sentenza 28 dicembre 1990, n. 579 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 2 gennaio 1991, n. 1);Pres. Conso, Est. Casavola; Palermo c. Proc. gen. Cass. ed altri. Ord. Cass. 22 giugno 1989 (G.U.,1 a s.s., n. 29 del 1990)Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 709/710-711/712Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185319 .
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709 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 710
divulgabili e che tale segreto debba comunque valere per tutte
le attività della commissione riguardanti i privati e l'esercizio
delle loro attività economiche. Anche tale disciplina del segreto non incorre nel vizio di costituzionalità denunciato, dal mo
mento che viene a operare entro i limiti ordinari del segreto di ufficio, la cui determinazione, per quanto concerne l'attività
svolta da un organo regionale quale è la commissione, non può
spettare altro che alla valutazione discrezionale della stessa
regione. Nessuna delle norme che formano oggetto di impugnative spe
cifiche viene, pertanto, a incorrere nei profili di incostituziona
lità che sono stati denunciati.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta la questione di legittimità costituzionale sollevata, con il ri
corso di cui in epigrafe, nei confronti della legge della regione siciliana approvata dall'assemblea regionale il 28 luglio 1990,
recante «istituzione di una commissione parlamentare d'inchie
sta e vigilanza sul fenomeno della mafia in Sicilia», con riferi
mento agli art. 14 e 17 dello statuto speciale della regione sici
liana ed all'art. 97 Cost., anche in relazione ai limiti posti dal
vigente codice di procedura penale.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 28 dicembre 1990, n.
579 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 gennaio 1991, n.
1); Pres. Conso, Est. Casavola; Palermo c. Proc. gen. Cass.
ed altri. Orci. Cass. 22 giugno 1989 (G.U., la s.s., n. 29 del
1990).
Ordinamento giudiziario — Procedimenti disciplinari contro ma
gistrati — Termine annuale per la comunicazione del decreto
di fissazione della discussione orale — Applicabilità nel giu dizio davanti alla sezione disciplinare in sede di rinvio — Esclu
sione — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 24, 101, 104; d.p.r.
16 settembre 1958 n. 916, disposizioni di attuazione e di coor
dinamento della 1. 24 marzo 1958 n. 195, concernente la co
stituzione ed il funzionamento del Consiglio superiore della
magistratura e disposizioni transitorie, art. 59; 1. 3 gennaio 1981 n. 1, modificazioni alla 1. 24 marzo 1958 n. 195 e al
d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, art. 12).
È illegittimo, per violazione degli art. 3, 24, 101, 2° comma,
e 104, 1° comma, Cost., l'art. 59, 9° comma, d.p.r. 16 set
tembre 1958 n. 916, nel testo sostituito dall'art. 12, 5 °
com
ma, I. 3 gennaio 1981 n. 1, nella parte in cui, pur statuendo
che entro un anno dall'inizio del procedimento diciplinare nei
confronti del magistrato deve essere comunicato all'incolpa
to, a pena di estinzione del procedimento stesso, il decreto
che fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare, non prevede alcun termine per l'inizio del procedimento in
sede di rinvio dalla Cassazione. (1)
(1) La Corte costituzionale, in una precedente occasione, in riferi
mento alla disciplina precedente alla 1. 1/81, aveva dichiarato infondata
la questione di costituzionalità relativa all'assenza di termini di deca
denza per l'inizio e la definizione di procedimenti disciplinari nei con
fronti dei magistrati: v. sent. 22 giugno 1976, n. 145, Foro it., 1976,
I, 1773, con nota di richiami. Nella presente decisione la corte, facendo
riferimento all'entrata in vigore della 1. 1/81 ed alla sua ratio, ha rite
nuto senza ragionevole giustificazione l'assenza di un termine nel giudi zio di rinvio, dal momento che questa fase partecipa alla stessa logica finalistica del giudizio di prima e unica istanza per la realizzazione del
principio di una sollecita definizione della posizione dell'incolpato. L'ordinanza di rimessione Cass. 24 aprile 1990, n. 296 è riportata,
id., 1990, I, 1501, con nota di richiami.
Nel senso che, allorché sia necessaria una cognizione e valutazione
globale dei fatti e dell'effettiva e complessiva portata della condotta
del magistrato, nonché della sua rilevanza sotto il profilo disciplinare, il termine di un anno per la promovibilità dell'azione disciplinare de
corre dal momento in cui sia stata acquisita la conoscenza dei fatti
nel loro insieme e non dal compimento dei singoli fatti, v. Cass. 21
aprile 1989, n. 1924, ibid., 1965, con nota di richiami.
In tema di procedimento disciplinare nei confronti di magistrati, v.,
da ultimo, Cass. 22 agosto 1989, n. 3736, ibid., 1916, con nota di ri
chiami.
Il Foro Italiano — 1991.
Diritto. — 1. - La Corte di cassazione, sezioni unite civili,
con ordinanza del 22 giugno 1989 (pervenuta alla Corte costitu
zionale il 5 luglio 1990; r.o. n. 455/90), solleva, in riferimento
agli art. 3, 24, 101, 2° comma, e 104, 1° comma, Cost., que stione di legittimità costituzionale dell'art. 12, 4° comma, 1. 3
gennaio 1981 n. 1 (modificazioni alla 1. 24 marzo 1958 n. 195, al d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, sulla costituzione e il funzio
namento del Consiglio superiore della magistratura) — più esat
tamente, art. 59, 9° comma, d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916
(disposizioni di attuazione e di coordinamento 1. 24 marzo 1958
n. 195, concernente la costituzione e il funzionamento del Con
siglio superiore della magistratura e disposizioni transitorie), nel
testo sostituito dall'art. 12, 5° comma, 1. 3 gennaio 1981 n.
1 — nella parte in cui «pur statuendo che entro un anno dall'i
nizio del procedimento disciplinare nei confronti del magistrato deve essere comunicato all'incolpato, a pena di estinzione del
procedimento stesso, il decreto che fissa la discussione orale
davanti alla sezione disciplinare, non prevede termine alcuno
per l'inizio del procedimento in sede di rinvio dalla Cassazione».
2. - La questione è fondata.
La norma impugnata recita: «Entro un anno dall'inizio del
procedimento deve essere comunicato all'incolpato il decreto che
fissa la discussione orale davanti alla sezione disciplinare. Nei
due anni successivi dalla predetta comunicazione deve essere pro nunciata la sentenza. Quando i termini non sono osservati, il
procedimento disciplinare si estingue, sempre che l'incolpato vi
consenta».
La normativa precedente ignorava, invece, termini perentori o almeno sollecitatori per l'inizio e la definizione del procedi mento disciplinare. Peraltro, questa corte, con sentenza n. 145
del 1976 (Foro it., 1976,1, 1773) pur non rilevando allora viola
zione degli art. 24 e 101, 1° comma, Cost., ribadiva il principio di civiltà giuridica secondo il quale l'azione disciplinare «de
v'essere promossa senza ritardi ingiustificati, o peggio arbitrari,
rispetto al momento della conoscenza dei fatti cui si riferisce».
Nella proposta del Consiglio superiore della magistratura, di
venuta base del progetto di legge n. 1040 della Vili legislatura, sfociato poi nella 1. 3 gennaio 1981 n. 1, si poneva «in evidenza
la gravità delle conseguenze che derivano per l'indipendenza e
la libertà dei singoli magistrati dal ritardo con cui vengono defi
niti i procedimenti disciplinari» [Atti parlamentari, camera dei
deputati, p. 4, nonché ibid.: IV commissione, sedute del 10 e
31 luglio 1980], La norma vigente fa progredire con la fissazione di termini
di decadenza per l'inizio e la definizione del procedimento di
sciplinare la giurisdizionalizzazione dell'attività della sezione di
sciplinare del Csm, con la evidente lacuna, tuttavia, che la Cor
te di cassazione ora denuncia con la sollevata questione. Nel giudizio di rinvio infatti è senza ragionevole giustificazio
ne l'assenza di un termine che ad esso dia inizio e di una corri
spondente previsione d'estinzione, partecipando questa fase alla
stessa logica finalistica del giudizio di prima e unica istanza per
la realizzazione del principio di una sollecita definizione della
posizione dell'incolpato. 3. - Non ha pregio l'argomento dell'avvocatura dello Stato
secondo cui la diversa disciplina delle due fasi si giustifichereb
be perché nella prima la fissazione di termini giova ad assicura
re accertamenti tempestivi ed indagini sollecite nell'esigenza di
garantire all'incolpato una difesa adeguata, mentre nella secon
da ad una tale attività istruttoria non si dà luogo trattandosi
di applicare il principio di diritto espresso nella sentenza di an
nullamento con rinvio.
In realtà, in questo momento procedimentale resta preminen
te non tanto il diritto di attività di difesa dell'incolpato, garan
tito dai termini del giudizio di prima istanza, quanto il diritto
alla decisione, dovendosi leggere anche questo secondo profilo
nel precetto di cui all'art. 24 Cost.
Il procedimento di rinvio — originato dall'azione disciplinare
per sua natura imprescrittibile, a differenza dell'azione penale
prescrittibile — che non sia sollecitato da un termine di deca
denza e che può in ipotesi non avere mai inizio, vanificandosi
cosi l'effetto estintivo, riconosciuto invece dalla norma impu
gnata all'inutile decorso dei termini stabiliti per il procedimento
di prima e unica istanza, non soltanto viola l'art. 24 Cost, nel
contenuto innanzi delineato, ma menoma la posizione di affida
bilità sociale del magistrato che continui ad esercitare la giuris
dizione nello status sine die di incolpato, con evidente lesione
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PARTE PRIMA
altresì' dei valori di cui agli art. 101, 2° comma, e 104, 1° com
ma, Cost.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 12, 4° comma, 1. 3 gennaio 1981 n. 1 (modificazioni alla 1. 24 marzo 1958 n. 195 e al d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, sulla costituzione e il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura) — più esattamente, art. 59, 9° comma, d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916 (disposizio ni di attuazione e di coordinamento della 1. 24 marzo 1958 n.
195, concernente la costituzione e il funzionamento del Consi
glio superiore della magistratura e disposizioni transitorie), nel testo sostituito dall'art. 12, 5° comma, 1. 3 gennaio 1981 n. 1 — nella parte in cui non estende i termini ivi fissati al proce dimento di rinvio.
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 3 dicembre 1990, n. 533 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 12 dicembre 1990, n. 49); Pres. Conso, Est. Mengoni; Mercurri c. Ciaffoni; in terv. Pres. cons, ministri. Ord. Pret. Montalto Marche 8 gen naio 1990 (G.U., la s.s., n. 26 del 1990).
Contratti agrari — Mezzadria — Mancata conversione in affit to — Aumento della quota dei prodotti e degli utili spettanti al mezzadro — Questione manifestamente infondata di costi tuzionalità (Cost., art. 3, 42, 44; 1. 3 maggio 1982 n. 203, norme sui contratti agrari, art. 37).
È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 37 l. 3 maggio 1982 n. 203, nella parte in cui prevede un aumento del sei per cento della quota dei pro dotti e degli utili spettanti al mezzadro in caso di mancata conversione in affitto, di cui all'art. 25 detta legge, in riferi mento agli art. 3, 42 e 44 Cost. (1)
(1) L'ordinanza ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 1. 203/82, affermando che nella disciplina della mezzadria, in luogo della regola di divisione a metà dei prodotti e degli utili stabilita dall'art. 2141 c.c., già con la 1. 4 agosto 1948 n. 1094 si era valorizzato l'apporto del mezzadro e della sua famiglia come titolo all'assegnazione di una quota maggiore di quella spettante al concedente; e comunque che la determinazione del rappor to percentuale tra le due quote appartiene alla discrezionalità del legi slatore e che l'aumento del sei per cento a favore del mezzadro non eccede il limite della ragionevolezza, essendo concesso a compenso della mancata conversione del contratto in affitto.
Va ricordato che il criterio della divisione a metà dei prodotti e degli utili nella mezzadria, stabilito dall'art. 2141 c.c., fu modificato, a se guito delle lotte dei mezzadri, con l'accordo per la «tregua mezzadrile» del 1947 riconosciuto poi dalla 1. 4 agosto 1948 n. 1094: con tale accor do, pur restando invariata la divisione delle spese tra le parti, fu stabili ta l'attribuzione al mezzadro di una quota dei prodotti e degli utili pari al 53 per cento. Con l'art. 4 1. 15 settembre 1964 n. 756 fu stabilito che spettava al mezzadro una quota non inferiore al 58 dei prodotti e degli utili. Tale misura di riparto, non essendo stato modificato il criterio della ripartizione delle spese a metà, diede luogo a contrasti circa la divisione dei prodotti e degli utili al lordo o al netto delle spese, essendo la divisione al lordo più favorevole per il mezzadro mentre la divisione al netto avvantaggiava il concedente. I contrasti, anche a seguito dell'incerta linea della giurisprudenza, furono risolti da un ac cordo tra le organizzazioni sindacali delle parti, il c.d. «lodo Restivo» del 30 gennaio 1967, con un inevitabile compromesso che pose fine alle controversie giudiziarie (v. C.A. Graziani, Mezzadria, voce del No vissimo digesto, appendice, 1983, IV, 1304 ss.).
E va anche ricordato che la questione del riparto dei prodotti e degli utili si è posta anche per la colonia parziaria, per la quale il codice civile del 1942 non assicurava un minimo di riparto essendo questo la sciato alla volontà delle parti o regolato dai capitolati corporativi pro vinciali.
Dopo la caduta del fascismo, e sotto la spinta dei coloni che rivendi cavano una più adeguata ricompensa, il d.l. 19 ottobre 1944 n. 311 stabili che nei contratti di mezzadria impropria, di colonia parziaria e di compartecipazione in cui il concedente aveva conferito il «nudo terreno», i prodotti e gli utili andavano divisi nella misura di un quinto
Il Foro Italiano — 1991.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso da Irma Mer curi contro Rosa Ciaffoni in base a un rapporto di mezzadria intercorso dal 1974 al 1983, per ottenere la condanna della con venuta (concedente) al pagamento «della somma di lire 7.155.079 oltre interessi e rivalutazione a titolo di indennità di mancato reddito nonché differenze contabili risultanti da libretti coloni
ci», il Pretore di Montalto Marche, con ordinanza in data 8
gennaio 1986, prevenuta alla Corte costituzionale il 5 giugno 1990, ha sollevato, in riferimento agli art. 3, 42 e 44 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 1. 3 maggio 1982 n. 203, nella parte in cui al mezzadro, colono, comparteci pante o soccidario che non può ottenere, o comunque non ri
chiede, la conversione del rapporto in affitto riconosce un au mento della quota di prodotti e utili a lui spettante pari al sei
per cento della produzione lorda vendibile; che nel giudizio davanti alla corte è intervenuto il presidente
del consiglio dei ministri, rappresentato dall'avvocatura dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata; Considerato che, nella disciplina della mezzadria, in luogo
della regola di divisione a metà degli utili e dei prodotti stabilita dall'art. 241 c.c. si è affermato, già con la 1. 4 agosto 1948 n. 1094, il principio che valorizza l'apporto di lavoro del mez zadro e della sua famiglia come titolo all'assegnazione di una
quota maggiore di quella spetante al concedente; che la determinazione del rapporto percentuale tra le due quote
appartiene alla discrezionalità del legislatore; che l'aumento del sei per cento della quota spettante al mez
zadro, disposto dalla norma impugnata, non eccede il limiti della
ragionevolezza, essendo concesso a compenso della mancata con versione del contratto in affitto;
Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife sta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del l'art. 37 1. 3 maggio 1982 n. 203 («norme sui contratti agrari»), sollevata, in riferimento agli art. 3, 42 e 44 Cost., dal Pretore di Montalto Marche con l'ordinanza indicata in epigrafe.
a favore del concedente e di quattro quinti a favore del colono. Stabili va altresì' il decreto che la quota di riparto poteva essere proporzional mente ridotta nel caso di speciale concorso del concedente alle spese contrattuali, o nel caso di terreni di particolare produttività.
La misura di riparto di cui al d.l. 311/44 non trovò applicazione per l'interpretazione restrittiva di «nudo terreno» data dalla giurispru denza, ed il contrasto continuò anche dopo l'art. 9 1. 756/64 che ripro pose per la colonia migliorataria una quota di riparto per il colono tra l'80 per cento e il 60 per cento a seconda della partecipazione del concedente alle spese colturali. Per l'applicazione dell'art. 9 1. 756/64 fu necessaria la legge interpretativa 1° marzo 1988 n. 188 e l'intervento di Corte cost. 16 dicembre 1982, n. 220, Foro it., 1983, I, 564, con nota di D. Bellantuono; con detta sentenza la Corte costituzionale affermò che la misura di riparto stabilita dall'art. 9 1. 756/64 non lede va il diritto di proprietà ed era giustificata dalla necessità di assicurare una più accentuata tutela e miglioramento della situazione colonica se condo le finalità dell'art. 44 Cost., che pone limiti alla proprietà terrie ra privata al fine di consentire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali.
L'ordinanza in rassegna, confermando le argomentazioni di Corte cost. 220/82, cit., è d'altra parte in armonia con il disfavore della 1. 203/82 per i contratti associativi, per i quali è stata prevista la cessazio ne al più alla data del 10 novembre 1993 (art. 34 detta legge), comun que tenendosi ferma una più adeguata remunerazione del lavoro del concessionario.
Va infine ricordato che l'art. 37 1. 203/82 oltre che alla mezzadria si applica anche agli altri contratti associativi, migliorando quanto già previsto dall'art. 10 1. 756/64 per la colonia parziaria. Ed anzi il 2° comma dell'art. 37 prevede per il colono, compartecipante o soccidario il diritto ad una quota non inferiore al sessanta per cento della produ zione lorda vendibile, sempreché partecipi o intenda partecipare a non meno del cinquanta per cento delle spese di conduzione, escluse quelle per la mano d'opera estranea (in proposito, v. Jannarelli, I rapporti agrari associativi dopo la riforma, Bari, 1984, 287 ss.). [D. Bellantuono]
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