzo 1980.
Col terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell'art. 3 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 e relativa tabella allegata n. 4 come modi
ficata dal d.p.r. 9 giugno 1975 n. 482; violazione e falsa applica zione dell'art. 2697 c.c., omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia, il tutto
in relazione all'art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.), l'Inail infine dedu
ce: che con l'appello si è dedotta l'inaccettabilità del giudizio pe
ritale, attribuente l'aggravamento della patologia asmatica all'a
zione del TDI senza dimostrazione della presenza, nell'organi
smo, di fenomeni allergici, conseguenze tipiche di questa sostanza; che in proposito il tribunale ha genericamente confermato il giu dizio del pretore, per cui i vizi delle conclusioni del c.t.u. si co
municano alla sentenza; che il c.t.u. ha ritenuto presente una tec
nopatia da inalazione delle sostanze di cui alla voce 24 tabella
ali. 4 d.p.r. 9 giugno 1975 n. 482, nella misura del 40%, grado
raggiunto fin dall'agosto 1972 e rimasto immutato; che, secondo
la motivazione del perito, se il Petranzan, portatore di asma bron
chiale, è rimasto dal maggio 1972 al settembre 1981 esposto, nel
lavoro per la Savi, al TDI — il cui effetto principale sul polmone è l'asma —, non si può negare che l'asma bronchiale è da attri
buire al lavoro svolto; che, però, è palese come l'esposizione al
Il Foro Italiano — 1990.
rischio non faccia presumere la verificazione di questo, specie se il lavoratore, prima dell'assunzione, nel maggio 1972, era af
fetto da asma bronchiale, con danno del 30%, per allergia (sof ferta sin da giovanissima età e riacutizzatasi nel luglio 1971); che
neppure si può ritenere avvenuto un peggioramento (dal 30 al
40%) della patologia per effetto dell'esposizione al TDI, quando non si motiva l'esclusione di effetti per la preesistente affezione
o per le conseguenze dell'infortunio dell'agosto 1972 (nel quale si ebbe inalazione massiva, rapida e intensa, delle stesse sostanze
che per il c.t.u. avrebbero originato la malattia professionale); che, singolarmente, il perito ha fissato l'aggravamento suddetto
all'agosto 1972, epoca dell'episodio infortunistico, ad appena tre
mesi dall'inizio del lavoro, ed ha escluso nei successivi nove anni
qualsiasi ulteriore aggravamento, con la conseguenza assurda di
un'esposizione per tre mesi idonea ad un aggravamento del 10%
e di un'esposizione per nove anni inidonea ad ulteriori aggrava
menti; che, per di più, il perito non ha neppure provato l'aggra vamento perché ha esposto che la quantificazione «deve basar
si ... su dati esclusivamente d'ordine clinico, non essendo stato
effettuato un esame spirometrico nel . . . ricovero ... del luglio 1971» e che tali dati clinici deporrebbero in via «estremamente
orientativa» per un danno del 30%.
Il primo motivo non è fondato. L'art. 135, 2° comma, d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 è stato dichiarato costituzionalmente ille
gittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 206 depositata il 25 febbraio 1988 {id., 1990, I, 2464). La norma poneva una
presunzione assoluta di verificazione della malattia professionale nel giorno in cui era presentata all'istituto assicuratore la denun
cia con il certificato medico (nel caso di non astensione dal lavo
ro per la malattia o di manifestazione dopo la cessazione dal la
voro determinante la malattia); e nella specie la norma è stata
dai giudici di merito applicata per stabilire il dies a quo per la
decorrenza della prescrizione. Caduta questa fictio iuris, resta pe rò sempre la norma dell'art. 112, 1° comma, stessa legge per la quale la prescrizione triennale in questione decorre «dal giorno dell'infortunio o da quello della manifestazione della malattia pro fessionale». Deve quindi stabilirsi, in base alla normativa resi
dua, in che cosa consista la «manifestazione» della malattia pro fessionale. Il ricorrente sostiene superata la questione per effetto
della sentenza 8 luglio 1969, n. 116 della Corte costituzionale che
ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 112, 1° comma, «nella parte in cui dispone che l'azione per conseguire dall'Inail
la rendita per inabilità permanente si prescrive col decorso del
termine previsto anche nel caso in cui entro lo stesso termine
tale inabilità non abbia ridotto l'attitudine al lavoro in misura
superiore al minimo indennizzabile». Ad avviso, dunque, del ri
corrente, la prescrizione ai sensi dell'art. 112, 1° comma, decor
rerebbe non più dalla manifestazione della malattia ma dal con
solidamento dei postumi permanenti, a suo dire avvenuto in epo ca anteriore di molti anni alla data della domanda.
Devesi però precisare che la Corte costituzionale non ha di chiarato sic et simpliciter l'incostituzionalità della norma, ma ne
ha pronunciato l'illegittimità parziale: la decorrenza della prescri zione dalla «manifestazione» della malattia professionale in via
generale resta ferma, ma è sostituita dalla data del consolidamen
to dei postumi in misura pari al minimo indennizzabile, ove que sto si verifichi posteriormente alla «manifestazione» della malat
tia. La pronuncia di illegittimità parziale è appunto intervenuta in riferimento al caso di malattia professionale già manifestatasi
con carattere di permanenza entro il termine prescrizionale, ma
aggravatasi fino al raggiungimento del minimo per la rendita solo
al di là della maturazione di quel termine.
Del resto, questa stessa Suprema corte con le sentenze n. 7634
del 1983 (id., Rep. 1983, voce Infortuni sul lavoro, n. 374), n.
437 del 1984 (id., Rep. 1984, voce cit., n. 928) e n. 866 del 1984 (ibid., n. 294), già aveva precisato che il termine prescrizionale decorre dalla denuncia con certificato medico, ovvero dalla data
di aggravamento dei postumi in misura superiore al minimo in
dennizzabile; e con la sentenza a sezioni unite 8 ottobre 1985, n. 4857 (id., Rep. 1985, voce cit., n. 310) ha riconosciuto come
data di decorrenza della prescrizione di cui all'art. 112 r.d.l.
1765/35 quella di verificazione dei postumi definitivi nella misura
del minimo indennizzabile.
Dunque, caduta la presunzione dell'art. 135, 2° comma, occor
re, come si è precisato, fissare cosa debba intendersi per «manife
stazione» della malattia. «Manifestazione» non è sinonimo di in
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sorgenza, e il termine non è stato usato a caso. Come già si con
siderava da dottrina e giurisprudenza nel vigore della precedente
legge (r.d. n. 1765 del 1935), determinare il momento in cui si
verifica un infortunio, il momento cioè in cui si produce il danno e dal quale possono decorrere le prestazioni di legge, è semplice, perché l'infortunio è prodotto di una causa violenta (pur se a volte il danno può prodursi dopo l'infortunio, infatti Corte cost. 23 maggio 1986, n. 129, id., 1986, I, 2102); e invece è difficile stabilire lo stesso momento per la malattia professionale che è
prodotta da una causa lenta, la quale anche in modo occulto
agisce all'interno dell'organismo prima di apparire a chiunque. Vi è stata dunque l'esigenza di ancorare il momento giuridica mente rilevante — ad ogni effetto — di inizio della malattia pro fessionale a fatti esterni sicuri. E questa esigenza, in particolare, vi era per la decorrenza della prescrizione a carico dell'assicura
to, che non poteva subire pregiudizio dal frequente inizio della malattia in modo subdolo e nascosto e dalla pratica impossibilità di immediato esercizio del diritto alle prestazioni assicurative re
lative. Nell'art. 135, 2° comma, ora dichiarato costituzionalmen
te illegittimo, si fissò la presunzione assoluta che la manifestazio
ne coincidesse, nel caso di non abbandono del lavoro, con la
presentazione della denuncia di malattia corredata da certificato
medico all'istituto: i due atti davano certezza e dell'esistenza del
male e della consapevolezza di questo male da parte dell'assicura
to. È vero che a questo modo l'inizio del decorso del termine
prescrizionale dipendeva in sostanza dalla volontà dell'assicura
to; però è egualmente vero che questi non poteva avere interesse a spostare in avanti l'inizio di quel decorso, perché era dalla data
della denuncia che poteva avere diritto alle prestazioni assicurati
ve in suo favore.
Ma, anche se è caduta la presunzione dell'art. 135, 2° comma, è rimasta la ratio dell'uso del termine «manifestazione» invece
di quello di «insorgenza». E quindi per «manifestazione» della
malattia non può intendersi che un fatto o un concorso di fatti
che dia certezza e dell'esistenza della malattia e della normale
conoscibilità di questa da parte dell'assicurato. In conseguenza,
questa certezza non può essere normalmente espressa che dall'ac
certamento medico concernente i postumi consolidati e definitivi
dell'incapacità lavorativa nella misura minima indennizzabile, in
riferimento ad una malattia che nella sua causa «professionale» abbia determinato detta riduzione.
Né questo risultato interpretativo deve ritenersi incompatibile con la decisione n. 206/88 della Corte costituzionale; questa inve
ro ha sancito l'illegittimità costituzionale della norma dell'art. 135, 2° comma, soltanto perché comportava la perdita di ogni inden
nizzo se la denuncia di malattia con certificato, integrante la ma
nifestazione della malattia stessa, fosse presentata oltre il termine
previsto dalla tabella ali. A nonostante la malattia si fosse verifi
cata entro tale termine.
Nella specie, l'incensurabile accertamento di fatto dei giudici di merito ha escluso l'esistenza sia della malattia alla data ante
riore del 27 marzo 1980, sia del relativo referto medico: la sola volontà dell'assicurato non può in via di principio dare alcuna
certezza, neppure soggettiva, sulla malattia, in base a quanto si
è sopra considerato, e al 27 marzo 1980 non vi è stata appunto che una mera denuncia di malattia da parte dell'assicurato. Il
ricorrente Inail assume che a tale data alla denuncia furono alle
gate cartelle cliniche, equipollenti del certificato medico; ma i giu dici di merito non hanno accertato che vi fossero referti sulla
malattia professionale e anzi hanno soltanto riferito di precedenti ricoveri per infortuni sul lavoro, sia pur prodotti dalla stessa cau
sa (tanto che hanno precisato che questa causa ha dato luogo e agli infortuni sul lavoro e alla malattia professionale). La de
correnza, dunque, della prescrizione, dal 25 novembre 1982, co
me decisa dai giudici d'appello, è corretta, perché solo in tale
data — sempre secondo le precisazioni dei giudici di merito —
sopravvenne la segnalazione di un medico sulla malattia profes
sionale, nell'interesse dell'assicurato, con la connessa indicazione
della misura minima indennizzabile della ridotta capacità lavora
tiva. Soltanto il primo motivo va respinto. Al contrario è fondato il secondo motivo. Invero, avendo il
tribunale fissato la decorrenza della prescrizione dal 25 novembre
1982 (come già detto, correttamente), non è altrettanto corretta
la conferma integrale della decisione di primo grado che faceva
decorrere quella prescrizione dal 27 marzo 1980 (ai fini della li
quidazione della rendita). Né, come assume il resistente nel contro
ricorso, vi è preclusione perché il punto non è stato oggetto di
Il Foro Italiano — 1990.
gravame nell'atto d'appello. Con questo atto, dopo la sentenza del pretore che dichiarò decorrente la prestazione dal 27 marzo
1980, l'Inail contestò in radice il diritto alla rendita, perché pre scritto essendosi la malattia manifestata molto prima del marzo
1980, e quindi non è vero che non si lamentasse di una decorren za dal marzo 1980.
Il terzo motivo è egualmente fondato. Realmente il consulente tecnico d'ufficio — cui si rifa il tribunale — non ha adeguata mente giustificato perché la tecnopatia deve attribuirsi all'esposi zione al TDI per lungo tempo quando nei nove anni di tale espo sizione, dopo i primi tre mesi, nessun aggravamento si verificò mentre il lavoratore era affetto da preesistente infermità allergica e proprio nel periodo di aggravamento fu vittima di infortunio sul lavoro; pertanto, si doveva spiegare perché era da escludere che l'aggravamento fosse addebitabile esclusivamente o alla pree sistente malattia o all'infortunio. Incensurabile, per il resto, ap pare il giudizio sull'esistenza dell'aggravamento perché effetto di
una valutazione squisitamente tecnica, basata sui dati clinici a
disposizione. In accoglimento dei due suddetti motivi, la sentenza impugnata
va cassata con rinvio della causa ad altro giudice d'appello. Que sto — che si designa nel Tribunale di Treviso — prowederà al riesame dei punti sopra indicati.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 31 marzo 1987, n. 87
(Gazzetta ufficiale, 1" serie speciale, 8 aprile 1987, n. 15); Pres. La Pergola, Rei. Pescatore; Regione Sicilia (Aw. Fazio) c.
Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Azzariti).
Sicilia — Entrate regionali — Tassa per il rilascio dei diplomi di maturità — Devoluzione allo Stato — Incostituzionalità
(R.d.leg. 15 maggio 1946 n. 455, statuto della regione siciliana, art. 36; d.p.r. 26 luglio 1965 n. 1074, norme di attuazione dello
statuto della regione Sicilia in materia tributaria, art. 2; d.l. 26 novembre 1981 n. 677, contenimento della spesa del bilan
cio statale e di quelli regionali, art. 6; 1. 26 gennaio 1982 n.
11, conversione in legge del d.l. 26 novembre 1981 n. 677, art. 1). Sicilia — Entrate regionali — Somme stanziate dallo Stato —
Contributo di solidarietà nazionale — Riduzione — Questione infondata di costituzionalità (R.d.leg. 15 maggio 1946 n. 455, art. 19, 38; d.l. 26 novembre 1981 n. 677, art. 3; 1. 26 gennaio 1982 n. 11, art.l).
Sicilia — Entrate regionali — Somme stanziate dallo Stato —
Contributo di solidarietà sociale — Riduzione stabilita con de
creto legge convertito e già contenuta in precedenti decreti leg ge non convertiti — Questione inammissibile di costituzionalità
(R.d.leg. 15 maggio 1946 n. 455, art. 19, 36, 38; 1. 26 gennaio 1982 n. 11, art. 2).
È illegittimo, per violazione dell'art. 3, 2° comma, statuto Sici
lia, l'art. 6, 3° comma, d.l. 26 novembre 1981 n. 677, converti
to in l. 26 gennaio 1982 n. 11, nella parte in cui devolve allo
Stato l'importo della tassa per il rilascio dei diplomi di ma
turità. (1) È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3,
2° comma, d.l. 26 novembre 1981 n. 677, convertito in l. 26
gennaio 1982 n. 11, nella parte in cui dispone la riduzione di
25 miliardi dell'importo dovuto dallo Stato alla regione Sicilia
quale contributo di solidarietà nazionale, in riferimento agli art. 19 e 38 statuto Sicilia. (2)
(1-4) La questione di costituzionalità relativa all'art. 2 d.l. 677/81 (di cui, ma sotto altro profilo, alla terza massima) è stata, successivamente alla presente decisione, dichiarata manifestamente infondata da Corte cost. 11 febbraio 1988, n. 164, Foro it., Rep. 1988, voce Contabilità dello
Stato, n. 28. In materia di vincoli di destinazione di somme statali devolute alle re
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