sentenza 29 febbraio 1988; Pres. Curasí, Est. Meliadò; Soc. Intalgrani (Avv. Balestra, Santagati)c. Min. lavori pubblici e Min. marina mercantileSource: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 1283/1284-1287/1288Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183940 .
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1283 PARTE PRIMA 1284
TRIBUNALE DI CATANIA; sentenza 29 febbraio 1988; Pres.
Curasi, Est. Meliadò; Soc. Intalgrani (Avv. Balestra, San
tagati) c. Min. lavori pubblici e Min. marina mercantile.
TRIBUNALE DI CATANIA;
Responsabilità civile — Responsabilità della pubblica amministra
zione — Cose in custodia — Incaglio di nave all'ingresso del
porto — Violazione degli obblighi di custodia e sorveglianza delle opere portuali — Responsabilità delle autorità competenti — Sussistenza (Cod. civ., art. 2051).
Il ministero dei lavori pubblici ed il ministero della marina mer
cantile sono solidalmente responsabili per i danni subiti da una
nave incagliatasi nel far ingresso in porto, in conseguenza della
violazione, da parte dell'amministrazione, degli obblighi di con
trollo e vigilanza a tutela della sicurezza delle strutture portuali
(nelle specie, le amministrazioni convenute non avevano prov veduto al dragaggio dei fondali ed al conseguente aggiorna mento delle carte nautiche, consentendo l'ingresso nel porto ad una nave con pescaggio superiore alla profondità del
fondale). (1)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 3 aprile 1978 l'Italgrani di Franco Ambrosio, corrente in Napo
li, in persona del titolare Franco Ambrosio, conveniva in giudizio il ministero dei lavori pubblici e il ministero della marina mercan
tile, in persona dei rispettivi ministri pro tempore.
Esponeva che nel giugno 1973 aveva noleggiato a tempo una
nave (Niki) di cui era armatrice e proprietaria la Armadore Atlan
ticos s.a., giusto contratto concluso in Londra il 6 giugno 1973
con la S.G. Embricos Ltd., quali rappresentanti degli armatori.
Soggiungeva che, durante il nolo, il 30 luglio 1973 la nave, con
pescaggio di 29'.05" a prua e di 29'.09" a poppa, aveva fatto
ingresso nel porto di Catania, la cui carta nautica mostrava pro fondità che consentivano l'ingresso senza pericolo per navi con
pescaggio sino a trenta piedi, per come, del resto, consentito dal
la relativa capitaneria.
Riferiva, quindi, che la nave, nell'attraversare il canale di ac
cesso al porto, si incagliava, giusto in quanto la profondità del
l'entrata era di soli 28.04 piedi (tant'è che il giorno successivo
la capitaneria di porto dava avviso a tutte le agenzie raccomanda
tane di Catania che non era consentito l'accesso in porto a navi
con pescaggio superiore a 28 piedi) e che, successivamente, esso
istante, in forza di clausola compromissoria inserita nel contrat
to, veniva chiamato in arbitrato dall'impresa armatrice, e ricono
sciuto responsabile — con lodo pronuciato sull'art debeatur il 14
febbraio 1978 — per aver indirizzato la nave in un porto insicuro.
Rilevando, quindi, che l'arenamento della motonave era da at
tribuire alla responsabilità (di organi) delle amministrazioni con
venute («vuoi per la violazione dei doveri primari vuoi per la creazione di un trabocchetto costituito dai bassi fondali non rile
vati e non denunciati»), e precisamente del genio civile delle ope re marittime per il mancato dragaggio dell'ingresso del porto e la mancata annotazione delle mutate profondità dei fondali sulle carte nautiche, e della capitaneria del porto di Catania per la
mancata attivazione dei necessari controlli e il difetto delle neces sarie informazioni verso i piloti in ordine alla mutata situazione dei fondali, chiedeva la solidale condanna dei ministeri convenuti
(1) Non risultano precedenti in termini. La responsabilità della pubblica amministrazione per la manutenzione
delle opere marittime è stata già riconosciuta, in giurisprudenza, da App. Venezia 18 maggio 1973, Foro it., Rep. 1974, voce Porti, spiagge, fari, nn. 4, 5, che ravvisava la responsabilità per danno in capo al provvedito rato al porto di Venezia una volta constatata l'inidoneità di un'opera portuale all'uso per il quale era stata costruita (la sentenza è riportata per esteso in Dir. marittimo, 1974, 529, con nota di Casanova, Osserva zioni in tema di costruzione e manutenzione di opere pubbliche nell'am bito del demanio marittimo).
Sulla responsabilità civile della pubblica amministrazione, v., da ulti mo, Trib. Napoli 14 aprile 1987, Foro it., 1988, I, 272, con nota di ri chiami; più in generale, Sanviti, in Responsabilità civile, a cura di Alpa e Bessone, in Giur. sist. civ. e comm. fondata da Biglavi, 1987, III, 459. Sugli orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità civile nel diritto marittimo, cfr. Boi, ibid., IV, 1.
Sui compiti di vigilanza del comandante del porto sul traffico in entra ta, in uscita e in ormeggio delle navi, v., da ultimo, Righetti, Trattato di diritto marittimo, 1987, I, 745.
Il Foro Italiano — 1989.
alla rifusione di tutte le somme che fosse stata obbligata a pagare
all'impresa armatrice in conseguenza dell'incidente occorso.
I ministeri convenuti, costituitisi in giudizio, contestavano l'am
missibilità e fondatezza della domanda e ne chiedevano, pertan
to, il rigetto. (Omissis) Motivi della decisione. — 1. - La domanda proposta dall'im
presa Italgrani risulta meritevole di accoglimento. Soffermandosi
in primo luogo sulla ricostruzione delle circostanze nell'ambito
delle quali è avvenuto l'incaglio della nave, e nell'esame degli altri punti di fatto rilevanti nella vicenda processuale, è da con
statare come l'istruttoria abbia dato conferma alle indicazioni al
riguardo rinvenibili nell'atto introduttivo, che non hanno trova
to, del resto, sostanziale smentita nelle difese delle amministra
zioni convenute: sicché, in definitiva, sicura si presenta la dinamica
materiale dei fatti che l'istante prospetta quale causa di danno.
Cosi, in particolare, sia l'ubicazione della nave al momento
dell'incaglio, sia la profondità dell'arenamento, sia i limiti di pe
scaggio vigenti nel porto di Catania al tempo dell'incidente, cosi'
come il pescaggio della imbarcazione risultano oggetto di precise ed (anche tecnicamente) attendibili disposizioni testimoniali, oltre
che dalla documentazione acquisita al processo. Su tutti tali fatti, assai specifica è stata, in specie, la dichiara
zione del capitano P. Romeo, pilota della nave e membro della
corporazione dei piloti di Catania, che ha confermato sia l'ubica
zione del convoglio risultante dalla carta nautica prodotta dal
l'attore (e, precisamente, la corrispondenza del luogo dell'incidente
con il canale di ingresso del porto), che il rapporto a sua firma
del 30 luglio 1973. In questo rapporto si informava la capitaneria di porto che la mattina di quello stesso giorno il capitano Romeo — salito a bordo della motonave «Niki» per ormeggiarla al silos
ed informato dal comandante circa il pescaggio della nave, che
non superava i trenta piedi — iniziava la manovra di ingresso, dato che non si era «mai avuta alcuna difficoltà ad entrare navi
di tale pescaggio», ed avendo anzi fatto ingresso navi con pescag
gio anche maggiore, per come risultava dai rapportini di arrivo.
«Messa (quindi) la nave alla via al centro dell'entrata (soggiunge il rapporto) si fermava la macchina per permettere ai rimorchia
tori di prendere il cavo. Si procedeva quindi per abbrivio per entrare nel porto. Giunti quindi all'altezza del fanale rosso ci
si accorgeva che la nave era bloccata».
II capitano Romeo (teste per come ci si avvede particolarmente
qualificato, per il suo pluriennale servizio presso il porto di Cata
nia, oltre che per la estraneità agli interessi dell'impresa noleggia
trice) ha, altresì, confermato i sondaggi eseguiti subito dopo
l'arenamento, e che rilevarono una profondità a pura variante
tra i 28 piedi e 4 pollici e i 28 piedi e 8 pollici, e non ha mancato
di ricordare che solo per le navi con pescaggio superiore ai trenta
piedi e mezzo era prassi di avvisare i comandanti di tenersi di
stanziati dalle panchine di circa un metro, ma che, in ogni caso, tale limitazione non riguardava il canale di ingresso («che è ad un pescaggio assai superiore a quello delle panchine, all'incirca il pescaggio medio del canale è di quaranta piedi»), dato che era
normale un pescaggio di trenta piedi, e che se, comunque, la Niki
ebbe ad arenarsi, ciò avvenne perché «in quel punto vi era un
pescaggio inferiore a quello della nave».
Tutti i testi (non solo il capitano Romeo, ma anche i restanti,
Murale, Ercolano, e Gargiulo: tutti facenti parte della corpora zione dei piloti del porto di Catania) hanno escluso che nelle ac
que portuali si fossero mai prima verificati arenamenti o incagli di navi, ma hanno confermato, comunque, che simili eventi sono
da attribuire «a mancanza di fondale e non a difetto di mano
vra» (causale questa che, del resto, non è affatto in discussione
in causa), e che anche le mareggiate possono provocare insabbia
menti, che riducono il passaggio utile per le navi (teste Gargiulo). È da rammentare, infine, come con comunicazione del 31 lu
glio 1973 (giorno successivo all'incidente) la capitaneria di porto di Catania informava tutte le agenzie marittime della città che
non era consentita l'entrata nel porto per navi superiori a ventot
to piedi di pescaggio, e che all'esistenza di violenti fortunali ab
battutisi sulla costa orientale della Sicilia tra la fine del mese di
dicembre e i primi giorni del mese di gennaio 1973 — che deter
minarono l'esigenza di notevoli lavori di rifacimento e manuten
zione delle opere portuali — ha fatto anche cenno la difesa delle
amministrazioni convenute.
Sulla base di tali risultanze non può, ad avviso del collegio,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
non riconoscersi la responsabilità delle amministrazioni convenu
te nella causazione dell'incidente occorso alla motonave «Niki».
Se, infatti, non pare controvertibile (a) che l'incaglio sia stato
determinato da un interramento dei fondali, (b) nell'ambito delle
acque portuali del porto di Catania, dall'una e l'altra circostanza
ne discende per le amministrazioni convenute una responsabilità
per la violazione dei doveri di custodia a loro carico esistenti sul
complesso portuale, e quindi un obbligo ripristinatorio per gli eventi dannosi che, attraverso l'inadempimento dei doveri di cu
stodia, si siano prodotti. Dalla normativa esistente in materia — e dalla ripartizione del
le competenze amministrative che dalla stessa derivano in ordine
alle attività di gestione dei porti — risulta, infatti, una preminen te attribuzione amministrativa in favore del ministero della mari
na mercantile — e dei suoi organi periferici — per quanto attiene
la titolarità delle attribuzioni dettate dal codice della navigazione e dal relativo regolamento per la disciplina dell'attività ammini
strativa, della polizia e delle modalità di usufruire dei servizi por
tuali, nonché del ministero dei lavori pubblici per quanto concerne
l'approntamento e la manutenzione delle opere portuali. In particolare, rientra fra le funzioni di polizia portuale del
comandante di porto (cui l'art. 81 c. nav. attribuisce un generale
potere di disposizione «per tutto quanto concerne in genere la
sicurezza e la polizia del porto o dell'approdo e delle relative
adiacenze») anche «l'interramento dei fondali e l'intorbidamento
delle acque» (art. 76 c. nav.), mentre, in via generale, compete
alla direzione generale delle opere marittime la cura delle opere
e dei lavori di costruzione e manutenzione dei porti, nonché delle
spiagge marittime e delle costruzioni esistenti nell'ambito del de
manio marittimo e delle sue pertinenze (v. d.l. 5 gennaio 1953
n. 24 e 19 luglio 1959 n. 551). Non è dubitabile, pertanto, che questa normativa finisce col
rendere entrambe le amministrazioni soggette, nei limiti delle ri
spettive competenze, a puntuali doveri di controllo, di vigilanza
e di intervento attivo per «ogni . . . opera il cui scopo sia il man
tenere profondo ed espurgato un porto, facilitando l'accesso e
l'uscita e aumentare la sicurezza» (per come efficacemente già
recitava, anteriormente all'attuale codice, l'art. 5 r.d. 3095/1885):
ivi compreso, per come è a questo punto appena il caso di sog
giungere, il dragaggio dei fondali.
E, comunque, impone una regolamentazione dell'uso comune
del bene-porto tale da garantirne la sicurezza attraverso (per quanto
qui interessa) una costante attività di rilevazione dei fondali e
di conseguenziale adeguamento e aggiornamento delle carte nau
tiche: nell'esplicazione, anche sotto questo profilo, del generale
potere di regolamentazione dell'uso del bene demaniale conferito
dalla legge al comandante di porto (v. anche art. 30, 62 c. nav.
e 59 reg.).
Se son veri tali presupposti, non può escludersi che per le am
ministrazioni convenute trovi ingresso il titolo di responsabilità
dell'art. 2051 c.c.
A tal fine, non è di ostacolo né la natura dell'attività causativa
del danno, né la natura della relazione intercorrente tra la cosa
oggetto della custodia — dalla quale si produce la serie causativa
del danno — e i soggetti pubblici cui nella specie compete il pote re di fatto, determinativo dell'obbligo di custodire.
Sotto il primo aspetto, è ormai orientamenteo comune della
giurisprudenza che anche nell'esercizio di attività discrezionali la
pubblica amministrazione è tenuta all'osservanza dei limiti impo
sti dalla legge e dal principio del neminem leadere, e che risulta,
pertanto, pienamente giustiziabile la pretesa del privato ad essere
tenuto indenne da quei pregiudizi che siano derivati dal supera
mento di tali limiti (cfr. ad. es. Cass. 4216/81, Foro it., Rep.
1981, voce Responsabilità civile, nn. 28, 88; 605/81, ibid., n. 85). E che, nell'attuazione di tale tutela, trova ingresso l'intero siste
ma protettivo della responsabilità civile, ivi compresa la presun
zione di responsabilità che si rinviene nell'articolo in
considerazione.
Ma, invero, nel caso in esame, nessuna attività discrezionale
della pubblica amministrazione è in gioco, dovendosi piuttosto
constatare il mancato esercizio di comportamenti rigorosamente
finalizzati alla tutela della sicurezza della struttura portuale; e
(al più) discrezionali solo in quella particolare eccezione — della
discrezionalità tecnica — che rinvia alla scelta delle modalità tec
niche di attuazione di comportamenti, già doverosi in relazione
alla relativa fattispecie costitutiva.
Il Foro Italiano — 1989.
Per quanto attiene, poi, l'ulteriore limite — questo interno alla
struttura dell'art. 2051 c.c., che incontra la possibilità di un effi
cace controllo sulle cose in custodia, allorché il relativo oggetto siano beni in uso generale e diretto da parte dei terzi, deve con
statarsi come i porti siano lungi dal potersi configurare come be
ni demaniali ad uso generale. In realtà, in termini giuridici oltre che territoriali, il porto è
un luogo chiuso (e non aperto), cui si accede solo da parte di
soggetti particolarmente legittimati, e il cui uso è limitato da un
compiuto sistema di vincoli predisposti dall'autorità in sede di
esercizio del potere di ordinanza di polizia marittima e sulla scor
ta delle ulteriori disposizioni di legge e di regolamento. Sicché l'uso del bene porto, lungi dal riflettere un uso comune
a carattere generale, rivela una serie assai penetrante di limitazio
ni, che rimandano ad una complessa serie di motivazioni, che, in uno con l'esigenza di una efficace regolamentazione della fun
zione del servizio portuale, riflette, in forme certo non seconda
rie, preminenti esigenze di sicurezza ed anche fiscali.
Non pare dubitabile, pertanto, che il porto (e la differenza ri
sulta nitida se si opera il confronto con altri beni del demanio
marittimo: come il mare territoriale, o i fiumi) risulta un luogo suscettibile di idonea vigilanza, ed anzi — nella sua complessa
qualificazione normativa (di servizio portuale, oltre che di bene
demaniale) — giusto caratterizzato anche dagli obblighi strumen
tali già in tal senso rilevati sulle pubbliche autorità a tal scopo
competenti. Per cui, anche sotto questo aspetto, cade ogni ostacolo all'ope
ratività dell'art. 2051 c.c.
Non potendo, in ogni caso, un limite ulteriore al dispiegarsi
degli effetti di responsabilità della norma fondarsi sull'asserita
varietà delle cause che sono capaci di suscitare la modificazione
dei fondali: trattandosi all'evidenza di una quest io facti, che —
a fronte dell'obbligo di «tenere profondo ed espurgato» il porto: che sta a fondamento della fattispecie di responsabilità — se ha
rilevanza, lo ha solo all'interno della sfera di operatività giuridica della norma; giusto al fine di eliderne del tutto eccezionalmente
(ed in sintonia col solo limite ivi previsto: il caso fortuito) razio
nabilità nel caso concreto.
E di tal limite le amministrazioni convenute avrebbero dovuto
dar dimostrazione.
Le stesse, per contro, hanno solo sottolineato che mai prima si sono verificati nelle acque del porto di Catania incidenti simili
a quelli occorsi alla motonave «Niki»: ma tale constatazione, per
come ci si avvede, potrebbe al più dar conto dell'episodicità del
l'evento, non certo della sua causazione fortuita.
Se si considera che — nella sua più lata interpretazione — il
contenuto liberatorio della prova consentita all'autore del danno
dall'art. 2051 c.c. ricomprende, oltre al fortuito in senso proprio,
anche il fatto del terzo e dello stesso danneggiato: ma non si
estende oltre, sino a ricomprendere eventi che, per essere evitabili
e prevedibili, fuoriescono dalla nozione della causa non imputabile.
Ed invero, sia la modifica che l'interramento dei fondali costi
tuivano eventi ad un tempo prevedibili ed evitabili per le ammini
strazioni convenute: ed anzi, oggetto delle rispettive cure
istituzionali e delle rispettive competenze amministrative.
L'evento dannoso, in altri termini, si è verificato per un fatto
tutt'altro che estraneo alla sfera di responsabilità «della persona
del debitore o della sua impresa» (secondo una nota definizione
del fortuito): ed anzi giusto per una serie causale (id est; la inade
guatezza dell'attività di vigilanza e di controllo degli organi a
ciò preposti) manifestatasi nella sfera dell'obbligato.
Né, sotto ogni altro aspetto, le amministrazioni convenute hanno
offerto alla considerazione del collegio specifiche ulteriori dedu
zioni atte ad inferire l'inevitabilità in concreto dell'interramento
riscontrato nel canale di ingresso del porto, non avendo neanche
provveduto a dar dimostrazione dei tempi e della frequenza dei
lavori di dragaggio del fondale e di aggiornamento delle carte
nautiche del porto, e più in generale, della predisposizione di tut
ti quei mezzi e di tutte quelle precauzioni che la legge nel caso
imponeva. Conclusioni queste ultime che — anche a voler richiamare la
fattispecie generale dell'art. 2043 c.c. — non consentirebbero un
più utile esito processuale per i ministeri convenuti: una volta
accertata la piena conformità del comportamento dell'impresa dan
neggiata alle istruzioni impartite dalla capitaneria di porto, e l'è
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1287 PARTE PRIMA 1288
sistenza in capo ai convenuti di specifici e puntuali doveri di com
portamento a tutela della sicurezza della navigazione portuale, che la situazione di fatto dimostrava inadempiuti.
2. - Accertata la riconducibilità alla sfera di responsabilità dei
convenuti dell'incidente controverso, ritiene, altresì, il collegio che
tale fatto sia idoneo a manifestare l'esistenza in capo all'impresa attrice di una situazione di danno legittimamente suscettibile di
reintegrazione patrimoniale. Non potendosi dubitare circa la potenzialità dannosa dell'inci
dente (i cui concreti pregiudizi economici, in quanto bisognevoli di ulteriori accertamenti istruttori, formeranno oggetto di separa ta istruzione), deve, altresì', riconoscersi come ben legittima la
posizione di pretendente al risarcimento assunta nel presente giu dizio dall'attore.
Quest'ultimo, infatti, ha dimostrato di aver tenuto indenne l'im
presa armatrice della motonave delle somme riconosciute in sede
arbitrale in favore della prima, a ristoro dei danni sofferti a se
guito dell'incidente, per avere l'impresa noleggiatrice diretto la
«Niki» in un porto ritenuto non sicuro per una nave del suo
pescaggio (v. lodo provvisorio pronunciato in Londra il 14 feb
braio 1978 e lodo finale del 6 giugno 1973 pronunciato nella stes
sa sede, e certificazioni di pagamento prodotte in atti dall'impresa
Italgrani).
Ora, pur non potendo, per come è chiaro, le cennate decisioni
rivestire alcuna influenza nel nostro ordinamento (né in ordine
al titolo di responsabilità addebitato, né in ordine al quantum
risarcitorio) dalle stesse e dagli esborsi che ne sono derivati si
desume comunque (in via meramente «storica» e «fattuale») la
puntualizzazione in via esclusiva solo in capo all'impresa attrice
di situazioni di danno definitivamente ricollegabili all'incidente
controverso.
Il che è quanto basta per affermare la legittimazione dell'im
presa attrice: non potendo i rapporti fra le parti del contratto
di noleggio influenzare (né positivamente, né negativamente) la
posizione delle amministrazioni convenute, e dispiegare, quindi,
per le stesse interesse alcuno.
3. - Una volta ciò precisato, resta definitivamente escluso che
tali situazioni — per come è appena il caso di soggiungere —
lungi dal trarre titolo e giustificazione giuridica dell'accertata vio
lazione delle regole che presiedono all'osservanza del principio del neminem laedere, traggono derivazione dall'estensione ai con
venuti della responsabilità (propria ed esclusiva) del noleggiatore «in ordine all'obbligo di avvalersi di un porto sicuro».
Essendo solo il primo accertamento rilevante nel presente giu dizio per la fondazione del titolo di responsabilità dei convenuti, e restando l'altro obiettivamente delimitato nella disciplina della
relazione che si stabili fra le parti fra le quali è intervenuto il
contratto di noleggio, e nella specificazione individuativa delle
conseguenze dannose che in concreto ha prodotto l'evento illecito.
E solo sotto quest'ultimo profilo, per l'influenza che il com
portamento del danneggiato può dispiegare nella rimozione delle
conseguenze dannose del fatto causativo, avrebbero potuto assu
mere rilievo elementi e requisiti propri del rapporto di noleggio:
deducendosi, ad esempio, che dalla responsabilità per la clausola
c.d. del safe port l'attore avrebbe potuto andare indenne, secon
do l'ordinamento — generale e/o particolare — regolativo del
rapporto. Ma tale prospettazione (che avrebbe dovuto assumere le forme
di una specifica eccezione ex art. 1227 c.c.) neppure è stata tenta
ta dai convenuti; e, invero, difficilmente lo avrebbe potuto, se
si pon mente alla sicura operatività della clausola negli ordina
menti anglosassoni, e alla sua configurazione in termini di obbli
gazione assoluta, pienamente operativa indipendentemente da ogni
riprovevolezza del comportamento oggetto della pretesa risarcitoria.
Secondo principi, peraltro, nemmeno estranei al nostro, che
pure è informato al principio (di cui si fa applicazione nell'art.
388 c. nav., la cui comprensiva portata — si tratti di noleggio a tempo, o a viaggio — è unanimemente sottolineata dalla dottri
na) che la nave non è tenuta ad affrontare pericoli che non pote vano essere considerati nella conclusione del contratto, sicché al
noleggiante non può farsi carico di rischi che, per non essere stati
tenuti presenti dalle parti al momento della conclusione dell'ac
cordo, non possono accollarsi allo stesso ex post: per come all'e
videnza avviene allorché — in conseguenza delle direttive impartite dai noleggiatori — la nave approdi in porti che in concreto non
consentono la destinazione ai viaggi oggetto del nolo: («tali viag
II Foro Italiano — 1989.
gi ( . . .) consentiti (solo) tra il porto (e/o i porti) sicuri» (v. contratto di noleggio in atti)).
Né, sotto altro aspetto, la legittimazione della impresa attrice
è contestabile sulla base di una informativa del consolato italiano
di Atene del 9 agosto 1979 nella quale si asserisce che la nave
«Niki» venne riparata a spese della società assicuratrice Lloyd's e London Companies a Londra» in guisa che — secondo la dife
sa dei ministeri convenuti — la relativa azione di rivalsa finirebbe
per competere solo alla compagnia assicuratrice dell'impresa ar
matrice.
Non potendo, in ogni caso, non osservarsi come l'azione risar
citoria sempre è da riconoscersi a chi abbia in via definitiva sof
ferto le conseguenze patrimoniali negative del fatto causativo del
danno (come, nella specie, l'Italgrani, a seguito dell'azione di re
sponsabilità fatta valere, in forza delle convenzioni esistenti fra
le parti, dall'impresa armatrice) senza pregiudizio o limitazione
alcuna in dipendenza delle concorrenti azioni di regresso even
tualmente spettanti agli assicuratori di alcuna delle parti (azioni nella specie, nondimeno, mai da alcuno esercitate).
Ed inidonee, pertanto, — sino a quando in concreto non eser
citate — a fondare qualsivoglia diritto di surroga, che lungi dal
nascere ex se dall'eventuale pagamento dell'indennizzo, deriva solo
dalla richiesta del relativo rimborso all'autore del danno (cfr., ad es., Cass. 4473/85, id., Rep. 1985, voce Assicurazione (con
tratto), n. 130).
Né, infine, ammissibile si palesa la prospettazione da parte dei
ministeri convenuti di fatti esclusivi dell'invocata responsabilità, in conseguenza di pretesi comportamenti dell'attore, successivi al
fatto causativo dell'evento dannoso e non improntati all'ordina
ria diligenza nella rimozione delle conseguenze prodotte dall'inci
dente controverso, secondo la previsione dell'art. 1227, cpv., c.c.:
dolendosi, sotto questo aspetto, i convenuti che l'impresa noleg
giatrice non ebbe ad eccepire, in sede arbitrale, la prescrizione dei diritti dell'armatore fatti valere in forza del rapporto di no
leggio, e ciò ai sensi degli art. 395, 481 c. nav.
Ed invero, tale ordine problematico (qualunque fosse la sua
potenziale influenza nel merito: facendosi, invero, questione del
l'applicazione di norme dell'ordinamento interno rispetto ad un
rapporto sorto presso altro ordinamento e regolato dal relativo
regime) è stato per la prima volta proposto solo in sede di com
parsa conclusionale: sicché, trattandosi di fatti non rilevabili —
diversamente dal concorso colposo, di cui al 1° comma della stes
sa norma — (cfr., ad es. Cass. 5221/80, id., Rep. 1980, voce
Danni civili, nn. 69, 70) — ex officio dal giudice, ma solo per effetto di apposita eccezione (da intendersi, in senso sostanziale) della parte a ciò interessata, la loro delibazione resta inevitabil
mente preclusa ai fini della decisione.
Né — esclusa la mediata rilevanza della prescrizione sub specie della regola dell'art. 1227 cit. — può inferirsi alcuna ulteriore — e questa volta diretta — influenza di tale fattispecie estintiva
in ordine alla domanda risarcitoria stessa formulata dall'impresa attrice (che in sede di conclusioni, si chiede genericamente che
il collegio dichiari «inammissibile e, in subordine, improponibile ed infondata e comunque con qualsiasi formula rigetti, anche per ché prescritta»): essendo stata la tutela aquiliana ritualmente fat
ta valere entro il termine prescrizionale — quinquennale —
prescritto dalla legge. Accolta la domanda in ordine all'an debeatur, va rimesso il
processo in istruttoria per l'accertamento del quantum.
TRIBUNALE DI VERONA; TRIBUNALE DI VERONA; sentenza 4 gennaio 1988; Pres. Ca
saiboni, Est. Fabiani; Chemello, Savio, Conti (Avv. Casarot
tj, Donella) c. Liga Veneta (Avv. Dal Prà, Marini).
Associazione non riconosciuta — Esclusione del socio — Ammis
sibilità — Fattispecie (Cost., art. 2, 18, 49; cod. civ., art. 36).
Nell'estromettere ad nutum un associato, un ente non riconosciu
to non lede un diritto soggettivo del singolo (nella specie, è
stato ritenuto che un 'associazione, la quale svolge attività poli
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