sentenza 29 marzo 1989, n. 165 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 5 aprile 1989, n. 14); Pres.Saja, Est. Cheli; Regioni Veneto (Avv. Berti), Sardegna (Avv. Panunzio), Umbria, Lombardia,Emilia Romagna (Avv. Onida) c. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Laporta). Conflitto diattribuzioniSource: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 1865/1866-1871/1872Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184727 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
è limitata a constatare l'invalidità già dichiarata e a ribadire, per ciò che attiene agli effetti, quanto disposto dalla precedente sentenza.
Queste risultanze sono ulteriormente confermate e chiarite dai
punti 18 e 19 della motivazione. La corte ha infatti rilevato che
un'eventuale eccezione alla limitazione dell'efficacia nel passato della declaratoria di invalidità in favore «della parte che ha inten
tato l'azione dinanzi al giudice nazionale ovvero di qualunque altro operatore economico che abbia agito in maniera analoga
prima della declaratoria di invalidità» sarebbe priva di interesse
nella controversia. «Quest'ultima è stata infatti instaurata dinan
zi al giudice nazionale il 13 maggio 1982, quindi successivamente
alla dichiarazione implicita di invalidità delle norme considerate
nella questione pregiudiziale». Considerazioni sostanzialmente identiche valgono per la que
stione sottoposta a questa corte. Infatti, ove se ne riconoscesse
la fondatezza, nel senso cioè di ritenere l'illegittimità costituzio
nale per violazione dell'art. 24 Cost, della 1. n. 1203 del 1957
nella parte in cui dando esecuzione all'art. 177 del trattato Cee
consente alla Corte di giustizia di escludere gli atti oggetto del
giudizio principale dagli effetti di una propria sentenza incidenta
le che dichiara l'invalidità di un regolamento, una siffatta pro nuncia non potrebbe trovare alcuna applicazione nella controver
sia che deve essere decisa dal giudice a quo. Invero è stata una
precedente sentenza (la 15 ottobre 1980, in causa 145/79) a di
chiarare l'invalidità della parte del regolamento in discussione,
mentre la sentenza pronunciata in seguito alla richiesta di detto
giudice si è limitata a constatare la declaratoria di invalidità già intervenuta.
In definitiva, emerge che la controversia di cui è investito il
giudice a quo non è quella che ha provocato la declaratoria d'in
validità del regolamento contestato; non si pone, pertanto, con
essa nella relazione necessaria che intercorre fra giudizio princi
pale e giudizio incidentale. Per di più — come ha rilevato la Cor
te di giustizia — la controversia è stata instaurata davanti al giu dice nazionale oltre un anno dopo la pubblicazione della sentenza
stessa.
7. — La questione di legittimità costituzionale sollevata dal
Tribunale di Venezia deve, pertanto, essere dichiarata inammissi
bile per irrilevanza; il che vale ovviamente in relazione a tutti
i parametri invocati.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissibi
le la questione di legittimità costituzionale degli art. 1 e 2 1. 14
ottobre 1957 n. 1203, nella parte in cui hanno dato esecuzione
all'art. 177 del trattato di Roma, sollevata dal Tribunale di Vene
zia con l'ordinanza in epigrafe indicata, in riferimento agli art.
23, 24 e 41 Cost.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 29 marzo 1989, n. 165
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 5 aprile 1989, n. 14); Pres.
Saja, Est. Cheli; Regioni Veneto (Aw. Berti), Sardegna (Avv.
Panunzio), Umbria, Lombardia, Emilia Romagna (Aw. Oni
da) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Laporta). Con
flitto di attribuzioni.
Regione — Disciplina del commercio — Norme di esecuzione —
Programmazione commerciale — Spettanza allo Stato — Limi
ti (Cost., art. 87, 117, 118; 1. 11 giugno 1971 n. 426, disciplina del commercio, art. 26, 27, 28; d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616,
attuazione della delega di cui all'art. 1 1. 22 luglio 1975 n. 382,
art. 52).
Regione — Disciplina dei corsi professionali per gli esercenti il
commercio — Determinazione del contenuto dei corsi — Spet
tanza alla regione — Regolamentazione degli scrutìni finali, della
composizione della commissione d'esame e dei requisiti di iscri
zione al registro — Spettanza allo Stato (Cost., art. 117, 118;
d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, art. 35, 36). Regione — Disciplina del commercio — Conflitto di attribuzioni
— Impugnazione di disposizioni insuscettibili di incidere nelle
attribuzioni regionali — Inammissibilità (L. 11 giugno 1971 n.
426, art. 12, 26, 27).
Il Foro Italiano — 1990.
Spetta al ministro dell'industria emanare, con proprio decreto,
le norme di esecuzione della l. 11 giugno 1971 n. 426, nono
stante che il potere conferito in tal senso dall'art. 41 della stes
sa legge risultasse limitato ad un termine (da ritenersi ordinato
rio) di sei mesi e fosse già stato parzialmente esercitato con
d.m. 14 gennaio 1972. (1)
Spetta allo Stato: a) escludere la necessità del nulla osta regionale
per l'impianto delle grandi strutture di vendita, sia nel caso
del trasferimento di sede, sia nel caso dell'ampliamento della
superficie di vendita, salvo siano raggiunti i limiti indicati dalla
l. 426/71; b) instaurare un sistema informativo sulla consisten
za della rete commerciale centrato sulle camere di commercio
e regolato dal ministero dell'industria: c) dettare, in assenza
di una disciplina regionale ai sensi dell'art. 117, ultimo com
ma, Cost., norme di esecuzione della l. 14 ottobre 1974 n. 524,
in relazione alla classificazione degli esercizi destinati alla som
ministrazione al pubblico di alimenti e bevande, alle condizioni
per il rilascio delle relative licenze, nonché ad alcune modalità
di svolgimento dell'attività di somministrazione; A) dettare, in
assenza di una disciplina della regione Sardegna, dotata di com
petenza propria di tipo concorrente in materia di «commercio»
e «istruzione professionale», norme legislative di dettaglio e re
golamentari in tali materie. (2)
Spetta alla regione la definizione del contenuto dei corsi profes sionali per gli esercenti il commercio, per cui va annullato l'art.
20, 1° comma, d.m. industria e commercio 4 agosto 1988 n.
375, nella parte in cui indica le materie dei corsi, mentre spetta allo Stato la regolamentazione degli scrutini finali, della com
posizione della commissione d'esame e l'indicazione dei requi siti per l'iscrizione nel registro degli esercenti il commercio. (3)
È inammissibile, in quanto le disposizioni impugnate non sono
suscettibili di incidere, né direttamente né indirettamente, nella
sfera di attribuzioni conferite alle regioni dalla l. 426/71, il
conflitto sollevato dalle regioni Veneto, Sardegna, Umbria, Lom
bardia ed Emilia-Romagna nei confronti degli art. 31, 2° com
ma, 34, 5° comma, d.m. industria e commercio 4 agosto 1988
n. 375, nella parte in cui stabiliscono i criteri di determinazione
del limite massimo della superficie globale di vendita, il divieto
di imporre limiti massimi di superficie di vendita per ciascun
esercizio e la misura dell'ampliamento suscettibile di modifica re le caratteristiche dell'esercizio. (4)
Diritto. — 1. -1 cinque ricorsi sollevano conflitti di attribuzio
ne nei confronti dello stesso testo normativo sotto profili in larga
parte coincidenti: i giudizi relativi vanno, pertanto, riuniti per
essere decisi con unica sentenza.
(1-2, 4) In ordine alle ipotesi in cui è necessario il nulla osta regionale
per l'apertura o il miglioramento di un centro commerciale, v. Tar Vene
to, sez. II, 15 febbraio 1988, n. 98, Foro it., Rep. 1988, voce Commercio
(disciplina del), n. 31; Cons, giust. amm. sic. 21 ottobre 1986, n. 189,
id., Rep. 1986, voce cit., n. 26; Tar Piemonte, sez. I, 16 marzo 1984, n. 70, id., Rep. 1984, voce cit., n. 33.
Sul potere della regione di stabilire i criteri relativi alla programmazio ne della rete distributiva delle grandi strutture di vendita, v. Tar Piemon
te, sez. I, 16 marzo 1984, n. 70, cit., ibid., n. 16.
Circa le condizioni di legittimità ed i limiti che incontra un comune
nel predisporre il piano commerciale, v. Cons. Stato, sez. V, 30 aprile
1982, n. 365, id., 1982, III, 336, con nota di richiami, che ha dichiarato
illegittimo il criterio della c.d. incompatibilità, secondo cui in determinate
zone è precluso l'insediamento di nuovi esercizi relativi a generi non di
largo e generale consumo ritenuti incompatibili con le zone stesse, anche
in sostituzione di quelle che venissero a cessare; Tar Emilia-Romagna 12 marzo 1981, n. 115, id., Rep. 1982, voce cit., n. 67. Sul potere dei
comuni di limitare le attività commerciali esercitabili in determinate zone, al fine di tutelare le tradizioni locali e aree di particolare interesse, giac ché tale fine è di utilità sociale, v. Cons. Stato, sez. V, 18 marzo 1989, n. 170, id., 1989, III, 337, con nota di richiami. In dottrina, sul potere normativo delle regioni in materia di «commercio», v. Sanviti, La regio ne nei progetti di riforma del commercio, in Regioni, 1985, 933; Chiap
petti, Legislazione delle regioni ordinarie in materia di commercio, in
Disciplina comm., 1986, fase 3, 5; AA.VV., La politica del commercio
nel quadro della programmazione regionale, in Comuni d'Italia, 1987, 533.
(3) La corte si richiama e fa applicazione dei principi espressi da Corte
cost. 30 maggio 1977, n. 89, Foro it., 1977, I, 1621, con nota di richiami,
con cui aveva affermato la spettanza alle regioni ricorrenti del potere di istituire e riconoscere i corsi professionali di cui alla 1. 426/71, con
esclusione della competenza relativa alla fase della valutazione dei risulta
ti della frequenza ai corsi stessi.
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1867 PARTE PRIMA 1868
2. - Alcune regioni (Emilia-Romagna, Lombardia ed Umbria) denunciano l'illegittimità dell'intero d.m. 4 agosto 1988 n. 375
per violazione dell'art. 87 Cost., in relazione all'art. 41 1. 11 giu
gno 1971 n. 426 ed in riferimento agli art. 117 e 118 Cost. Con
tale censura viene contestato il fatto che l'atto normativo in que stione (qualificabile come regolamento di esecuzione) sia stato ema
nato con decreto del ministro dell'industria anziché con decreto
del presidente della repubblica, nonostante che il potere espressa mente conferito allo stesso ministro dall'art. 41 1. n. 426 del 1971
risultasse limitato ad un termine di sei mesi e dovesse comunque considerarsi consumato a seguito dell'emanazione del d.m. 14 gen naio 1972, contenente il primo regolamento di esecuzione.
La questione è infondata.
Come questa corte ha già avuto modo di rilevare (sentenza n.
79 del 1970, Foro it., 1970, I, 1876), l'art. 87, 5° comma, Cost,
non ha inteso esaurire la disciplina della materia dei regolamenti statali, ma soltanto richiamare la tradizionale competenza del ca
po dello Stato all'emanazione dei regolamenti governativi delibe
rati dal consiglio dei ministri: da tale norma non può farsi, dun
que, discendere l'esclusione di altri tipi di regolamenti, quali quelli
ministeriali, quando la legge — secondo la formula da ultimo
adottata dall'art. 17 1. 23 agosto 1988 n. 400 — «espressamente conferisca tale potere». Nella specie, il potere regolamentare eser
citato con il decreto di cui è causa trova il suo specifico fonda
mento legislativo nell'art. 41 1. n. 426 del 1971, la cui efficacia, riferibile all'intera disciplina esecutiva della legge, non si è venuta
ad esaurire né cpn lo scadere del termine ordinatorio semestrale
indicato dalla stessa norma né a seguito dell'emanazione del pri mo regolamento contenuto nel d.m. 14 gennaio 1972 (tant'è che
successivamente, e a più riprese, sono state emanate altre norme
integrative e sostitutive di tale regolamento mediante i d.m. 28
aprile 1976, 27 giugno 1986 e 7 aprile 1987). 3. - Passando all'esame delle singole censure, vanno in primo
luogo valutati i profili concernenti l'asserita lesione dei poteri di
programmazione spettanti alle regioni, nel settore del commercio, ai sensi della 1. 11 giugno 1971 n. 426. Tali censure toccano, in primo luogo, in tutti i ricorsi, gli art. 31, 2° comma, 34, 5°
comma, e 48, 6° comma, ma si estendono anche, nel ricorso del
la regione Veneto, agli art. 43, 2° comma, e 63, 15° comma, del regolamento impugnato.
Con riferimento a questo primo ordine di doglianze i vari ri
corsi, pur sviluppando argomentazioni in parte diverse, muovono
nella sostanza dagli stessi presupposti e in particolare dalla consi
derazione: a) che la 1. n. 426 del 1971 sarebbe venuta a delineare, nella materia del commercio, un compiuto sistema di program mazione regionale (fondato sugli art. 13, 26 e 27 della stessa leg
ge), in certo senso sovraordinato rispetto alla programmazione attuata dai comuni con i piani di sviluppo ed adeguamento delle
reti di vendita; b) che tale sistema risulterebbe sconvolto dalle
norme del d.m. n. 375 del 1988 appena richiamate, a causa delle
indebite restrizioni che tali norme avrebbero, direttamente o indi
rettamente, apportato ai poteri conferiti alle regioni dalla stessa 1. n. 426.
A questo proposito, occorre in primo luogo ricordare come le regioni a statuto ordinario non dispongano di una competenza
legislativa propria in tema di «commercio», non essendo tale ma
teria compresa nell'elenco formulato dall'art. 117 Cost.: nell'area
afferente al «commercio» spettano, di conseguenza, alle stesse
regioni soltanto i poteri che lo Stato ha conferito o delegato me
diante leggi ordinarie od atti con forza di legge, quali la 1. n. 426 del 1971 (con le successive modificazioni) ed il d.p.r. n. 616
del 1977 (art. 51 ss.) (diversa si presenta, invece, su questo pun to, la posizione della regione autonoma della Sardegna che, in
ragione dei contenuti del suo statuto speciale, dovrà essere consi
derata a parte: cfr. infra n. 9). Una seconda osservazione da fare attiene al fatto che la 1. n.
426 del 1971, nel porre una disciplina organica del commercio, ha individuato nei comuni i soggetti primari della programmazio ne commerciale e nei piani comunali di sviluppo ed adeguamento della rete di vendita gli strumenti fondamentali di tale program mazione (art. 11 ss.). Nel quadro di tale contesto, la stessa legge ha anche attribuito alle regioni alcuni rilevanti, ma delimitati po teri di controllo e di indirizzo, riferiti in particolare sia alla con
nessione tra programmazione commerciale e programmazione ur
banistica (art. 13 e 14), sia all'insediamento delle maggiori strut
ture di vendita, destinate a servire ambiti più ampi del territorio
comunale (art. 26, 27 e 28).
Il Foro Italiano — 1990.
Da tali richiami discendono due corollari, suscettibili di valere
ai fini della soluzione dei conflitti in esame.
Il primo è che, stante la distinta definizione degli ambiti di
competenza, regionali e comunali, tracciati dalla 1. n. 426, non
tutte le limitazioni apportate, mediante regolamento, ai poteri co
munali potranno, solo per questo, riflettersi anche nella sfera delle
attribuzioni regionali. Il secondo attiene al fatto che, vertendosi
in materia non spettante alla sfera regionale per attribuzione co
stituzionale, le limitazioni eventualmente introdotte in via regola mentare nei confronti di tale sfera saranno suscettibili di dar luo
go a lesioni contestabili in sede di conflitto solo ove vengano a contrastare con le norme primarie attributive della competenza, riducendo indebitamente la sfera dei poteri conferiti o delegati alle stesse regioni o dalla legge n. 426 o da altra fonte di livello
equivalente. 4. - Poste tali premesse, dev'essere innanzitutto affermata l'i
nammissibilità delle censure relative agli art. 31, 2° comma, 34, 5° comma, 43, 2° comma, e 63, 15° comma, del regolamento in esame.
Nessuna delle norme in questione appare, infatti, suscettibile
di incidere, né direttamente né indirettamente, nella sfera delle
attribuzioni conferite alle regioni dalla I. n. 426 o da altra fonte
primaria in materia di commercio.
In proposito va ricordato che l'art. 31,2° comma, dello stesso
regolamento stabilisce che la determinazione del limite massimo
della superficie globale di vendita va effettuata solo per l'apertu ra di «nuovi esercizi», con conseguente esclusione dell'operatività del limite nei confronti dei trasferimenti e degli ampliamenti: tale
norma — a parte ogni considerazione in ordine alla sua possibile
compatibilità con quanto disposto dall'art. 12, 2° comma, 1. n.
426, dove il limite in questione è riferito al «rilascio di nuove
autorizzazioni» — non assume come destinatarie le regioni, ma
soltanto i comuni, cui spetta il compito di fissare, nell'ambito
dei piani comunali del commercio, il limite massimo della super ficie globale di vendita per i vari settori merceologici e di applica re in concreto tale limite ai fini dell'esercizio dei propri poteri autorizzatori.
Analoghe osservazioni possono valere anche nei confronti delle
disposizioni contenute nell'art. 34, 5° comma, dove si stabilisce
il divieto di imporre limiti massimi di superficie di vendita per ciascun esercizio, e nell'art. 43, 2° comma, dove si definisce la
misura dell'ampliamento suscettibile di modificare le caratteristi
che dell'esercizio. Il divieto formulato nella prima disposizione attiene, infatti, esclusivamente ai poteri dei comuni, cui la legge consente di indicare, per i vari settori merceologici, la superficie minima, ma non la massima, dei locali adibiti alla vendita (art. 12, 1° comma, 1. 426/71), mentre la seconda disposizione (che si limita a riprodurre quanto già disposto dall'art. 29 d.m. 28
aprile 1976, contenente norme integrative e sostitutive del regola mento di esecuzione emanato con d.m. 14 gennaio 1972) adotta
una definizione degli ampliamenti modificativi delle caratteristi
che dell'esercizio che non tocca i poteri regionali, dal momento che investe soltanto — secondo l'esplicita limitazione contenuta
nella norma — il potere di autorizzazione conferito al sindaco dall'art. 24, 2° comma, 1. n. 426, senza incidere, di contro, nel
potere di nulla osta conferito alla giunta regionale, per il settore della grande distribuzione, dagli art. 26 e 27 della stessa legge.
Infine, l'inammissibilità della censura formulata, nei confronti
dell'art. 63, 15° comma, del regolamento discende chiaramente dal fatto che questa norma — prevedendo in via transitoria l'e stensione di determinate tabelle merceologiche relative a generi alimentari anche ai prodotti di altra tabella — oltre a non com
portare un ampliamento automatico delle superfici di vendita, si
limita soltanto a circoscrivere il potere discrezionale attribuito al
sindaco ai fini del rilascio delle autorizzazioni concernenti le di verse tabelle, potere estraneo alla sfera delle attribuzioni regionali.
5. - Con un'ulteriore censura — formulata in tutti i ricorsi — viene contestata la legittimità dell'art. 48, 6° comma, del de
creto in esame, dove si esclude la necessità del nulla osta regio nale (previsto dagli art. 26 e 27 1. n. 426) per l'impianto delle
grandi strutture di vendita, sia nel caso del trasferimento di sede sia nel caso dell'ampliamento della superficie di vendita, salvo che a seguito di successivi ampliamenti di un esercizio preesisten te siano raggiunti i limiti (rispettivamente di 400 e 1500 mq) indi cati dagli stessi articoli della legge. Ad avviso delle ricorrenti, tale norma regolamentare verrebbe indebitamente a limitare il
potere di nulla osta conferito alle regioni dalla 1. n. 426 per le mag
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
giori strutture di vendita, scalzando i poteri regionali di controllo
e di programmazione sugli esercizi ad attrazione ultracomunale
e, di conseguenza, sull'intera rete distributiva esistente nel terri
torio regionale. La questione non è fondata.
Gli art. 26 e 27 1. n. 426 riferiscono testualmente il nulla osta
regionale all'«apertura» degli esercizi di vendita al dettaglio e dei
centri commerciali caratterizzati da particolari dimensioni: tale
formulazione, ove venga confrontata con la più ampia dizione
adottata dal 1° comma dell'art. 24 — che impone l'autorizzazio
ne comunale sia per l'«apertura di esercizi al minuto», sia per il «trasferimento in altra zona», sia per l'«ampliamento degli eser
cizi già esistenti» — induce a ritenere che la volontà espressa dal
legislatore sia stata nel senso di limitare l'ambito di incidenza
del nulla osta regionale alla sola ipotesi di «apertura» (cui il re
golamento ha equiparato, con interpretazione estensiva, gli am
pliamenti suscettibili di superare i limiti di superficie indicati ne
gli stessi articoli della legge), con esclusione delle diverse ipotesi di «trasferimento» ed «ampliamento» dell'esercizio. Tale inter
pretazione risultava, del resto già adottata nell'art. 32 del regola mento emanato con d.m. 28 aprile 1976, dove — nel riformulare
la disciplina espressa dall'art. 46 d.m. 14 gennaio 1972 — impli citamente si delimitava l'ambito di applicazione del nulla osta
regionale richiesto dagli art. 26 e 27 della legge, dal momento
che si affermava la sua necessità «non soltanto quando la super ficie di vendita raggiunga i limiti di cui agli articoli stessi fin
dal momento della prima attivazione dell'esercizio, ma anche quan do tali limiti siano raggiunti per via di successivi ampliamenti di un esercizio preesistente», tacendo di ogni altra ipotesi.
Nessun contrasto è dato, dunque, ravvisare tra la disciplina
posta dall'art. 48, 6° comma, del regolamento impugnato e le
competenze assegnate alle regioni, in materia di programmazione
commerciale, dagli art. 26 e 27 1. n. 426. D'altro canto, neppure i rilievi formulati nei vari ricorsi circa l'irrazionalità della limita
zione affermata con la norma di cui è causa ai fini di un efficace
svolgimento della programmazione regionale nel settore della gran de distribuzione possono valere in questa sede, dal momento che
tali rilievi vengono tutti a collegarsi alla prospettiva di una possi bile (ed anche auspicabile) riforma della legge sul commercio,
incentrata su di un'ipotesi di rafforzamento della presenza regio nale nel settore della grande distribuzione, ma esulano sicura
mente dagli oggetti deducibili in sede di conflitto di attribuzione.
6. - Un'ulteriore censura, comune a tutti i ricorsi, investe la
disciplina dei corsi professionali per gli esercenti il commercio
stabilita dall'art. 20 del decreto impugnato, dove si regolano le
materie di insegnamento ed i programmi dei corsi (commi 1° e
5°), gli scrutini finali (commi 6° e 7°), nonché alcune condizioni
per l'iscrizione, conseguente alla frequenza dei corsi, nel registro
degli esercenti il commercio (commi 2°, 3°, 4° e 8°). Secondo
le ricorrenti tale disciplina risulterebbe invasiva delle competenze
spettanti alle regioni ordinarie in materia di istruzione professio nale ai sensi degli art. 117 e 118 Cost., 35 e 36 d.p.r. n. 616
del 1977 e della legge-quadro in materia di formazione professio nale (1. 21 dicembre 1978 n. 845), tenendo anche conto degli svol
gimenti della giurisprudenza elaborata in tema di corsi professio nali dalla Corte costituzionale.
La censura è in parte fondata.
Questa corte con la sentenza n. 89 del 1977 (id., 1977, I, 1621) — giudicando in un conflitto di attribuzione sollevato nei con
fronti di un d.m. relativo ai corsi professionali istituiti ai sensi
della 1. n. 426 del 1971 — ebbe modo di affermare la competenza
delle regioni alla regolamentazione di tali corsi, salva la possibilià
per lo Stato «di controllare preventivamente che le materie di
insegnamento, che spetta alle regioni stabilire, siano idonee al
conseguimento della qualificazione professionale». Con la stessa
sentenza la corte riservò allo Stato anche la fase della valutazione
dei risultati della frequenza ai corsi, dal momento che tale verifi
ca «abilita — per la via mediata dell'iscrizione nel registro —
all'esercizio dell'attività commerciale nell'intero territorio nazio
nale» ed attiene, pertanto, alla materia del «commercio» di com
petenza statale.
Tali indicazioni — successivamente confermate in sede legis
lativa, attraverso l'art. 36 d.p.r. n. 616 del 1977, dove si attribui
It Foro Italiano — 1990.
scono alla competenza regionale le funzioni amministrative relati
ve alla formazione degli operatori commerciali — inducono a ri
tenere la doglianza fondata con riferimento al 1° comma dell'art.
20, nella parte in cui rinvia, ai fini della definizione del contenu
to dei corsi, alle materie elencate nell'allegato 6: attraverso que sta elencazione di materie si viene, infatti, indebitamente a sot
trarre alla sfera delle ricorrenti un momento essenziale dell'orga nizzazione dei corsi, momento riservato alle regioni, pur con la
possibilità di un controllo preventivo dello Stato sulle stesse ma
terie (possibilità fatta salva dal 5° comma dell'art. 20). Le censu
re prospettate nei confronti degli altri commi, diversi dal 1°, del
lo stesso art. 20 non possono, invece, trovare accoglimento, dal
momento che le norme oggetto d'impugnativa attengono tutte ad
aspetti della materia (scrutini finali; composizione della commis
sione d'esame; requisiti per l'iscrizione nel registro) già ricono
sciuti da questa corte di spettanza statale.
7. - Tutti i ricorsi (ad eccezione di quello presentato dalla re
gione Veneto) sollevano conflitto anche nei confronti dell'art. 36, concernente la rilevazione della consistenza della rete distributiva.
A questo proposito i ricorsi lamentano che le norme contenute
in tale articolo abbiano delineato un sistema informativo che —
per il fatto di collegare direttamente i comuni alle camere di com
mercio — avrebbe, nella sostanza, emarginato le regioni, attri
buendo per giunta al solo ministero il potere di determinare, con
assoluta discrezionalità, i modi di utilizzazione dei dati raccolti.
Anche questa censura non può essere condivisa.
L'articolo in esame prevede che «ai fini dell'attuazione di un
sistema di raccolta e diffusione di dati sulla rete distributiva co
munale, regionale e nazionale, ogni comune deve inviare alla ca
mera di commercio competente per territorio, al termine di cia
scun trimestre, copie delle autorizzazioni alla vendita di qualsiasi
tipo e delle licenze ... rilasciate o revocate nel corso del trime
stre», aggiungendo che «i dati raccolti sono a disposizione degli enti e degli organi pubblici interessati». Lo stesso articolo, dopo aver precisato alcune modalità per la raccolta dei dati, attribuisce
al ministero dell'industria il compito di stabilire «le modalità di
acquisizione, utilizzazione e messa a disposizione» dei dati raccolti.
Se è vero che tale disciplina mira ad instaurare un sistema in
formativo sulla consistenza della rete commerciale centrato sulle
camere di commercio e regolato dal ministero dell'industria, è
anche vero che la soluzione adottata non esclude di per sé la
possibilità di altri sistemi informativi, attivabili da parte delle re
gioni, anche con la collaborazione dei comuni e delle camere di
commercio. D'altro canto, la considerazione che la disciplina trac
ciata dalla norma impugnata avrebbe affidato alla mera discre
zionalità dell'amministrazione statale la possibilità di accesso del
la regione ai dati raccolti appare contraddetta dallo stesso conte
nuto della norma, che si è preoccupata di imporre a carico
dell'amministrazione statale un preciso obbligo di messa a dispo sizione dei dati raccolti a favore di tutti gli enti interessati (tra
cui, in primo luogo, la regione). In tale contesto, anche la disci
plina relativa alle modalità per l'utilizzazione e la messa a dispo sizione dei dati raccolti non potrà non risultare funzionale all'esi
genza di garantire il rispetto di tale obbligo da parte dello Stato
e, conseguentemente, l'esercizio del diritto di accesso da parte dei soggetti interessati.
8. - Una censura particolare viene prospettata dalla sola regio ne Veneto con riferimento all'art. 32 del regolamento in esame,
concernente la disciplina relativa alla classificazione degli esercizi
destinati alla somministrazione al pubblico di alimenti e bevande,
alle condizioni per il rilascio delle relative licenze nonché ad alcu
ne modalità di svolgimento dell'attività di somministrazione.
Secondo la ricorrente, le norme contenute in tale articolo ver
rebbero a violare la sfera di competenza regionale in materia di
pubblici esercizi di vendita e consumo di alimenti e bevande, de
legata ai sensi dell'art. 52, 1° comma, lett., à) d.p.r. n. 616 del
1977, avendo «prosciugato» l'intero spazio normativo concesso
alle regioni nelle materie delegate.
Anche tale censura, alla luce di una corretta lettura della disci
plina impugnata, non può essere accolta.
L'art. 32 del decreto in esame contiene disposizioni di attuazio
ne ed esecuzione della 1. 14 ottobre 1974 n. 524, concernente la
materia degli esercizi pubblici di vendita e consumo di alimenti
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1871 PARTE PRIMA 1872
e bevande. Questa materia — come la ricorrente ricorda — ha
formato oggetto di delega alle regioni ordinarie ai sensi dell'art.
52, 1° comma, lett. a), d.p.r. n. 616 del 1977: di talché spetta
oggi alle regioni, nella stessa materia, oltre l'esercizio delle fun
zioni amministrative, emanare «norme legislative di organizzazio ne e di spesa, nonché norme di attuazione ai sensi dell'ultimo
comma dell'art. 117 Cost.» (art. 7, 1° comma, d.p.r. n. 616 del
1977). Tale contesto non esclude, peraltro, la possibilità che lo Stato
possa intervenire in via suppletiva, mediante lo strumento regola
mentare, al fine di porre norme esecutive di una propria legge. Ove si verifichi tale ipotesi — corrispondente al caso in esame — il regolamento statale sarà in grado di svolgere la sua efficacia
solo e fino a quando la regione non venga a sua volta ad adotta
re, nella stessa materia, una propria disciplina attraverso norme
di attuazione emanate ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 117
Cost. (cfr. sentenze n. 195 del 1986 e n. 226 del 1986, id., 1987,
I, 354 e 2682). Norme di questo tipo, nella specie, non risultano essere state
adottate dalla regione ricorrente, di talché nessun effetto invasivo
attuale può essere imputato alla norma regolamentare di cui è
causa.
9. - Un esame specifico richiede, infine, il ricorso proposto dalla regione Sardegna, che, pur investendo norme (art. 20, 31,
34, 36 e 48) impugnate anche dagli altri ricorsi, pone in gioco il richiamo a parametri differenziati (art. 4, 5 e 6 dello statuto
speciale; art. 1, 3, 25, 29 ss. d.p.r. 19 giugno 1979 n. 348), con
nessi alla specialità dell'autonomia regionale. A questo proposito va ricordato come spetti alla regione Sar
degna — diversamente da quanto previsto per le regioni ordinarie — una competenza legislativa propria, di tipo concorrente, in
materia di «commercio» (art. 4, lett. a, dello statuto speciale),
competenza che le norme di attuazione statutaria hanno specifi cato nell'«attività intesa ad organizzare, promuovere e favorire
la distribuzione, la somministrazione e l'approvvigionamento del
le merci», con un riferimento particolare anche alla «formazione
dei piani urbanistici commerciali regionali», ed all'«esercizio del
le funzioni di vigilanza e tutela relative ai piani di urbanistica
commerciale dei comuni» (art. 39, 1° comma e 2° comma, lett.
d, d.p.r. 19 giugno 1979 n. 348). La posizione della regione Sar
degna risulta, d'altro canto, differenziata da quella delle regioni ordinarie anche con riferimento alla materia dell'istruzione pro fessionale — posta in gioco dall'art. 20 del regolamento impu
gnato — che, pur non attribuita alla regione in sede statutaria, è stata alla stessa delegata dalle norme di attuazione anche con
riferimento specifico alla «formazione degli operatori del com
mercio di cui alla 1. 11 giugno 1971 n. 426» (art. 25 e 26 lett.
b, d.p.r. n. 348 del 1979).
Queste disposizioni — nel caratterizzare la specialità della posi zione della regione Sardegna rispetto alle attribuzioni investite dal
decreto impugnato — consentono alla stessa regione di limitare, nella materia «commercio», l'incidenza della 1. n. 426 del 1971 ai soli principi fondamentali in essa contenuti, nonché di adotta
re, nella materia dell'«istruzione professionale», proprie norme
di integrazione ed attuazione ai' sensi dell'art. 3 d.p.r. n. 348 del
1979: con la conseguente possibilità, nella prima materia, di so
stituire con le norme espresse attraverso la propria legislazione concorrente la disciplina legislativa di dettaglio e regolamentare
posta dallo Stato; nella seconda materia, di far prevalere le pro
prie norme di attuazione sulle norme poste dai regolamenti statali.
Tali possibilità presuppongono, peraltro, in ogni caso, l'eserci
zio effettivo da parte della regione delle proprie competenze nor
mative, sia di tipo concorrente che di tipo integrativo: esercizio
che, nella specie, non risulta essere stato sinora attuato, né con
riferimento alla materia del «commercio» né con riferimento al
settore particolare dell'«istruzione professionale» connesso alla
formazione degli operatori commerciali (la 1. reg. 1° giugno 1979
n. 47, sulla formazione professionale in Sardegna, non investe
specificamente tale settore). In tale situazione, non sussistono motivi per limitare l'operati
vità dell'intera disciplina posta dalla 1. n. 426 del 1971 e dai suc
cessivi regolamenti statali (ivi compreso il regolamento in esame) anche all'ambito dell'ordinamento sardo, tanto più ove si consi
deri che, ai sensi dello stesso statuto speciale (art. 57), nelle mate
rie attribuite alla competenza della regione, «fino a quando non
sia diversamente disposto con leggi regionali, si applicano le leggi dello Stato».
Il Foro Italiano — 1990.
La conclusione è, dunque, nel senso che, al momento presente, la posizione della regione Sardegna — ai fini della soluzione del
conflitto di cui è causa — non può considerarsi diversa da quella
propria delle altre ricorrenti: salva, in ogni caso, la possibilità
per la stessa regione di addivenire in futuro, mediante l'adozione
di appropriati strumenti normativi, ad un diverso svolgimento dei
principi posti dalla legislazione statale in tema di distribuzione
delle competenze connesse alla materia in esame.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, di
chiara: a) con riferimento ai conflitti sollevati dalle regioni Um
bria, Lombardia ed Emilia-Romagna, che spetta al ministro per
l'industria, il commercio e l'artigianato emanare le norme di ese
cuzione della 1. 11 giugno 1971 n. 426 contenute nel d.m. 4 ago sto 1988 n. 375; b) con riferimento ai conflitti sollevati dalle re
gioni Veneto, Umbria, Lombardia ed Emilia-Romagna, che spet ta allo Stato disciplinare gli oggetti di cui agli art. 20 (salvo l'inciso
finale del 1° comma), 36 e 48, 6° comma, d.m. n. 375 del 1988;
c) con riferimento ai conflitti sollevati dalle regioni Veneto, Sar
degna, Umbria, Lombardia, Emilia-Romagna, che non spetta al
lo Stato indicare le materie dei corsi professionali di cui all'art.
5, 1° comma, n. 3, 1. 11 giugno 1971 n. 426 e conseguentemente annulla l'ultimo inciso del 1° comma dell'art. 20 d.m. n. 375
del 1988 con l'allegato 6 dello stesso decreto; d) con riferimento
al conflitto sollevato dalla regione Veneto, che spetta allo Stato, nei limiti di cui in motivazione, disciplinare gli oggetti di cui al l'art. 32 d.m. n. 375 del 1988; e) con riferimento al conflitto
sollevato dalla regione speciale Sardegna, che spetta allo Stato, nei limiti di cui in motivazione, disciplinare gli oggetti di cui agli art. 20 (salvo l'ultimo inciso del 1° comma), 36 e 48 d.m. n.
375 del 1988; f) inammissibili i conflitti sollevati dalle regioni Veneto, Sardegna, Umbria, Lombardia ed Emilia-Romagna av
verso gli art. 31, 2° comma, e 34, 5° comma, nonché il conflitto
sollevato dalla sola regione Veneto avverso gli art. 43, 2° com
ma, e 63, 15° comma, d.m. 4 agosto 1988 n. 375 (norme per l'esecuzione della 1. 11 giugno 1971 n. 426, sulla disciplina del
commercio).
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 29 mag
gio 1990, n. 4973; Pres. Sanduixi, Est. Corda, P.M. Amatuc
ci E. (conci, parz. diff.); Soc. Avis (Avv. Palladino, Valenti
no) c. Comune di Avellino. Regolamento di giurisdizione.
CORTE DI CASSAZIONE;
Edilizia e urbanistica — Costruzione difforme dalla licenza —
Sanzione pecuniaria amministrativa — Ingiunzione sindacale di
pagamento — Opposizione — Giurisdizione amministrativa —
Estremi (R.d. 14 aprile 1910 11. 639, t.u. per la riscossione delle
entrate patrimoniali dello Stato, art. 3; 1. 6 agosto 1967 n. 765, modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942
n. 1150, art. 13).
Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la cognizio ne dell'opposizione all'ingiunzione sindacale di pagamento, ex
art. 3 t.u. n. 639 del 1910, della sanzione pecuniaria ammini
strativa di cui all'art. 13 l. n. 765 del 1967, per inapplicabilità del procedimento coattivo disciplinato dal menzionato testo uni
co, per incompetenza del sindaco e per «carenza di legittima zione» dell'intimato. (1)
(1) Negli stessi termini, con riferimento, però, ad opposizione basata su motivi non del tutto coincidenti con quelli dedotti nella specie dalla soc. Avis, sez. un. 26 febbraio 1979, n. 1244, Foro it., 1979, I, 888, con nota di richiami, tra i quali sez. un. 24 febbraio 1978, n. 926, citata, al pari della precedente, in motivazione.
Le ragioni di fondo della soluzione della controversa questione di giu risdizione sono state recentemente ribadite da sez. un. 3 febbraio 1989, n. 660, id., 1989, I, 1076 e 28 aprile 1989, n. 2003, ibid., 1788; nonché, con specifico riguardo a situazione disciplinata dall'art. 15 1. n. 10 del 1977, da sez. un. 23 febbraio 1990, n. 1392, id., 1990, I, 1210, con osser vazioni di C. M. Barone.
Non soffermandosi più di tanto sulle possibili implicazioni, ai fini del
riparto di giurisdizione, della proposizione della opposizione a ingiunzio ne emessa ai sensi del r.d. n. 639 del 1910, le sezioni unite mostrano di ritenere irrilevante, ai medesimi fini, in correlazione con l'effettiva na tura della contestazione, l'utilizzazione del meccanismo previsto dallo stesso r.d., allineandosi cosi, anche sotto questo profilo, all'impostazione del la citata sent. n. 1244 del 1979. In effetti, però, le anzidette implica
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