sentenza 31 dicembre 1986, n. 295 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 9 gennaio 1987, n. 2);Pres. La Pergola, Rel. Dell'Andro; imp. Stentella ed altri; interv. Pres. cons. ministri (Avv.dello Stato Ferri). Ord. Trib. min. Perugia 19 dicembre 1978 (G. U. n. 196 del 1979) e 11 maggio1979 (G. U. n. 50 del 1980); Trib. min. L'Aquila 5 marzo 1980 (G. U. n. 173 del 1980) e 25febbraio 1981 (due) (G. U. n. 276 del 1981) ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 1105/1106-1115/1116Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181184 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
to in motivazione continuo riferimento all'ostacolo rappresentato dall'art. 90 c.p.p.: che il Tribunale di Lanusei ha peraltro esplici tamente investito.
6. - Tutto questo, ad ogni modo, lungi dall'escludere che il
giudice ordinario possa frattanto trovare una soluzione sul piano
interpretativo, sembra anzi confortarne la compatibilità costitu
zionale.
Come di recente è stato autorevolmente indicato dalle sezioni
unite penali della Corte di cassazione, ma anche da qualche giu dice di merito (Tribunale di Milano in più sentenze, Pretore di
Milano, Pretore di Sondrio ed altre), e come, del resto è sostenu
to anche da parte autorevole della dottrina, il principio dell'in
tangibilità del giudicato dev'essere rettamente inteso. Risulta
chiaramente, infatti, dallo stesso art. 90 c.p.p. che la disposizio ne è tendenzialmente a favore dell'imputato, che nella norma tro
va rigorosa tutela da ogni possibilità di essere sottoposto a nuovo
giudizio per lo stesso fatto. Ora, ogniqualvolta si consenta, inve
ce, qualunque ne sia la ragione, che il giudicato impedisca di
applicare l'istituto della continuazione all'intero sviluppo esecuti
vo dell'unico disegno criminoso, si viola proprio l'art. 90 c.p.p. in quanto in realtà si consente che, per lo stesso fatto di reato
continuato, il giudicabile venga sottoposto a due distinti giudizi con relativo cumulo delle pene, mentre il legislatore prescrive che
si determini una pena unica mediante un'unica complessiva valu
tazione.
Ed è proprio l'ordinamento stesso che è tutto decisamente orien
tato a non tenere conto del giudicato, e quindi a non mitizzarne
l'intangibilità, ogniqualvolta dal giudicato resterebbe sacrificato
il buon diritto del cittadino. La citata sentenza delle sezioni unite
ha reso manifesto tale orientamento indicando l'art. 579 c.p.p.
(che riguarda proprio l'ipotesi di violazione dell'art. 90 c.p.p.) e gli art. 78 e 80 c.p.
Rispetto a questi ultimi articoli, anzi, va aggiunto che la rifor
ma del 1974 ne ha portato il richiamo proprio nel testo dell'art.
81 c.p. L'ultimo comma, infatti, oggi recita «nei casi preveduti da questo articolo, la pena non può essere superiore a quella che
sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti»: fra i quali evidentemente sono ricompresi gli art. 78-80 c.p. Ciò significa
che, almeno agli effetti sanzionatori, dovendosi eseguire più sen
tenze contro la stessa persona, se risulta che, pur applicando l'i
stituto della continuazione («casi preveduti dall'art. 81 c.p.»), sono
stati superati i limiti previsti nell'art. 78 c.p., la pena — nono
stante il giudicato — va ridotta dentro i limiti. E altrettanto deve
fare il giudice che sta giudicando la stessa persona (dopo che
questa è già stata condannata) per un altro reato commesso ante
riormente o posteriormente alla condanna. Dunque, del giudicato il legislatore mostra di non voler tener conto quando si superino con la pena complessiva i limiti di legge. Ma anche il modo di
determinare la pena complessiva previsto nel 2° comma dell'art.
81 c.p. rappresenta un limite al cumulo materiale delle pene. Orientamento che — come s'è visto — si va accentuando con
le tendenze attuali; considerato che, come già l'art. 632 del pro
getto preliminare redatto sulla base della precedente legge-delega, l'attuale per la riforma del rito penale prevede espressamente che
l'operazione di adeguamento della pena al principio fondamenta
le della continuazione possa essere affidata persino al giudice del
l'esecuzione. Il quale, a differenza del giudice di cognizione del
secondo processo, deve agire sulla base documentale di sentenze
tutte passate in giudicato: e tuttavia si ammette che egli possa
compiere valutazioni che i giudici della cognizione non avevano
fatto o non erano stati in grado di fare.
D'altra parte, o si ritiene che il giudice del processo in corso
si limiti a valutare la situazione sottoposta al suo giudizio, colle
gandola al precedente giudicato solo agli effetti sanzionatori op
pure, se si insiste nell'affermare che una qualche valutazione del
precedente giudicato esiste sempre, fosse pure ai limitati effetti
di riconoscere l'unicità del disegno criminoso delle precedenti con
le susseguenti violazioni, allora bisogna anche ammettere che tut
to questo è già consentito dalla concorde giurisprudenza che, pur contestando l'operazione di cui qui si va parlando, non ha diffi
coltà a dichiararla lecita quando il giudicato copre la violazione
più grave. Infatti, la valutazione dell'unicità del disegno crimino
so tra le plurime violazioni non è certo subordinata alla sede del
la violazione più grave, ma riguarda l'unicità del programma,
dovunque poi sia per essere ravvisata la presenza della violazione
più grave. Né ha pregio il rilievo — contenuto in qualche ordinanza di
Il Foro Italiano — 1988.
manifesta infondatezza da parte dei giudici ordinari — secondo
cui «l'esclusione della continuazione (nelle ipotesi di cui si va par
lando) non comporta violazione del principio di uguaglianza, ma
rientra nella logica del sistema per il quale a situazioni diverse
corrispondono trattamenti differenziati». La massima, infatti, che
più volte questa corte ha affermato, si riferisce evidentemente
a diversità delle situazioni giuridiche, non certo a quella di situa
zioni di fatto, e per giunta occasionali, come quelle che qui ven
gono in esame.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, di
chiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del
l'art. 81, 2° comma, c.p., sollevata dal Tribunale di Torino, in
riferimento agli art. 3 e 25 Cost., con le ordinanze 18 dicembre
1985 (n. 420/86) e 8 aprile 1986 (n. 421/86); nonché dal Pretore
di Ferrara, in riferimento al solo art. 3 Cost., con ord. 24 feb
braio 1986 (n. 418/86); dichiara non fondata, nei sensi di cui
in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli art.
81, 2° comma, c.p. e 90 c.p.p., sollevata dal Tribunale di Lanu
sei, in riferimento all'art. 3 Cost., con ord. 26 novembre 1982
(n. 230/83); dal Tribunale di Sondrio, nei confronti del solo art.
81, 2° comma, c.p., con ordinanza 13 gennaio 1984 (n. 1019/84), in riferimento all'art. 3 Cost.; dalla Corte di cassazione, con ord.
6 marzo 1985 (n. 364/86), sempre nei confronti del solo art. 81, 2° comma, c.p. e con riferimento agli art. 3 e 25 Cost.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 31 dicembre 1986, n. 295
(<Gazzetta ufficiale, V serie speciale, 9 gennaio 1987, n. 2); Pres.
La Pergola, Rei. Dell'Andro; imp. Stentella ed altri; interv.
Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Ferri). Ord. Trib. min.
Perugia 19 dicembre 1978 (G. U. n. 196 del 1979) e 11 maggio 1979 (G. U. n. 50 del 1980); Trib. min. L'Aquila 5 marzo 1980
(G. U. n. 173 del 1980) e 25 febbraio 1981 (due) (G. U. n.
276 del 1981).
Perdono giudiziale — Fatti successivi alla concessione del benefi
cio — Divieto di nuova concessione — Diversità di disciplina
rispetto alla sospensione condizionale della pena — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 3; cod. pen., art. 169).
Perdono giudiziale — Fatti successivi alla concessione del benefi
cio — Divieto di nuova concessione — Mancata limitazione
a precedente perdono per fatti delittuosi — Questione infonda
ta di costituzionalità (Cost., art. 3; cod. pen., art. 169).
È infondata, in riferimento agli art. 2 e 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 169 c.p., nella parte in cui
esclude la possibilità di reiterare la concessione del beneficio del perdono giudiziale, a differenza di quanto previsto per la
sospensione condizionale della pena; i due istituti infatti, pur
fondandosi sullo stesso presupposto e tendendo alla medesima
finalità rieducativa, si diversificano nell'operatività degli effet
ti, ciò che giustifica la diversità di disciplina. (1) È infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legitti
mità costituzionale dell'art. 169, ultimo comma, c.p., nella parte in cui non limita il divieto di nuova concessione ai soli casi
in cui il perdono sia stato concesso per fatti delittuosi; la rica
duta nel reato infatti assume un diverso significato a seconda
che il soggetto sia stato condannato per fatti contravvenzionali
o per gli stessi abbia già fruito del perdono, e non irrazional
mente il legislatore disciplina in modo diverso le due ipotesi. (2)
(1-2) L'ordinanza di rimessione Trib. min. Perugia 19 dicembre 1978 è riportata in Giur. merito, 1980, 645, con nota di Ferraro e massimata
in Foro it., Rep. 1980, voce Perdono giudiziale, n. 5; sono altresì massi male le ordinanze Trib. min. Perugia 11 maggio 1979, ibid., n. 6; Trib. min. L'Aquila 5 marzo 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n. 2, e 25 febbraio
1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 2. La Corte costituzionale torna ad occuparsi dell'art. 169 c.p., in relazio
ne al quale si era già pronunciata con le sentenze 5 luglio 1973, n. 108, id., 1973, I, 2703, e 7 luglio 1976, n. 154, id., 1976, I, 2541, con nota di La Greca, da porre a confronto con Corte cost. 10 giugno 1970, n. 86, id., 1970, I, 1866, e 5 aprile 1971, n. 73, id., 1971, 1, 1171, relative alla sospensione condizionale.
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1107 PARTE PRIMA
Diritto. — 1. - Le questioni sollevate dalle ordinanze di cui
in narrativa sono analoghe e possono, pertanto, essere decise con
unica sentenza.
2. - Le ordinanze di rimessione del Tribunale per i minorenni
di Perugia, indicate in epigrafe, sostengono che, tenuto conto
dell'identità di ratio e presupposti e dello strettissimo legame tra
gli istituti della liberazione condizionale e del perdono giudiziale, i principi validi in ordine al primo istituto devono valere anche
per il secondo: in particolare, poiché l'art. 164 c.p., come sosti
tuito dall'art. 12 d.l. 11 aprile 1974 n. 99, convertito in 1. 7 giugno
Esaminati i rapporti tra perdono giudiziale e sospensione condizionale
della pena — cosi come risulta disciplinata dalle norme codicistiche e
dai successivi interventi legislativi: art. 12 d.l. 11 aprile 1974 n. 99, con
vertito con 1. 7 giugno 1974 n. 220 e art. 128 1. 24 novembre 1981 n.
689 — la corte perviene alla conclusione che sulle pur esistenti analogie
prevalgono le ragioni di diversità.
Tanto il perdono giudiziale quanto la sospensione condizionale della
pena possono considerarsi istituti ispirati ad esigenze special-preventive
(in realazione al primo, cfr, Dolce, Perdono giudiziale, voce àAVEnci
clopedia del diritto, Milano, 1982, XXXII, 992; riguardo al secondo, v.
Cass. 23 ottobre 1981, Fradiani, Foro it., Rep. 1982, voce Sospensione condizionale della pena, n. 11, e in dottrina Padovani, La sospensione condizionale oltre l'orizzonte delle «modifiche ai sistema penale», in Riv.
it. dir. e proc. pen., 1983, 1249; Palazzo, La recente legislazione penale,
Padova, 1985, 33). Il perseguimento della medesima finalità di prevenzio ne speciale non può, tuttavia, far trascurare anzitutto il diverso esito del
giudizio prognostico richiesto da entrambi gli istituti. Il giudice è chiama
to ad operare la scelta tra l'uno e l'altro beneficio accordando il perdono
giudiziale qualora ritenga che il minore si asterrà dal compiere ulteriori
reati in base alla sua naturale maturazione, optando invece per la sospen sione condizionale quando veda nella minaccia dell'esecuzione della pena uno strumento utile a trattenere il beneficiato da nuovi reati. La scelta
rientra nell'ambito della discrezionalità necessariamente riconosciuta al
giudice affinché individualizzi la pena tenendo conto delle effettive esi
genze preventive di ciascun imputato, della sua personalità, della oppor tunità di rafforzarne o meno il presumibile ravvedimento. In tal senso, cfr. Cass. 16 gennaio 1981, Geli, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 25; 26 novembre 1982, Oteri, id., Rep. 1984, voce cit., n. 52; 22 aprile 1983,
Secco, ibid., voce Perdono giudiziale, n. 4; 14 novembre 1984, Nocerino,
id., Rep. 1986, voce cit., n. 1; 9 ottobre 1984, Della Vite, ibid., voce
Sospensione condizionale della pena, n. 6.
La Corte di cassazione ha poi sottolineato come i due istituti si diversi
fichino quanto agli effetti estintivi, e tale orientamento riceve conferma
nella sentenza in epigrafe. A fronte del diverso risultato del giudizio prognostico si pone infatti
il diverso modo di operare dei due istituti considerati, dei quali l'uno, il perdono giudiziale, paralizza il sorgere degli effetti penali rendendo
il minore inassoggettabile a pena e accordandogli il massimo di fiducia
di cui non potrà più godere in caso di commissione di un nuovo reato;
l'altro, la sospensione condizionale della pena, non produce invece effetti
estintivi immediati, ma li posticipa al verificarsi di certi presupposti e
allo scadere del termine fissato dall'art. 163 c.p. La possibilità di disporre
più di una volta la sospensione condizionale dipende proprio dal fatto
che qui — e qui soltanto — la vicenda estintiva non si è ancora conclusa
ed è possibile una considerazione globale del comportamento dell'impu tato, ricorrendo le condizioni stabilite dall'art. 164, ultimo comma, c.p.
Tenendo conto di ciò non irrazionalmente il legislatore ha reso possibi le la reiterazione di questo beneficio. Solo con un atto del potere legislati vo, espressione della discrezionalità ad esso propria, potrebbe estendersi
tale possibilità anche al perdono giudiziale, ma non si tratta di un inter vento richiesto dalla struttura dell'istituto o da esigenze generali dell'ordi
namento. Né giova in proposito invocare l'art. 2 Cost., assumendolo a norma
fondamento di un diritto all'educazione spettante al minore. Appare op
portuno sottolineare il riferimento operato dalle ordinanze di rimessione
a questa norma, la quale, attribuendo allo Stato il compito di riconoscere
e garantire i diritti inviolabili dell'uomo, lo impegna a protteggerne i beni
esplicando una funzione garantista nei confronti di tutti i cittadini. Ma
si tratta di un riferimento indiretto, trovando spesso i singoli beni una
tutela immediata in altre norme. Cosi avviene anche per il diritto alla
rieducazione, che espressamente l'art. 27 Cost, indica quale funzione da
perseguire attraverso la pena. Posto che le esigenze rieducative sono sod
disfatte anche attraverso la pena, non può dirsi che risulti pretermesso,
per la mancata concessione di un secondo perdono giudiziale, alcun dirit
to di merito (nella prospettiva per cui il riconoscimento dei diritti inviola
bili va necessariamente correlato con la norma della Costituzione che tali
diritti espressamente garantisce, cfr. Corte cost. 4 maggio 1972, n. 77,
id., 1972, I, 1137, con nota di Pizzorusso, e 18 luglio 1973, n. 147,
id., 1973, I, 2957).
Quanto alla seconda censura di incostituzionalità, essa, cosi come è
prospettata, non tiene conto della diversa situazione in cui viene a trovar
si l'autore di un fatto contravvenzionale che abbia già usufruito del bene
II Foro Italiano — 1988.
1974 n. 220, con modificazioni, stabilisce, contrariamente a quanto statuiva il testo abrogato, che la sospensione condizionale della
pena può essere concessa più d'una volta, con la sola condizione
che la pena inflitta con la nuova condanna cumulata a quella
precedentemente sospesa non superi i limiti stabiliti dall'art. 163
c.p., le stesse ordinanze ritengono debba esser consentita la pos
sibilità di concedere più d'una volta anche il perdono giudiziale, alla condizione che il cumulo delle pene non superi il limite di
cui al 1° comma dell'art. 169 c.p. La dimostrazione della stretta analogia tra gli istituti in discus
sione è offerta anzitutto mediante il riferimento alla collocazione
degli stessi istituti nel vigente codice penale: sia la sospensione
condizionale della pena sia il perdono giudiziale per i minori de
gli anni diciotto sono, infatti, inclusi nel capo primo («della estin
zione del reato») del titolo sesto del libro primo del codice penale. A questo argomento va opposto che dalla collocazione che un
istituto ha nel sistema della legge non sempre è dato trarre sicure
conclusioni in ordine alla natura giuridica dell'istituto. Tanto più
quando si tratti di confrontare due «specie» di istituti (classificati in un unico «genere»: estinzione del reato) allo scopo di rendere
applicabile un principio valido per la prima «specie» alla secon
da: è agevole, infatti, rilevare che due istituti, nell'essere identici
od analoghi in ordine ai caratteri relativi al genere sono sempre,
invece, diversi per le caratteristiche peculiari a ciascuno di essi.
Ma va qui, ben più, sottolineato che il concetto di «genere» estinzione del reato è uno di quelli sul quale esistono vivacissime
dispute in dottrina. Contestata sin dal suo apparire nel vigente codice penale, la nozione di «estinzione del reato» è considerata
dai vari autori, che si sono occupati dell'argomento, in diversissi
me maniere. Tutti d'accordo nel contestare la formula usata dal
legislatore (non può, infatti, il fenomeno estintivo riferirsi al rea
to) le prese di posizione in ordine all'oggetto dell'estinzione (re
sponsabilità, situazioni giuridiche subiettive, punibilità astratta, effetti penali, ecc.) sono quanto mai varie (anche, almeno a vol
te, nella giurisprudenza). In ordine, poi, alla natura delle singole cause che producono l'affermata «estinzione» esistono in dottri
na divari che rischiano d'avvicinarsi alla confusione.
ficio del perdono giudiziale rispetto a chi, per lo stesso fatto, sia stato
invece condannato. Una ricaduta nel reato da parte di quest'ultimo, con
siderato emendato per effetto della pena, non esclude la possibilità di
formulare una prognosi certa che si asterrà in futuro dal commettere
ulteriori reati. La stessa fiducia non può più essere rinnovata a chi, già una volta perdonato, ha mostrato di non meritarla. Trattandosi di due
situazioni diverse, una differente regolamentazione legislativa non com
porta dunque violazione del principio di uguaglianza. Suscita invece qualche perplessità la diversa considerazione mostrata
nei confronti di chi abbia subito una condanna per delitto rispetto a chi
sia stato condannato per una contravvenzione, posto che la distinzione
tra delitti e contravvenzioni non è sempre basata sul maggiore o minore
grado di pericolosità del fatto di reato, come afferma in via incidentale
la sentenza. Poiché ex art. 169, 3° comma, c.p., non può concedersi il beneficio
del perdono giudiziale ad un minore già condannato per un delitto, men
tre tale possibilità risulta ammessa in caso di condanna per un fatto con
travvenzionale, si corre il rischio di trattare in modo differente gli autori
di fatti che presentano un identico grado di pericolosità e provocano un
uguale livello di allarme sociale, pur essendo considerati l'uno un delitto
e l'altro una contravvenzione. È noto che il codice Rocco adotti all'art. 39 c.p. un criterio meramente
formale, distinguendo i delitti dalle contravvenzioni «secondo la diversa
specie delle pene per essi rispettivamente stabilite»; ma è ovvio che, det
tandosi un regime giuridico diversificato, si pone inevitabilmente il pro blema della fondatezza dello stesso e l'esigenza di individuare i caratteri
sulla base dei quali la legge considera un fatto come contravvenzione, anziché come delitto, per verificare se abbia ancora senso tale distinzione.
Non volendo prescindere dal dato normativo, può individuarsi l'area
coperta dall'illecito contravvenzionale nel nostro sistema positivo, distin
guendo tra norme di carattere preventivo-cautelare; norme relative alla
disciplina di attività soggette ad un potere amministrativo; e infine norme
relative ad ipotesi «residuali» ritenute di minore gravità relativa rispetto ad omologhe fattispecie delittuose o volte a tutelare interessi secondari.
Al di fuori di queste ipotesi — e la terza categoria dà già luogo a proble mi di individuazione e di sufficiente determinatezza — non appare giusti ficata l'adozione di discipline differenziate, e dovrebbe esser compito del futuro legislatore circoscrivere la materia delle contravvenzioni entro i
termini predetti (per una ricostruzione più completa della problematica, v. Padovani, Il binomio irriducibile. La distinzione dei reati in delitti
e contravvenzioni fra storia e politica criminale, in Marinucci-Dolcini
(a cura di), Diritto penale in trasformazione, Milano, 1985, 421). [A. Ferrara]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
In questa situazione è davvero difficile trarre argomenti, per sostenere la «strettissima vicinanza» tra il perdono giudiziale e
la sospensione condizionale della pena dalla riconduzione di en
trambi i benefici alla generale categoria delle cause d'estinzione
del reato.
3. - E vale, anche, sottolineare che appunto la riconduzione
di entrambi i benefici alla categoria generale in discussione è con
testata: non pochi autori sono, infatti, dell'avviso che la sospen sione condizionale della pena vada inclusa fra le cause d'estinzione
della pena e non del reato. Ed argomenti a favore della tesi ora
citata non mahcano: la sospensione condizionale dell'esecuzione
della pena importa, per vero, una condanna con inflizione e de
terminazione della pena in concreto.
4. - Non resta, pertanto, che esaminare i predetti istituti nelle
ragioni di «unità» ed in quelle di «diversità», a prescindere dalle
classificazioni generali, le quali ultime, a volte, si rivelano frutto
di nominalistiche, anche se utili, catalogazioni. Gli istituti del perdono giudiziale e della sospensione condizio
nale della pena tendono, certamente, al raggiungimento di finali
tà rieducative o, in largo senso, di prevenzione speciale: in ciò
i benefici in parola sono certamente accomunati. Dottrina e giu
risprudenza sono, in materia, unanimi; ed i lavori preparatori al codice penale non lasciano, in proposito, alcun dubbio.
L'uguale presupposto richiesto dall'art. 164, 1° comma, c.p.
per la sospensione condizionale della pena e dall'art. 169, 1° com
ma, per il perdono giudiziale (concessione dei benefici soltanto
quando «avuto riguardo alle circostanze indicate dall'art. 133 c.p.» il giudice «presume che il colpevole si asterrà dal commettere ul
teriori reati») chiaramente svela e conferma l'analogia delle fina
lità emendative perseguite dagli istituti in esame.
5. - Ma le ragioni unitarie determinate dalle predette comuni
finalità non valgono ad escludere le notevoli ed ampiamente rico
nosciute caratteristiche di diversità tra gli istituti in esame.
Caratteristica peculiare del perdono giudiziale (al quale il legis latore dedica, al fine di delinearne la natura, un solo articolo) è la scelta da parte del giudice della facoltà, di cui all'art. 169
c.p., d'astenersi dal pronunciare il rinvio a giudizio o, in dibatti
mento, d'astenersi dal pronunciare condanna. Oltre a configurar
si, pertanto, due sottospecie di perdono giudiziale (ed è riduttivo,
ovviamente, tener presente soltanto il perdono concesso con sen
tenza dibattimentale: nel momento del confronto tra i due istituti
va, dunque, anche rilevato che il perdono, diversamente dalla
sospensione, può essere concesso in istruzione; il che vale a preci sare che il perdono neppure comporta sempre il completo accer
tamento della responsabilità del beneficiando) va qui posto in
particolare rilievo che, dunque, il perdono giudiziale non com
porta mai una sentenza di condanna e tanto meno la determina
zione della concreta pena da espiare. Anche se, a fini extrapenali, la sentenza dibattimentale di concessione del perdono viene, a
volte, accomunata alle sentenze di condanna (v. art. 27, 1° com
ma, c.p.p.), certo è che la concessione del perdono giudiziale non
implica mai il sorgere d'un concreto rapporto esecutivo. Il legis latore ritiene che il minore, in condizioni di incensuratezza, age volmente possa, nel superare le ragioni d'immaturità determina
trici dell'illecito, trovare in sé la forza per evitare la ricaduta nel
medesimo. La funzione ammonitrice, insita nel perdono, è legi slativamente ritenuta sufficiente all'autorieducazione del minore.
Il perdono, dunque, non rende «attuale» la pretesa punitiva; non trasforma la punibilità astratta in punibilità concreta: l'estin
zione (se d'estinzione si tratta) paralizza, ipso iure, all'atto della
concessione, ogni effetto penale, tutti gii effetti penali (le misure
di cui all'art. 26 della legge minorile non hanno, infatti, natura
penale). Meglio, forse, sarebbe chiarire che la concessione del
perdono impedisce il sorgere concreto di effetti penali, dichiaran
do il minore inassoggettabile alla pena. Tale inassoggettabilità rende
superfluo, nel perdono concesso in istruzione, anche l'accerta
mento dibattimentale della responsabilità del beneficiando e, nel
perdono concesso con sentenza dibattimentale, la condanna del
minore: se non può sorgere, dal lato passivo del rapporto puniti
vo, la soggezione alla pena, non può neppure nascere, dal lato
attivo, il concreto potere d'assoggettamento del minore alla pena. La sospensione condizionale, invece, ha caratteri nettamente
diversi da quelli ora esaminati: essa implica sempre una sentenza
di condanna nonché la determinazione della pena in concreto:
traduce, pertanto, la pretesa punitiva, la punibilità astratta, in
concreta, come ci si esprime in dottrina. Significativa è anche
la lettera del 1° comma dell'art. 163 c.p.; «Nel pronunciare sen
Ii Foro Italiano — 1988.
tenza di condanna. . . il giudice può ordinare che l'esecuzione
della pena rimanga sospesa per il termine di. . .». La sospensione condizionale della pena (alla quale il legislatore dedica ben sei
articoli) non ha effetti definitivi immediati: essa apre una vicenda
che soltanto alla fine del termine indicato dall'art. 163 c.p. con
duce, se conduce, all'estinzione di alcuni, e soltanto di alcuni, effetti penali. Se l'esecuzione della pena rimane sospesa è perché si produce in concreto (e soltanto in virtù del suo instaurarsi) una nuova fattispecie che, mentre paralizza l'attuazione del rap
porto esecutivo, soltanto alla fine della vicenda giuridica aperta dalla concessione del beneficio, ove la stessa fattispecie si com
pleti attraverso l'avveramento d'una serie di elementi positivi e
negativi (decorso del tempo, adempimento degli obblighi, even
tuali, di cui all'art. 165 c.p. ed in mancanza di revoca del benefi
cio) determina l'estinzione degli effetti penali di cui all'art. 167 c.p.
Occorre, pertanto, distinguere, come fa il codice, effetti imme
diati della concessione del beneficio, fra i quali è da includere
il nascere della fattispecie innanzi descritta (la sospensione condi
zionale, ai sensi dell'art. 166 c.p., non si estende alle pene acces
sorie ed agli altri effetti penali della condanna né alle obbligazioni civili nascenti dal reato) dagli effetti definiti differiti che (in man canza, appunto, di revoca e in presenza dell'adempimento degli eventuali obblighi di cui all'art. 165 c.p.) si producono, a conclu
sione della vicenda aperta dalla concessione del beneficio. Con
la sospensione condizionale, sottolineato che il beneficiato versa
nello status di condannato (diversamente, non avrebbero fonda
mento giuridico l'esecuzione delle pene accessorie, eventuali ob
blighi di restituzioni, di pagamento di somme a titolo di
risarcimento del danno o di pubblicazione della sentenza a titolo
di riparazione del danno) lo stesso beneficiato viene a trovarsi
in una situazione (in una Rechtslagè) che rende del tutto diversa
la sua condizione da quella del minore giudizialmente perdonato. È da questa diversa condizione che occorre prendere l'avvio
per il confronto tra i due istituti; non si può, invero, partire dagli effetti estintivi dei benefici in parola (tanto diversi, peraltro, da
far apparire i benefici stessi viventi in «dimensioni» diverse) giac ché tali effetti estintivi, comunque li si intenda, nel perdono si
verificano immediatamente e definitivamente mentre nella sospen sione non è certo che si verifichino e, comunque, si producono alla fine d'una vicenda complessa e già realizzativa di contenuti
punitivi. 6. - Il provvedimento di concessione del perdono giudiziale si
rivela diverso da quello di concessione della sospensione condi
zionale della pena anche sotto altri profili. La dottrina, tenuto conto delle osservazioni innanzi proposte,
ha, talvolta, notato, soprattutto in sede d'alternativa tra i benefi
ci da accordare al minore, che con la sospensione condizionale
della pena si opera un tentativo di recupero, realizzato attraverso
una fase sperimentale; ed ha anche osservato che alla certezza
della prognosi favorevole, in ordine alla non ricaduta nel reato
in sede di perdono, si contrappone il dubbio che, in sede di so
spensione, residua, a seguito della stessa prognosi comunque fa
vorevole. Si possono non condividere tali prese di posizione; ma
non si può disconoscere che diversa è, benché in tutti i casi certa, la conclusione del giudizio prognostico nei due istituti qui a con
fronto: nel perdono il giudice ritiene che il minore s'asterrà dal
commettere ulteriori reati facendo leva, fondamentalmente, sulle
proprie capacità d'umana maturazione, mentre in sede di sospen sione il giudice conclude nel senso che la minaccia dell'esecuzione
della pena, durante il tempo della sospensione condizionale, è
indispensabile od almeno utile a trattenere il beneficiato dal tor
nare a delinquere. Ed ognuno vede, in conseguenza, come e quanto siano diversi i risultati dei giudizi prognostici previsti dagli istituti
in esame.
7. - Pertanto, per alcune questioni vengono principalmente in
rilievo motivi d'unità tra i benefici in esame mentre, per altri
fini, possono risultare determinanti le diversità tra i benefici stessi.
Ragioni d'unità rilevano certamente in sede d'estensione del
perdono giudiziale ad uno dei reati, legato ad altro (già coperto
dal beneficio) dal vincolo di continuazione.
La sentenza di questa corte n. 108 del 1973 (Foro it., 1973,
I, 2703), (che dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 164,
n. 4, c.p. nella parte in cui non consente l'estensione del perdono
giudiziale ad altro reato che si lega con il vincolo della continua
zione ad un reato per il quale è stato concesso il beneficio) senza
dubbio trae spunto dalla sentenza n. 86 del 1970 (id., 1970, I,
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PARTE PRIMA
1866) e, sostanzialmente, applica al perdono giudiziale il princi
pio accolto da quest'ultima sentenza.
L'unità del reato continuato non consente, infatti, diverse con
clusioni per il perdono rispetto a quelle assunte in sede di sospen sione condizionale della pena: il reato continuato (e lo testimonia
l'abbondantissima bibliografia sul tema) è una salda, profonda unità legale di reato e non un fittizio (al solo scopo di mitigazio ne del cumulo delle pene) legame fra più reati: i fatti che com
pongono l'unità del reato continuato non possono, pertanto, essere
diversamente trattati ai fini dei benefici in esame.
Coperto dalla sospensione condizionale della pena uno dei fatti
incluso nel reato continuato, non può non estendersi la predetta
sospensione (purché nei limiti oggettivi previsti dall'art. 163, 1°
comma, c.p.) ad altro fatto rientrante nello stesso reato conti
nuato. Coperto dal perdono giudiziale uno dei fatti compresi nel
la continuazione, non può non estendersi quest'ultimo beneficio, nei limiti oggettivi di cui al 1° comma dell'art. 169 c.p., anche
ad altro fatto incluso nella continuazione. È l'unità del reato con
tinuato a richiamare le ragioni d'unità tra gli istituti della sospen sione condizionale e del perdono giudiziale e ad impedire che motivi
di diversità, tra gli istituti stessi, vengano comunque in rilievo.
Si tratta, in ogni caso, in senso proprio, non d'una «seconda»
liberazione condizionale né d'un «secondo» perdono, ma di un'e
stensione d'una precedente sospensione o d'un precedente perdo no ad altro fatto successivamente giudicato.
Allo stesso modo, quanto ora sottolineato vale per le sentenze
di questa corte n. 73 del 1971 (id., 1971, I, 1171) e n. 154 del
1976 (id., 1976,1, 2541). Anche se si tratta di legami meno stretti
di quelli che vincolano i diversi fatti inclusi nell'unità legale del
reato continuato, l'esser stato commesso, il reato che si giudica,
precedentemente alla prima sentenza concessiva del beneficio, im
porta da un canto che il soggetto non aveva ancora avuto noti
zia, all'epoca della commissione del reato che si giudica, della
(posteriore) sentenza concessiva del beneficio (e non aveva, per
tanto, fatto esperienza dell'ammonimento implicito nella senten
za stessa) e dall'altro che non si può precludere, per legge, al
giudice di porsi nella stessa situazione (ai fini dell'estensione del
beneficio al fatto ora al suo esame) in cui si sarebbe trovato il
precedente giudice, ove avesse conosciuto e giudicato anche sul
l'ultimo fatto. Tutto ciò, s'intende, purché il cumulo delle pene rientri nei limiti previsti dagli art. 163, 1° comma, e 169, 1° com
ma, c.p. La lettura, in parallelo, delle citate sentenze di questa corte
non dimostra, pertanto, che si sia voluto ricomporre ad unità, sul piano dei principi ispiratori e dell'applicazione, i due istituti
della sospensione condizionale dell'esecuzione della pena e del per dono giudiziale. Le ragioni di diversità tra gli stessi istituti non
vengono in gioco a proposito delle questioni decise dalle preindi cate sentenze; in esse, l'unità del reato continuato ed i particolari
legami tra alcuni reati rende illegittimo, ai sensi dell'art. 3 Cost., non estendere anche al perdono giudiziale quanto ritenuto per la sospensione condizionale della pena.
Ai fini di cui alle predette sentenze, dunque, gli istituti in esa
me vanno accomunati: tali fini impediscono il rilievo di ragioni di diversità tra gli istituti stessi.
8. - Tutto ciò è tanto vero che, benché variamente sollecitato, soltanto il legislatore (e non questa corte) ha provveduto all'ulte
riore, e significativamente diverso, «passo» relativo ad una «se
conda» liberazione condizionale. Le ordinanze di rimessione del
Tribunale per i minorenni di Perugia appunto si rifanno al d.l.
11 aprile 1974 n. 99 (convertito nella 1. 7 giugno 1974 n. 220) che ha sostituito il testo dell'art. 164 c.p. (ed alla possibilità, di
cui all'ultimo comma dello stesso articolo, di concessione «più di una volta» della liberazione condizionale) allo scopo di soste
nere l'illegittimità costituzionale dell'art. 169 c.p., nella parte in
cui non prevede una «seconda» concessione di perdono giudiziale. Si tratta, dunque, d'un nuovo e diverso problema. Ci si riferi
sce a fatti commessi successivamente ad altri già coperti dal per
dono, a nuovi fatti, del tutto slegati dai precedenti; nuovi fatti
commessi quando il soggetto ha avuto notizia del precedente per dono ed ha cosi già avvertito l'ammonimento insito nel concesso
beneficio. In questa nuova ipotesi vengono a diretto confronto
(fuori dall'unità del reato continuato o da particolari legami tra
alcuni reati) gli istituti in discussione: le ragioni di diversità tra
gli stessi istituti divengono, cosi', da questo profilo, specificamen te rilevanti.
Va, infatti, ancora particolarmente sottolineato che il perdono
Il Foro Italiano — 1988.
giudiziale equivale ad immediata e completa «liberazione» del mi
nore mentre la liberazione condizionale lascia sospeso il «proble ma» della definitiva rilevanza del primo comportamento criminoso, che va appunto collegato con i comportamenti futuri del benefi
ciato per ricevere da questi ultimi la definitiva significazione pe nale: incidenza notevole, in proposito, ha, come s'è osservato, la «minaccia» dell'esecuzione della pena originariamente sospesa.
La concessione del «primo» perdono giudiziale realizza una si
tuazione diversa dalla concessione della «prima» sospensione con
dizionale (soprattutto, per quest'ultima, durante il tempo necessario
alla produzione degli effetti c.d. estintivi innanzi precisati). Le
due situazioni, pertanto, ben possono essere diversamente tratta
te in relazione alla concessione d'un «secondo» beneficio.
9. - Ai fini della valutazione delle ordinanze in discussione le
conclusioni sarebbero già chiare.
Non ci si può, tuttavia, sottrarre dall'accennare alle conseguenze che attualmente si realizzano a seguito della «seconda» sospen sione condizionale (prevista dal modificato ultimo comma del
l'art. 164 c.p.) ed alle conseguenze che si verificherebbero qualora, come richiesto dalle predette ordinanze, si ammettesse un «secon
do» perdono giudiziale. La sospensione condizionale disposta nel momento dell'infli
zione d'una «nuova» condanna, dopo altra già concessiva dello
stesso beneficio, (sempre nei limiti di pena stabiliti dall'art. 163
c.p.) impedisce, è vero, la revoca della precedente sospensione ed ha come effetto immediato la nascita, in concreto, di una «se
conda» fattispecie estintiva: quest'ultima, tuttavia, soltanto ove
siano adempiuti gli obblighi di cui al 2° comma dell'art. 165 c.p. e trascorrano i nuovi termini (desunti dalla «nuova» sentenza) senza alcuna revoca della sospensione, produce i c.d. effetti estintivi
di cui all'art. 167 c.p. Ma va sottolineato che, qualora il benefi
ciato commetta ancora altro reato oppure, comunque, soprav
venga la revoca della sospensione, ai sensi dell'art. 168, 1° comma,
c.p., il beneficiato stesso sconta tutte le pene alle quali è stato
condannato.
Ben diversi sarebbero, invece, gli effetti giuridici d'un «secon
do» perdono per fatto successivo ad un primo già coperto dallo
stesso beneficio (sempre nei limiti di pena di cui al 1° comma
dell'art. 169 c.p.). Il minore, già totalmente liberato dalle conse
guenze sanzionatorie del primo fatto, verrebbe immediatamente
liberato anche da quelle del «secondo» fatto, con l'ulteriore pos
sibilità, ove ne ricorrano i presupposti, del godimento di sospen sioni condizionali per eventuali altri reati. La situazione in cui
versa chi ottiene la sospensione condizionale è, come si è sottoli
neato innanzi, certamente diversa da quella in cui viene a trovarsi
chi ottiene la concessione del perdono giudiziale: e ciò basterebbe
per ritenere non palesemente irrazionale il diverso trattamento
legislativo delle due situazioni. Ma, di più, il trattamento che ri
ceverebbe il minore, già beneficiato, ove fosse destinatario d'un
«secondo» perdono, sarebbe di gran lunga più favorevole dell'at
tuale trattamento del condannato, minore oppur no, che, avendo
già usufruito d'una «prima» sospensione condizionale, sia desti
natario d'una «seconda», ai sensi del 4° comma dell'art. 164 c.p. L'estensione delle previsioni di cui a quest'ultimo articolo al
perdono giudiziale privileggerebbe ancor di più il minore già be
neficiato da un «primo» perdono rispetto al soggetto già fruitore
d'una prima sospensione condizionale.
10. - Né va taciuto che il minore destinatario del perdono ha
modo di sperimentare la grande fiducia che l'ordinamento ripo
ne, per il futuro, in lui, nelle sue capacità di autodisciplina e
non può avvertire l'ammonimento implicito nella fiducia dimo
stratagli, attraverso la completa ed immediata liberazione dalle
conseguenze penali del primo fatto. Non altrettanto può rilevarsi
per il condannato destinatario della sospensione condizionale.
Il significato della «ricaduta» da parte del minore già perdona to è, dunque, diverso, e più grave, dalla ricaduta nel reato del
condannato a pena condizionalmente sospesa. Se sia opportuno concedere anche al minore, insensibile ai richiami contenuti nel
«primo», un «secondo» perdono, sempre nei limiti di pena indi
cati dall'art. 169 c.p., è questione, dunque, che spetta al legisla tore risolvere. Si tratterebbe d'ulteriormente e maggiormente
(rispetto al condannato con pena sospesa) agevolare chi è già sta
to trattato, in occasione del primo fatto criminoso, più favore
volmente del condannato fruitore della sospensione condizionale
della prima pena.
11. - Da ultimo va ricordato che il legislatore del 1974 ha cir
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ondato di cautele la sospensione condizionale concessa a chi ha
già fruito d'una precedente sospensione.
Mentre, in generale, la sottoposizione della concessione del be
neficio ad obblighi (relativi alle restituzioni, al risarcimento del
danno, alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione
del danno ed all'eleminazione delle conseguenze dannose e peri
colose del reato) è, per il 1° comma dell'art. 165 c.p., facoltati
va, il 2° comma dello stesso articolo recita: «La sospensione
condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha
già usufruito, deve esser subordinata all'adempimento di uno de
gli obblighi previsti nel comma precedente, salvo che ciò sia im
possibile». Qualora s'estendesse al perdono quanto previsto per
la sospensione condizionale, e cioè fosse data la possibilità di
concedere al minore un «secondo» perdono, si vanificherebbero
anche le cautele legislativamente assunte in sede di concessione
della «seconda» sospensione condizionale, non essendo ipotizza
bili restituzioni, risarcimento, ecc., in relazione ad un fatto per
il quale non v'è condanna: oppure occorrerebbe predisporre altre
cautele per il «secondo» perdono. Ma tutto ciò, ovviamente, non
può esser oggetto di decisioni di questa corte.
Le conclusioni qui raggiunte sono confortate dal rilievo secon
do il quale, tenuto conto della diversità delle prognosi (pur en
trambe d'esito favorevole) relative al perdono ed alla sospensione,
qualora il minore si rivelasse ancora degno d'una prognosi favo
revole in ordine alla ricaduta nel reato, valida ai fini della con
cessione della sospensione, ben potrebbe fruire, dopo il primo
perdono, d'una prima e, successivamente, anche d'una seconda
sospensione condizionale della pena.
12. - Le ordinanze di remissione del Tribunale per i minorenni
di Perugia, oltre all'art. 3 Cost, (che si è già motivato non essere
invocabile nella specie) fanno riferimento anche all'art. 2 Cost.,
assumendo che «il minore è titolare d'un diritto fondamentale
alla sua educazione, che potrebbe essere pregiudicato qualora,
per il divieto di concedere a lui un secondo perdono giudiziale,
dovesse subire un precoce impatto con il carcere; pertanto po
trebbe profilarsi anche un contrasto della norma di cui all'art.
169 c.p. con l'art. 2 Cost.».
A parte i dubbi relativi all'«impatto con il carcere» (per il per
dono relativo alla pena pecuniaria non sorgono particolari que
stioni) che non sembra possa qualificarsi precoce quando si verifica,
(dopo la concessione del perdono per il primo fatto) a seguito
della commissione d'un secondo fatto di reato, va sottolineato
che, rivelatasi errata la favorevole prognosi (formulata dal giudi
ce in occasione del primo perdono) di non ricaduta nel reato,
l'esecuzione della pena per il secondo reato è da ritenersi frutto
d'una non irrazionale scelta del legislatore, tesa appunto a realiz
zare esigenze rieducative del minore. Anche le pene tendono alla
rieducazione, non soltanto le misure liberatorie quali il perdono
giudiziale. Neppure il riferimento all'art. 2 Cost., può, dunque, condurre
all'invocata dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 169
c.p. 13. - Le argomentazioni innanzi adottate valgono anche per
ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale del
l'art. 169, ultimo comma, c.p., nella parte in cui non limita il
divieto di concessione di ulteriore perdono giudiziale ai casi in
cui il precedente perdono sia stato concesso per fatti delittuosi.
Questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.
L'ordinanza n. 309 reg. ord. 1980, emessa il 5 marzo 1980 dal
Tribunale per i minorenni de L'Aquila degli Abruzzi e le ordi
nanze nn. 338 e 339 reg. ord. 1981, emesse il 25 febbraio 1981
dallo stesso tribunale, sostengono che l'ultimo comma dell'art.
169 c.p. realizzi un'ingiustificata discriminazione tra i minori che
abbiano usufruito d'un precedente perdono giudiziale per fatti
contravvenzionali, ai quali minori non è consentita la concessio
ne d'un «secondo» perdono, rispetto ai minori che per gli stessi
fatti contravvenzionali siano stati invece condannati (a questi ul
timi minori può, invece, essere concesso il perdono giudiziale);
e sollevano, in relazione all'art. 3 Cost., la preindicata questione
di costituzionalità dell'ultimo comma dell'art. 169 c.p.
Sono state già ampiamente chiarite le diversità tra gli istituti
del perdono giudiziale e della sospensione condizionale della pe
na e, conseguentemente, le ragioni per le quali non è irrazionale
la scelta del legislatore che ha ammesso per la sospensione condi
zionale, e non per il perdono una «seconda» concessione. E sono
state anche chiarite le ragioni per le quali non è questa corte
Il Foro Italiano — 1988.
che può dichiarare l'ammissibilità di un «secondo» perdono giu
diziale. Ricordato ciò, poiché le citate ordinanze del Tribunale per i
minorenni de L'Aquila lamentano anch'esse, al pari delle ordi
nanze del Tribunale per i minorenni di Perugia, il divieto legisla
tivo di concessione d'un «secondo» perdono, ogni discussione in
proposito dovrebbe ritenersi conclusa.
Senonché, le ora ricordate ordinanze sottolineano, questa vol
ta, la discriminazione che i minori, beneficiari d'un «precedente»
perdono giudiziale per fatti contravvenzionali, subirebbero nei con
fronti di minori già condannati per gli stessi fatti: ai «già con
dannati» è infatti consentito godere del perdono per un secondo
«fatto» mentre ai «già perdonati» non è consentita la concessio
ne d'un «secondo» perdono. Anche quest'ultima questione di legittimità costituzionale è in
fondata.
Allo stesso modo come, in precedenza, è stata precisata la di
versità tra la situazione del beneficiario di perdono giudiziale ri
spetto a quella del beneficiario di sospensione condizionale della
pena, deve ora esser chiarita la diversità della situazione in cui
versa il perdonato, rispetto a quella del condannato, come tale,
sia stata o meno la pena condizionalmente sospesa.
Si è ricordato che il perdono giudiziale, anche quando viene
concesso con sentenza dibattimentale, non presuppone una sen
tenza di condanna e che, in conseguenza, il beneficiario di perdo
no non acquista la qualità di condannato: il minore «perdonato»,
invece d'esser condannato, viene liberato, ed immediatamente,
da ogni conseguenza sanzionatoria di carattere penale.
Né si può ritenere che dal provvedimento concessivo del perdo
no s'evinca che il fatto realizzato dal minore sia di «non grave»
disvalore penale rispetto a quello commesso dal minore che viene
condannato: per quanto concesso a seguito di valutazione di tutti
gli estremi di cui all'art. 133 c.p. (e pertanto anche a seguito
della valutazione del fatto di reato) il perdono giudiziale attiene
al futuro, consegue alla prognosi certa che il minore s'asterrà,
in futuro, dal commettere ulteriori reati, riguarda principalmente
il soggetto e non il fatto.
Certo, anche il disvalore di quest'ultimo, assumendo il ruolo
di criterio, fra gli altri, in base al quale il giudice emette la preci
tata prognosi favorevole, contribuisce a determinare quest'ultima
e, conseguentemente, il provvedimento, immediatamente libera
torio, del perdono. Ma, mentre nessuno può, a beneficio conces
so, stabilire quanta parte abbia giocato, nella formulazione della
prognosi favorevole in ordine alla non «ricaduta», l'esito della
valutazione del fatto (della sua antigiuridicità) rispetto all'esito
delia valutazione del soggetto, come tale, e della sua capacità
a delinquere (di cui al capoverso dell'art. 113 c.p.) v'è da tener
presente che il secondo fatto, da parte di chi ha già goduto d'un
precedente perdono (anche quando il primo fatto abbia natura
contravvenzionale), non solo dimostra errata la prognosi favore
vole emessa in occasione del primo fatto, ma evidenzia anche
che il minore non ha utilizzato, a fini auto-rieducativi, il provve
dimento penalmente liberatorio, non ha restituito alla società la
fiducia in lui riposta. Il legislatore prende atto che né quest'ulti
ma né l'ammonimento implicito nel «primo» perdono hanno avuto
effetto risocializzante sul minore: e, pertanto, non irrazionalmen
te preclude una nuova prognosi di non ricaduta nel reato, ai fini
della concessione d'un «secondo» perdono. Lo stesso legislatore
ritiene, dunque, prevalenti rispetto ad altre considerazioni, che
pur potrebbero esser proposte (il secondo fatto ad esempio po
trebbe esser frutto d'una immaturità sicuramente superabile con
l'avanzare dell'età), quelle attinenti all'insensibilità dimostrata dal
minore nei confronti del significato del perdono precedentemente
goduto. Le indicate ragioni d'insensibilità non si pongono, invece, per
il già condannato: questi, non essendo stato destinatario del be
neficio in esame, versa in diversa situazione, dopo il primo reato;
non ha da utilizzare, a fini rieducativi, alcun provvedimento im
mediatamente e definitivamente liberatorio né ha da «restituire»
alla società un'incondizionata fiducia che la stessa società non
ha nutrito in lui. E, pertanto, ove il secondo reato si riveli princi
palmente dovuto ad immaturità derivante dalla minore età, lo
stesso legislatore non irrazionalmente esclude preclusioni in ordi
ne alla concessione del «primo» perdono giudiziale.
È, peraltro, sempre ammissibile una «nuova» prognosi favore
vole, anche per i già perdonati, di non ricaduta nel reato, valida
ai fini della concessione della sospensione condizionale della pe
na, tenuto conto della diversa natura, innanzi chiarita, delle
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PARTE PRIMA
prognosi relative, rispettivamente, al perdono giudiziale ed alla
sospensione condizionale.
Non irrazionalmente, dunque, il legislatore, atteso il diverso
significato della ricaduta nel reato del già condannato per fatti
contravvenzionali e della «ricaduta» del già perdonato per gli stessi
fatti, ritiene inammissibile la concessione del «primo» (da sottoli
nearsi) perdono giudiziale ai già condannati per fatti contravven
zionali e non la concessione d'un «secondo» perdono ai già
perdonati per gli stessi fatti. A diversità di situazioni, a diversità
di significati della «reiterazione», non irrazionalmente il legisla tore fa corrispondere diverse conseguenze, ai fini della concessio
ne del perdono, rispettivamente per il già condannato e per il
già perdonato per fatti contravvenzionali.
Anche la questione di legittimità costituzionale dell'ultimo com
ma dell'art. 169 c.p., sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dalle più volte citate ordinanze del Tribunale per i minorenni de
L'Aquila, va, dunque, dichiarata infondata.
Per questi motivi, la Corte costituzionale 1) dichiara non fon
data la questione di legittimità costituzionale dell'art. 169 c.p.
sollevata, in riferimento agli art. 2 e 3 Cost., dal Tribunale per i minorenni di Perugia con ordinanze del 15 dicembre 1978 (reg. ord. n. 401/79) e dell' 11 maggio 1979 (reg. ord. n. 951/79); 2) dichiara del pari non fondata la questione di legittimità costitu
zionale dell'ultimo comma dell'art. 169 c.p., nella parte in cui
non limita il divieto di concessione di ulteriore perdono giudiziale ai casi in cui il precedente perdono sia stato concesso per fatti
delittuosi, questione sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dal
Tribunale per i minorenni de L'Aquila degli Abruzzi con ordi
nanza del 5 marzo 1980 (reg. ord. 309/80) e del 25 febbraio 1981
(reg. ord. n. 338/81 e n. 339/81).
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 15 dicembre 1986, n. 268
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 24 dicembre 1986, n. 60); Pres. La Pergola, Rei. Gallo; imp. Malavolta; Contucci; Pez
zina e altro; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato D'A
mato). Ord. Pret. Forlì 18 febbraio 1984 (G.U. n. 125 bis del
1985); Pret. Urbino 11 febbraio 1985 (G.U. n. 179 bis del 1985); Trib. Arezzo 10 aprile 1985 (G.U. n. 238 bis del 1985).
Competenza e giurisdizione penale — Furto aggravato — Attri
buzione alla competenza del pretore — Furti commessi ante
riormente all'entrata in vigore della legge 400/84 — Competenza del tribunale — Inapplicabilità delle sanzioni sostitutive — Que stioni inammissibile e infondata di costituzionalità (Cost., art.
3; cod. pen., art. 624, 625; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifi
che al sistema penale, art. 54; 1. 31 luglio 1984 n. 400, nuove
norme sulla competenza penale e sull'appello contro le senten
ze del pretore, art. 1).
Competenza e giurisdizione penale — Furto aggravato — Attri
buzione alla competenza del pretore — Questione infondata
di costituzionalità (Cost., art. 3; cod. pen., art. 624, 625; cod.
proc. pen., art. 31; 1. 31 luglio 1984 n. 400, art. 1).
È inammissibile per difetto di rilevanza, se sollevata dal pretore, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 l. 31 luglio 1984 n. 400 sotto il profilo della sua relazione con l'art. 54
l. 24 novembre 1981 n. 689, nella parte in cui esclude l'applica bilità da parte del tribunale delle sanzioni sostitutive agli impu tati di furto aggravato commesso prima dell'entrata in vigore della I. n. 400 del 1984, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)
(1-3) La duplice dichiarazione di inammissibilità e di infondatezza, in ordine alla stessa questione, si spiega considerando che sub 1 l'eccezione era stata sollevata dal Pretore di Urbino: cioè un organo privo di legitti mazione a dolersi, dal momento che l'art. 54 1. 689/81 consente l'applica bilità delle sanzioni sostitutive ai reati trasferiti alla competenza pretorile, mentre al pretore — come rileva la Corte costituzionale — non interessa la sorte di coloro che restano affidati alla competenza del tribunale (sul nesso di necessità che lega la decisione del giudizio principale con la riso luzione della questione di costituzionalità, per cui quest'ultima non sareb be rilevante «qualora il giudizio . . . possa essere definito
indipendentemente . . .» dalla sua risoluzione, v. Corte cost. 10 marzo
1983, n. 49, Foro it., 1983, I, 1211; 22 maggio 1974, n. 147, id., 1974,
Il Foro Italiano — 1988.
È infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legitti mità costituzionale dell'art. 54 l. 24 novembre 1981 n. 689 sot
to il profilo della sua relazione con l'art. 1 l. 31 luglio 1984
n. 400, nei limiti in cui esclude l'applicabilità da parte del tri
bunale delle sanzioni sostitutive agli imputati di furto aggrava to commesso anteriormente all'entrata in vigore della l. 400/84,
in quanto, da un lato, l'inapplicabilità nel caso di specie delle
sanzioni sostitutive non deriva dalle norme impugnate, e, dal
l'altro, è ovvio che gli effetti voluti dal legislatore si verifichino a fare epoca dall'entrata in vigore della legge che dispone un
diverso assetto processuale, a meno che lo stesso legislatore, nell'ambito dei suoi poteri discrezionali, non disciplini diversa
mente i rapporti processuali pendenti mediante il diritto tran
sitorio. (2) È infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legitti
mità costituzionale dell'art. 1 I. 31 luglio 1984 n. 400, nella
parte in cui attribuisce alla competenza del pretore il reato di
furto aggravato consumato e tentato con la conseguente discri
minazione che imputati di reati di maggiore gravità verrebbero
a subire nei confronti di altri imputati di reati meno gravi per la perdita della maggiore garanzia offerta dal giudizio collegia le rispetto a quello del giudice monocratico, che per di più cu
mula le funzioni requirenti e giudicanti, in quanto, nella realtà
dell'esperienza giuridica ispirata ai nuovi principi costituziona
li, il reato predetto ormai non rientra tra i delitti più gravi. (3)
I, 2195; e, in dottrina, di recente, Carnevale, «Irrilevanza di fatto e
sopravvenuta» e valutazione giudiziale della rilevanza delle questioni dì
legittimità costituzionale, in Giur. costit., 1984, I, 2389).
Quanto alla motivazione del giudizio di infondatezza, i giudici della Consulta hanno in primo luogo rilevato che l'inapplicabilità nel caso di
specie delle sanzioni sostitutive non deriva dall'art. 54 1. n. 689 del 1981, ma dall'art. 12 1. n. 400 del 1984, che devolve il delitto de quo alla cogni zione del pretore soltanto se commesso in data successiva all'entrata in
vigore della legge: disposizione quest'ultima non investita di impugnazione. In secondo luogo, l'applicabilità, in ipotesi, delle sanzioni sostitutive
agli imputati che abbiano commesso reati, divenuti di competenza del
pretore a seguito dell'aumento di competenza stabilito dalla 1. n. 400
del 1984, successivamente all'entrata in vigore della 1. 400/84 non deter mina — secondo la Corte costituzionale — una disparità di trattamento tale — rispetto ad imputati degli stessi reati commessi anteriormente al l'entrata in vigore di questa legge — da ledere il principio costituzionale di eguaglianza, in quanto rientra nei «poteri discrezionali» del legislatore di «regolare diversamente i rapporti processuali pendenti mediante il di ritto transitorio» (su questa problematica, con particolare riferimento al la tesi secondo cui «non può contrastare con il principio di eguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, giacché lo stesso fluire di questo costi tuisce di per sé un elemento differenziatore», v. Corte cost. 29 aprile 1975, n. 92, Foro it., 1975, I, 1619 ; 6 dicembre 1977, n. 138, id., 1978, I, 25; 4 luglio 1979, n. 65, id., 1979, I, 2825).
Quanto poi all'applicabilità del principio della retroattività delle dispo sizioni più favorevoli al reo sancito dall'art. 2, 3° comma, c.p., i giudici della Consulta hanno rilevato che si tratta di una «questione interpretati va rimessa al giudizio di merito, e non di una questione di legittimità costituzionale» (nel senso che le norme relative alle sanzioni sostitutive si applicano anche ai reati di competenza del pretore a seguito dell'au mento di competenza stabilito dalla 1. n. 400 del 1984, ma giudicati dal tribunale perché commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge, in quanto si tratta di norme sanzionatone di natura sostanziale per le
quali trova applicazione l'art. 2, 3° comma, c.p., v. Trib. Treviso 11 novembre 1985, id., 1986, II, 170; App. Bologna 24 ottobre 1985, ibid., 169; Trib. Roma 23 febbraio 1985, id., Rep. 1986, voce Pena, n. 95; Trib. Benevento 14 gennaio 1985, ibid., n. 94; contra Cass. 10 dicembre
1984, Aiello, id., 1986, II, 169; Trib. Cagliari 24 gennaio 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 100; Trib. Rieti 13 dicembre 1985, id., 1986, II, 561; su questa problematica, v. Amato, id., 1986, II, 169, cui si rinvia per ulteriori richiami di dottrina e giurisprudenza).
Nel rigettare la questione, la corte ha altresì osservato che «il diritto vivente rappresentato dalla predominante giurisprudenza e dall'ammoni
mento delle sezioni unite penali della Corte di cassazione . . . nonché dal
la giurisprudenza della stessa Corte costituzionale ... è fermo nel ritenere non applicabili sanzioni sostitutive quando il reato sia punito con pena detentiva congiunta a quella pecuniaria» (analogamente, v. Corte cost. 17 dicembre 1985, n. 350, id., 1986, I, 3; Cass. 18 marzo 1986, Monaldi,
id., Rep. 1986, voce cit., n. 181; 11 novembre 1985, Mozzi, ibid., n.
177; 19 aprile 1985, Santin, ibid., n. 180; 8 febbraio 1985, Crotti, ibid., n. 179; 24 marzo 1984, Florio, id., Rep. 1985, voce cit., n. 126; 24 marzo
1984, Mottuzzi, ibid., n. 127; 13 maggio 1983, Cappelletti, id., Rep. 1983, voce cit., n. 85; 5 ottobre 1982, Martucci, ibid., n. 68; cfr., pure, Corte cost. 24 maggio 1984, n. 148, id., 1984, 1, 1444, che aveva già dichiarato
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