sentenza 25 maggio 1990, n. 259 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 30 maggio 1990, n. 22);Pres. Saja, Est. Caianiello; Comunità israelitica Firenze c. Daskal; interv. Pres. cons. ministri.Ord. Cass. 8 giugno 1989 - 22 agosto 1989, n. 482 (G.U., 1 a s.s., n. 44 del 1989)Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 3027/3028-3031/3032Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185713 .
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3027 PARTE PRIMA 3028
amministrativa non potrebbero considerarsi tali in rapporto alla
legge penale. All'esclusione amministrativa finisce cosi col corrispondere
l'obbligo penale ed all'esclusione penale finisce invece col corri
spondere l'obbligo amministrativo. In tal modo, il senso stesso
della tutela penale viene smarrito, disperso.
Consegue dunque che la rigidità del rinvio ad uno specifico atto preesistente quando persista il potere dell'amministrazione
di revocarlo, di sostituirlo o di modificarlo, rappresenta una
tecnica normativa suscettibile d'indurre incertezze sul contenuto
del fatto ed in questo senso non corrispondente neppure alle
esigenze del principio di determinatezza.
Nel caso di specie il contrasto del combinato disposto degli art. 1, 1° comma, e 5 1. n. 818 del 1984 con l'art. 25, 2° com
ma, Cost, emerge da un ulteriore rilievo specifico. La norma
descrive infatti una fattispecie di reato proprio, riferita al «tito
lare di una delle attività di cui al decreto ministeriale 16 feb
braio 1982»; in questo modo essa rimette al regolamento la de
terminazione della cerchia degli obbligati, che rappresenta pe raltro il nucleo fondante il contenuto d'illecito del reato proprio, in quanto tale contenuto discende essenzialmente dal rapporto funzionale intercorrente tra la posizione del soggetto e l'interes
se tutelato della norma.
Nell'ipotesi di specie, viene cosi demandata all'amministra
zione la determinazione di tutti i termini normativi rilevanti per l'individuazione del fatto tipico, contraddicendo l'esigenza che
sia la legge, e solo la legge dello Stato, a stabilire, con sufficien
te precisione, gli estremi del fatto.
Non possono, pertanto, nel caso in esame, distinguersi, nella
legge penale, gli elementi costituenti sufficiente determinazione
del fatto tipico, essenziali all'individuazione del medesimo, da
gli elementi integranti la determinazione legale (ben consentito
è, invero, che taluni elementi, soprattutto di natura «tecnica»,
impossibilitati ad essere previamente ed una volta per tutte indi
viduati dalla legge penale, vengano dalla stessa legge rimessi
alla storica variabilità delle determinazioni degli atti dell'ammi
nistrazione) a causa della mancanza, nella legge penale impu
gnata, di ogni distinzione che possa ricondurre l'ipotesi in esa
me alle classiche, e consentite, «distinzioni» operate dalla dot
trina e dalla giurisprudenza in tema di rapporti tra legge penale e norme o provvedimenti subordinati, destinati a completare la prima.
Il totale rinvio al regolamento od all'atto amministrativo «su
bordinato», da parte della legge penale (finanche per l'identifi
cazione dei soggetti obbligati) nella persistenza del potere del
l'amministrazione di modificare l'atto stesso, equivale a rinvio, da parte della legge, al potere subordinato ed è, pertanto, chia
ramente violativo della riserva di legge ex art. 25, 2° comma, Cost. Tale tecnica di normazione penale induce, fra l'altro, ad
incertezze sul contenuto essenziale dell'illecito penale; sicché, anche in assenza di modifiche, da parte dell'amministrazione, dell'atto formalmente recepito dalla legge penale, tali incertezze
non possono ritenersi escluse.
5. - In base alle precedenti considerazioni, il totale rinvio del
la legge penale al regolamento od all'atto amministrativo già esistente non può considerarsi rinvio ad uno specifico atto ben
sì, ove perduri la facoltà dell'amministrazione di mutare, sosti
tuire od abrogare l'atto stesso, rinvio al potere subordinato a
quello legislativo e, come tale, costituzionalmente illegittimo. Ed anche quando la legge penale distinguesse, enucleandoli
dall'atto già esistente, gli elementi essenziali del reato dagli ele
menti destinati a completare la sufficiente determinazione del
fatto tipico, legislativamente precisata, ove il potere dell'ammi
nistrazione rimanga libero di mutare, sostituire od abrogare an
che i predetti elementi essenziali, ugualmente potrebbero verifi
carsi gli inconvenienti sopra lamentati.
Ed infatti, se il potere amministrativo modificasse od abro
gasse i predetti elementi essenziali, il saggetto continuerebbe as
surdamente a rimanere vincolato ad un obbligo penale mancan
te del necessario contenuto lesivo mentre al nuovo contenuto
di tutela, amministrativamente determinato, lo stesso soggetto
rimarrebbe, in sede penale estraneo in quanto non penalmente vincolato.
La verità è che alla garanzia, della quale l'art. 25, 2° comma, Cost, è pregnante espressione, non è estraneo il tentativo di
riduzione degli illeciti penali secondo il principio vigente, che
considera il sistema penale quale extrema ratio di tutela dei beni
Il Foro Italiano — 1991.
giuridici (cfr. sentenze di questa corte n. 364 del 1988, cit., e
n. 487 del 1989, id., 1990, I, 26). Con l'accoglimento della sollevata eccezione di legittimità co
stituzionale sotto il profilo della violazione dell'art. 25, 2° com
ma, Cost, risultano assorbiti tutti gli altri profili d'illegittimità
proposti dall'ordinanza di rimessione.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale del combinato disposto degli art. 1, 1° com
ma, e 5, 1° comma, 1. 7 dicembre 1984 n. 818 (nulla osta prov visorio per le attività soggette ai controlli di prevenzione incen
di, modifica agli art. 2 e 3 1. 4 marzo 1982 n. 66 e norme
integrative dell'ordinamento del corpo nazionale dei vigili del
fuoco).
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 maggio 1990, n. 259
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 30 maggio 1990, n. 22); Pres. Saja, Est. Caianiello; Comunità israelitica Firenze c.
Daskal; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Cass. 8 giugno 1989 - 22 agosto 1989, n. 482 (G.U., la s.s., n. 44 del 1989).
Israeliti — Comunità israelitiche — Persone giuridiche pubbli che — Incostituzionalità (Cost., art. 2, 3, 7, 8, 19, 20; r.d.
30 ottobre 1930 n. 1731, norme sulle comunità istraelitiche
e sulla unione delle comunità medesime, art. 1, 2, 3, 15, 17,
18, 19, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 56, 57, 58; 1. 8 marzo
1989 n. 101, norme per la regolazione dei rapporti tra lo Sta
to e l'unione delle comunità ebraiche italiane).
Sono illegittimi, per violazione dell'art. 8, 2° comma, Cost., nonché del principio di laicità dello Stato di cui al combinato
disposto degli art. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost., gli art. 1, 2,
3, 15, 16 frecte." 17), 18, 19, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 56,
57 e 58 r.d. 30 ottobre 1930 n. 1731, nella parte in cui confe riscono natura di persone giuridiche pubbliche alle comunità
israelitiche. (1)
Diritto. — 1. - Le sezioni unite della Corte di cassazione, in un giudizio per regolamento preventivo di giurisdizione rela
(1) L'ordinanza di rimessione Cass. 8 giugno 1989-22 agosto 1989, n. 482 è massimata in Foro it., Rep. 1990, voce Israeliti, n. 1.
Le disposizioni dichiarate incostituzionali erano già state abrogate dalla 1. 101/89, che ha recepito l'intesa stipulata il 27 febbraio 1987 tra lo Stato italiano e l'Unione delle comunità israelitiche (cfr. D. Tedeschi, Intesa con lo Stato: presentazione al congresso straordinario dell'Unio ne delle comunità israelitiche italiane, in Foro it., 1988, V, 100): la
presente pronuncia dispiega, pertanto, i propri effetti soltanto nei con fronti dei rapporti sorti prima dell'entrata in vigore di quella legge. A seguito dell'intesa, le comunità israelitiche (rinominate ebraiche) so no regolate alla stregua di persone giuridiche private.
Sulla natura giuridica delle comunità prima dell'intesa, la giurispru denza era costante nell'affermare la natura di persone giuridiche pub bliche: v., da ultimo, Cass., sez. un., 14 gennaio 1987, n. 194, id., 1987, I, 1789, con nota di richiami. Concorde era pure la dottrina:
cfr., tra gli altri, Bertolino, Ebraismo italiano e l'intesa con lo Stato, in Coppola (a cura di), Il nuovo accordo tra Italia e Santa Sede, Mila
no, 1987, 587; Sacerdoti, Comunità israelitiche (diritto ecclesiastico), voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, VII; Maternini
Zotta, Comunità israelitiche, voce del Digesto pubbl., Torino, 1989, III, 262.
Sul complesso di tali vicende (prima e dopo l'intesa), v. ora E. Rossi, Le comunità ebraiche dal regio decreto del 1930 all'intesa del 1987, in Giur. cost it., 1991, 705 ss.
L'art. 4 r.d. 1731/30 era stato dichiarato incostituzionale, nella parte in cui stabiliva l'appartenenza di diritto alla comunità israelitica di tutti
gli ebrei residenti nel territorio della stessa, da Corte cost. 30 luglio 1984, n. 239, Foro it., 1984, I, 2397, con richiami e nota di Colaianni, L'appartenenza «di diritto» alle comunità israelitiche tra legge, intesa e statuto confessionale.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tivo ad una controversia di lavoro promossa nei confronti di
una comunità israelitica, ha sollevato, in riferimento agli art.
8, 2° comma, nonché 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost., questione di
legittimità costituzionale degli art. 1, 2, 3, 15 16 (recte: 17),
18, 19, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 56, 57 e 58 r.d. 30 ottobre
1930 n. 1731 (norme sulle comunità israelitiche e sull'unione
delle comunità medesime). Si sostiene dal giudice rimettente che le norme denunziate,
considerate nel loro complesso, danno luogo all'attribuzione della
personalità giuridica di diritto pubblico alle comunità in parola, il che contrasta sia con il principio costituzionale dell'autono
mia delle confessioni religiose, che rende illegittima ogni inter
ferenza dello Stato nell'autonomia degli enti costituiti per fini
di religione, sia con il principio della laicità dello Stato, espressi nei parametri costituzionali invocati.
2. - Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibi
lità per irrilevanza della questione, proposta dalla presidenza del consiglio interveniente nell'assunto che la peculiare configu razione pubblicistica delle comunità israelitiche derivante dalla
disciplina che, ratione temporis, deve essere applicata al rap
porto controverso, non si ripercuoterebbe sui rapporti di lavoro
al punto da comportare la giurisdizione del giudice amministra
tivo e, di conseguenza, la controversia potrebbe essere attribui
ta al giudice ordinario del lavoro, indipendentemente dalla riso
luzione della questione di legittimità costituzionale.
Al riguardo va osservato che, come è stato posto in evidenza
nell'ordinanza di rimessione, alla stregua della previgente disci
plina dettata dal r.d. 30 ottobre 1930 n. 1731 (espressamente
abrogato dalla 1. 8 marzo 1989 n. 101 che il giudice a quo ritie
ne però non applicabile ratione temporis al rapporto controver
so), sotto il cui regime si è esaurito il rapporto di lavoro ogget to del giudizio a quo, era pacifica, in giurisprudenza e nella
prevalente opinione della dottrina, la natura pubblica della per sonalità giuridica delle comunità, perché tale natura, anche se
non era espressamente dichiarata dalla legge, si desumeva dal
complesso delle disposizioni contenute nella disciplina citata che
verrà in prosieguo meglio illustrata.
Le sezioni unite della Cassazione, muovendo da questa pre
messa, ritengono che la risoluzione della questione di giurisdi zione sia esclusivamente condizionata dalla qualificazione della
personalità giuridica delle comunità israelitiche nel senso che
solo se, attraverso la dichiarazone di illegittimità costituzionale
delle norme denunciate (che è appunto lo scopo per cui è stata
sollevata la questione), si faccia venir meno la qualificazione
pubblica di tali enti, potrebbe addivenirsi all'attribuzione della
controvesia al giudice ordinario del lavoro.
In presenza dell'obiettivo thema decidendum risultante dal
l'ordinanza di rimessione, non può questa corte, come invece
sembra adombrare l'interveniente, sostituirsi al giudice a quo con il modificare l'oggetto del giudizio sulla giurisdizione spo standolo su profili diversi, che possano consentire di far quali ficare il rapporto di lavoro come privatistico, indipendentemen te dalla qualificazione dell'ente datore di lavoro, su cui invece
si basa l'ordinanza di rimessione.
Una pronuncia del genere non spetta alla Corte costituzionale
che, nel valutare il presupposto della rilevanza, deve muovere
dall'oggetto del giudizio pendente dinanzi al giudice che ha ri
messo la questione per verificare se la sua decisione sia effetti
vamente condizionata dal quesito di costituzionalità: il che, se
condo quanto si è avuto modo di esporre, appare nella specie indubitabile.
3.1. - Nel merito la questione è fondata.
In proposito non sembra possibile che si possa pervenire, co
me adombrato dall'interveniente, all'affermazione della natura
privatistica delle comunità israelitiche mediante un'interpreta
zione adeguatrice delle norme denunciate ai parametri costitu
zionali invocati. Questa interpretazione è preclusa, secondo quan to dimostrato anche dal giudice a quo, sia dalla contraria con
creta attuazione della disciplina, secondo la prassi
giurisprudenziale ed amministrativa e l'opinione della prevalen te dottrina — che si sono mosse sempre nel prsupposto della
natura pubblica delle comunità — sia dalla considerazione che,
come si dirà fra poco, le norme denunciate delineano una disci
plina nel suo complesso incompatibile con la qualficazione pri vatistica di tali enti, che non potrebbe perciò essere affermata
se non per effetto dell'eliminazione della disciplina sospettata di incostituzionalità.
Il Foro Italiano — 1991.
L'art. 1 r.d. del 1930, n. 1731 determina difatti gli scopi ed
i compiti delle comunità: l'art. 2 indica le entità che possono essere riconosciute quali comunità israelitiche e le circoscrizioni
territoriali di ciascuna di esse; l'art. 3 fissa le modalità per l'isti
tuzione di nuove comunità e per le loro trasformazioni; l'art.
15 elenca i compiti del consiglio; l'art. 16 (recte: 17, in quanto è riguardo a tale norma che, in concreto si appuntano le censu
re, come risulta nella parte motiva dell'ordinanza di rimessione) determina i poteri della giunta; gli art. 18 e 19 riguardano la
nomina e le attribuzioni del presidente e del vice presidente;
gli art. da 24 a 30 concernono i poteri impositivi delle comuni
tà, i contributi obbligatori a carico degli appartenenti ad esse, la fissazione della relativa aliquota da parte del consigio, la va
lutazione del reddito complessivo di ciascun contribuente, la for
mazione e la pubblicazione della matricola, il sistema dei ricorsi
avverso la determinazione dell'imponibile ed il ricorso all'auto
rità giudiziaria solo per violazione di legge, la pubblicazione del ruolo e la riscossione dei contributi con le forme ed i privi
legi previsti per la riscossione delle tasse comunali, la disciplina
dell'obbligo di pagamento dei contributi; l'art. 56 (modificato
per effetto del r.d. 20 luglio 1932 n. 884 e del r.d.l. 19 agosto 1932 n. 1080) prevede la vigilanza e la tutela sulle comunità, affidandole al ministero dell'interno; l'art. 57 disciplina lo scio
glimento degli organi amministrativi e la nomina di un commis
sario governativo; l'art. 58 concerne l'approvazione governati va dei regolamenti generali di amministrazione e dei regolamen ti organici della comunità.
Da quanto precede risulta che se è in presenza di un corpo normativo unitario che imprime alle comunità israelitiche il ca
rattere di enti pubblici. Difatti, come si rileva nell'ordinanza
di rimessione, da un canto esso attribuisce agli organi dello Sta
to un penetrante potere di ingerenza sul modo di essere struttu
rale e funzionale di detti enti, molto simile a quello proprio
degli enti pubblici territoriali minori e quale non è dato di ri
scontrare nel nostro ordinamento per nessun ente privato e, d'al
tra parte, conferisce alle comunità poteri autoritativi e privilegi in materia di riscossione dei contributi, che presuppongono l'im
plicito riconoscimento della natura pubblica degli enti cui essi
vengono attribuiti.
Trattandosi di un corpo normativo unitario — in cui il confe
rimento di poteri propri degli enti pubblici è reso possibile dalla
particolare posizione di soggezione in cui le comunità sono po ste nei confronti degli organi dello Stato mentre, reciprocamen
te, questa posizione di soggezione si giustifica in virtù della con
temporanea attribuzione di poteri pubblicistici — non sembra
possibile isolare ciascuna delle norme denunciate, per cui, ai
fini dello scrutinio di legittimità, esse devono essere considerate
globalmente. Ma come è stato bene posto in evidenza dal giudi ce rimettente, è proprio dalla reciproca connessione tra tali nor
me che viene desunto il carattere pubblico della personalità giu ridica delle comunità in parola, carattere che si presenta del
tutto incompatibile con il principio costituzionale dell'autono
mia statutaria delle confessioni religiose diverse dalla cattolica
(art. 8, 2° comma, Cost.) e con quello della laicità dello Stato
(art. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost.). 3.2. - Che sussista tale incompatibilità discende anche dalla
considerazione che, come questa corte ha già affermato (sent, n. 43 del 1988, Foro it., Rep. 1988, voce Israeliti, n. 4), «al
riconoscimento da parte dell'art. 8, 2° comma, Cost., della ca
pacità delle confessioni religiose, divese dalla cattolica, di do
tarsi di propri statuti, corrisponde l'abbandono da parte dello
Stato della pretesa di fissarne direttamente per legge i contenuti».
La natura pubblica della personalità giuridica conferita alle
comunità israelitiche dal complesso delle norme denunciate con
trasta con detto principio, perché tale natura presuppone, un
regime cui corrisponde tutt'altro che l'abbandono da parte del
lo Stato di quel potere d'ingerenza che questa corte ha ritenuto
in contrasto con molti dei parametri costituzionali assunti dal
giudice a quo come termine di riferimento. Tale regime, come
è stato difatti osservato dalla dottrina, cui già in passato ha
fatto riferimento la giurisprudenza di questa corte (sent. n. 239
del 1984, id., 1984, I, 2397) per trarne analoghe conclusioni
determina una sorte di «costituzione civile» di una confessione
religiosa ad opera del legislatore statale, un esempio, forse uni
co nel nostro ordinamento giuridico, di statuto di confessione
religiosa formato ed emanato dallo Stato.
Non può perciò reputarsi conforme ai richiamati principi la
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3031 PARTE PRIMA 3032
normativa da cui tale regime deriva, soprattutto perché essa com
porta l'assoggettamento di formazioni sociali, che si costitui scono sul sostrato di una confessione religiosa, alla penetrante ingerenza di organi dello Stato; il che, inoltre, rispetto alle altre
religioni, costituisce una palese discriminazione che contrasta con il principio di uguaglianza, con quello della libertà religiosa e con quello dell'autonomia delle confessioni religiose.
Tale discriminazione — conseguente al carattere pubblicistico impresso alla personalità giuridica dal complesso delle norme denunciate — sia che si manifesti in una penetrante ingerenza nel modo di essere e nelle attività delle comunità israelitiche, sia che si manifesti, reciprocamente, nell'attribuzione di poteri autoritativi che sono propri degli enti pubblici, si pone altresì in contrasto con il principio di laicità dello Stato perché, come è stato già affermato dalla corte (sent. n. 203 del 1989, id., 1989, I, 1333), questo «implica . . . garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale». Invece un regime cosi speciale —
relativo ad istituzioni che trovano la loro ragion d'essere nel fattore religioso — sia esso di favore o di sfavore o contempo raneamente, come nella specie, nell'uno e nell'altro senso, fa venir meno proprio tale garanzia.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionle degli art. 1, 2, 3, 15 e 16 (recte: 17), 18, 19, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 56, 57, 58, r.d. 30 ottobre 1930 n. 1731 (norme sulle comunità israelitiche e sulla unione delle comunità medesime), questione sollevata dalla Corte di cassa
zione, sezione unite civili, con ordinanza emessa l'8 giugno 1989.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 15 otto bre 1991, n. 10829; Pres. Benanti, Est. M. De Luca, P.M. Chirico (conci, parz. diff.); Alesi e altri (Avv. Ventura) c. Soc. Italgas ed altri (Aw. Hernandez, Grasselli). Cassa Trib. Roma 9 dicembre 1988.
CORTE DI CASSAZIONE;
Lavoro (rapporto) — Trasferimento d'azienda — Cessione del
pacchetto azionario — Configurabilità — Esclusione (Cod.
civ., art. 2112).
La cessione del pacchetto azionario non comporta sostituzione della persona dell'imprenditore — ma soltanto modifiche nel la titolarità delle azioni dell'unica società — e, come tale, non configura trasferimento d'azienda (ai sensi e per gli ef fetti dell'art. 2112 c.c.). (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 10 agosto 1991, n. 8761; Pres. Menichino, Est. Alvaro, P.M. Marto ne (conci, diff.); Soc. Mmp e T (Avv. Perone, Ficalora)
(1) Non constano precedenti specifici sul problema concernente la configurabilità come trasferimento d'azienda (ai sensi e per gli effetti dell'art. 2112 c.c.) della cessione del pacchetto azionario.
Tuttavia, la distinzione tra i due concetti (trasferimento d'azienda, appunto, e cessione del pacchetto azionario) risulta enunciata — sia pure a fini diversi — da Cass. 1836/74 (Foro it., 1975, I, 2795).
Sul piano dell'interpretazione della disciplina collettiva, si colloca, invece, il problema — affrontato dalle altre due sentenze in rassegna (8761/91, 1098/91) — concernente la riconducibilità della cessione di pacchetto azionario della società datrice di lavoro alla nozione, appun to, «contrattuale» di trasferimento della proprietà dell'azienda, al fine dell'insorgenza del diritto all'indennità sostitutiva del preavviso, con trattualmente previsto a favore del dirigente dimissionario in dipenden za di quella vicenda societaria.
Il Foro Italiano — 1991.
c. Saccenti (Avv. Magrini). Conferma Trib. Milano 31 mag gio 1988.
Lavoro (rapporto) — Dirigenti di aziende commerciali — Disci
plina collettiva — Cessione del pacchetto azionario — Confi
gurabilità del trasferimento d'azienda — Interpretazione del la disciplina collettiva da parte del giudice di merito — Incen
surabilità (Cod. civ., art. 1362, 2112; cod. proc. civ., art. 360).
Non viola i canoni legali di ermeneutica contrattuale il giudice del merito, che — ricorrendo ai criteri sussidiari di interpreta zione, a fronte del tenore letterale non chiaro né univoco del la clausola di contratto collettivo di diritto comune (nella spe cie, art. 17 ccnl 12 luglio 1984 per i dirigenti di aziende com
merciali) — configuri la cessione del pacchetto azionario della
società da trice di lavoro come trasferimento della proprietà dell'azienda, al fine dell'insorgenza del diritto all'indennità sostitutiva del preavviso, contrattualmente previsto a favore del dirigente che si dimetta in dipendenza di quella vicenda
societaria. (2)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 5 febbraio
1991, n. 1098; Pres. Nocella, Est. De Rosa, P.M. Tridico
(conci, conf.); Soc. Viva (Avv. Irace) c. Righetti (Avv. Gon
dolini, D'Angelantonio). Cassa Trib. Milano 20 febbraio 1988.
Lavoro (rapporto) — Dirigenti di aziende commerciali — Disci
plina collettiva — Cessione del pacchetto azionario — Confi
gurabilità del trasferimento d'azienda — Interpretazione del la disciplina collettiva da parte del giudice di merito — Viola
zione di canoni legali di ermeneutica contrattuale —
Censurabilità in sede di legittimità (Cod. civ., art. 1362, 2112; cod. proc. civ., art. 360).
Viola i canoni legali di ermeneutica contrattuale il giudice di
merito, che — discostandosi dal chiaro ed univoco tenore let
terale della clausola di contratto collettivo di diritto comune
(nella specie, art. 17 ccnl 12 luglio 1984 per i dirigenti di aziende
commerciali) — configuri la cessione del pacchetto azionario
della società datrice di lavoro come trasferimento della pro prietà dell'azienda, al fine dell'insorgenza del diritto all'in
dennità sostitutiva del preavviso, contrattualmente previsto a
favore del dirigente che si dimetta in dipendenza di quella vicenda societaria. (3)
(2-3) Il diverso apprezzamento — su chiarezza ed univocità della clau sola contrattuale considerata (art. 17 ccnl 12 luglio 1984 per i dirigenti di aziende commerciali) — sorregge le contrastanti decisioni della Corte di cassazione (8761/91 e 1098/91, in epigrafe), in relazione alla medesi ma interpretazione di quella clausola da parte dei giudici di merito.
Entrambe le sentenze muovono, infatti, dai principi di diritto — che possono considerarsi ius receptum nella giurisprudenza di legittimità (vedi, per tutte — oltre la giurisprudenza citata nelle sentenze in epigrafe —
Cass., sez. un., 1891/89 ed altre coeve, Foro it., Rep. 1989, voce Lavo ro (rapporto), n. 2074, riportata — limitatamente ad altra parte — in Foro it., 1989, I, 2490; 668/90, 11228/90, id., Rep. 1990, voce cit., nn. 2027, 2028) — secondo cui l'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è riservata ai giudici di merito, ma può essere censu rata in sede di legittimità (oltre che per vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. anche) per violazione dei canoni legali di er meneutica contrattuale (art. 1362 ss. c.c.), tra i quali il criterio dell'in terpretazione letterale ha carattere prioritario — con riferimento a quei contratti — e non consente il ricorso a criteri sussidiari, nel caso in cui ne risulti, appunto, chiaro ed univoco il tenore letterale.
In senso conforme alla più recente delle due sentenze in epigrafe (8761/91), v. Cass. 2009/88 (id., Rep. 1988, voce cit., n. 739, e per esteso in Notiziario giuriaprudenza lav., 1988, 400).
Sulla questione — concernente la riconducibilità della cessione di pac chetto azionario della società datrice di lavoro alla nozione «contrat tuale» di trasferimento della proprietà dell'azienda, al fine dell'insor
genza del diritto all'indennità sostitutiva del preavviso, contrattualmen te previsto a favore del dirigente dimissionario in dipendenza di tale vicenda societaria — v. Trib. Milano 6 aprile 1989, Foro it., 1990, I, 621, con nota di richiami.
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