sentenza 31 ottobre 1991, n. 393 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 13 novembre 1991, n.45); Pres. Corasaniti, Est. Casavola; Giuralongo c. Regione Basilicata; interv. Pres. cons. ministri(Avv. dello Stato D'Amato). Ord. App. Potenza 6 novembre 1990 (G.U., 1 a s.s., n. 18 del 1991)Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 3289/3290-3291/3292Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185761 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
za che nel procedimento davanti al tribunale (art. 409) — a
differenza che in quello davanti al pretore (art. 554) — l'ordine
di formulare l'imputazione segua ad una procedura camerale
è, all'evidenza, irrilevante ai fini del riconoscimento dell'incom
patibilità. Di conseguenza, poiché con l'ordine di cui all'art. 409, 5°
comma, il giudice per le indagini preliminari compie una valu
tazione contenutistica dei risultati di queste e dà anzi ex officio
l'impulso determinante alla procedura che condurrà all'emana
zione di una sentenza, l'art. 34, 2° comma, deve essere dichia
rato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non preve de che il giudice che ha emanato tale ordine non possa parteci
pare al successivo giudizio abbreviato.
5. - L'art. 34, 2° comma, è, altresì', impugnato dalla Corte
d'appello di Brescia (r.o. n. 315 del 1991) nella parte in cui
non prevede che sia inibita la partecipazione al giudizio abbre
viato del giudice per le indagini preliminari che ha disposto il
giudizio immediato (art. 455 e 458 c.p.p.): ciò che, a suo avvi
so, contrasta con le garanzie di imparzialità e di indipendenza sottese ai disposti degli art. 25 e 101 Cost., dato che il giudizio reso nel rito abbreviato potrebbe ritenersi condizionato dalla
valutazione circa l'«evidenza» della prova già effettuata ai fini
dell'introduzione del giudizio immediato.
Poiché la norma impugnata già prevede che non possa «par
tecipare al giudizio il giudice che... ha disposto il giudizio im
mediato», la questione muove, evidentemente, dall'implicito pre
supposto che per «giudizio» debba intendersi il solo giudizio che si estrinseca nel dibattimento.
Tale interpretazione non può essere condivisa, in quanto con
traddetta sia dalla lettera che dalla ratio della disposizione. Sotto il primo profilo, è da rilevare che la locuzione «giudi
zio» è di per sé tale da ricomprendere qualsiasi tipo di giudizio, cioè ogni processo che in base ad un esame delle prove perven
ga ad una decisione di merito, compreso quello che si svolge con il rito abbreviato, Anzi, la circostanza che tale ampia locu
zione sia stata adottata in luogo di quella restrittiva («divieto di esercitare le funzioni di giudice del dibattimento...») conte
nuta nella citata direttiva n. 67 è indice univoco di una precisa determinazione in tal senso del legislatore delegato.
Sotto il secondo profilo, sarebbe evidentemente illogico rite
nere che la ragione dell'incompatibilità stabilita dalla norma ri
corra solo per il dibattimento e non anche per il giudizio abbre
viato, quando entrambi seguono alla richiesta di giudizio im
mediato.
Il già effettuato giudizio sull'«evidenza» della prova — e cioè
sulla verosimile attribuibilità del fatto all'imputato — è infatti
suscettibile di influire sulla decisione di merito in entrambi i
casi; ed anzi, il fatto che il giudizio abbreviato sia reso sulla
base degli stessi atti valutati al momento di disporre il giudizio immediato rende ancor più consistente il pericolo di «pregiudi zio» che ha indotto il legislatore a prevedere l'incompatibilità, coerentemente con la garanzia costituzionale d'imparzialità del
giudice. In tali sensi, la questione deve ritenersi non fondata.
Per questi motivi, la Corte costituzionale 1) dichiara l'illegit timità costituzionale dell'art. 34, 2° comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al successivo giu dizio abbreviato il giudice per le indagini preliminari presso il
tribunale che abbia emesso l'ordinanza di cui all'art. 409, 5°
comma, del medesimo codice; 2) dichiara non fondata la que stione di legittimità costituzionale del medesimo art. 34, 2° com
ma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice
per le indagini preliminari presso il tribunale che ha emesso l'or
dinanza di cui al predetto art. 409, 5° comma, a partecipare
all'udienza preliminare, sollevata, in riferimento agli art. 76 e
77 Cost., dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribu
nale di Roma con ordinanza dell'11 dicembre 1990 (r.o. n.
184/91); 3) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazio ne, la questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 34,
2° comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del
giudice per le indagini preliminari presso il tribunale che abbia
disposto il giudizio immediato a partecipare al giudizio abbre
viato, sollevata, in riferimento agli art. 25 e 101 Cost., dalla
Corte d'appello di Brescia con ordinanza del 5 marzo 1991 (r.o.
n. 315/91).
li Foro Italiano — 1991.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 31 ottobre 1991, n. 393
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 13 novembre 1991, n.
45); Pres. Corasaniti, Est. Casavola; Giuralongo c. Regio ne Basilicata; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato
D'Amato). Ord. App. Potenza 6 novembre 1990 (G.U., la
s.s., n. 18 del 1991).
Foreste — Occupazione di terreni — Lavori di rinsaldamento
e rimboschimento — Indennità annua — Misura fissa — Que stione infondata e manifestamente infondata di costituziona
lità (Cost., art. 42; r.d.l. 30 dicembre 1923 n. 3267, riordina
mento e riforma della legislazione in materia di boschi e ter
reni montani, art. 50).
È infondata, in riferimento all'art. 42, 2° comma, Cost., e ma
nifestamente infondata, in riferimento al 3° comma della stessa
norma, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 50
r.d.l. 30 dicembre 1923 n. 3267, nella parte in cui prevede la corresponsione di una indennità annua in misura fissa per
l'occupazione di terreni da sottoporre a lavori di rinsalda
mento e rimboschimento. (1)
Diritto. — 1. - La Corte d'appello di Potenza, con ordinanza
del 6 novembre 1990 (r.o. n. 291 del 1991), solleva incidente
di legittimità costituzionale, con riferimento all'art. 42, 2° e
3° comma, Cost., dell'art. 50 r.d.l. 30 dicembre 1923 n. 3267
(riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi
e di terreni montani) «nella parte in cui prevede la correspon sione di un'indennità annua in somma fissa per l'occupazione di terreni da sottoporre a lavori di rinsaldamento e rimbo
schimento».
2. - La questione è infondata.
La parziale o totale sospensione di godimento, da parte dei
proprietari, dei terreni da sistemare rientra nella fattispecie de
scritta dall'art. 42, 2° comma, Cost., configurandosi come limi
te allo scopo di assicurare la funzione sociale della proprietà.
Infatti, se i terreni dei bacini montani non fossero sottoposti a opere di sistemazione idraulico-forestale, il loro degrado li
sottrarrebbe come risorsa produttiva sia direttamente ai pro
(1) Per riferimenti, con riguardo all'occupazione per procedere ai la vori di rinsaldamento e rimboschimento considerati dall'art. 50 r.d.l. 30 dicembre 1923 n. 3267 (su cui, in dottrina, di recente Crosetti, Boschi e foreste, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, 1988, V,
4-5) cons.: a) Cass. 5 settembre 1989, n. 3845, Foro it., Rep. 1990, voce Foreste, n. 10, per la quale in caso di rifiuto del collaudo o della dichiarazione di compimento dei menzionati lavori, il proprietario non ha diritto al rilascio del bene, ma può tutelare la sua posizione, avente consistenza di interesse legittimo, avanti al Tribunale superiore delle
acque pubbliche in sede giurisdizionale amministrativa; b) Cass. 28 aprile 1989, n. 2004, id., Rep. 1989, voce cit., n. 9, secondo cui la controver sia promossa dal proprietario dell'immobile per ottenerne la restituzio
ne, a seguito della realizzazione dei ripetuti lavori, con le correlative maturazione ed utilizzabilità economica del bosco, e il risarcimento dei danni non si sottrae alla giurisdizione del giudice ordinario; c) Trib.
sup. acque 14 ottobre 1986, n. 24, id., Rep. 1986, voce cit., n. 3, per cui l'apposizione di un termine all'occupazione, disposta ai sensi del l'art. 50 r.d.l. 30 dicembre 1923 n. 3267 per l'esecuzione di opere di rinsaldamento e rimboschimento di terreni, non vale a trasformare tale
occupazione in occupazione d'urgenza preordinata all'espropriazione, ai sensi dell'art. 71 1. 25 giugno 1865 n. 2359; pertanto, legittimamente l'occupazione dei detti terreni è protratta per la durata massima stabili ta dal cit. art. 50, e cioè finché i beni non abbiano attitudine ad essere
economicamente utilizzati; d) Cons. Stato, sez. VI, 18 gennaio 1977, n. 8, id., Rep. 1977, voce cit., n. 7, secondo cui l'occupazione tempora nea dei terreni per l'esecuzione del r.d.l. 30 dicembre 1923 n. 3267 (leg
ge forestale), in base al suo art. 50, ha una durata che non è connessa
all'esecuzione dei lavori, bensì, trattandosi di boschi, al raggiungimento del limite di crescita delle piante, che ne consenta l'utilizzazione econo
mica; pertanto, indipendentemente dalla circostanza che l'amministra
zione abbia affermato nell'atto di sottomissione che non avrebbe pro tratto l'occupazione oltre dieci anni, non sussiste alcun limite insupera bile a prorogare la detta occupazione, allorché sussista il precipuo
pubblico interesse di cui al r.d. 3267 cit.; e) Cons. Stato, sez. VI, 23
ottobre 1973, n. 408, id., Rep. 1973, voce cit., n. 4, che, da premessa identica a quella della precedente decisione, ha tratto la conseguenza che la notificazione o meno delle proroghe dell'occupazione dei terreni fino all'ultimazione dei lavori è questione irrilevante per il proprietario, data la singolarità della disciplina fissata dalla legge per la restituzione
del fondo.
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3291 PARTE PRIMA 3292
prietari sia indirettamente alla collettività. La coincidenza che
viene a verificarsi tra interesse pubblico e privato è manifesta nell'intervento dello Stato, che a propria cura e spese si sostitui
sce ai proprietari per il compimento di opere che salvaguardino i loro terreni. Il sacrificio della sospensione temporanea del go dimento è compensato con un indennizzo che si aggiunge al
beneficio realizzato dalle opere sostenute a spese dello Stato. Tale indennizzo non deve essere rivalutato, attesa la lunga du
rata dell'occupazione dei terreni per il compimento delle opere di sistemazione, che lo allontana dai valori originari, cui era stato rapportato in somma fissa, del reddito netto all'epoca del
l'inizio dei lavori di rinsaldamento e rimboschimento, proprio perché alla progressiva diminuzione di valore dell'indennizzo cor
risponde il vantaggio determinato dalle opere in corso.
Non risultando peraltro compressione o svuotamento del di
ritto del proprietario — che conserva integro ed attuale il pote re di disposizione sul bene — cosi da configurare una fattispe cie espropriativa non traslativa, esclusa peraltro dal carattere della temporaneità che tale non cessa in virtù della lunga dura
ta, la questione è manifestamente infondata rispetto all'art. 42, 3° comma, Cost.
Per questi motivi, la Corte costituzionale 1) dichiara non fon
data la questione di legittimità costituzionale dell'art. 50 r.d.l.
30 dicembre 1923 n. 3267 (riordinamento e riforma della legis lazione in materia di boschi e di terreni montani), sollevata, in riferimento all'art. 42, 2° comma, Cost., dalla Corte d'ap pello di Potenza con l'ordinanza di cui in epigrafe; 2) dichiara
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzio
nale della medesima norma, sollevata dalla stessa corte in riferi mento all'art. 42, 3° comma, Cost.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 18 luglio 1991, n. 356
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 24 luglio 1991, n. 29); Pres. Gallo, Est. Spagnoli; Salambat c. Azienda energetica
municipale e altro; Strobietto c. Ditta Elmex e altra; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Pret. Milano 19 settembre 1990
fG.U., la s.s., n. 6 del 1991); Trib. Torino 11 ottobre 1990
fG.U., la s.s., n. 11 del 1991).
Assicurazione (contratto di) — Ente gestore di assicurazione so ciale — Surrogazione nei confronti del terzo responsabile —
Incidenza sul diritto del danneggiato assicurato a conseguire il risarcimento del danno alla salute — Incostituzionalità (Cost., art. 2, 3, 32, 38; cod. civ., art. 1916, 2043).
Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Comportamento del datore di lavoro non costituente reato — Danno alla salu te — Esonero da responsabilità civile del datore — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 32, 38; cod. civ., art. 2087; d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, testo unico delle
disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infor tuni e le malattie professionali, art. 10).
È illegittimo l'art. 1916 c.c. nella parte in cui consente all'assi curatore di avvalersi, nell'esercizio del diritto di surrogazione nei confronti del terzo responsabile, anche delle somme da
questo dovute all'assicurato a titolo di risarcimento del dan no biologico. (1)
È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 10, 1° e 2° comma, d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, concernente l'esonero da responsabi lità civile del datore di lavoro, in relazione al danno alla salu te sofferto, a cagione del suo comportamento colpevole, ma non rilevante penalmente, dal lavoratore. (2)
(1-2) La sentenza leggesi in Foro it., 1991, I, 2967, con nota di G. Db Marzo. Ne riproduciamo le massime per pubblicare la nota di D. Poletti.
Il Foro Italiano — 1991.
* * *
Il danno «biologico» del lavoratore tra tutela previdenziale e respon sabilità civile.
1. - Le denunzie di incostituzionalità e la risposta della Consulta. Si susseguono, ormai con ritmo serrato, le decisioni della Corte costitu zionale in tema di danno alla salute (per un immediato precedente, Cor te cost. 7 maggio 1991, n. 202, Foro it., 1991, I, 2312, con note di Pardolesi e Ponzanelli); e la materia con la quale essa si è venuta da ultimo misurando — gli infortuni e le malattie da lavoro — non sembra soffrire eccezioni. Solo pochi mesi sono decorsi da quando lo stesso giudice (Corte cost. 15 febbraio 1991, n. 87, ibid., 1664, con mia nota) invitava il legislatore a rafforzare la tutela infortunistica del
lavoratore, includendo al suo interno anche il rischio della menomazio ne dell'integrità psico-fisica di per sé considerata, che già l'elenco anno vera questa nuova pronuncia, destinata, per i temi trattati e le soluzioni
offerte, a far discutere interpreti ed operatori. Essa fornisce, con singolare tempismo, una precisa risposta agli in
terrogativi suscitati dalla lettura di Corte cost. 87/91 (sia consentito, sul punto, un rinvio a Poletti, cit., 1669); ossia: a) se, a seguito di tale sentenza, poteva ritenersi ancora corretto il prevalente, quasi osti nato orientamento dei giudici di legittimità (da ultimo, Cass. 26 gen naio 1991, n. 770, non massimata dall'ufficio del massimario); 11 ago sto 1988, n. 4928, id., Rep. 1989, voce Infortuni sul lavoro, n. 179; 9 aprile 1987, n. 3520, id., Rep. 1987, voce cit., n. 318) volto a legitti mare l'istituto assicuratore che agisce in 'surroga' verso il terzo respon sabile al recupero del quantum corrisposto al lavoratore a titolo di ri sarcimento del danno alla salute e del danno morale (questo il contenu to della censura rivolta all'art. 1916 c.c. da Trib. Torino, ord. 11 ottobre
1990, (G.U., V s.s., 11/91; e v. anche, dello stesso tribunale, l'ordi nanza in data 18 gennaio 1990, Foro it., Rep. 1990, voce Assicurazione
(contratto), n. 108); b) se il lavoratore poteva essere ammesso a chiede re al proprio datore di lavoro il risarcimento del danno alla salute, non indennizzato dalle assicurazioni sociali o se, invece, anche per tale danno doveva ritenersi operante il meccanismo dell'esonero da respon sabilità civile statuito dall'art. 10 d.p.r. 1124/65 [proprio in forza di tale convinzione il Pretore di Milano, con ordinanza in data 19 settem bre 1990, G.U., la s.s., n. 6/91, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dei primi due commi della norma (ma l'ordinanza è arti colata su più profili ed investe l'istituto dell'esonero nella sua globalità)].
I temi — apparentemente lontani — del diritto di surroga dell'assicu ratore (per riferimenti dottrinali e giurisprudenziali in argomento, cfr.
Castellano-Scarlatella, Le assicurazioni private, in Giur. sistem. dir. civ. e comm. fondata da Bigiavi, Torino, 1981, 385 ss.) e dell'esonero del datore di lavoro da rsponsabilità civile per infortuni o malattie pro fessionali derivate al prestatore di lavoro (per una recente indagine, Marino, La responsabilità del datore per infortuni e malattie da lavo ro, Milano, 1990, spec. 304 ss.) sono infatti trattati congiuntamente (per «analogia di materia») dalla sentenza in rassegna. Li accomuna, sul piano sostanziale, il fatto che entrambi i meccanismi rappresentano — l'uno consentendone i ritorni, l'altro delimitandone i confini — i due punti di contatto della legislazione infortunistica con l'esterno, os sia con il territorio della responsabilità civile. Sul piano procedurale li avvicina il confronto, che la Consulta è chiamata ad operare, con 1 principi della Carta fondamentale ritenuti, in entrambe le ipotesi, vio lati: gli art. 3, 38 e soprattutto l'art. 32 Cost, (per l'art. 1916 c.c., il contrasto avrebbe riguardato, secondo il giudice a quo, anche l'art. 2 Cost.).
Questa, in sintesi, la situazione denunciata dalle ordinanze di rinvio: il danno alla salute del lavoratore non è ricompreso nell'indennizzo li
quidato dall'Inail; se non interviene condanna penale per il fatto dal quale è derivato l'infortunio, esso non è risarcito neppure dal datore di lavoro, a ciò esentato; tuttavia, l'assicuratore sociale (id est, l'Inail), agendo in via di surroga verso il terzo responsabile dell'evento danno so, può pretendere da quest'ultimo quanto dovuto, a tale titolo (ed anche a titolo di danno morale), al lavoratore. Ciò perché la tendenza
giurisprudenziale sopra ricordata fa conseguire, dalla supposta eteroge neità tra indennità assicurativa e risarcimento del danno secondo le re gole comuni, l'assoluta irrilevanza dell'individuazione delle singole com
ponenti del danno risarcibile, considerato, nel suo complesso, solo co me limite del diritto di surrogazione (o di regresso) dell'istituto assicuratore.
Ed ecco la risposta della corte: l'art. 1916 c.c. è incostituzionale, ma solo nella parte in cui estende il diritto di surroga dell'assicuratore anche alle somme dovute dal terzo responsabile all'assicurato a titolo di risarcimento del danno biologico, non a quelle spettanti a titolo di riparazione del danno morale; la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 t.u. infortuni sul lavoro è mal posta, in quanto l'istituto (o «privilegio») dell'esonero da responsabilità del datore di lavoro non concerne il danno biologico subito dal lavoratore.
Ne scaturisce una pronuncia che, per ciò che attiene all'art. 1916 c.c., si colloca nel solco già tracciato dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 28 1. 990/69 (Corte cost. 6 giugno 1989, n. 319, Foro it., 1989, I, 2695, con nota di De Marzo e in Nuove leggi civ.,
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