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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 31 dicembre 1986, n. 295 (Gazzetta...

Date post: 31-Jan-2017
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sentenza 31 dicembre 1986, n. 295 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 9 gennaio 1987, n. 2); Pres. La Pergola, Rel. Dell'Andro; imp. Stentella ed altri; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Ferri). Ord. Trib. min. Perugia 19 dicembre 1978 (G. U. n. 196 del 1979) e 11 maggio 1979 (G. U. n. 50 del 1980); Trib. min. L'Aquila 5 marzo 1980 (G. U. n. 173 del 1980) e 25 febbraio 1981 (due) (G. U. n. 276 del 1981) ... Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1988), pp. 1105/1106-1115/1116 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181184 . Accessed: 28/06/2014 14:02 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.188 on Sat, 28 Jun 2014 14:02:02 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 31 dicembre 1986, n. 295 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 9 gennaio 1987, n. 2);Pres. La Pergola, Rel. Dell'Andro; imp. Stentella ed altri; interv. Pres. cons. ministri (Avv.dello Stato Ferri). Ord. Trib. min. Perugia 19 dicembre 1978 (G. U. n. 196 del 1979) e 11 maggio1979 (G. U. n. 50 del 1980); Trib. min. L'Aquila 5 marzo 1980 (G. U. n. 173 del 1980) e 25febbraio 1981 (due) (G. U. n. 276 del 1981) ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 1105/1106-1115/1116Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181184 .

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

to in motivazione continuo riferimento all'ostacolo rappresentato dall'art. 90 c.p.p.: che il Tribunale di Lanusei ha peraltro esplici tamente investito.

6. - Tutto questo, ad ogni modo, lungi dall'escludere che il

giudice ordinario possa frattanto trovare una soluzione sul piano

interpretativo, sembra anzi confortarne la compatibilità costitu

zionale.

Come di recente è stato autorevolmente indicato dalle sezioni

unite penali della Corte di cassazione, ma anche da qualche giu dice di merito (Tribunale di Milano in più sentenze, Pretore di

Milano, Pretore di Sondrio ed altre), e come, del resto è sostenu

to anche da parte autorevole della dottrina, il principio dell'in

tangibilità del giudicato dev'essere rettamente inteso. Risulta

chiaramente, infatti, dallo stesso art. 90 c.p.p. che la disposizio ne è tendenzialmente a favore dell'imputato, che nella norma tro

va rigorosa tutela da ogni possibilità di essere sottoposto a nuovo

giudizio per lo stesso fatto. Ora, ogniqualvolta si consenta, inve

ce, qualunque ne sia la ragione, che il giudicato impedisca di

applicare l'istituto della continuazione all'intero sviluppo esecuti

vo dell'unico disegno criminoso, si viola proprio l'art. 90 c.p.p. in quanto in realtà si consente che, per lo stesso fatto di reato

continuato, il giudicabile venga sottoposto a due distinti giudizi con relativo cumulo delle pene, mentre il legislatore prescrive che

si determini una pena unica mediante un'unica complessiva valu

tazione.

Ed è proprio l'ordinamento stesso che è tutto decisamente orien

tato a non tenere conto del giudicato, e quindi a non mitizzarne

l'intangibilità, ogniqualvolta dal giudicato resterebbe sacrificato

il buon diritto del cittadino. La citata sentenza delle sezioni unite

ha reso manifesto tale orientamento indicando l'art. 579 c.p.p.

(che riguarda proprio l'ipotesi di violazione dell'art. 90 c.p.p.) e gli art. 78 e 80 c.p.

Rispetto a questi ultimi articoli, anzi, va aggiunto che la rifor

ma del 1974 ne ha portato il richiamo proprio nel testo dell'art.

81 c.p. L'ultimo comma, infatti, oggi recita «nei casi preveduti da questo articolo, la pena non può essere superiore a quella che

sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti»: fra i quali evidentemente sono ricompresi gli art. 78-80 c.p. Ciò significa

che, almeno agli effetti sanzionatori, dovendosi eseguire più sen

tenze contro la stessa persona, se risulta che, pur applicando l'i

stituto della continuazione («casi preveduti dall'art. 81 c.p.»), sono

stati superati i limiti previsti nell'art. 78 c.p., la pena — nono

stante il giudicato — va ridotta dentro i limiti. E altrettanto deve

fare il giudice che sta giudicando la stessa persona (dopo che

questa è già stata condannata) per un altro reato commesso ante

riormente o posteriormente alla condanna. Dunque, del giudicato il legislatore mostra di non voler tener conto quando si superino con la pena complessiva i limiti di legge. Ma anche il modo di

determinare la pena complessiva previsto nel 2° comma dell'art.

81 c.p. rappresenta un limite al cumulo materiale delle pene. Orientamento che — come s'è visto — si va accentuando con

le tendenze attuali; considerato che, come già l'art. 632 del pro

getto preliminare redatto sulla base della precedente legge-delega, l'attuale per la riforma del rito penale prevede espressamente che

l'operazione di adeguamento della pena al principio fondamenta

le della continuazione possa essere affidata persino al giudice del

l'esecuzione. Il quale, a differenza del giudice di cognizione del

secondo processo, deve agire sulla base documentale di sentenze

tutte passate in giudicato: e tuttavia si ammette che egli possa

compiere valutazioni che i giudici della cognizione non avevano

fatto o non erano stati in grado di fare.

D'altra parte, o si ritiene che il giudice del processo in corso

si limiti a valutare la situazione sottoposta al suo giudizio, colle

gandola al precedente giudicato solo agli effetti sanzionatori op

pure, se si insiste nell'affermare che una qualche valutazione del

precedente giudicato esiste sempre, fosse pure ai limitati effetti

di riconoscere l'unicità del disegno criminoso delle precedenti con

le susseguenti violazioni, allora bisogna anche ammettere che tut

to questo è già consentito dalla concorde giurisprudenza che, pur contestando l'operazione di cui qui si va parlando, non ha diffi

coltà a dichiararla lecita quando il giudicato copre la violazione

più grave. Infatti, la valutazione dell'unicità del disegno crimino

so tra le plurime violazioni non è certo subordinata alla sede del

la violazione più grave, ma riguarda l'unicità del programma,

dovunque poi sia per essere ravvisata la presenza della violazione

più grave. Né ha pregio il rilievo — contenuto in qualche ordinanza di

Il Foro Italiano — 1988.

manifesta infondatezza da parte dei giudici ordinari — secondo

cui «l'esclusione della continuazione (nelle ipotesi di cui si va par

lando) non comporta violazione del principio di uguaglianza, ma

rientra nella logica del sistema per il quale a situazioni diverse

corrispondono trattamenti differenziati». La massima, infatti, che

più volte questa corte ha affermato, si riferisce evidentemente

a diversità delle situazioni giuridiche, non certo a quella di situa

zioni di fatto, e per giunta occasionali, come quelle che qui ven

gono in esame.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, di

chiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del

l'art. 81, 2° comma, c.p., sollevata dal Tribunale di Torino, in

riferimento agli art. 3 e 25 Cost., con le ordinanze 18 dicembre

1985 (n. 420/86) e 8 aprile 1986 (n. 421/86); nonché dal Pretore

di Ferrara, in riferimento al solo art. 3 Cost., con ord. 24 feb

braio 1986 (n. 418/86); dichiara non fondata, nei sensi di cui

in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli art.

81, 2° comma, c.p. e 90 c.p.p., sollevata dal Tribunale di Lanu

sei, in riferimento all'art. 3 Cost., con ord. 26 novembre 1982

(n. 230/83); dal Tribunale di Sondrio, nei confronti del solo art.

81, 2° comma, c.p., con ordinanza 13 gennaio 1984 (n. 1019/84), in riferimento all'art. 3 Cost.; dalla Corte di cassazione, con ord.

6 marzo 1985 (n. 364/86), sempre nei confronti del solo art. 81, 2° comma, c.p. e con riferimento agli art. 3 e 25 Cost.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 31 dicembre 1986, n. 295

(<Gazzetta ufficiale, V serie speciale, 9 gennaio 1987, n. 2); Pres.

La Pergola, Rei. Dell'Andro; imp. Stentella ed altri; interv.

Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Ferri). Ord. Trib. min.

Perugia 19 dicembre 1978 (G. U. n. 196 del 1979) e 11 maggio 1979 (G. U. n. 50 del 1980); Trib. min. L'Aquila 5 marzo 1980

(G. U. n. 173 del 1980) e 25 febbraio 1981 (due) (G. U. n.

276 del 1981).

Perdono giudiziale — Fatti successivi alla concessione del benefi

cio — Divieto di nuova concessione — Diversità di disciplina

rispetto alla sospensione condizionale della pena — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 3; cod. pen., art. 169).

Perdono giudiziale — Fatti successivi alla concessione del benefi

cio — Divieto di nuova concessione — Mancata limitazione

a precedente perdono per fatti delittuosi — Questione infonda

ta di costituzionalità (Cost., art. 3; cod. pen., art. 169).

È infondata, in riferimento agli art. 2 e 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 169 c.p., nella parte in cui

esclude la possibilità di reiterare la concessione del beneficio del perdono giudiziale, a differenza di quanto previsto per la

sospensione condizionale della pena; i due istituti infatti, pur

fondandosi sullo stesso presupposto e tendendo alla medesima

finalità rieducativa, si diversificano nell'operatività degli effet

ti, ciò che giustifica la diversità di disciplina. (1) È infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legitti

mità costituzionale dell'art. 169, ultimo comma, c.p., nella parte in cui non limita il divieto di nuova concessione ai soli casi

in cui il perdono sia stato concesso per fatti delittuosi; la rica

duta nel reato infatti assume un diverso significato a seconda

che il soggetto sia stato condannato per fatti contravvenzionali

o per gli stessi abbia già fruito del perdono, e non irrazional

mente il legislatore disciplina in modo diverso le due ipotesi. (2)

(1-2) L'ordinanza di rimessione Trib. min. Perugia 19 dicembre 1978 è riportata in Giur. merito, 1980, 645, con nota di Ferraro e massimata

in Foro it., Rep. 1980, voce Perdono giudiziale, n. 5; sono altresì massi male le ordinanze Trib. min. Perugia 11 maggio 1979, ibid., n. 6; Trib. min. L'Aquila 5 marzo 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n. 2, e 25 febbraio

1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 2. La Corte costituzionale torna ad occuparsi dell'art. 169 c.p., in relazio

ne al quale si era già pronunciata con le sentenze 5 luglio 1973, n. 108, id., 1973, I, 2703, e 7 luglio 1976, n. 154, id., 1976, I, 2541, con nota di La Greca, da porre a confronto con Corte cost. 10 giugno 1970, n. 86, id., 1970, I, 1866, e 5 aprile 1971, n. 73, id., 1971, 1, 1171, relative alla sospensione condizionale.

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1107 PARTE PRIMA

Diritto. — 1. - Le questioni sollevate dalle ordinanze di cui

in narrativa sono analoghe e possono, pertanto, essere decise con

unica sentenza.

2. - Le ordinanze di rimessione del Tribunale per i minorenni

di Perugia, indicate in epigrafe, sostengono che, tenuto conto

dell'identità di ratio e presupposti e dello strettissimo legame tra

gli istituti della liberazione condizionale e del perdono giudiziale, i principi validi in ordine al primo istituto devono valere anche

per il secondo: in particolare, poiché l'art. 164 c.p., come sosti

tuito dall'art. 12 d.l. 11 aprile 1974 n. 99, convertito in 1. 7 giugno

Esaminati i rapporti tra perdono giudiziale e sospensione condizionale

della pena — cosi come risulta disciplinata dalle norme codicistiche e

dai successivi interventi legislativi: art. 12 d.l. 11 aprile 1974 n. 99, con

vertito con 1. 7 giugno 1974 n. 220 e art. 128 1. 24 novembre 1981 n.

689 — la corte perviene alla conclusione che sulle pur esistenti analogie

prevalgono le ragioni di diversità.

Tanto il perdono giudiziale quanto la sospensione condizionale della

pena possono considerarsi istituti ispirati ad esigenze special-preventive

(in realazione al primo, cfr, Dolce, Perdono giudiziale, voce àAVEnci

clopedia del diritto, Milano, 1982, XXXII, 992; riguardo al secondo, v.

Cass. 23 ottobre 1981, Fradiani, Foro it., Rep. 1982, voce Sospensione condizionale della pena, n. 11, e in dottrina Padovani, La sospensione condizionale oltre l'orizzonte delle «modifiche ai sistema penale», in Riv.

it. dir. e proc. pen., 1983, 1249; Palazzo, La recente legislazione penale,

Padova, 1985, 33). Il perseguimento della medesima finalità di prevenzio ne speciale non può, tuttavia, far trascurare anzitutto il diverso esito del

giudizio prognostico richiesto da entrambi gli istituti. Il giudice è chiama

to ad operare la scelta tra l'uno e l'altro beneficio accordando il perdono

giudiziale qualora ritenga che il minore si asterrà dal compiere ulteriori

reati in base alla sua naturale maturazione, optando invece per la sospen sione condizionale quando veda nella minaccia dell'esecuzione della pena uno strumento utile a trattenere il beneficiato da nuovi reati. La scelta

rientra nell'ambito della discrezionalità necessariamente riconosciuta al

giudice affinché individualizzi la pena tenendo conto delle effettive esi

genze preventive di ciascun imputato, della sua personalità, della oppor tunità di rafforzarne o meno il presumibile ravvedimento. In tal senso, cfr. Cass. 16 gennaio 1981, Geli, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 25; 26 novembre 1982, Oteri, id., Rep. 1984, voce cit., n. 52; 22 aprile 1983,

Secco, ibid., voce Perdono giudiziale, n. 4; 14 novembre 1984, Nocerino,

id., Rep. 1986, voce cit., n. 1; 9 ottobre 1984, Della Vite, ibid., voce

Sospensione condizionale della pena, n. 6.

La Corte di cassazione ha poi sottolineato come i due istituti si diversi

fichino quanto agli effetti estintivi, e tale orientamento riceve conferma

nella sentenza in epigrafe. A fronte del diverso risultato del giudizio prognostico si pone infatti

il diverso modo di operare dei due istituti considerati, dei quali l'uno, il perdono giudiziale, paralizza il sorgere degli effetti penali rendendo

il minore inassoggettabile a pena e accordandogli il massimo di fiducia

di cui non potrà più godere in caso di commissione di un nuovo reato;

l'altro, la sospensione condizionale della pena, non produce invece effetti

estintivi immediati, ma li posticipa al verificarsi di certi presupposti e

allo scadere del termine fissato dall'art. 163 c.p. La possibilità di disporre

più di una volta la sospensione condizionale dipende proprio dal fatto

che qui — e qui soltanto — la vicenda estintiva non si è ancora conclusa

ed è possibile una considerazione globale del comportamento dell'impu tato, ricorrendo le condizioni stabilite dall'art. 164, ultimo comma, c.p.

Tenendo conto di ciò non irrazionalmente il legislatore ha reso possibi le la reiterazione di questo beneficio. Solo con un atto del potere legislati vo, espressione della discrezionalità ad esso propria, potrebbe estendersi

tale possibilità anche al perdono giudiziale, ma non si tratta di un inter vento richiesto dalla struttura dell'istituto o da esigenze generali dell'ordi

namento. Né giova in proposito invocare l'art. 2 Cost., assumendolo a norma

fondamento di un diritto all'educazione spettante al minore. Appare op

portuno sottolineare il riferimento operato dalle ordinanze di rimessione

a questa norma, la quale, attribuendo allo Stato il compito di riconoscere

e garantire i diritti inviolabili dell'uomo, lo impegna a protteggerne i beni

esplicando una funzione garantista nei confronti di tutti i cittadini. Ma

si tratta di un riferimento indiretto, trovando spesso i singoli beni una

tutela immediata in altre norme. Cosi avviene anche per il diritto alla

rieducazione, che espressamente l'art. 27 Cost, indica quale funzione da

perseguire attraverso la pena. Posto che le esigenze rieducative sono sod

disfatte anche attraverso la pena, non può dirsi che risulti pretermesso,

per la mancata concessione di un secondo perdono giudiziale, alcun dirit

to di merito (nella prospettiva per cui il riconoscimento dei diritti inviola

bili va necessariamente correlato con la norma della Costituzione che tali

diritti espressamente garantisce, cfr. Corte cost. 4 maggio 1972, n. 77,

id., 1972, I, 1137, con nota di Pizzorusso, e 18 luglio 1973, n. 147,

id., 1973, I, 2957).

Quanto alla seconda censura di incostituzionalità, essa, cosi come è

prospettata, non tiene conto della diversa situazione in cui viene a trovar

si l'autore di un fatto contravvenzionale che abbia già usufruito del bene

II Foro Italiano — 1988.

1974 n. 220, con modificazioni, stabilisce, contrariamente a quanto statuiva il testo abrogato, che la sospensione condizionale della

pena può essere concessa più d'una volta, con la sola condizione

che la pena inflitta con la nuova condanna cumulata a quella

precedentemente sospesa non superi i limiti stabiliti dall'art. 163

c.p., le stesse ordinanze ritengono debba esser consentita la pos

sibilità di concedere più d'una volta anche il perdono giudiziale, alla condizione che il cumulo delle pene non superi il limite di

cui al 1° comma dell'art. 169 c.p. La dimostrazione della stretta analogia tra gli istituti in discus

sione è offerta anzitutto mediante il riferimento alla collocazione

degli stessi istituti nel vigente codice penale: sia la sospensione

condizionale della pena sia il perdono giudiziale per i minori de

gli anni diciotto sono, infatti, inclusi nel capo primo («della estin

zione del reato») del titolo sesto del libro primo del codice penale. A questo argomento va opposto che dalla collocazione che un

istituto ha nel sistema della legge non sempre è dato trarre sicure

conclusioni in ordine alla natura giuridica dell'istituto. Tanto più

quando si tratti di confrontare due «specie» di istituti (classificati in un unico «genere»: estinzione del reato) allo scopo di rendere

applicabile un principio valido per la prima «specie» alla secon

da: è agevole, infatti, rilevare che due istituti, nell'essere identici

od analoghi in ordine ai caratteri relativi al genere sono sempre,

invece, diversi per le caratteristiche peculiari a ciascuno di essi.

Ma va qui, ben più, sottolineato che il concetto di «genere» estinzione del reato è uno di quelli sul quale esistono vivacissime

dispute in dottrina. Contestata sin dal suo apparire nel vigente codice penale, la nozione di «estinzione del reato» è considerata

dai vari autori, che si sono occupati dell'argomento, in diversissi

me maniere. Tutti d'accordo nel contestare la formula usata dal

legislatore (non può, infatti, il fenomeno estintivo riferirsi al rea

to) le prese di posizione in ordine all'oggetto dell'estinzione (re

sponsabilità, situazioni giuridiche subiettive, punibilità astratta, effetti penali, ecc.) sono quanto mai varie (anche, almeno a vol

te, nella giurisprudenza). In ordine, poi, alla natura delle singole cause che producono l'affermata «estinzione» esistono in dottri

na divari che rischiano d'avvicinarsi alla confusione.

ficio del perdono giudiziale rispetto a chi, per lo stesso fatto, sia stato

invece condannato. Una ricaduta nel reato da parte di quest'ultimo, con

siderato emendato per effetto della pena, non esclude la possibilità di

formulare una prognosi certa che si asterrà in futuro dal commettere

ulteriori reati. La stessa fiducia non può più essere rinnovata a chi, già una volta perdonato, ha mostrato di non meritarla. Trattandosi di due

situazioni diverse, una differente regolamentazione legislativa non com

porta dunque violazione del principio di uguaglianza. Suscita invece qualche perplessità la diversa considerazione mostrata

nei confronti di chi abbia subito una condanna per delitto rispetto a chi

sia stato condannato per una contravvenzione, posto che la distinzione

tra delitti e contravvenzioni non è sempre basata sul maggiore o minore

grado di pericolosità del fatto di reato, come afferma in via incidentale

la sentenza. Poiché ex art. 169, 3° comma, c.p., non può concedersi il beneficio

del perdono giudiziale ad un minore già condannato per un delitto, men

tre tale possibilità risulta ammessa in caso di condanna per un fatto con

travvenzionale, si corre il rischio di trattare in modo differente gli autori

di fatti che presentano un identico grado di pericolosità e provocano un

uguale livello di allarme sociale, pur essendo considerati l'uno un delitto

e l'altro una contravvenzione. È noto che il codice Rocco adotti all'art. 39 c.p. un criterio meramente

formale, distinguendo i delitti dalle contravvenzioni «secondo la diversa

specie delle pene per essi rispettivamente stabilite»; ma è ovvio che, det

tandosi un regime giuridico diversificato, si pone inevitabilmente il pro blema della fondatezza dello stesso e l'esigenza di individuare i caratteri

sulla base dei quali la legge considera un fatto come contravvenzione, anziché come delitto, per verificare se abbia ancora senso tale distinzione.

Non volendo prescindere dal dato normativo, può individuarsi l'area

coperta dall'illecito contravvenzionale nel nostro sistema positivo, distin

guendo tra norme di carattere preventivo-cautelare; norme relative alla

disciplina di attività soggette ad un potere amministrativo; e infine norme

relative ad ipotesi «residuali» ritenute di minore gravità relativa rispetto ad omologhe fattispecie delittuose o volte a tutelare interessi secondari.

Al di fuori di queste ipotesi — e la terza categoria dà già luogo a proble mi di individuazione e di sufficiente determinatezza — non appare giusti ficata l'adozione di discipline differenziate, e dovrebbe esser compito del futuro legislatore circoscrivere la materia delle contravvenzioni entro i

termini predetti (per una ricostruzione più completa della problematica, v. Padovani, Il binomio irriducibile. La distinzione dei reati in delitti

e contravvenzioni fra storia e politica criminale, in Marinucci-Dolcini

(a cura di), Diritto penale in trasformazione, Milano, 1985, 421). [A. Ferrara]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

In questa situazione è davvero difficile trarre argomenti, per sostenere la «strettissima vicinanza» tra il perdono giudiziale e

la sospensione condizionale della pena dalla riconduzione di en

trambi i benefici alla generale categoria delle cause d'estinzione

del reato.

3. - E vale, anche, sottolineare che appunto la riconduzione

di entrambi i benefici alla categoria generale in discussione è con

testata: non pochi autori sono, infatti, dell'avviso che la sospen sione condizionale della pena vada inclusa fra le cause d'estinzione

della pena e non del reato. Ed argomenti a favore della tesi ora

citata non mahcano: la sospensione condizionale dell'esecuzione

della pena importa, per vero, una condanna con inflizione e de

terminazione della pena in concreto.

4. - Non resta, pertanto, che esaminare i predetti istituti nelle

ragioni di «unità» ed in quelle di «diversità», a prescindere dalle

classificazioni generali, le quali ultime, a volte, si rivelano frutto

di nominalistiche, anche se utili, catalogazioni. Gli istituti del perdono giudiziale e della sospensione condizio

nale della pena tendono, certamente, al raggiungimento di finali

tà rieducative o, in largo senso, di prevenzione speciale: in ciò

i benefici in parola sono certamente accomunati. Dottrina e giu

risprudenza sono, in materia, unanimi; ed i lavori preparatori al codice penale non lasciano, in proposito, alcun dubbio.

L'uguale presupposto richiesto dall'art. 164, 1° comma, c.p.

per la sospensione condizionale della pena e dall'art. 169, 1° com

ma, per il perdono giudiziale (concessione dei benefici soltanto

quando «avuto riguardo alle circostanze indicate dall'art. 133 c.p.» il giudice «presume che il colpevole si asterrà dal commettere ul

teriori reati») chiaramente svela e conferma l'analogia delle fina

lità emendative perseguite dagli istituti in esame.

5. - Ma le ragioni unitarie determinate dalle predette comuni

finalità non valgono ad escludere le notevoli ed ampiamente rico

nosciute caratteristiche di diversità tra gli istituti in esame.

Caratteristica peculiare del perdono giudiziale (al quale il legis latore dedica, al fine di delinearne la natura, un solo articolo) è la scelta da parte del giudice della facoltà, di cui all'art. 169

c.p., d'astenersi dal pronunciare il rinvio a giudizio o, in dibatti

mento, d'astenersi dal pronunciare condanna. Oltre a configurar

si, pertanto, due sottospecie di perdono giudiziale (ed è riduttivo,

ovviamente, tener presente soltanto il perdono concesso con sen

tenza dibattimentale: nel momento del confronto tra i due istituti

va, dunque, anche rilevato che il perdono, diversamente dalla

sospensione, può essere concesso in istruzione; il che vale a preci sare che il perdono neppure comporta sempre il completo accer

tamento della responsabilità del beneficiando) va qui posto in

particolare rilievo che, dunque, il perdono giudiziale non com

porta mai una sentenza di condanna e tanto meno la determina

zione della concreta pena da espiare. Anche se, a fini extrapenali, la sentenza dibattimentale di concessione del perdono viene, a

volte, accomunata alle sentenze di condanna (v. art. 27, 1° com

ma, c.p.p.), certo è che la concessione del perdono giudiziale non

implica mai il sorgere d'un concreto rapporto esecutivo. Il legis latore ritiene che il minore, in condizioni di incensuratezza, age volmente possa, nel superare le ragioni d'immaturità determina

trici dell'illecito, trovare in sé la forza per evitare la ricaduta nel

medesimo. La funzione ammonitrice, insita nel perdono, è legi slativamente ritenuta sufficiente all'autorieducazione del minore.

Il perdono, dunque, non rende «attuale» la pretesa punitiva; non trasforma la punibilità astratta in punibilità concreta: l'estin

zione (se d'estinzione si tratta) paralizza, ipso iure, all'atto della

concessione, ogni effetto penale, tutti gii effetti penali (le misure

di cui all'art. 26 della legge minorile non hanno, infatti, natura

penale). Meglio, forse, sarebbe chiarire che la concessione del

perdono impedisce il sorgere concreto di effetti penali, dichiaran

do il minore inassoggettabile alla pena. Tale inassoggettabilità rende

superfluo, nel perdono concesso in istruzione, anche l'accerta

mento dibattimentale della responsabilità del beneficiando e, nel

perdono concesso con sentenza dibattimentale, la condanna del

minore: se non può sorgere, dal lato passivo del rapporto puniti

vo, la soggezione alla pena, non può neppure nascere, dal lato

attivo, il concreto potere d'assoggettamento del minore alla pena. La sospensione condizionale, invece, ha caratteri nettamente

diversi da quelli ora esaminati: essa implica sempre una sentenza

di condanna nonché la determinazione della pena in concreto:

traduce, pertanto, la pretesa punitiva, la punibilità astratta, in

concreta, come ci si esprime in dottrina. Significativa è anche

la lettera del 1° comma dell'art. 163 c.p.; «Nel pronunciare sen

Ii Foro Italiano — 1988.

tenza di condanna. . . il giudice può ordinare che l'esecuzione

della pena rimanga sospesa per il termine di. . .». La sospensione condizionale della pena (alla quale il legislatore dedica ben sei

articoli) non ha effetti definitivi immediati: essa apre una vicenda

che soltanto alla fine del termine indicato dall'art. 163 c.p. con

duce, se conduce, all'estinzione di alcuni, e soltanto di alcuni, effetti penali. Se l'esecuzione della pena rimane sospesa è perché si produce in concreto (e soltanto in virtù del suo instaurarsi) una nuova fattispecie che, mentre paralizza l'attuazione del rap

porto esecutivo, soltanto alla fine della vicenda giuridica aperta dalla concessione del beneficio, ove la stessa fattispecie si com

pleti attraverso l'avveramento d'una serie di elementi positivi e

negativi (decorso del tempo, adempimento degli obblighi, even

tuali, di cui all'art. 165 c.p. ed in mancanza di revoca del benefi

cio) determina l'estinzione degli effetti penali di cui all'art. 167 c.p.

Occorre, pertanto, distinguere, come fa il codice, effetti imme

diati della concessione del beneficio, fra i quali è da includere

il nascere della fattispecie innanzi descritta (la sospensione condi

zionale, ai sensi dell'art. 166 c.p., non si estende alle pene acces

sorie ed agli altri effetti penali della condanna né alle obbligazioni civili nascenti dal reato) dagli effetti definiti differiti che (in man canza, appunto, di revoca e in presenza dell'adempimento degli eventuali obblighi di cui all'art. 165 c.p.) si producono, a conclu

sione della vicenda aperta dalla concessione del beneficio. Con

la sospensione condizionale, sottolineato che il beneficiato versa

nello status di condannato (diversamente, non avrebbero fonda

mento giuridico l'esecuzione delle pene accessorie, eventuali ob

blighi di restituzioni, di pagamento di somme a titolo di

risarcimento del danno o di pubblicazione della sentenza a titolo

di riparazione del danno) lo stesso beneficiato viene a trovarsi

in una situazione (in una Rechtslagè) che rende del tutto diversa

la sua condizione da quella del minore giudizialmente perdonato. È da questa diversa condizione che occorre prendere l'avvio

per il confronto tra i due istituti; non si può, invero, partire dagli effetti estintivi dei benefici in parola (tanto diversi, peraltro, da

far apparire i benefici stessi viventi in «dimensioni» diverse) giac ché tali effetti estintivi, comunque li si intenda, nel perdono si

verificano immediatamente e definitivamente mentre nella sospen sione non è certo che si verifichino e, comunque, si producono alla fine d'una vicenda complessa e già realizzativa di contenuti

punitivi. 6. - Il provvedimento di concessione del perdono giudiziale si

rivela diverso da quello di concessione della sospensione condi

zionale della pena anche sotto altri profili. La dottrina, tenuto conto delle osservazioni innanzi proposte,

ha, talvolta, notato, soprattutto in sede d'alternativa tra i benefi

ci da accordare al minore, che con la sospensione condizionale

della pena si opera un tentativo di recupero, realizzato attraverso

una fase sperimentale; ed ha anche osservato che alla certezza

della prognosi favorevole, in ordine alla non ricaduta nel reato

in sede di perdono, si contrappone il dubbio che, in sede di so

spensione, residua, a seguito della stessa prognosi comunque fa

vorevole. Si possono non condividere tali prese di posizione; ma

non si può disconoscere che diversa è, benché in tutti i casi certa, la conclusione del giudizio prognostico nei due istituti qui a con

fronto: nel perdono il giudice ritiene che il minore s'asterrà dal

commettere ulteriori reati facendo leva, fondamentalmente, sulle

proprie capacità d'umana maturazione, mentre in sede di sospen sione il giudice conclude nel senso che la minaccia dell'esecuzione

della pena, durante il tempo della sospensione condizionale, è

indispensabile od almeno utile a trattenere il beneficiato dal tor

nare a delinquere. Ed ognuno vede, in conseguenza, come e quanto siano diversi i risultati dei giudizi prognostici previsti dagli istituti

in esame.

7. - Pertanto, per alcune questioni vengono principalmente in

rilievo motivi d'unità tra i benefici in esame mentre, per altri

fini, possono risultare determinanti le diversità tra i benefici stessi.

Ragioni d'unità rilevano certamente in sede d'estensione del

perdono giudiziale ad uno dei reati, legato ad altro (già coperto

dal beneficio) dal vincolo di continuazione.

La sentenza di questa corte n. 108 del 1973 (Foro it., 1973,

I, 2703), (che dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 164,

n. 4, c.p. nella parte in cui non consente l'estensione del perdono

giudiziale ad altro reato che si lega con il vincolo della continua

zione ad un reato per il quale è stato concesso il beneficio) senza

dubbio trae spunto dalla sentenza n. 86 del 1970 (id., 1970, I,

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PARTE PRIMA

1866) e, sostanzialmente, applica al perdono giudiziale il princi

pio accolto da quest'ultima sentenza.

L'unità del reato continuato non consente, infatti, diverse con

clusioni per il perdono rispetto a quelle assunte in sede di sospen sione condizionale della pena: il reato continuato (e lo testimonia

l'abbondantissima bibliografia sul tema) è una salda, profonda unità legale di reato e non un fittizio (al solo scopo di mitigazio ne del cumulo delle pene) legame fra più reati: i fatti che com

pongono l'unità del reato continuato non possono, pertanto, essere

diversamente trattati ai fini dei benefici in esame.

Coperto dalla sospensione condizionale della pena uno dei fatti

incluso nel reato continuato, non può non estendersi la predetta

sospensione (purché nei limiti oggettivi previsti dall'art. 163, 1°

comma, c.p.) ad altro fatto rientrante nello stesso reato conti

nuato. Coperto dal perdono giudiziale uno dei fatti compresi nel

la continuazione, non può non estendersi quest'ultimo beneficio, nei limiti oggettivi di cui al 1° comma dell'art. 169 c.p., anche

ad altro fatto incluso nella continuazione. È l'unità del reato con

tinuato a richiamare le ragioni d'unità tra gli istituti della sospen sione condizionale e del perdono giudiziale e ad impedire che motivi

di diversità, tra gli istituti stessi, vengano comunque in rilievo.

Si tratta, in ogni caso, in senso proprio, non d'una «seconda»

liberazione condizionale né d'un «secondo» perdono, ma di un'e

stensione d'una precedente sospensione o d'un precedente perdo no ad altro fatto successivamente giudicato.

Allo stesso modo, quanto ora sottolineato vale per le sentenze

di questa corte n. 73 del 1971 (id., 1971, I, 1171) e n. 154 del

1976 (id., 1976,1, 2541). Anche se si tratta di legami meno stretti

di quelli che vincolano i diversi fatti inclusi nell'unità legale del

reato continuato, l'esser stato commesso, il reato che si giudica,

precedentemente alla prima sentenza concessiva del beneficio, im

porta da un canto che il soggetto non aveva ancora avuto noti

zia, all'epoca della commissione del reato che si giudica, della

(posteriore) sentenza concessiva del beneficio (e non aveva, per

tanto, fatto esperienza dell'ammonimento implicito nella senten

za stessa) e dall'altro che non si può precludere, per legge, al

giudice di porsi nella stessa situazione (ai fini dell'estensione del

beneficio al fatto ora al suo esame) in cui si sarebbe trovato il

precedente giudice, ove avesse conosciuto e giudicato anche sul

l'ultimo fatto. Tutto ciò, s'intende, purché il cumulo delle pene rientri nei limiti previsti dagli art. 163, 1° comma, e 169, 1° com

ma, c.p. La lettura, in parallelo, delle citate sentenze di questa corte

non dimostra, pertanto, che si sia voluto ricomporre ad unità, sul piano dei principi ispiratori e dell'applicazione, i due istituti

della sospensione condizionale dell'esecuzione della pena e del per dono giudiziale. Le ragioni di diversità tra gli stessi istituti non

vengono in gioco a proposito delle questioni decise dalle preindi cate sentenze; in esse, l'unità del reato continuato ed i particolari

legami tra alcuni reati rende illegittimo, ai sensi dell'art. 3 Cost., non estendere anche al perdono giudiziale quanto ritenuto per la sospensione condizionale della pena.

Ai fini di cui alle predette sentenze, dunque, gli istituti in esa

me vanno accomunati: tali fini impediscono il rilievo di ragioni di diversità tra gli istituti stessi.

8. - Tutto ciò è tanto vero che, benché variamente sollecitato, soltanto il legislatore (e non questa corte) ha provveduto all'ulte

riore, e significativamente diverso, «passo» relativo ad una «se

conda» liberazione condizionale. Le ordinanze di rimessione del

Tribunale per i minorenni di Perugia appunto si rifanno al d.l.

11 aprile 1974 n. 99 (convertito nella 1. 7 giugno 1974 n. 220) che ha sostituito il testo dell'art. 164 c.p. (ed alla possibilità, di

cui all'ultimo comma dello stesso articolo, di concessione «più di una volta» della liberazione condizionale) allo scopo di soste

nere l'illegittimità costituzionale dell'art. 169 c.p., nella parte in

cui non prevede una «seconda» concessione di perdono giudiziale. Si tratta, dunque, d'un nuovo e diverso problema. Ci si riferi

sce a fatti commessi successivamente ad altri già coperti dal per

dono, a nuovi fatti, del tutto slegati dai precedenti; nuovi fatti

commessi quando il soggetto ha avuto notizia del precedente per dono ed ha cosi già avvertito l'ammonimento insito nel concesso

beneficio. In questa nuova ipotesi vengono a diretto confronto

(fuori dall'unità del reato continuato o da particolari legami tra

alcuni reati) gli istituti in discussione: le ragioni di diversità tra

gli stessi istituti divengono, cosi', da questo profilo, specificamen te rilevanti.

Va, infatti, ancora particolarmente sottolineato che il perdono

Il Foro Italiano — 1988.

giudiziale equivale ad immediata e completa «liberazione» del mi

nore mentre la liberazione condizionale lascia sospeso il «proble ma» della definitiva rilevanza del primo comportamento criminoso, che va appunto collegato con i comportamenti futuri del benefi

ciato per ricevere da questi ultimi la definitiva significazione pe nale: incidenza notevole, in proposito, ha, come s'è osservato, la «minaccia» dell'esecuzione della pena originariamente sospesa.

La concessione del «primo» perdono giudiziale realizza una si

tuazione diversa dalla concessione della «prima» sospensione con

dizionale (soprattutto, per quest'ultima, durante il tempo necessario

alla produzione degli effetti c.d. estintivi innanzi precisati). Le

due situazioni, pertanto, ben possono essere diversamente tratta

te in relazione alla concessione d'un «secondo» beneficio.

9. - Ai fini della valutazione delle ordinanze in discussione le

conclusioni sarebbero già chiare.

Non ci si può, tuttavia, sottrarre dall'accennare alle conseguenze che attualmente si realizzano a seguito della «seconda» sospen sione condizionale (prevista dal modificato ultimo comma del

l'art. 164 c.p.) ed alle conseguenze che si verificherebbero qualora, come richiesto dalle predette ordinanze, si ammettesse un «secon

do» perdono giudiziale. La sospensione condizionale disposta nel momento dell'infli

zione d'una «nuova» condanna, dopo altra già concessiva dello

stesso beneficio, (sempre nei limiti di pena stabiliti dall'art. 163

c.p.) impedisce, è vero, la revoca della precedente sospensione ed ha come effetto immediato la nascita, in concreto, di una «se

conda» fattispecie estintiva: quest'ultima, tuttavia, soltanto ove

siano adempiuti gli obblighi di cui al 2° comma dell'art. 165 c.p. e trascorrano i nuovi termini (desunti dalla «nuova» sentenza) senza alcuna revoca della sospensione, produce i c.d. effetti estintivi

di cui all'art. 167 c.p. Ma va sottolineato che, qualora il benefi

ciato commetta ancora altro reato oppure, comunque, soprav

venga la revoca della sospensione, ai sensi dell'art. 168, 1° comma,

c.p., il beneficiato stesso sconta tutte le pene alle quali è stato

condannato.

Ben diversi sarebbero, invece, gli effetti giuridici d'un «secon

do» perdono per fatto successivo ad un primo già coperto dallo

stesso beneficio (sempre nei limiti di pena di cui al 1° comma

dell'art. 169 c.p.). Il minore, già totalmente liberato dalle conse

guenze sanzionatorie del primo fatto, verrebbe immediatamente

liberato anche da quelle del «secondo» fatto, con l'ulteriore pos

sibilità, ove ne ricorrano i presupposti, del godimento di sospen sioni condizionali per eventuali altri reati. La situazione in cui

versa chi ottiene la sospensione condizionale è, come si è sottoli

neato innanzi, certamente diversa da quella in cui viene a trovarsi

chi ottiene la concessione del perdono giudiziale: e ciò basterebbe

per ritenere non palesemente irrazionale il diverso trattamento

legislativo delle due situazioni. Ma, di più, il trattamento che ri

ceverebbe il minore, già beneficiato, ove fosse destinatario d'un

«secondo» perdono, sarebbe di gran lunga più favorevole dell'at

tuale trattamento del condannato, minore oppur no, che, avendo

già usufruito d'una «prima» sospensione condizionale, sia desti

natario d'una «seconda», ai sensi del 4° comma dell'art. 164 c.p. L'estensione delle previsioni di cui a quest'ultimo articolo al

perdono giudiziale privileggerebbe ancor di più il minore già be

neficiato da un «primo» perdono rispetto al soggetto già fruitore

d'una prima sospensione condizionale.

10. - Né va taciuto che il minore destinatario del perdono ha

modo di sperimentare la grande fiducia che l'ordinamento ripo

ne, per il futuro, in lui, nelle sue capacità di autodisciplina e

non può avvertire l'ammonimento implicito nella fiducia dimo

stratagli, attraverso la completa ed immediata liberazione dalle

conseguenze penali del primo fatto. Non altrettanto può rilevarsi

per il condannato destinatario della sospensione condizionale.

Il significato della «ricaduta» da parte del minore già perdona to è, dunque, diverso, e più grave, dalla ricaduta nel reato del

condannato a pena condizionalmente sospesa. Se sia opportuno concedere anche al minore, insensibile ai richiami contenuti nel

«primo», un «secondo» perdono, sempre nei limiti di pena indi

cati dall'art. 169 c.p., è questione, dunque, che spetta al legisla tore risolvere. Si tratterebbe d'ulteriormente e maggiormente

(rispetto al condannato con pena sospesa) agevolare chi è già sta

to trattato, in occasione del primo fatto criminoso, più favore

volmente del condannato fruitore della sospensione condizionale

della prima pena.

11. - Da ultimo va ricordato che il legislatore del 1974 ha cir

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ondato di cautele la sospensione condizionale concessa a chi ha

già fruito d'una precedente sospensione.

Mentre, in generale, la sottoposizione della concessione del be

neficio ad obblighi (relativi alle restituzioni, al risarcimento del

danno, alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione

del danno ed all'eleminazione delle conseguenze dannose e peri

colose del reato) è, per il 1° comma dell'art. 165 c.p., facoltati

va, il 2° comma dello stesso articolo recita: «La sospensione

condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha

già usufruito, deve esser subordinata all'adempimento di uno de

gli obblighi previsti nel comma precedente, salvo che ciò sia im

possibile». Qualora s'estendesse al perdono quanto previsto per

la sospensione condizionale, e cioè fosse data la possibilità di

concedere al minore un «secondo» perdono, si vanificherebbero

anche le cautele legislativamente assunte in sede di concessione

della «seconda» sospensione condizionale, non essendo ipotizza

bili restituzioni, risarcimento, ecc., in relazione ad un fatto per

il quale non v'è condanna: oppure occorrerebbe predisporre altre

cautele per il «secondo» perdono. Ma tutto ciò, ovviamente, non

può esser oggetto di decisioni di questa corte.

Le conclusioni qui raggiunte sono confortate dal rilievo secon

do il quale, tenuto conto della diversità delle prognosi (pur en

trambe d'esito favorevole) relative al perdono ed alla sospensione,

qualora il minore si rivelasse ancora degno d'una prognosi favo

revole in ordine alla ricaduta nel reato, valida ai fini della con

cessione della sospensione, ben potrebbe fruire, dopo il primo

perdono, d'una prima e, successivamente, anche d'una seconda

sospensione condizionale della pena.

12. - Le ordinanze di remissione del Tribunale per i minorenni

di Perugia, oltre all'art. 3 Cost, (che si è già motivato non essere

invocabile nella specie) fanno riferimento anche all'art. 2 Cost.,

assumendo che «il minore è titolare d'un diritto fondamentale

alla sua educazione, che potrebbe essere pregiudicato qualora,

per il divieto di concedere a lui un secondo perdono giudiziale,

dovesse subire un precoce impatto con il carcere; pertanto po

trebbe profilarsi anche un contrasto della norma di cui all'art.

169 c.p. con l'art. 2 Cost.».

A parte i dubbi relativi all'«impatto con il carcere» (per il per

dono relativo alla pena pecuniaria non sorgono particolari que

stioni) che non sembra possa qualificarsi precoce quando si verifica,

(dopo la concessione del perdono per il primo fatto) a seguito

della commissione d'un secondo fatto di reato, va sottolineato

che, rivelatasi errata la favorevole prognosi (formulata dal giudi

ce in occasione del primo perdono) di non ricaduta nel reato,

l'esecuzione della pena per il secondo reato è da ritenersi frutto

d'una non irrazionale scelta del legislatore, tesa appunto a realiz

zare esigenze rieducative del minore. Anche le pene tendono alla

rieducazione, non soltanto le misure liberatorie quali il perdono

giudiziale. Neppure il riferimento all'art. 2 Cost., può, dunque, condurre

all'invocata dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 169

c.p. 13. - Le argomentazioni innanzi adottate valgono anche per

ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale del

l'art. 169, ultimo comma, c.p., nella parte in cui non limita il

divieto di concessione di ulteriore perdono giudiziale ai casi in

cui il precedente perdono sia stato concesso per fatti delittuosi.

Questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.

L'ordinanza n. 309 reg. ord. 1980, emessa il 5 marzo 1980 dal

Tribunale per i minorenni de L'Aquila degli Abruzzi e le ordi

nanze nn. 338 e 339 reg. ord. 1981, emesse il 25 febbraio 1981

dallo stesso tribunale, sostengono che l'ultimo comma dell'art.

169 c.p. realizzi un'ingiustificata discriminazione tra i minori che

abbiano usufruito d'un precedente perdono giudiziale per fatti

contravvenzionali, ai quali minori non è consentita la concessio

ne d'un «secondo» perdono, rispetto ai minori che per gli stessi

fatti contravvenzionali siano stati invece condannati (a questi ul

timi minori può, invece, essere concesso il perdono giudiziale);

e sollevano, in relazione all'art. 3 Cost., la preindicata questione

di costituzionalità dell'ultimo comma dell'art. 169 c.p.

Sono state già ampiamente chiarite le diversità tra gli istituti

del perdono giudiziale e della sospensione condizionale della pe

na e, conseguentemente, le ragioni per le quali non è irrazionale

la scelta del legislatore che ha ammesso per la sospensione condi

zionale, e non per il perdono una «seconda» concessione. E sono

state anche chiarite le ragioni per le quali non è questa corte

Il Foro Italiano — 1988.

che può dichiarare l'ammissibilità di un «secondo» perdono giu

diziale. Ricordato ciò, poiché le citate ordinanze del Tribunale per i

minorenni de L'Aquila lamentano anch'esse, al pari delle ordi

nanze del Tribunale per i minorenni di Perugia, il divieto legisla

tivo di concessione d'un «secondo» perdono, ogni discussione in

proposito dovrebbe ritenersi conclusa.

Senonché, le ora ricordate ordinanze sottolineano, questa vol

ta, la discriminazione che i minori, beneficiari d'un «precedente»

perdono giudiziale per fatti contravvenzionali, subirebbero nei con

fronti di minori già condannati per gli stessi fatti: ai «già con

dannati» è infatti consentito godere del perdono per un secondo

«fatto» mentre ai «già perdonati» non è consentita la concessio

ne d'un «secondo» perdono. Anche quest'ultima questione di legittimità costituzionale è in

fondata.

Allo stesso modo come, in precedenza, è stata precisata la di

versità tra la situazione del beneficiario di perdono giudiziale ri

spetto a quella del beneficiario di sospensione condizionale della

pena, deve ora esser chiarita la diversità della situazione in cui

versa il perdonato, rispetto a quella del condannato, come tale,

sia stata o meno la pena condizionalmente sospesa.

Si è ricordato che il perdono giudiziale, anche quando viene

concesso con sentenza dibattimentale, non presuppone una sen

tenza di condanna e che, in conseguenza, il beneficiario di perdo

no non acquista la qualità di condannato: il minore «perdonato»,

invece d'esser condannato, viene liberato, ed immediatamente,

da ogni conseguenza sanzionatoria di carattere penale.

Né si può ritenere che dal provvedimento concessivo del perdo

no s'evinca che il fatto realizzato dal minore sia di «non grave»

disvalore penale rispetto a quello commesso dal minore che viene

condannato: per quanto concesso a seguito di valutazione di tutti

gli estremi di cui all'art. 133 c.p. (e pertanto anche a seguito

della valutazione del fatto di reato) il perdono giudiziale attiene

al futuro, consegue alla prognosi certa che il minore s'asterrà,

in futuro, dal commettere ulteriori reati, riguarda principalmente

il soggetto e non il fatto.

Certo, anche il disvalore di quest'ultimo, assumendo il ruolo

di criterio, fra gli altri, in base al quale il giudice emette la preci

tata prognosi favorevole, contribuisce a determinare quest'ultima

e, conseguentemente, il provvedimento, immediatamente libera

torio, del perdono. Ma, mentre nessuno può, a beneficio conces

so, stabilire quanta parte abbia giocato, nella formulazione della

prognosi favorevole in ordine alla non «ricaduta», l'esito della

valutazione del fatto (della sua antigiuridicità) rispetto all'esito

delia valutazione del soggetto, come tale, e della sua capacità

a delinquere (di cui al capoverso dell'art. 113 c.p.) v'è da tener

presente che il secondo fatto, da parte di chi ha già goduto d'un

precedente perdono (anche quando il primo fatto abbia natura

contravvenzionale), non solo dimostra errata la prognosi favore

vole emessa in occasione del primo fatto, ma evidenzia anche

che il minore non ha utilizzato, a fini auto-rieducativi, il provve

dimento penalmente liberatorio, non ha restituito alla società la

fiducia in lui riposta. Il legislatore prende atto che né quest'ulti

ma né l'ammonimento implicito nel «primo» perdono hanno avuto

effetto risocializzante sul minore: e, pertanto, non irrazionalmen

te preclude una nuova prognosi di non ricaduta nel reato, ai fini

della concessione d'un «secondo» perdono. Lo stesso legislatore

ritiene, dunque, prevalenti rispetto ad altre considerazioni, che

pur potrebbero esser proposte (il secondo fatto ad esempio po

trebbe esser frutto d'una immaturità sicuramente superabile con

l'avanzare dell'età), quelle attinenti all'insensibilità dimostrata dal

minore nei confronti del significato del perdono precedentemente

goduto. Le indicate ragioni d'insensibilità non si pongono, invece, per

il già condannato: questi, non essendo stato destinatario del be

neficio in esame, versa in diversa situazione, dopo il primo reato;

non ha da utilizzare, a fini rieducativi, alcun provvedimento im

mediatamente e definitivamente liberatorio né ha da «restituire»

alla società un'incondizionata fiducia che la stessa società non

ha nutrito in lui. E, pertanto, ove il secondo reato si riveli princi

palmente dovuto ad immaturità derivante dalla minore età, lo

stesso legislatore non irrazionalmente esclude preclusioni in ordi

ne alla concessione del «primo» perdono giudiziale.

È, peraltro, sempre ammissibile una «nuova» prognosi favore

vole, anche per i già perdonati, di non ricaduta nel reato, valida

ai fini della concessione della sospensione condizionale della pe

na, tenuto conto della diversa natura, innanzi chiarita, delle

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PARTE PRIMA

prognosi relative, rispettivamente, al perdono giudiziale ed alla

sospensione condizionale.

Non irrazionalmente, dunque, il legislatore, atteso il diverso

significato della ricaduta nel reato del già condannato per fatti

contravvenzionali e della «ricaduta» del già perdonato per gli stessi

fatti, ritiene inammissibile la concessione del «primo» (da sottoli

nearsi) perdono giudiziale ai già condannati per fatti contravven

zionali e non la concessione d'un «secondo» perdono ai già

perdonati per gli stessi fatti. A diversità di situazioni, a diversità

di significati della «reiterazione», non irrazionalmente il legisla tore fa corrispondere diverse conseguenze, ai fini della concessio

ne del perdono, rispettivamente per il già condannato e per il

già perdonato per fatti contravvenzionali.

Anche la questione di legittimità costituzionale dell'ultimo com

ma dell'art. 169 c.p., sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dalle più volte citate ordinanze del Tribunale per i minorenni de

L'Aquila, va, dunque, dichiarata infondata.

Per questi motivi, la Corte costituzionale 1) dichiara non fon

data la questione di legittimità costituzionale dell'art. 169 c.p.

sollevata, in riferimento agli art. 2 e 3 Cost., dal Tribunale per i minorenni di Perugia con ordinanze del 15 dicembre 1978 (reg. ord. n. 401/79) e dell' 11 maggio 1979 (reg. ord. n. 951/79); 2) dichiara del pari non fondata la questione di legittimità costitu

zionale dell'ultimo comma dell'art. 169 c.p., nella parte in cui

non limita il divieto di concessione di ulteriore perdono giudiziale ai casi in cui il precedente perdono sia stato concesso per fatti

delittuosi, questione sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dal

Tribunale per i minorenni de L'Aquila degli Abruzzi con ordi

nanza del 5 marzo 1980 (reg. ord. 309/80) e del 25 febbraio 1981

(reg. ord. n. 338/81 e n. 339/81).

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 15 dicembre 1986, n. 268

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 24 dicembre 1986, n. 60); Pres. La Pergola, Rei. Gallo; imp. Malavolta; Contucci; Pez

zina e altro; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato D'A

mato). Ord. Pret. Forlì 18 febbraio 1984 (G.U. n. 125 bis del

1985); Pret. Urbino 11 febbraio 1985 (G.U. n. 179 bis del 1985); Trib. Arezzo 10 aprile 1985 (G.U. n. 238 bis del 1985).

Competenza e giurisdizione penale — Furto aggravato — Attri

buzione alla competenza del pretore — Furti commessi ante

riormente all'entrata in vigore della legge 400/84 — Competenza del tribunale — Inapplicabilità delle sanzioni sostitutive — Que stioni inammissibile e infondata di costituzionalità (Cost., art.

3; cod. pen., art. 624, 625; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifi

che al sistema penale, art. 54; 1. 31 luglio 1984 n. 400, nuove

norme sulla competenza penale e sull'appello contro le senten

ze del pretore, art. 1).

Competenza e giurisdizione penale — Furto aggravato — Attri

buzione alla competenza del pretore — Questione infondata

di costituzionalità (Cost., art. 3; cod. pen., art. 624, 625; cod.

proc. pen., art. 31; 1. 31 luglio 1984 n. 400, art. 1).

È inammissibile per difetto di rilevanza, se sollevata dal pretore, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 l. 31 luglio 1984 n. 400 sotto il profilo della sua relazione con l'art. 54

l. 24 novembre 1981 n. 689, nella parte in cui esclude l'applica bilità da parte del tribunale delle sanzioni sostitutive agli impu tati di furto aggravato commesso prima dell'entrata in vigore della I. n. 400 del 1984, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)

(1-3) La duplice dichiarazione di inammissibilità e di infondatezza, in ordine alla stessa questione, si spiega considerando che sub 1 l'eccezione era stata sollevata dal Pretore di Urbino: cioè un organo privo di legitti mazione a dolersi, dal momento che l'art. 54 1. 689/81 consente l'applica bilità delle sanzioni sostitutive ai reati trasferiti alla competenza pretorile, mentre al pretore — come rileva la Corte costituzionale — non interessa la sorte di coloro che restano affidati alla competenza del tribunale (sul nesso di necessità che lega la decisione del giudizio principale con la riso luzione della questione di costituzionalità, per cui quest'ultima non sareb be rilevante «qualora il giudizio . . . possa essere definito

indipendentemente . . .» dalla sua risoluzione, v. Corte cost. 10 marzo

1983, n. 49, Foro it., 1983, I, 1211; 22 maggio 1974, n. 147, id., 1974,

Il Foro Italiano — 1988.

È infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legitti mità costituzionale dell'art. 54 l. 24 novembre 1981 n. 689 sot

to il profilo della sua relazione con l'art. 1 l. 31 luglio 1984

n. 400, nei limiti in cui esclude l'applicabilità da parte del tri

bunale delle sanzioni sostitutive agli imputati di furto aggrava to commesso anteriormente all'entrata in vigore della l. 400/84,

in quanto, da un lato, l'inapplicabilità nel caso di specie delle

sanzioni sostitutive non deriva dalle norme impugnate, e, dal

l'altro, è ovvio che gli effetti voluti dal legislatore si verifichino a fare epoca dall'entrata in vigore della legge che dispone un

diverso assetto processuale, a meno che lo stesso legislatore, nell'ambito dei suoi poteri discrezionali, non disciplini diversa

mente i rapporti processuali pendenti mediante il diritto tran

sitorio. (2) È infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legitti

mità costituzionale dell'art. 1 I. 31 luglio 1984 n. 400, nella

parte in cui attribuisce alla competenza del pretore il reato di

furto aggravato consumato e tentato con la conseguente discri

minazione che imputati di reati di maggiore gravità verrebbero

a subire nei confronti di altri imputati di reati meno gravi per la perdita della maggiore garanzia offerta dal giudizio collegia le rispetto a quello del giudice monocratico, che per di più cu

mula le funzioni requirenti e giudicanti, in quanto, nella realtà

dell'esperienza giuridica ispirata ai nuovi principi costituziona

li, il reato predetto ormai non rientra tra i delitti più gravi. (3)

I, 2195; e, in dottrina, di recente, Carnevale, «Irrilevanza di fatto e

sopravvenuta» e valutazione giudiziale della rilevanza delle questioni dì

legittimità costituzionale, in Giur. costit., 1984, I, 2389).

Quanto alla motivazione del giudizio di infondatezza, i giudici della Consulta hanno in primo luogo rilevato che l'inapplicabilità nel caso di

specie delle sanzioni sostitutive non deriva dall'art. 54 1. n. 689 del 1981, ma dall'art. 12 1. n. 400 del 1984, che devolve il delitto de quo alla cogni zione del pretore soltanto se commesso in data successiva all'entrata in

vigore della legge: disposizione quest'ultima non investita di impugnazione. In secondo luogo, l'applicabilità, in ipotesi, delle sanzioni sostitutive

agli imputati che abbiano commesso reati, divenuti di competenza del

pretore a seguito dell'aumento di competenza stabilito dalla 1. n. 400

del 1984, successivamente all'entrata in vigore della 1. 400/84 non deter mina — secondo la Corte costituzionale — una disparità di trattamento tale — rispetto ad imputati degli stessi reati commessi anteriormente al l'entrata in vigore di questa legge — da ledere il principio costituzionale di eguaglianza, in quanto rientra nei «poteri discrezionali» del legislatore di «regolare diversamente i rapporti processuali pendenti mediante il di ritto transitorio» (su questa problematica, con particolare riferimento al la tesi secondo cui «non può contrastare con il principio di eguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, giacché lo stesso fluire di questo costi tuisce di per sé un elemento differenziatore», v. Corte cost. 29 aprile 1975, n. 92, Foro it., 1975, I, 1619 ; 6 dicembre 1977, n. 138, id., 1978, I, 25; 4 luglio 1979, n. 65, id., 1979, I, 2825).

Quanto poi all'applicabilità del principio della retroattività delle dispo sizioni più favorevoli al reo sancito dall'art. 2, 3° comma, c.p., i giudici della Consulta hanno rilevato che si tratta di una «questione interpretati va rimessa al giudizio di merito, e non di una questione di legittimità costituzionale» (nel senso che le norme relative alle sanzioni sostitutive si applicano anche ai reati di competenza del pretore a seguito dell'au mento di competenza stabilito dalla 1. n. 400 del 1984, ma giudicati dal tribunale perché commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge, in quanto si tratta di norme sanzionatone di natura sostanziale per le

quali trova applicazione l'art. 2, 3° comma, c.p., v. Trib. Treviso 11 novembre 1985, id., 1986, II, 170; App. Bologna 24 ottobre 1985, ibid., 169; Trib. Roma 23 febbraio 1985, id., Rep. 1986, voce Pena, n. 95; Trib. Benevento 14 gennaio 1985, ibid., n. 94; contra Cass. 10 dicembre

1984, Aiello, id., 1986, II, 169; Trib. Cagliari 24 gennaio 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 100; Trib. Rieti 13 dicembre 1985, id., 1986, II, 561; su questa problematica, v. Amato, id., 1986, II, 169, cui si rinvia per ulteriori richiami di dottrina e giurisprudenza).

Nel rigettare la questione, la corte ha altresì osservato che «il diritto vivente rappresentato dalla predominante giurisprudenza e dall'ammoni

mento delle sezioni unite penali della Corte di cassazione . . . nonché dal

la giurisprudenza della stessa Corte costituzionale ... è fermo nel ritenere non applicabili sanzioni sostitutive quando il reato sia punito con pena detentiva congiunta a quella pecuniaria» (analogamente, v. Corte cost. 17 dicembre 1985, n. 350, id., 1986, I, 3; Cass. 18 marzo 1986, Monaldi,

id., Rep. 1986, voce cit., n. 181; 11 novembre 1985, Mozzi, ibid., n.

177; 19 aprile 1985, Santin, ibid., n. 180; 8 febbraio 1985, Crotti, ibid., n. 179; 24 marzo 1984, Florio, id., Rep. 1985, voce cit., n. 126; 24 marzo

1984, Mottuzzi, ibid., n. 127; 13 maggio 1983, Cappelletti, id., Rep. 1983, voce cit., n. 85; 5 ottobre 1982, Martucci, ibid., n. 68; cfr., pure, Corte cost. 24 maggio 1984, n. 148, id., 1984, 1, 1444, che aveva già dichiarato

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