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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 29 febbraio 1988; Pres. Curasí,...

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sentenza 29 febbraio 1988; Pres. Curasí, Est. Meliadò; Soc. Intalgrani (Avv. Balestra, Santagati) c. Min. lavori pubblici e Min. marina mercantile Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 1283/1284-1287/1288 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183940 . Accessed: 28/06/2014 08:57 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.44 on Sat, 28 Jun 2014 08:57:32 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 29 febbraio 1988; Pres. Curasí, Est. Meliadò; Soc. Intalgrani (Avv. Balestra, Santagati)c. Min. lavori pubblici e Min. marina mercantileSource: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 1283/1284-1287/1288Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183940 .

Accessed: 28/06/2014 08:57

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1283 PARTE PRIMA 1284

TRIBUNALE DI CATANIA; sentenza 29 febbraio 1988; Pres.

Curasi, Est. Meliadò; Soc. Intalgrani (Avv. Balestra, San

tagati) c. Min. lavori pubblici e Min. marina mercantile.

TRIBUNALE DI CATANIA;

Responsabilità civile — Responsabilità della pubblica amministra

zione — Cose in custodia — Incaglio di nave all'ingresso del

porto — Violazione degli obblighi di custodia e sorveglianza delle opere portuali — Responsabilità delle autorità competenti — Sussistenza (Cod. civ., art. 2051).

Il ministero dei lavori pubblici ed il ministero della marina mer

cantile sono solidalmente responsabili per i danni subiti da una

nave incagliatasi nel far ingresso in porto, in conseguenza della

violazione, da parte dell'amministrazione, degli obblighi di con

trollo e vigilanza a tutela della sicurezza delle strutture portuali

(nelle specie, le amministrazioni convenute non avevano prov veduto al dragaggio dei fondali ed al conseguente aggiorna mento delle carte nautiche, consentendo l'ingresso nel porto ad una nave con pescaggio superiore alla profondità del

fondale). (1)

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato

il 3 aprile 1978 l'Italgrani di Franco Ambrosio, corrente in Napo

li, in persona del titolare Franco Ambrosio, conveniva in giudizio il ministero dei lavori pubblici e il ministero della marina mercan

tile, in persona dei rispettivi ministri pro tempore.

Esponeva che nel giugno 1973 aveva noleggiato a tempo una

nave (Niki) di cui era armatrice e proprietaria la Armadore Atlan

ticos s.a., giusto contratto concluso in Londra il 6 giugno 1973

con la S.G. Embricos Ltd., quali rappresentanti degli armatori.

Soggiungeva che, durante il nolo, il 30 luglio 1973 la nave, con

pescaggio di 29'.05" a prua e di 29'.09" a poppa, aveva fatto

ingresso nel porto di Catania, la cui carta nautica mostrava pro fondità che consentivano l'ingresso senza pericolo per navi con

pescaggio sino a trenta piedi, per come, del resto, consentito dal

la relativa capitaneria.

Riferiva, quindi, che la nave, nell'attraversare il canale di ac

cesso al porto, si incagliava, giusto in quanto la profondità del

l'entrata era di soli 28.04 piedi (tant'è che il giorno successivo

la capitaneria di porto dava avviso a tutte le agenzie raccomanda

tane di Catania che non era consentito l'accesso in porto a navi

con pescaggio superiore a 28 piedi) e che, successivamente, esso

istante, in forza di clausola compromissoria inserita nel contrat

to, veniva chiamato in arbitrato dall'impresa armatrice, e ricono

sciuto responsabile — con lodo pronuciato sull'art debeatur il 14

febbraio 1978 — per aver indirizzato la nave in un porto insicuro.

Rilevando, quindi, che l'arenamento della motonave era da at

tribuire alla responsabilità (di organi) delle amministrazioni con

venute («vuoi per la violazione dei doveri primari vuoi per la creazione di un trabocchetto costituito dai bassi fondali non rile

vati e non denunciati»), e precisamente del genio civile delle ope re marittime per il mancato dragaggio dell'ingresso del porto e la mancata annotazione delle mutate profondità dei fondali sulle carte nautiche, e della capitaneria del porto di Catania per la

mancata attivazione dei necessari controlli e il difetto delle neces sarie informazioni verso i piloti in ordine alla mutata situazione dei fondali, chiedeva la solidale condanna dei ministeri convenuti

(1) Non risultano precedenti in termini. La responsabilità della pubblica amministrazione per la manutenzione

delle opere marittime è stata già riconosciuta, in giurisprudenza, da App. Venezia 18 maggio 1973, Foro it., Rep. 1974, voce Porti, spiagge, fari, nn. 4, 5, che ravvisava la responsabilità per danno in capo al provvedito rato al porto di Venezia una volta constatata l'inidoneità di un'opera portuale all'uso per il quale era stata costruita (la sentenza è riportata per esteso in Dir. marittimo, 1974, 529, con nota di Casanova, Osserva zioni in tema di costruzione e manutenzione di opere pubbliche nell'am bito del demanio marittimo).

Sulla responsabilità civile della pubblica amministrazione, v., da ulti mo, Trib. Napoli 14 aprile 1987, Foro it., 1988, I, 272, con nota di ri chiami; più in generale, Sanviti, in Responsabilità civile, a cura di Alpa e Bessone, in Giur. sist. civ. e comm. fondata da Biglavi, 1987, III, 459. Sugli orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità civile nel diritto marittimo, cfr. Boi, ibid., IV, 1.

Sui compiti di vigilanza del comandante del porto sul traffico in entra ta, in uscita e in ormeggio delle navi, v., da ultimo, Righetti, Trattato di diritto marittimo, 1987, I, 745.

Il Foro Italiano — 1989.

alla rifusione di tutte le somme che fosse stata obbligata a pagare

all'impresa armatrice in conseguenza dell'incidente occorso.

I ministeri convenuti, costituitisi in giudizio, contestavano l'am

missibilità e fondatezza della domanda e ne chiedevano, pertan

to, il rigetto. (Omissis) Motivi della decisione. — 1. - La domanda proposta dall'im

presa Italgrani risulta meritevole di accoglimento. Soffermandosi

in primo luogo sulla ricostruzione delle circostanze nell'ambito

delle quali è avvenuto l'incaglio della nave, e nell'esame degli altri punti di fatto rilevanti nella vicenda processuale, è da con

statare come l'istruttoria abbia dato conferma alle indicazioni al

riguardo rinvenibili nell'atto introduttivo, che non hanno trova

to, del resto, sostanziale smentita nelle difese delle amministra

zioni convenute: sicché, in definitiva, sicura si presenta la dinamica

materiale dei fatti che l'istante prospetta quale causa di danno.

Cosi, in particolare, sia l'ubicazione della nave al momento

dell'incaglio, sia la profondità dell'arenamento, sia i limiti di pe

scaggio vigenti nel porto di Catania al tempo dell'incidente, cosi'

come il pescaggio della imbarcazione risultano oggetto di precise ed (anche tecnicamente) attendibili disposizioni testimoniali, oltre

che dalla documentazione acquisita al processo. Su tutti tali fatti, assai specifica è stata, in specie, la dichiara

zione del capitano P. Romeo, pilota della nave e membro della

corporazione dei piloti di Catania, che ha confermato sia l'ubica

zione del convoglio risultante dalla carta nautica prodotta dal

l'attore (e, precisamente, la corrispondenza del luogo dell'incidente

con il canale di ingresso del porto), che il rapporto a sua firma

del 30 luglio 1973. In questo rapporto si informava la capitaneria di porto che la mattina di quello stesso giorno il capitano Romeo — salito a bordo della motonave «Niki» per ormeggiarla al silos

ed informato dal comandante circa il pescaggio della nave, che

non superava i trenta piedi — iniziava la manovra di ingresso, dato che non si era «mai avuta alcuna difficoltà ad entrare navi

di tale pescaggio», ed avendo anzi fatto ingresso navi con pescag

gio anche maggiore, per come risultava dai rapportini di arrivo.

«Messa (quindi) la nave alla via al centro dell'entrata (soggiunge il rapporto) si fermava la macchina per permettere ai rimorchia

tori di prendere il cavo. Si procedeva quindi per abbrivio per entrare nel porto. Giunti quindi all'altezza del fanale rosso ci

si accorgeva che la nave era bloccata».

II capitano Romeo (teste per come ci si avvede particolarmente

qualificato, per il suo pluriennale servizio presso il porto di Cata

nia, oltre che per la estraneità agli interessi dell'impresa noleggia

trice) ha, altresì, confermato i sondaggi eseguiti subito dopo

l'arenamento, e che rilevarono una profondità a pura variante

tra i 28 piedi e 4 pollici e i 28 piedi e 8 pollici, e non ha mancato

di ricordare che solo per le navi con pescaggio superiore ai trenta

piedi e mezzo era prassi di avvisare i comandanti di tenersi di

stanziati dalle panchine di circa un metro, ma che, in ogni caso, tale limitazione non riguardava il canale di ingresso («che è ad un pescaggio assai superiore a quello delle panchine, all'incirca il pescaggio medio del canale è di quaranta piedi»), dato che era

normale un pescaggio di trenta piedi, e che se, comunque, la Niki

ebbe ad arenarsi, ciò avvenne perché «in quel punto vi era un

pescaggio inferiore a quello della nave».

Tutti i testi (non solo il capitano Romeo, ma anche i restanti,

Murale, Ercolano, e Gargiulo: tutti facenti parte della corpora zione dei piloti del porto di Catania) hanno escluso che nelle ac

que portuali si fossero mai prima verificati arenamenti o incagli di navi, ma hanno confermato, comunque, che simili eventi sono

da attribuire «a mancanza di fondale e non a difetto di mano

vra» (causale questa che, del resto, non è affatto in discussione

in causa), e che anche le mareggiate possono provocare insabbia

menti, che riducono il passaggio utile per le navi (teste Gargiulo). È da rammentare, infine, come con comunicazione del 31 lu

glio 1973 (giorno successivo all'incidente) la capitaneria di porto di Catania informava tutte le agenzie marittime della città che

non era consentita l'entrata nel porto per navi superiori a ventot

to piedi di pescaggio, e che all'esistenza di violenti fortunali ab

battutisi sulla costa orientale della Sicilia tra la fine del mese di

dicembre e i primi giorni del mese di gennaio 1973 — che deter

minarono l'esigenza di notevoli lavori di rifacimento e manuten

zione delle opere portuali — ha fatto anche cenno la difesa delle

amministrazioni convenute.

Sulla base di tali risultanze non può, ad avviso del collegio,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

non riconoscersi la responsabilità delle amministrazioni convenu

te nella causazione dell'incidente occorso alla motonave «Niki».

Se, infatti, non pare controvertibile (a) che l'incaglio sia stato

determinato da un interramento dei fondali, (b) nell'ambito delle

acque portuali del porto di Catania, dall'una e l'altra circostanza

ne discende per le amministrazioni convenute una responsabilità

per la violazione dei doveri di custodia a loro carico esistenti sul

complesso portuale, e quindi un obbligo ripristinatorio per gli eventi dannosi che, attraverso l'inadempimento dei doveri di cu

stodia, si siano prodotti. Dalla normativa esistente in materia — e dalla ripartizione del

le competenze amministrative che dalla stessa derivano in ordine

alle attività di gestione dei porti — risulta, infatti, una preminen te attribuzione amministrativa in favore del ministero della mari

na mercantile — e dei suoi organi periferici — per quanto attiene

la titolarità delle attribuzioni dettate dal codice della navigazione e dal relativo regolamento per la disciplina dell'attività ammini

strativa, della polizia e delle modalità di usufruire dei servizi por

tuali, nonché del ministero dei lavori pubblici per quanto concerne

l'approntamento e la manutenzione delle opere portuali. In particolare, rientra fra le funzioni di polizia portuale del

comandante di porto (cui l'art. 81 c. nav. attribuisce un generale

potere di disposizione «per tutto quanto concerne in genere la

sicurezza e la polizia del porto o dell'approdo e delle relative

adiacenze») anche «l'interramento dei fondali e l'intorbidamento

delle acque» (art. 76 c. nav.), mentre, in via generale, compete

alla direzione generale delle opere marittime la cura delle opere

e dei lavori di costruzione e manutenzione dei porti, nonché delle

spiagge marittime e delle costruzioni esistenti nell'ambito del de

manio marittimo e delle sue pertinenze (v. d.l. 5 gennaio 1953

n. 24 e 19 luglio 1959 n. 551). Non è dubitabile, pertanto, che questa normativa finisce col

rendere entrambe le amministrazioni soggette, nei limiti delle ri

spettive competenze, a puntuali doveri di controllo, di vigilanza

e di intervento attivo per «ogni . . . opera il cui scopo sia il man

tenere profondo ed espurgato un porto, facilitando l'accesso e

l'uscita e aumentare la sicurezza» (per come efficacemente già

recitava, anteriormente all'attuale codice, l'art. 5 r.d. 3095/1885):

ivi compreso, per come è a questo punto appena il caso di sog

giungere, il dragaggio dei fondali.

E, comunque, impone una regolamentazione dell'uso comune

del bene-porto tale da garantirne la sicurezza attraverso (per quanto

qui interessa) una costante attività di rilevazione dei fondali e

di conseguenziale adeguamento e aggiornamento delle carte nau

tiche: nell'esplicazione, anche sotto questo profilo, del generale

potere di regolamentazione dell'uso del bene demaniale conferito

dalla legge al comandante di porto (v. anche art. 30, 62 c. nav.

e 59 reg.).

Se son veri tali presupposti, non può escludersi che per le am

ministrazioni convenute trovi ingresso il titolo di responsabilità

dell'art. 2051 c.c.

A tal fine, non è di ostacolo né la natura dell'attività causativa

del danno, né la natura della relazione intercorrente tra la cosa

oggetto della custodia — dalla quale si produce la serie causativa

del danno — e i soggetti pubblici cui nella specie compete il pote re di fatto, determinativo dell'obbligo di custodire.

Sotto il primo aspetto, è ormai orientamenteo comune della

giurisprudenza che anche nell'esercizio di attività discrezionali la

pubblica amministrazione è tenuta all'osservanza dei limiti impo

sti dalla legge e dal principio del neminem leadere, e che risulta,

pertanto, pienamente giustiziabile la pretesa del privato ad essere

tenuto indenne da quei pregiudizi che siano derivati dal supera

mento di tali limiti (cfr. ad. es. Cass. 4216/81, Foro it., Rep.

1981, voce Responsabilità civile, nn. 28, 88; 605/81, ibid., n. 85). E che, nell'attuazione di tale tutela, trova ingresso l'intero siste

ma protettivo della responsabilità civile, ivi compresa la presun

zione di responsabilità che si rinviene nell'articolo in

considerazione.

Ma, invero, nel caso in esame, nessuna attività discrezionale

della pubblica amministrazione è in gioco, dovendosi piuttosto

constatare il mancato esercizio di comportamenti rigorosamente

finalizzati alla tutela della sicurezza della struttura portuale; e

(al più) discrezionali solo in quella particolare eccezione — della

discrezionalità tecnica — che rinvia alla scelta delle modalità tec

niche di attuazione di comportamenti, già doverosi in relazione

alla relativa fattispecie costitutiva.

Il Foro Italiano — 1989.

Per quanto attiene, poi, l'ulteriore limite — questo interno alla

struttura dell'art. 2051 c.c., che incontra la possibilità di un effi

cace controllo sulle cose in custodia, allorché il relativo oggetto siano beni in uso generale e diretto da parte dei terzi, deve con

statarsi come i porti siano lungi dal potersi configurare come be

ni demaniali ad uso generale. In realtà, in termini giuridici oltre che territoriali, il porto è

un luogo chiuso (e non aperto), cui si accede solo da parte di

soggetti particolarmente legittimati, e il cui uso è limitato da un

compiuto sistema di vincoli predisposti dall'autorità in sede di

esercizio del potere di ordinanza di polizia marittima e sulla scor

ta delle ulteriori disposizioni di legge e di regolamento. Sicché l'uso del bene porto, lungi dal riflettere un uso comune

a carattere generale, rivela una serie assai penetrante di limitazio

ni, che rimandano ad una complessa serie di motivazioni, che, in uno con l'esigenza di una efficace regolamentazione della fun

zione del servizio portuale, riflette, in forme certo non seconda

rie, preminenti esigenze di sicurezza ed anche fiscali.

Non pare dubitabile, pertanto, che il porto (e la differenza ri

sulta nitida se si opera il confronto con altri beni del demanio

marittimo: come il mare territoriale, o i fiumi) risulta un luogo suscettibile di idonea vigilanza, ed anzi — nella sua complessa

qualificazione normativa (di servizio portuale, oltre che di bene

demaniale) — giusto caratterizzato anche dagli obblighi strumen

tali già in tal senso rilevati sulle pubbliche autorità a tal scopo

competenti. Per cui, anche sotto questo aspetto, cade ogni ostacolo all'ope

ratività dell'art. 2051 c.c.

Non potendo, in ogni caso, un limite ulteriore al dispiegarsi

degli effetti di responsabilità della norma fondarsi sull'asserita

varietà delle cause che sono capaci di suscitare la modificazione

dei fondali: trattandosi all'evidenza di una quest io facti, che —

a fronte dell'obbligo di «tenere profondo ed espurgato» il porto: che sta a fondamento della fattispecie di responsabilità — se ha

rilevanza, lo ha solo all'interno della sfera di operatività giuridica della norma; giusto al fine di eliderne del tutto eccezionalmente

(ed in sintonia col solo limite ivi previsto: il caso fortuito) razio

nabilità nel caso concreto.

E di tal limite le amministrazioni convenute avrebbero dovuto

dar dimostrazione.

Le stesse, per contro, hanno solo sottolineato che mai prima si sono verificati nelle acque del porto di Catania incidenti simili

a quelli occorsi alla motonave «Niki»: ma tale constatazione, per

come ci si avvede, potrebbe al più dar conto dell'episodicità del

l'evento, non certo della sua causazione fortuita.

Se si considera che — nella sua più lata interpretazione — il

contenuto liberatorio della prova consentita all'autore del danno

dall'art. 2051 c.c. ricomprende, oltre al fortuito in senso proprio,

anche il fatto del terzo e dello stesso danneggiato: ma non si

estende oltre, sino a ricomprendere eventi che, per essere evitabili

e prevedibili, fuoriescono dalla nozione della causa non imputabile.

Ed invero, sia la modifica che l'interramento dei fondali costi

tuivano eventi ad un tempo prevedibili ed evitabili per le ammini

strazioni convenute: ed anzi, oggetto delle rispettive cure

istituzionali e delle rispettive competenze amministrative.

L'evento dannoso, in altri termini, si è verificato per un fatto

tutt'altro che estraneo alla sfera di responsabilità «della persona

del debitore o della sua impresa» (secondo una nota definizione

del fortuito): ed anzi giusto per una serie causale (id est; la inade

guatezza dell'attività di vigilanza e di controllo degli organi a

ciò preposti) manifestatasi nella sfera dell'obbligato.

Né, sotto ogni altro aspetto, le amministrazioni convenute hanno

offerto alla considerazione del collegio specifiche ulteriori dedu

zioni atte ad inferire l'inevitabilità in concreto dell'interramento

riscontrato nel canale di ingresso del porto, non avendo neanche

provveduto a dar dimostrazione dei tempi e della frequenza dei

lavori di dragaggio del fondale e di aggiornamento delle carte

nautiche del porto, e più in generale, della predisposizione di tut

ti quei mezzi e di tutte quelle precauzioni che la legge nel caso

imponeva. Conclusioni queste ultime che — anche a voler richiamare la

fattispecie generale dell'art. 2043 c.c. — non consentirebbero un

più utile esito processuale per i ministeri convenuti: una volta

accertata la piena conformità del comportamento dell'impresa dan

neggiata alle istruzioni impartite dalla capitaneria di porto, e l'è

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1287 PARTE PRIMA 1288

sistenza in capo ai convenuti di specifici e puntuali doveri di com

portamento a tutela della sicurezza della navigazione portuale, che la situazione di fatto dimostrava inadempiuti.

2. - Accertata la riconducibilità alla sfera di responsabilità dei

convenuti dell'incidente controverso, ritiene, altresì, il collegio che

tale fatto sia idoneo a manifestare l'esistenza in capo all'impresa attrice di una situazione di danno legittimamente suscettibile di

reintegrazione patrimoniale. Non potendosi dubitare circa la potenzialità dannosa dell'inci

dente (i cui concreti pregiudizi economici, in quanto bisognevoli di ulteriori accertamenti istruttori, formeranno oggetto di separa ta istruzione), deve, altresì', riconoscersi come ben legittima la

posizione di pretendente al risarcimento assunta nel presente giu dizio dall'attore.

Quest'ultimo, infatti, ha dimostrato di aver tenuto indenne l'im

presa armatrice della motonave delle somme riconosciute in sede

arbitrale in favore della prima, a ristoro dei danni sofferti a se

guito dell'incidente, per avere l'impresa noleggiatrice diretto la

«Niki» in un porto ritenuto non sicuro per una nave del suo

pescaggio (v. lodo provvisorio pronunciato in Londra il 14 feb

braio 1978 e lodo finale del 6 giugno 1973 pronunciato nella stes

sa sede, e certificazioni di pagamento prodotte in atti dall'impresa

Italgrani).

Ora, pur non potendo, per come è chiaro, le cennate decisioni

rivestire alcuna influenza nel nostro ordinamento (né in ordine

al titolo di responsabilità addebitato, né in ordine al quantum

risarcitorio) dalle stesse e dagli esborsi che ne sono derivati si

desume comunque (in via meramente «storica» e «fattuale») la

puntualizzazione in via esclusiva solo in capo all'impresa attrice

di situazioni di danno definitivamente ricollegabili all'incidente

controverso.

Il che è quanto basta per affermare la legittimazione dell'im

presa attrice: non potendo i rapporti fra le parti del contratto

di noleggio influenzare (né positivamente, né negativamente) la

posizione delle amministrazioni convenute, e dispiegare, quindi,

per le stesse interesse alcuno.

3. - Una volta ciò precisato, resta definitivamente escluso che

tali situazioni — per come è appena il caso di soggiungere —

lungi dal trarre titolo e giustificazione giuridica dell'accertata vio

lazione delle regole che presiedono all'osservanza del principio del neminem laedere, traggono derivazione dall'estensione ai con

venuti della responsabilità (propria ed esclusiva) del noleggiatore «in ordine all'obbligo di avvalersi di un porto sicuro».

Essendo solo il primo accertamento rilevante nel presente giu dizio per la fondazione del titolo di responsabilità dei convenuti, e restando l'altro obiettivamente delimitato nella disciplina della

relazione che si stabili fra le parti fra le quali è intervenuto il

contratto di noleggio, e nella specificazione individuativa delle

conseguenze dannose che in concreto ha prodotto l'evento illecito.

E solo sotto quest'ultimo profilo, per l'influenza che il com

portamento del danneggiato può dispiegare nella rimozione delle

conseguenze dannose del fatto causativo, avrebbero potuto assu

mere rilievo elementi e requisiti propri del rapporto di noleggio:

deducendosi, ad esempio, che dalla responsabilità per la clausola

c.d. del safe port l'attore avrebbe potuto andare indenne, secon

do l'ordinamento — generale e/o particolare — regolativo del

rapporto. Ma tale prospettazione (che avrebbe dovuto assumere le forme

di una specifica eccezione ex art. 1227 c.c.) neppure è stata tenta

ta dai convenuti; e, invero, difficilmente lo avrebbe potuto, se

si pon mente alla sicura operatività della clausola negli ordina

menti anglosassoni, e alla sua configurazione in termini di obbli

gazione assoluta, pienamente operativa indipendentemente da ogni

riprovevolezza del comportamento oggetto della pretesa risarcitoria.

Secondo principi, peraltro, nemmeno estranei al nostro, che

pure è informato al principio (di cui si fa applicazione nell'art.

388 c. nav., la cui comprensiva portata — si tratti di noleggio a tempo, o a viaggio — è unanimemente sottolineata dalla dottri

na) che la nave non è tenuta ad affrontare pericoli che non pote vano essere considerati nella conclusione del contratto, sicché al

noleggiante non può farsi carico di rischi che, per non essere stati

tenuti presenti dalle parti al momento della conclusione dell'ac

cordo, non possono accollarsi allo stesso ex post: per come all'e

videnza avviene allorché — in conseguenza delle direttive impartite dai noleggiatori — la nave approdi in porti che in concreto non

consentono la destinazione ai viaggi oggetto del nolo: («tali viag

II Foro Italiano — 1989.

gi ( . . .) consentiti (solo) tra il porto (e/o i porti) sicuri» (v. contratto di noleggio in atti)).

Né, sotto altro aspetto, la legittimazione della impresa attrice

è contestabile sulla base di una informativa del consolato italiano

di Atene del 9 agosto 1979 nella quale si asserisce che la nave

«Niki» venne riparata a spese della società assicuratrice Lloyd's e London Companies a Londra» in guisa che — secondo la dife

sa dei ministeri convenuti — la relativa azione di rivalsa finirebbe

per competere solo alla compagnia assicuratrice dell'impresa ar

matrice.

Non potendo, in ogni caso, non osservarsi come l'azione risar

citoria sempre è da riconoscersi a chi abbia in via definitiva sof

ferto le conseguenze patrimoniali negative del fatto causativo del

danno (come, nella specie, l'Italgrani, a seguito dell'azione di re

sponsabilità fatta valere, in forza delle convenzioni esistenti fra

le parti, dall'impresa armatrice) senza pregiudizio o limitazione

alcuna in dipendenza delle concorrenti azioni di regresso even

tualmente spettanti agli assicuratori di alcuna delle parti (azioni nella specie, nondimeno, mai da alcuno esercitate).

Ed inidonee, pertanto, — sino a quando in concreto non eser

citate — a fondare qualsivoglia diritto di surroga, che lungi dal

nascere ex se dall'eventuale pagamento dell'indennizzo, deriva solo

dalla richiesta del relativo rimborso all'autore del danno (cfr., ad es., Cass. 4473/85, id., Rep. 1985, voce Assicurazione (con

tratto), n. 130).

Né, infine, ammissibile si palesa la prospettazione da parte dei

ministeri convenuti di fatti esclusivi dell'invocata responsabilità, in conseguenza di pretesi comportamenti dell'attore, successivi al

fatto causativo dell'evento dannoso e non improntati all'ordina

ria diligenza nella rimozione delle conseguenze prodotte dall'inci

dente controverso, secondo la previsione dell'art. 1227, cpv., c.c.:

dolendosi, sotto questo aspetto, i convenuti che l'impresa noleg

giatrice non ebbe ad eccepire, in sede arbitrale, la prescrizione dei diritti dell'armatore fatti valere in forza del rapporto di no

leggio, e ciò ai sensi degli art. 395, 481 c. nav.

Ed invero, tale ordine problematico (qualunque fosse la sua

potenziale influenza nel merito: facendosi, invero, questione del

l'applicazione di norme dell'ordinamento interno rispetto ad un

rapporto sorto presso altro ordinamento e regolato dal relativo

regime) è stato per la prima volta proposto solo in sede di com

parsa conclusionale: sicché, trattandosi di fatti non rilevabili —

diversamente dal concorso colposo, di cui al 1° comma della stes

sa norma — (cfr., ad es. Cass. 5221/80, id., Rep. 1980, voce

Danni civili, nn. 69, 70) — ex officio dal giudice, ma solo per effetto di apposita eccezione (da intendersi, in senso sostanziale) della parte a ciò interessata, la loro delibazione resta inevitabil

mente preclusa ai fini della decisione.

Né — esclusa la mediata rilevanza della prescrizione sub specie della regola dell'art. 1227 cit. — può inferirsi alcuna ulteriore — e questa volta diretta — influenza di tale fattispecie estintiva

in ordine alla domanda risarcitoria stessa formulata dall'impresa attrice (che in sede di conclusioni, si chiede genericamente che

il collegio dichiari «inammissibile e, in subordine, improponibile ed infondata e comunque con qualsiasi formula rigetti, anche per ché prescritta»): essendo stata la tutela aquiliana ritualmente fat

ta valere entro il termine prescrizionale — quinquennale —

prescritto dalla legge. Accolta la domanda in ordine all'an debeatur, va rimesso il

processo in istruttoria per l'accertamento del quantum.

TRIBUNALE DI VERONA; TRIBUNALE DI VERONA; sentenza 4 gennaio 1988; Pres. Ca

saiboni, Est. Fabiani; Chemello, Savio, Conti (Avv. Casarot

tj, Donella) c. Liga Veneta (Avv. Dal Prà, Marini).

Associazione non riconosciuta — Esclusione del socio — Ammis

sibilità — Fattispecie (Cost., art. 2, 18, 49; cod. civ., art. 36).

Nell'estromettere ad nutum un associato, un ente non riconosciu

to non lede un diritto soggettivo del singolo (nella specie, è

stato ritenuto che un 'associazione, la quale svolge attività poli

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