sentenza 26 gennaio 1988, n. 82 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 10 febbraio 1988, n. 6);Pres. Saja, Est. Greco; Enel c. Serretta. Ord. Cass. 11 gennaio 1980 (G.U. n. 159 del 1980)Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 3215/3216-3217/3218Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181527 .
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3215 PARTE PRIMA 3216
fra il dipendente pubblico e il privato; e comunque è sufficiente
rilevare che gli obblighi che incombono su entrambi i coniugi
verso la famiglia ai sensi dell'art. 143 del vigente c.c. non posso no non comprendere anche i figli nati dal precedente matrimonio
di un coniuge (sciolto per divorzio) ove questi ne sia affidatario,
e sempreché l'altro genitore non provveda: condizioni queste la
cui sussistenza dovrà essere accertata dall'amministrazione o dal
giudice di merito, costituendo esse il presupposto di legge perché
sorga il diritto a percepire l'aggiunta di famiglia. Né va infine dimenticato che già in materia di assistenza sani
taria ai dipendenti statali la 1. 19 gennaio 1942 n. 22 ha compreso fra i familiari aventi diritto all'assistenza (art. 4, n. 2) «i figli nati da precedente matrimonio del coniuge»; e, seppure non si
versa nella stessa materia, tale estensione in materia affine dimo
stra che l'esigenza era stata avvertita dal legislatore e aveva tro
vato accoglimento nel sistema.
6. - L'accertato fondamento della questione di legittimità costi
tuzionale della norma denunciata, per contrasto con l'art. 3 Cost.,
rende superfluo l'esame degli altri profili sollevati dal rimettente
T.A.R. del Lazio.
Per questi motivi, la corte costituzionale dichiara la illegittimi tà costituzionale dell'art. 4, 1° comma, d.leg.lgt. 21 novembre
1945 n. 722 («provvedimenti economici a favore dei dipendenti
statali») nella parte in cui non comprende anche i figli nati da
precedente matrimonio dell'altro coniuge che ne sia affidatario.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 26 gennaio 1988, n. 82
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 10 febbraio 1988, n. 6); Pres. Saja, Est. Greco; Enel c. Serretta. Orci. Cass. 11 gen naio 1980 (G.U. n. 159 del 1980).
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Nuovo rito
del lavoro — Divieto di nuove eccezioni in appello — Discipli na transitoria — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. civ., art. 437; 1. 11 agosto 1973 n. 533,
disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle con
troversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, art.
20).
È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.
437, 2° comma, c.p.c. e 20, 1° comma, I. 11 agosto 1973 n.
533, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., poiché il divieto di proporre nuove eccezioni in appello introdotto dal nuovo rito
del lavoro non si applica ai procedimenti già pervenuti in pri mo grado alla fase decisoria al momento dell'entrata in vigore della l. 533/73. (1)
(1) I. - L'ordinanza 8 marzo 1980, n. 141 con la quale la Cassazione ha sollevato la questione decisa dalla sentenza in epigrafe è riportata in Foro it., 1980, I, 1326, con nota di richiami.
L'ordinanza di rimessione muove da una interpretazione letterale del
combinato disposto dagli art. 20 1. 533/73 e 437 c.p.c.: posto che la pri ma norma (disciplina transitoria dei giudizi pendenti) statuisce che il nuo vo rito del lavoro è applicabile anche ai giudizi in corso al momento della sua entrata in vigore e la seconda dispone il divieto di nuove do mande e eccezioni in appello, si è concluso che tale divieto sarebbe appli cabile anche nel caso in cui tutto il giudizio di primo grado si fosse svolto secondo il vecchio rito. Di qui la prospettata violazione dell'art. 24 Cost,
(in quanto la disciplina in esame non consentirebbe di proporre in appel lo le eccezioni non formulate in primo grado nella consapevolezza di po terle dedurre in fase di impugnazione, come era consentito dal vecchio
rito) e dell'art. 3 Cost, (per disparità di trattamento fra le parti nei giudi zi pendenti all'atto dell'entrata in vigore della 1. 553/73, a seconda che tali giudizi si trovassero o meno in fase decisoria).
II. - La sentenza interpretativa di rigetto con la quale la Corte costitu
zionale ha dichiarato infondata la prospettata questione di costituzionali tà si segnala sotto vari profili:
a) In primo luogo essa chiarisce la portata ed il campo di applicazione dell'art. 437, 2° comma, c.p.c. La corte non accoglie la tesi prospettata in alcune sentenze della Cassazione (cfr. sent. 8 gennaio 1980, n. 144 e 25 maggio 1978, n. 2655, id., 1980, I, 1367, con nota di richiami) secondo
Il Foro Italiano — 1988.
Fatto. — Una controversia individuale di lavoro fra Serretta
Giovanni e l'Enel, introdotta con citazione notificata il 29 dicem
bre 1969, perveniva all'udienza di precisazione delle conclusioni
il 1° marzo 1973 senza che, fino a tale momento, il convenuto
avesse proposto l'eccezione di prescrizione dei crediti ex adverso
vantati. All'udienza del 31 maggio 1974, fissata per la discussio
ne, la causa veniva trattenuta in decisione e, quindi, definita con
sentenza del 28 giugno 1974, avverso la quale l'Enel proponeva
appello (nelle forme previste dal nuovo rito delle controversie di
lavoro disciplinato dalla 1. 11 agosto 1973 n. 533, entrata in vigo
re nel frattempo), sollevando, col relativo atto, l'eccezione sud
detta. L'adita corte d'appello respingeva il gravame, rilevando,
fra l'altro, che l'eccezione stessa non poteva essere proposta, stante
il divieto di ius novorum di cui all'art. 437 c.p.c., nel testo novel
lato dalla citata 1. n. 533 del 1973, applicabile ai giudizi pendenti alla data della sua entrata in vigore, giusto il disposto dell'art.
20 della legge medesima.
Nel susseguente giudizio di cassazione, introdotto dall'Enel, la
corte, con ordinanza emessa I'll gennaio 1980, ha sollevato la
questione di legittimità costituzionale degli art. 437, 2° comma
c.p.c. (nuovo testo) e 20, 1° comma, 1. n. 533 del 1973, nella
parte in cui, in contrasto con gli art. 3 e 24 Cost., non consento
no la proposizione di nuove eccezioni in appello, in via transito
ria e con riferimento ai casi di procedimenti svoltisi in primo
grado secondo il rito previgente alla menzionata legge (e, quindi,
senza soggezione al regime delle preclusioni e decadenze con que
sta introdotto) e sottoposti, poi, nella fase di gravame, alla trat
tazione col nuovo rito.
Con specifico riguardo alla fattispecie — donde la rilevanza
della questione — la corte ha osservato che la mancata proposi zione dell'eccezione di prescrizione in primo grado era correlata
alla facoltà di proporla senza limite alcuno (salvo l'eventuale onere
delle spese) nel giudizio di appello, sicché il venir meno di tale
le quali l'art. 437 precluderebbe la proponibilità di nuove eccezioni nel
l'udienza di discussione, ma non la possibilità, ex art. 345 c.p.c., di pro
porre nuove eccezioni con l'atto di appello; essa ribadisce, secondo il
prevalente orientamento dottrinale e giurisprudenziale [cfr. C. M. Baro
ne (V. Andrioli, G. Pezzano, A. Proto Pisani), Le controversie in
materia di lavoro, Bologna-Roma, 1987, 868, ed ivi indicazioni giurispru denziali] il divieto di nuove domande ed eccezioni in appello, sancito
nel rito lavoro dall'art. 437, 2° comma, c.p.c. b) La corte tuttavia adotta un'interpretazione «elastica» dell'art. 20
1. 533/73, tale da superare la regola dell'immediata applicabilità del nuo
vo rito ai giudizi pendenti, rendendolo così compatibile con la situazione
processuale cui ciascun procedimento è pervenuto al momento dell'entra
ta in vigore della legge. Per un tale «adattamento» della regola, per vero
apparentemente assai rigida, contenuta nell'art. 20, si era del resto espressa la dottrina fin dai primi commenti alla 1. 533/73 (cfr. Denti-Simoneschi, Il nuovo processo del lavoro, Milano, 1974, 316 ss).
In tal senso si veda anche la giurisprudenza secondo la quale le preclu sioni di cui agli art. 414 e 416 c.p.c. non possono riferirsi ai procedimenti già pendenti al momento dell'entrata in vigore della legge (cfr. Cass. 5
maggio 1983, n. 3093, Foro it., Rep. 1983, voce Lavoro e previdenza
(controversie), n. 694).
c) La corte giustifica la necessità di un tale «adattamento» con l'esigen za di coordinare il regime delle preclusioni e decadenze stabilito relativa mente al giudizio di appello con quelle operanti nel giudizio di primo grado: con la conseguente impossibilità di precludere alle parti l'esercizio
di quelle facoltà che avevano ritenuto di non esercitare in primo grado in quanto la normativa allora in vigore le rendeva esperibili anche in
appello. III. - Le conclusioni cui è pervenuta la Corte costituzionale con la sen
tenza in epigrafe erano già state accolte dalla Cassazione, la quale, suc
cessivamente all'ordinanza 8 marzo 1980, n. 141 (e pertanto con un palese e censurabile difetto di informazione sul giudizio pendente di fronte alla
Corte costituzionale) ha ritenuto che l'entrata in vigore della 1. 533/73 non preclude alla parte la possibilità di proporre in appello per la prima volta l'eccezione di prescrizione non sollevata in primo grado, per l'im
possibilità di ritenere operante in tal caso l'art. 20 1. 533/73 (Cass. 13
giugno 1980, n. 3789, id., 1980, I, 1867, e 18 febbraio 1983, n. 1265, id., Rep. 1983, voce cit., n. 550).
In senso contrario, cfr. Cass. 6 febbraio 1984, n. 906, id., Rep. 1984, voce cit., n. 444, la quale ha invece affermato che il divieto di nuovi mezzi di prova in appello ex art. 437, 2° comma, c.p.c. ricorre anche
quando la controversia, introdotta e trattata in primo grado secondo il rito ordinario benché fosse soggetta al rito del lavoro, sia poi stata
proposta e trattata in sede di gravame secondo quest'ultimo rito. [F. Donati]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
facoltà ha reso impossibile l'esercizio di una difesa, quale l'ecce
zione, che è oggetto di uno specifico diritto della parte che possa
avvalersene, con conseguente violazione dell'art. 24 Cost. Inol
tre, la carenza di disposizioni di diritto transitorio dirette a por re rimedio, in casi analoghi a quello in questione, alla soppressione della medesima facoltà produce, ad avviso della corte, disparità di trattamento, in violazione dell'art. 3 Cost., fra le posizioni delle parti nei giudizi pendenti all'atto dell'entrata in vigore del
la 1. n. 533 del 1973, a seconda che tali giudizi si trovassero
o meno in fase decisoria.
Non vi sono state costituzioni né interventi.
Diritto — La questione, nei termini sopra esposti, è infonda
ta. Invece, il divieto di cui al 2° comma dell'art. 437 c.p.c.
(nuovo testo) di proporre nuove eccezioni in appello, nelle con
troversie soggette al rito del lavoro, va necessariamente coordi
nato con il regime di preclusioni e decadenze stabilito, nell'ambito
di tale rito, relativamente al giudizio di primo grado. In buona sostanza, le preclusioni in appello, ripristinate con
la 1. n. 533 del 1973, hanno la loro coerente ed insopprimibile
ragion d'essere nella nuova struttura conferita al processo di
primo grado da tale legge, con l'applicazione dei principi di
oralità e di immediatezza: sarebbe, pertanto, contrario al siste
ma processuale, globalmente considerato, imporle a quanti ab
biano partecipato al giudizio di primo grado secondo il rito
determinato dalla legge previgente. In altre parole, lo ius novorum consentito dall'art. 345 c.p.c.
va considerato, nel caso in cui il procedimento di primo grado si sia svolto secondo il vecchio rito, come un effetto già prodot to dalla sentenza conclusiva di detto procedimento con la conse
guenza che esso risulta utilizzabile dalle parti nell'udienza di
discussione fissata davanti al giudice di appello a norma dell'art.
435, 1° comma, c.p.c. Alla stregua di siffatta interpretazione, deve, pertanto, esclu
dersi che le parti della controversia individuale di lavoro svoltasi
in primo grado secondo il rito previgente alla 1. n. 533 del 1973
risultino private di quelle facoltà che avevano legittimamente ritenuto di non esercitare durante detto grado di giudizio; sicché
ne consegue la non contrarietà delle norme censurate ai ricordati
precetti costituzionali.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli art. 437 , 2° comma, c.p.c. e 20, 1° comma,
1. 11 agosto 1973 n. 533, sollevata, in riferimento agli art. 3
e 24 Cost., della Corte di cassazione con l'ordinanza in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 16 dicembre 1987, n.
525 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 30 dicembre 1987, n. 55); Pres. Saja, Est. Baldassarre; Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Laporta) c. Regione Emilia-Romagna (Avv. Pe
tronio).
Regione — Emilia-Romagna — Acquisto di medicinali e mate
riale sanitario da parte dell'unità sanitaria locale — Conven
zione con aziende locali e società di capitali — Questione
infondata di costituzionalità (Cost., art. 117; 1. 23 dicembre
1978 n. 833, istituzione del servizio sanitario nazionale, art. 28).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
8, 4° comma, I. reg. Emilia-Romagna approvata il 28 febbraio
1985 e riapprovata I'll giugno successivo, nella parte in cui
prevede la possibilità per le unità sanitarie locali di convenzio
narsi con aziende locali o con società di capitali al fine di
acquisire medicinali, materiale sanitario, nonché altri beni e
servizi, in riferimento all'art. 117 Cost. (1)
(1) 11 ricorso del presidente del consiglio dei ministri notificato il 1°
luglio 1986 è pubblicato in Gazzetta ufficiale, la s.s., 6 agosto 1986, n. 39.
In merito al rapporto convenzionale di assistenza farmaceutica nell'am
bito del servizio sanitario nazionale, v. Trib. Prato 10 luglio 1985, Foro
it., Rep. 1986, voce Sanità pubblica, n. 187 (che inquadra il rapporto
Il Foro Italiano — 1988.
Diritto. — 1. - Il ricorso governativo che introduce il presente
giudizio solleva la questione se l'art. 8, ultimo comma, 1. reg.
Emilia-Romagna dal titolo «modificazioni e integrazioni alla 1.
reg. 29 marzo 1980 n. 22, recante norme per la utilizzazione e
la gestione del patrimonio e la disciplina della contabilità dell'u
nità sanitaria locale», riapprovata I'll giugno 1986, violi: a) l'art.
28 1. 23 dicembre 1978 n. 833, che prevede l'acquisto diretto,
da parte dell' Usi, delle preparazioni farmaceutiche da distribuire
agli assistiti per il tramite di farmacie di cui sono titolari enti
pubblici o da utilizzare presso gli ospedali, gli ambulatori e tutti
gli altri presidi sanitari; b) i principi della contabilità pubblica relativi alla trattativa privata e, in particolare, la regola della li
bertà di scelta del contraente.
2. - Prima di entrare nel merito delle questioni sollevate, occor
re tuttavia esaminare l'eccezione di inammissibilità del ricorso,
prospettata nella memoria difensiva della regione Emilia-Romagna, la quale è motivata da una presunta difformità tra il contenuto
del rinvio e quello del ricorso.
L'eccezione è infondata.
È costante giurisprudenza di questa corte (cfr., da ultimo, sent,
nn. 217 e 289 del 1987, Foro it., 1987, I, 2918) che il principio della corrispondenza sostanziale tra motivi del rinvio e motivi
del ricorso sia salvo anche quando i primi siano espressi in forma
sintetica e sommaria, purché la regione abbia potuto rendersi ra
gionevolmente conto della sostanziale identità delle obiezioni ri
voltele dal governo e riprese poi più diffusamente nel ricorso.
Nel caso di specie l'atto di rinvio contiene due distinti motivi
di incostituzionalità: il primo fondato sull'osservazione che l'art.
8, ultimo comma, della legge rinviata «non è in linea con l'art.
28» della riforma sanitaria; il secondo basato sul rilievo che la
disposizione impugnata «potrebbe annullare completamente il ri
corso alla trattativa privata per l'acquisizione sia di beni che di
servizi». L'eccezione della regione si appunta contro quest'ultimo
motivo, dal momento che, mentre nel ricorso l'avvocatura dello
Stato concentra le sue obiezioni sulla pretesa violazione del prin
cipio della libertà del contraente, ritenuto insito nelle regole gene
rali sulla trattativa privata, nel rinvio invece il governo aveva
all'interno del negozio di somministrazione); Pret. Siena 14 novembre
1985, ibid., n. 189; T.A.R.. Lazio, sez. I, 9 ottobre 1985, n. 1124, ibid., n. 199; mentre, con riguardo alla natura delle convenzioni con i laborato
ri di analisi, v. Cass. 21 febbraio 1987, n. 1872, id., 1987, I, 2779, con
nota di richiami. In dottrina, v. Nicoioso, Sulla nuova convenzione to
scana fra Urtofar e regione per l'assistenza farmaceutica nel 1986, in
Rass. dir. farmaceutico, 1986, 434; Turco, Farmacie convenzionate e
tutela giurisdizionale differenziata, in Rass. amm. sanità, 1987, 1 ss.
Relativamente alle convenzioni tra servizio sanitario nazionale e medi
ci, con particolare riguardo al problema dell'uso del ricettario unico re
gionale, v., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 1986, n. 702, e T.A.R. Piemonte, sez. II, 10 marzo 1986, n. 117, Foro it., 1987, III,
125, con nota di richiami.
Con riguardo al convenzionamento delle società di professionisti con
Usi per l'assistenza a domicilio e ambulatoriale, v. ora Cons. Stato, ad.
gen., 30 ottobre 1986, n. 35, id., 1988, III, 106, con nota di richiami, con cui si ritengono illegittime le norme di attuazione dell'accordo collet
tivo nazionale 22 febbraio 1980, reso esecutivo con d.p.r. 16 maggio 1980, sulla base della ritenuta inammissibilità (ex 1. 1815/39) della costituzione
di società che abbiano come oggetto sociale l'esercizio in comune della
professione medica. Circa la competenza di un presidente di Usi a disporre il recupero a
carico di un laboratorio convenzionato delle somme corrisposte per pre stazioni non rientranti nella convenzione, v. T.A.R. Lazio, sez. I, 5 no
vembre 1984, n. 978, id., 1986, III, 36, con nota di richiami; invece,
per la competenza a conferire incarichi, da parte dell'Usi, di guardia me
dica in regime di convenzione, v. T.A.R. Lazio, sez. Latina, 4 dicembre
1985, n. 366, id., Rep. 1986, voce cit., n. 128.
Relativamente infine alla necessità dell'autorizzazione da parte delle
Usi per accedere agli ambulatori e alle strutture private convenzionate,
cfr. Corte cost. 15 maggio 1987, n. 173, id., 1987, I, 2291.
In generale, v. Buratti, Il servizio sanitario nazionale fra decentra
mento istituzionale e controllo centrale della spesa, in Dir. e società, 1986,
107; Roversi Monaco (a cura di), L'ospedalità privata tra libertà d'im
presa e pubblica funzione, Rimini, 1986, contenente in appendice il d.p.c.m. 27 giugno 1986 concernente l'indirizzo e il coordinamento dell'attività
amministrativa delle regioni in materia di requisiti delle case di cura pri
vate; e, da ultimo, Usi e aziende municipalizzate: indirizzo politico e que stione tecnino-amministrativa, Atti del convegno svoltosi a Bologna il
9 maggio 1986 (con relazioni di Roversi Monaco, Azzena, Cattaneo,
Speraza) pubblicati in Sanità pubblica, 1987 , 997 ss.
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