sentenza 6 aprile 1990; Pres. Tucciarelli, Est. Cappuccio; Banca popolare di Verona (Avv. Fabbri)c. Fall. soc. Immobili bonifiche appalti (Avv. Vigoriti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 2275/2276-2279/2280Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184807 .
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2275 PARTE PRIMA 2276
art. 18 abbia voluto ridurre ad uno i due diversi momenti della preceden te disciplina in un processo di semplificazione condotto lungo il filo del
diritto comune (15), come conferma pure la previsione concernente il ver
samento contributivo. Ha però anche voluto mantenere la forfetizzazione
di un minimo di onere a carico del datore nella medesima logica, intimi
dativa - repressiva, dei primi due incisi del 2° comma del vecchio artico
lo. Ecco allora l'uso del termine risarcimento, con tutti i problemi che
ne derivano — già posti in luce nei vari convegni tenutisi sulla 1. 108 — a cominciare dalla sorte delYaliquid percipiendum e perceptum. Pro
blemi, è noto, che la giurisprudenza di legittimità aveva ormai risolto
nel senso del tenerne conto a proposito del pre-sentenza, salvo il minimo
delle cinque mensilità e salva la posizione a carico del datore di lavoro
del relativo onere probatorio (16) e nel senso contrario a proposito del
post-sentenza (17).
5. - In precedenza ho accennato alla facoltà, inquadrabile nella figura del diritto potestativo, concessa dalla legge al lavoratore di richiedere la
sostituzione della reintegrazione con un'indennità pari a quindici mensili
tà della retribuzione globale di fatto; una possibilità che qualcuno ha
di recente definito, icasticamente, di vendita del posto (18), sottolineando
l'inopportunità della sua introduzione. Non mi avventuro nei meandri
tortuosi delle valutazioni morali o moralistiche, propongo, però, come
ho già fatto in altra sede (19), convinto, come sono, del dovere di razio
nalizzazione, ove possibile, del significato delle norme che compete all'in
terprete, di ritenere che la risoluzione del rapporto operi entro trenta
giorni dal ricevimento dell'invito del datore alla ripresa del servizio; e
che il termine di trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sen
tenza, pure previsto dalla legge, operi solo se l'invito non ci sia stato.
Ciò ad evitare l'effetto perverso di porre a carico del datore di lavoro
la mancata ripresa del servizio non dovuta a sua scelta, magari aggravato dal purtroppo non sporadico ritardo nel deposito delle motivazioni delle
sentenze.
6. - Mi rendo conto che nella lettura, ripeto di primissimo momento, che ho proposto, il nuovo art. 18 si presta alla critica per cui una legge destinata a rafforzare il sistema di tutela dei lavoratori, una legge di con
trotendenza rispetto alla nuova stagione del diritto del lavoro, come au
torevolmente è stato detto (20), alla fine conterrebbe regole d'indeboli
mento di quel sistema. Una lettura siffatta porrebbe allora seri dubbi
di attendibilità. A parte le considerazioni che farò in chiusura, la mia risposta è nell'in
dividuare nell'attuazione di quel profilo di garanzia la contropartita di
altre tutele assicurate dalla 1. 108. Dall'estensione dell'applicabilità del
l'art. 18 ai datori di lavoro non imprenditori (pur con corpose eccezioni), ed a quelli complessivamente occupanti più di sessanta dipendenti anche
se meno di sedici nella singola unità; alla quasi totale eliminazione della
recedibilità ad nutum, al potenziamento delle garanzie contro i licenzia
menti discriminatori (rispettivamente, art. 1, 1° comma, 2, 3), e cosi via
(art. 1, 2° comma, 4, 2° comma). Del resto quella prima indicata non
è la sola contropartita. Si pensi alla riduzione dell'indennizzo nei casi
già soggetti alla stabilità obbligatoria con il vecchio regime (art. 8 1. n.
604 del 1966, testo originario e testo modificato); si pensi alle difficoltà
processuali introdotte dall'art. 5, ivi compresa la sua parte che concerne
le spese. Soprattutto si pensi al fatto che l'art. 18 sembra ormai inappli cabile al licenziamento disciplinare posto in essere in violazione dell'art.
7 1. n. 300 del 1970. L'estensione in tal senso introdotta in via di
(15) Per una lettura civilistica della precedente normativa, cfr. da ulti
mo, M. Dell'Olio, Licenziamenti illegittimi e provvedimenti giudiziari, in Giornale dir. lav. relazioni ind., 1987, 433. Per la critica a tale impo stazione, cfr. Pedrazzoli, Struttura dei rimedi, cit., 81.
(16) Cfr. Cass., sez. un., 29 aprile 1985, n. 2762, Foro it., 1985, I, 1290 e 2247, con nota di M. D'Antona, Licenziamento illegittimo e pro va del danno; la stabilità «.economica» del rapporto di lavoro secondo le sezioni unite-, 29 aprile 1985, n. 2761, id., Rep. 1985, voce Lavoro
(rapporto), n. 2266; 2 ottobre 1985, n. 4782, id., 1985, I, 2554, con os servazioni di D'Antona; da ultimo, Cass. 13 dicembre 1989, n. 5562, cit. Per la detraibilità, con riferimento al nuovo regime, cfr. G. Pera, Un passo avanti ma le differenze restano, intervista a cura di C. Pisani, in Lavoro informazione, 1990, n. 10, 4. Prospetta le due tesi senza pren dere posizione S. Magrini, Vista la legge, meglio il referendum, ibid., 5. Contra, dubitativamente, F. Carinci, Licenziamenti e statuto: ventan ni per cambiare, in Dir. e pratica lav., 1990, 1594; con riferimento al testo del progetto, G. Giugni, Licenziamenti e piccole imprese; quale leg ge arriva in senato, in Lavoro informazione, 1990, n. 7, 4.
(17) Cass. 30 e 24 marzo 1984, nn. 2143 e 1954, Foro it., Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), nn. 2262, 2263; 16 febbraio 1982, n. 974, id., 1982, I, 2549, con nota di M. Prestipino.
(18) S. Magrini, relazione, allo stato inedita, al citato convegno di
Bergamo. (19) L. de Angelis, intervento al citato convegno di Bergamo. (20) G. Ghezzi, relazione, allo stato inedita, al convegno organizzato
presso la Camera di commercio, industria e artigianato di Genova il 25
maggio 1990 dalla sezione ligure del Centro nazionale studi di diritto del lavoro «D. Napoletano», sul tema «La disciplina dei licenziamenti nelle imprese minori».
Il Foro Italiano — 1990.
interpretazione anche dalla giurisprudenza di Cassazione (21) non pare infatti più possibile in presenza di una nuova normativa che mentre ab
braccia i licenziamenti discriminatori (art. 3) non comprende (art. 18, 1° comma, nel nuovo testo) ancora tale ipotesi, e ciò — si badi bene — dopo che sono state cancellate dalla Corte costituzionale (22) alcune
disposizioni che, secondo l'opinabile diritto vivente, escludevano il licen
ziamento disciplinare dall'ambito di operatività dell'art. 7. Più in genera le forse, è da rimeditare circa l'esistenza della c.d. forza espansiva del
l'art. 18(23).
7. - Sono consapevole che in una visione come quella che ho prospet
tato, anche l'effettività dell'ordine di reintegrazione ne risulta indebolita, almeno sotto il profilo degli strumenti finora adoperati dalla giurispru denza di Cassazione. Resterebbe la repressione penale, legata all'art.
388 (24) o all'art. 650 c.p. (25). Mi sembrano però convincenti le ragioni che altri hanno illustrato, anche molto di recente (26), per sostenerne l'i
noperatività. Ritengo, invece — e cosi da un lato mi ritrovo al punto di partenza
della mia esposizione, «caso» Bonora, dall'altro completo quel che ho
prima (all'inizio del § 6) lasciato in sospeso — che vada ricollocato in
primissimo piano il momento dell'eseguibilità in forma specifica dell'or
dine di reintegrazione. Il consentirla, o il sottolinearla, potrebbe anzi in
dividuare la funzione della stessa esplicita previsione dell'ordine, che al
trimenti potrebbe apparire superflua nella lettura civilistica che ho abboz
zato. Una funzione, quindi, che si sostituisce all'altra attribuitale da una
parte della dottrina sotto il vigore del vecchio testo dell'art. 18, quando sosteneva che «la condanna alla reintegrazione contiene in sé come pro
prio naturale effetto la possibilità dell'esecuzione forzata per l'ottenimen
to delle retribuzioni dovute in virtù del rapporto di lavoro» (27) (que st'ultimo effetto deriva ora sicuramente dalla statuizione di condanna al
pagamento prevista dalla nuova normativa). In definitiva, l'art. 18 sarebbe sempre di più lo strumento di realizza
zione o quantomeno la spia di quel diritto all'esecuzione della prestazio
ne, inteso cum grano salis, in cui, minoritariamente ma comunque in
buona compagnia (28) credo da molto tempo (29), e che eccede la stessa
materia dei licenziamenti. Che non costituisca un altro segnale di contro
tendenza? iwiiuvii^a Luigi de Angeiis
(21) Cfr., ad. es., Cass., sez. un., 16 dicembre 1987, n. 9302 e 1°
giugno 1987, n. 4823, Foro it., 1988, I, 791 e 1987, I, 2031, con note
di richiami; da ultimo, Pret. Sanremo 31 ottobre 1989, Lavoro 80, 1990, 173.
(22) Corte cost. 30 novembre 1982, n. 204, Foro it., 1982, I, 2981, con nota di G. Silvestri, e id., 1983, I, 855, con nota di M. De Luca, I licenziamenti disciplinari dopo l'intervento della Corte costituzionale:
profili problematici e prospettive-, 25 luglio 1989, n. 427, id., 1989, I, 2685, con nota di M. De Luca, Licenziamenti disciplinari nelle «piccole imprese»: la Corte costituzionale estende la garanzia del contraddittorio, ma restano alcuni problemi. La Cassazione si è adeguata a Corte cost.
427/89, con la sentenza 12 maggio 1990, n. 4079, id., 1990, I, 1883, con nota di richiami.
(23) Sulla più generale forza espansiva dell'art. 18, che ha pure trovato riscontro in recenti pronunce della Corte costituzionale, cfr. F. Focare
ta, L'art. 18 dello statuto dei lavoratori tra tendenze espansive e proble mi irrisolti, in Quaderni dir. lav. e relazioni ind., 1989, 262 ed ivi ampi richiami.
(24) Cfr., da ultimo, Pret. Milano 21 giugno e 10 maggio 1989, Lavoro 80, 1989, 1105, con nota redazionale cui si rinvia per i richiami di dottri
na, oltre che per quelli relativi alla contraria giurisprudenza di legittimità. Cfr., inoltre, da ultimo, Pedrazzoli, Struttura dei rimedi, cit., 107; Chiar
loni, cit., 55 ss., che, in particolare, analizza criticamente il pensiero di Proto Pisani.
(25) Cfr., per i necessari richiami, Genoviva, cit., 184, anche nota n. 41.
(26) Cfr., da ultimo, Pedrazzoli, op. ult. cit., e Chiarloni, cit.
(27) Cfr. M. Napoli, La stabilità reale del rapporto di lavoro, F. An
geli, Milano, 1980, 49.
(28) Cfr., da ultimo, Chiarloni, cit., 60.
(29) Cfr. de Angelis, Considerazioni sul diritto al lavoro e sulla sua
tutela, in Riv. giur. lav., 1973, I, 223.
CORTE D'APPELLO DI FIRENZE; sentenza 6 aprile 1990; Pres.
Tucciarelli, Est. Cappuccio; Banca popolare di Verona (Avv.
Fabbri) c. Fall. soc. Immobili bonifiche appalti (Aw. Vigoritt).
CORTE D'APPELLO DI FIRENZE;
Fallimento — Consecuzione di procedure concorsuali — Interessi — Sospensione con decorrenza dall'amministrazione controlia
ta (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art.
55, 188).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Nell'ipotesi di consecuzione di procedure concorsuali che, aperte si con l'amministrazione controllata, terminano con il fallimen
to, la sospensione degli interessi sui crediti che s'intendono in
sinuare nello stato passivo decorre a partire dal decreto di am
missione alla procedura di amministrazione controllata. (1)
Motivi della decisione. — 1. - La questione — la decorrenza
degli interessi durante l'amministrazione controllata — non è nuo
va, è stata variamente risolta dalla giurisprudenza di merito e
dalla dottrina esaurientemente elencate nella nota redazionale che
accompagna la pubblicazione della sentenza impugnata sul Foro
italiano, 1988, I, 1300. Si possono ancora richiamare altre deci
sioni di merito (Trib. Pavia 1° ottobre 1987 e Trib. Varese 5 marzo 1988, nonché, in dottrina, segnalata dalla difesa della cu
ratela, la nota Castagnola su Giur. comm., 1988, II, 755) in
vario senso, pubblicate nel frattempo. 2. - Venendo all'esame dei motivi di gravame, non sembra rile
vante, nel caso di specie, la questione letterale, che già fu deter
minante quando, con sentenza 30 settembre 1988, questa corte
esaminò una prima volta la questione, risolvendola in senso con
trario a quello sostenuto dall'impugnata decisione.
Il tribunale, infatti, non pone le ragioni della sua decisione
in un'interpretazione estensiva dell'art. 55 1. fall, né discute sul
carattere eccezionale o normale di tale normativa, dando per pa cifico che il legislatore, non richiamando nell'art. 188 l'art. 169 — e quindi l'art. 55 — abbia consapevolmente omesso ogni rin
vio alla sospensione degli interessi, prevista, invece, con espresso
richiamo, per la procedura di concordato preventivo. L'omissio
ne, però, non impedisce che, sopravvenendo il fallimento, quella che — sempre secondo l'impugnata sentenza — si può considera
re una temporanea cristallizzazione delle passività divenga defini
tiva ed operi, sugli interessi, maturati ma non esigibili, il princi
pio di consecuzione delle procedure concorsuali. Poiché, peral
tro, la cristallizzazione del passivo è fenomeno tipico del fallimento
mentre nell'ambito dell'amministrazione controllata si tende piut tosto a ricorrere al concetto di dilazione o inesigibilità dei crediti (Cass. 24 luglio 1980, n. 4798, Foro it., 1981, I, 117) e di ineffi cacia dei pagamenti (Cass. 9 novembre 1982, n. 5883, id., Rep.
1982, voce Amministrazione controllata, n. 37), è chiaro che il
nucleo della decisione impugnata si basa sulla consecuzione delle
procedure. 3. - Poiché l'espressione «consecuzione» sembra assumere
un'ampia gamma di significati, potendo esaurirsi nel mero riscontro
di una successione cronologica, ovvero assumere una valenza pro
cessuale, nel senso che l'amministrazione controllata — o il con
cordato preventivo — ed il susseguente fallimento vengono consi
derati, ai fini, appunto, processuali, come due fasi dello stesso
procedimento ovvero ancora, sotto il profilo sostanziale che qui
interessa, come espressione di un principio di conservazione degli
effetti sostanziali della prima fase nella fase fallimentare susse
guente (o, se si vuole, dipendente), va chiarito che, nel caso in
esame, il principio di consecuzione è invocato come giustificazio
ne della retroattività degli effetti propri del fallimento sulla de
corsa fase di amministrazione controllata. È, quindi, in applica zione di tale principio che si può parlare di sospensione degli
interessi e di cristallizzazione della massa sin dall'ammissione alla
procedura controllata che precede il fallimento, come un effetto,
cioè, che sopravvive a posteriori eliminando, con una valenza che
si può considerare risolutiva, gli effetti che si sono verificati —
ma non in modo definitivo, perché, sub condicione — nella fase
pregressa. Del resto parlare — come la sentenza impugnata —
di «inesigibilità» degli interessi, amministrazione controllata du
(1) La sentenza in rassegna conclude il secondo grado di un giudizio non nuovo per queste colonne. La decisione di primo grado, infatti, oggi
confermata, è riportata in Foro it., 1988, I, 1300, con ampia nota di
richiami. In questa sede pare opportuno soltanto ricordare che sinora
sul punto, come già affermato nella nota suddetta, del Supremo collegio non si hanno pronunce ex professo.
Tra più recenti interventi giurisprudenziali in senso conforme, v. Trib.
Varese 5 marzo 1988, id., Rep. 1988, voce Fallimento, n. 323; contra, Trib. Milano 11 giugno 1987, ibid., n. 471; Trib. Pavia 1° ottobre 1987,
id., Rep. 1987, voce cit., n. 297. In dottrina, v. Danovi, Dall'ammini
strazione controllata al fallimento: la sorte degli interessi sui crediti, in
Foro pad., 1985,1, 389; Castagnola, Decorrenza dei termini per le azio
ni revocatone in caso di fallimento consecutivo ad amministrazione con
trollata, in Giur. comm., 1988, II, 755.
Il Foro Italiano — 1990.
rante, significa implicitamente ammetterne la maturazione e non
la sospensione. 4. - La retroattività del fallimento nel particolare profilo della
cristallizzazione della massa è poi, in ogni caso, limitata: ne sono
esclusi, pacificamente, i crediti ed i relativi interessi sorti in corso
e funzione dell'amministrazione controllata, prededucibili alme
no nei limiti in cui possono considerarsi crediti di conservazione
nell'interesse dei creditori (Cass. 4 giugno 1980, n. 3636, id., Rep.
1980, voce Fallimento, n. 475 e, di recente, Cass. 20 novembre
1987, n. 8556, id., 1988, I, 1169) per ovvie ragioni pratiche che non occorre indicare. Non retroagirebbe alla fase di amministra
zione controllata neppure la compensazione, ammessa in sede fal
limentare dall'art. 56 1. fall. (Cass. 24 luglio 1980, n. 4798), dato il carattere eccezionale della norma, rispetto al principio della
par condicio.
5. - Nella procedura fallimentare non è concepibile una mora
debendi e perciò l'art. 55 deve essere considerato, nel quadro del
la procedura fallimentare, una vera e propria norma esaustiva
di tutte le ipotesi di ammissibilità di corresponsione degli interessi legali e convenzionali (Cass. 20 novembre 1987, n. 8556). Poiché
l'ammissione alla procedura controllata determina l'inesigibilità dei crediti e l'inefficacia, rispetto alla massa, dei pagamenti, se
ne dovrebbe arguire che non è ipotizzabile una mora debendi del
l'imprenditore, neppure amministrazione controllata durante, per
ragioni che sono insite alle caratteristiche ed alla funzione pro
pria della procedura, indipendentemente dalla soluzione che si
accolga circa la retroattività degli effetti del fallimento dipenden te. In conseguenza, oltre che per la peculiarità della materia, non
sembrano invocabili, né le decisioni della Corte costituzionale che
escludono interessi e rivalutazione per il periodo successivo alla
dichiarazione di fallimento (sentenza 21 luglio 1981, n. 139, id.,
1981, I, 2347) ammettendoli invece per il periodo di concordato
preventivo (sentenza 31 dicembre 1986, n. 300, id., 1987, I, 320)
né quelle decisioni della Cassazione (sez. I 3 marzo 1980, n. 1408,
id., 1980, I, 952; sez. lav. 24 gennaio 1984, n. 590, id., 1984, I, 2809 e 23 novembre 1988, n. 6308, id., Rep. 1988, voce Lavo
ro e previdenza (controversie), n. 211), che ammettono la decor
renza di interessi e rivalutazione a favore dei crediti dei lavoratori
in corso di amministrazione controllata, nel presupposto di un'i
nadempienza del datore di lavoro dal momento che tale soluzione
sembra implicare una deroga ai principi — di inesigibilità e di
inefficacia dei pagamenti — propri della procedura. 6. - Del principio di consecuzione — inteso nel senso di re
troattività degli effetti concorsuali — sono invece esplicite appli cazioni le decisioni che datano la decorrenza dei termini per la
proposizione dell'azione revocatoria dal decreto di ammissione
all'ammistrazione controllata, superando l'argomento contrario
desunto dalla lettera dell'art. 67 1. fall, col rilievo che il decreto
di ammissione «già contiene l'accertamento di una situazione di
dissesto per l'imprenditore che ne ha fatto richiesta e che il falli
mento viene sostanzialmente ad integrare una fase di un procedi mento unitario, volto sin dal suo inizio alla tutela paritaria degli
interessi dei creditori (da ultimo, Cass. 22 giugno 1985, n. 3757,
id., Rep. 1985, voce Fallimento, n. 326; 2 giugno 1988, n. 3741,
id., Rep. 1988, voce cit., n. 336). Sembra da considerarsi espres sione dello stesso principio il rilievo che non è necessaria una
nuova audizione del debitore nel fallimento conseguente, in quanto fondato sugli accertamenti già disposti in sede di ammissione al
l'amministrazione controllata (Cass. 20 aprile 1985, n. 2619, id.,
Rep. 1985, voce cit., n. 202; ma, in contrario, Cass. 25 giugno
1987, n. 5593, id., Rep. 1987, voce cit., n. 174). 7. - Se, pendente la procedura di amministrazione controllata,
i crediti sono inesigibili (Cass. 24 luglio 1980, n. 4798), ugual mente lo saranno gli interessi, quali accessori del credito. Né,
si vede perché, mentre è pacifico che l'inesigibilità vien meno ex
tunc qualora l'amministrazione controllata conduca ad esito po
sitivo e l'imprenditore torni in bonis, la stessa temporanea inesi
gibilità non possa divenir definitiva se, nella diversa ipotesi, al
l'amministrazione controllata consegua il fallimento. Non si trat
ta, ovviamente, di una diversa linea argomentativa: solo la
consecuzione delle procedure può conciliare il permanere dell'ine
sigibilità — anche concorsuale — degli interessi con l'insinuazio
ne al passivo del credito capitale, giustificando questa conserva
zione parziale degli effetti necessariamente interinali della proce
dura di amministrazione controllata.
Non può costituire ostacolo alla retroattività della sospensione
(o alla conservazione dell'inesigibilità) la lettera dell'art. 55 1. fall.,
perché le stesse ragioni che giustificano la retroattività della di
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2279 PARTE PRIMA 2280
chiarazione di fallimento in sede di azione revocatoria potrebbe ro legittimare analoga soluzione nella materia in esame. Ben si
potrebbe, cioè, intendere la norma dell'art. 55 nel senso che la
dichiarazione di fallimento — dalla quale inizia la sospensione degli interessi — coincide non con il momento formale della de
claratoria, ma con il momento sostanziale dell'accertamento del lo stato di insolvenza, accertamento che, secondo la costante giuris prudenza in tema di azione di revocatoria fallimentare, coincide rebbe con il decreto di ammissione all'amministrazione controllata
(da ultimo, Cass. 2 giugno 1988, n. 3741). Se, quindi, l'eviden ziarsi od aggravarsi della crisi giustifica la prevalenza dell'interes se alla par condicio rispetto all'affidamento dei terzi soggetti alla
revocatoria, la stessa ratio può essere invocata a giustificare la
retroattività della sospensione degli interessi e, più ampiamente, della cristallizzazione della massa passiva.
8. - Sembra, quindi, che all'identica conclusione conducano en trambi i profili del ragionamento: quello basato sul principio di
consecuzione, inteso come affermazione della retroattività degli effetti del fallimento all'inizio dell'amministrazione controllata e
quello di conservazione (e, quindi, sempre di consecuzione in senso
lato) di quella situazione di inesigibilità propria della procedura a cui subentra, per effetto della dichiarazione di fallimento, la
sospensione — sempre nei confronti della massa — del decorso
degli interessi, con risultati, sul piano pratico, equivalenti. La sentenza di primo grado merita quindi conferma.
CORTE D'APPELLO DI ROMA; sentenza 2 aprile 1990; Pres. A. Valente, Est. Vitrone; Paddeu (Aw. Rauseo) c. Soc. agri cola Torre Chiarello (Avv. Ielpo).
CORTE D'APPELLO DI ROMA;
Arbitrato e compromesso — Arbitrato rituale — Lodo — Do manda di nullità proposta a giudice incompetente — Effetti conservativi — Esclusione — Conseguenze — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 50).
È inammissibile, per insanabile violazione dei criteri di compe tenza funzionale, la domanda di nullità di lodo arbitrale rituale
proposta al tribunale anziché alla corte d'appello e riassunta avanti quest'ultima nel termine fissato dal giudice incompeten te originariamente adito. (1)
(1) La corte d'appello ha risolto la questione controversa nel senso della massima, applicando alla fattispecie il principio enunciato, in rela zione a controversia previdenziale, dalla richiamata Cass. 9 dicembre 1981, n. 6515, Foro it., 1982, I, 1997, con osservazioni critiche di G. Balena (cui adde, più di recente, CmARLONi, Appello (dir. proc. civ.), voce del 1*Enciclopedia giurìdica Treccani, 1988, II, 3; e, con riguardo alle cause di lavoro, A. Proto Pisani (V. Andrioli, C.M. Barone, G. Pezzano), Le controversie in materia di lavoro, Zanichelli - Foro italiano, Bologna Roma, 1987, 825-826; nonché, in giurisprudenza, nella motivazione, Cass. 19 gennaio 1987, n. 413, Foro it., 1988, I, 2676 con nota di richiami), per la quale deve dichiararsi inammissibile l'appello proposto dinanzi allo stesso giudice o ad un giudice di grado pari a quello che ha pronunciato la sentenza impugnata, risultando in tale ipotesi inapplicabile la norma dell'art. 50 c.p.c., che consente la riassunzione e la continuazione della causa instaurata avanti un giudice incompetente.
Con riferimento specifico alla domanda di nullità del lodo arbitrale, la giurisprudenza (fra le altre, App. Palermo 29 aprile 1955, id., 1956, I, 801, con ulteriori indicazioni; alle quali si può aggiungere Cass. 22 dicembre 1988, n. 7018, id., Rep. 1988, voce Competenza civile, n. 163, a proposito dell'impugnabilità mediante il regolamento previsto dall'art. 42 c.p.c., della sentenza del tribunale che, adito con l'impugnazione di lodo arbitrale, dichiari la propria incompetenza a favore di quella della corte d'appello, previo riconoscimento della validità del contratto conte nente la clausola compromissoria e previa qualificazione dell'arbitrato come rituale) ha, però, enunciato, proprio in relazione a situazione corri spondente a quella esaminata dalla corte romana, principio opposto al l'affermazione riassunta in massima, precisando che la domanda in que stione, proposta avanti il tribunale anziché dinanzi alla corte d'appello, può essere validamente riassunta avanti quest'ultima, nei termini fissati dal giudice incompetente erroneamente adito o dalla legge. E siffatta ten denza, condivisa da Andrioli, Commento, Jovene, Napoli, 1964, IV, 904 (che così si esprime sul punto: «se la domanda viene proposta avanti il pretore e non avanti il tribunale (o viceversa), il giudice adito deve,
Il Foro Italiano — 1990.
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato in data 11 aprile 1983 Paddeu Giuseppe esponeva:
— che con scrittura privata del 21 ottobre 1980 aveva ottenuto in concessione dalla soc. agricola Torre Chiarello, per uso di pa scolo degli armenti bovini, le erbe rinascenti su un'estensione di ha. 74.86.90 sita nei comuni di Sant'Oreste e di Civitacastellana, sino al giugno 1981;
— che tra le parti era stato convenuto di deferire ad un colle
gio di tre arbitri la determinazione, in caso di disaccordo, del l'ammontare del corrispettivo, da calcolarsi con riferimento ai
prezzi medi della zona; — che era stato costituito il collegio arbitrale il quale, con lodo
in data 14 aprile 1982, dichiarato esecutivo dal Pretore di Civita castellana con decreto del 20 aprile 1982, aveva determinato il
corrispettivo a suo carico in misura di lire 380.000/ha. Ciò premesso, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di
Viterbo la società agricola Torre Chiarello per sentir dichiarare la radicale nullità della clausola compromissoria, stipulata in re lazione a controversia non compromettibile, in quanto la materia era regolata da norme inderogabili le quali prevedevano altresì' la competenza funzionale delle sezioni specializzate agrarie. Chie
deva, pertanto, la conseguenziale dichiarazione di nullità del lodo arbitrale e, in subordine, si doleva della violazione del principio del contraddittorio nel giudizio arbitrale per la mancata fissazio ne di un termine per la presentazione di memorie e documenti.
Costituitasi in giudizio, la società convenuta eccepiva l'incom
petenza per materia del giudice adito e, in subordine l'inammissi bilità e l'infondatezza dell'impugnazione del Paddeu.
Con sentenza del 9-17 maggio 1985 il tribunale dichiarava la
propria incompetenza, in base alla considerazione che la materia del contendere esorbitava incontestabilmente dalla competenza per valore del pretore agli effetti dell'art. 828 c.p.c., e rimetteva le
parti dinanzi a questa corte, indicata quale giudice competente,
assegnando il termine di sei mesi per la riassunzione del giudizio. Con comparsa notificata il 25 giugno 1985 il Paddeu provvede
va alla disposta riassunzione e la società convenuta riproponeva le sue eccezioni contestando, sotto vari aspetti, la possibilità della
prosecuzione del giudizio proposto dinanzi a giudice incompetente. Con ordinanza collegiale del 2-22 dicembre 1986 la corte dispo
neva l'acquisizione del fascicolo relativo al procedimento di ese cutività del lodo presso la Pretura di Civitacastellana, quindi, con successiva ordinanza collegiale del 17 maggio-24 ottobre 1988 or dinava il deposito in atti del contratto di vendita di erbe già pro dotto in udienza e poi ritirato. (Omissis)
Motivi della decisione. — La società convenuta ha eccepito pre liminarmente l'inammissibilità dell'impugnazione proposta dal Pad deu in base alla considerazione che la trasmigrazione del processo dal giudice incompetente a quello dichiarato competente non po trebbe operare nei casi in cui, come nella specie, l'impugnazione della sentenza arbitrale sia stata proposta a un giudice di grado pari a quello che avrebbe dovuto conoscere della controversia in via ordinaria, con il conseguente passaggio in giudicato della sentenza arbitrale.
L'eccezione appare fondata e merita accoglimento. È noto, in
fatti, che l'effetto conservativo dell'impugnazione proposta da vanti a giudice incompetente, attraverso lo strumento della tras
migrazione del giudizio di impugnazione dinanzi al giudice di chiarato competente, opera, in presenza dei requisiti richiesti dal l'art. 50 c.p.c., sempreché l'impugnazione proposta apparten
anche d'ufficio, dichiarare la propria incompetenza e indicare il giudice competente, avanti il quale la causa 'continua' ai sensi dell'art. 50 c.p.c., salva, nel caso in cui abbia trovato applicazione il criterio di competenza per materia, la facoltà, al giudice indicato spettante, di richiedere il rego lamento di competenza d'ufficio, e salva, per la parte agente in nullità, l'istanza di regolamento») e contestata da Vecchione, L'arbitrato nel sistema del processo civile, Giuffrè, Milano, 1971, 636-637, testo e note, con richiamo ad altre opinioni dottrinali, è stata, più di recente, decisa mente sostenuta da Schizzerotto, Dell'arbitrato, Giuffrè, Milano, 1988, 598 - 601, e seguita anche da Punzi, Arbitrato, arbitrato rituale e irritua le, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, 1988, II, 28.
Per quanto Riguarda, infine, la domanda di nullità del lodo arbitrale rituale reso in controversie devolute alla cognizione del pretore in funzio ne di giudice del lavoro è il caso di ricordare che la stessa (domanda) si propone avanti il tribunale territorialmente competente [C.M. Barone (V. Andrioli, G. Pezzano, A. Proto Pisani), op. cit., 213 - 214; i cui richiami di giurisprudenza possono essere integrati con Cass. 4 luglio 1984, n. 3918, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 129].
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