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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 7 aprile 1987, n. 107 (Gazzetta...

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sentenza 7 aprile 1987, n. 107 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 15 aprile 1987, n. 16); Pres. La Pergola, Rel. Dell'Andro; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Vittoria) c. Regione Trentino-Alto Adige (Avv. Pototschnig) Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1988), pp. 1477/1478-1493/1494 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181243 . Accessed: 24/06/2014 21:59 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.248.152 on Tue, 24 Jun 2014 21:59:49 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 7 aprile 1987, n. 107 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 15 aprile 1987, n. 16); Pres.La Pergola, Rel. Dell'Andro; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Vittoria) c. RegioneTrentino-Alto Adige (Avv. Pototschnig)Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 1477/1478-1493/1494Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181243 .

Accessed: 24/06/2014 21:59

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1477 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1478

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 7 aprile 1987, n. 107 (Gaz zetta ufficiale, la serie speciale, 15 aprile 1987, n. 16); Pres.

La Pergola, Rei. Dell'Andro; Pres. cons, ministri (Avv. del

lo Stato Vittoria) c. Regione Trentino-Alto Adige (Avv. Po

totschnig).

Trentino-Alto Adige — Unità sanitarie locali — Collegio dei re

visori — Mancata inclusione di rappresentante del ministero

del tesoro — Incostituzionalità (Cost., art. 119; 1. 23 dicembre

1978 n. 833, istituzione del servizio sanitario nazionale, art.

15; 1. 26 aprile 1982 n. 181, disposizioni per la formazione di

bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria

1982), art. 13).

È illegittimo il 1° comma dell'art. 2 della legge riapprovata il

31 ottobre 1985 dal consiglio regionale Trentino-Alto Adige nella

parte in cui non prevede l'inclusione nel collegio dei revisori

delle unità sanitarie locali di un componente designato da! mi

nistero del tesoro, per violazione degli art. 8 dello statuto spe ciale della regione Trentino-Alto Adige e 119 Cost., in relazione

all'art. 15, 2° e 3° comma, I. 23 dicembre 1978 n. 833, come

modificato dall'art. 13 l. 26 aprile 1982 n. 181. (1)

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 5 marzo 1987, n. 74 (Gaz

zetta ufficiale, la serie speciale, 18 marzo 1987, n. 12); Pres.

La Pergola, Rei. Gallo; Province autonome Trento e Bolza

no (Avv. Pannunzio) e Regione Lombardia (Avv. Pototschnig) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Zagari). Conflitto di

attribuzioni.

Sanità pubblica — Prevenzione infortuni — Attività di omologa zione dell'lspesl — Assegnazione di personale di enti soppressi — Legittimità — Insussistenza del conflitto (L. 24 ottobre 1942

n. 1415, impianto ed esercizio di ascensori e di montacarichi

in servizio privato, art. 3; 1. 23 dicembre 1978 n. 833, art. 23,

72; d.p.r. 31 luglio 1980 n. 619, istituzione dell'istituto superio re per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, art. 3, 17, 20; 1. 12 agosto 1982 n. 597, conversione in legge, con modificazio

ni, del d.l. 30 giugno 1982 n. 390, recante disciplina delle fun

zioni prevenzionali ed omologative delle unità sanitarie locali

e dell'istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del

lavoro, art. 2, 3, 4).

Poiché lo Stato ha agito nell'esercizio dei poteri di normazione

primaria ad esso spettanti e nell'ambito delle competenze attri

buitegli dalla l. 833/78 e dal d.p.r. 619/80, non sussiste conflit to di attribuzioni fra i decreti ministeriali ed interministeriali

attuativi e le potestà delle province autonome di Trento e Bol

zano e della regione Lombardia in materia di attività di preven

zione infortuni e, conseguentemente, deve essere dichiarato che:

1) spettano allo Stato le attività di omologazione già svolte dai

soppressi enti Enpi e Ancc, anche quando, nel caso degli im

pianti, esse avvengano nei luoghi dove dovranno essere utiliz

zati; 2) spetta allo Stato attribuire all'Ispesl le funzioni di cui

sopra ed istituire dipartimenti periferici del detto istituto supe

riore; 3) spetta allo Stato di avvalersi delle Usi per autorizzarle

ad esercitare alcune attività omologative in nome e per conto

dell'lspesl; 4) spettano allo Stato, e per esso all'Ispesl, le ispe

zioni straordinarie di cui al 4° comma dell'art. 3 l. 24 ottobre

1942 n. 1415; 5) spetta allo Stato determinare provvisoriamente e definitivamente i contingenti del personale già in servizio presso

i soppressi Enpi e Ancc da assegnare all'Ispesl e alle Usi in

relazione alle funzioni e alle sedi di cui sopra, cosi come spetta

allo Stato provvedere ad assegnazioni provvisorie nell'ambito

dei detti contingenti, e ad eventuali comandi. (2)

(1-2) Ricorrenti e, sembrerebbe, inesauribili sorgono i contrasti fra Sta

to e regioni (e province autonome) nel campo dell'assistenza sanitaria

e della delimitazione delle rispettive sfere di autonomia: da un'analisi del

le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia emerge la con

vinzione della permanenza in capo all'amministrazione centrale di penetranti

poteri di intervento e della limitazione della sfera di autonomia degli enti

locali ad attività di dettaglio o esecutive, sia nella forma (cfr. sent. 107/87) che nella sostanza (cfr. sent. 74/87): per una panoramica dei conflitti

Il Foro Italiano — 1988.

I

Diritto. — 1. - Va anzitutto rigettata l'eccezione d'inammissi

bilità del ricorso in esame.

Il presidente del consiglio dei ministri non ha, invero, sollevato

questione di merito per contrasto di interessi tra Stato e regione Trentino-Alto Adige.

A parte il rilievo che, attribuendo alla nozione d'«interesse na

zionale» la più larga ed onnicomprensiva accezione, non esiste

rebbero questioni di legittimità costituzionale proponibili dallo

Stato nei confronti delle regioni (ogni questione d'illegittimità co

stituzionale sollevata dallo Stato si trasformerebbe in questione di merito, non essendo configurabili ricorsi dello Stato che non

si riferiscano alla predetta, onnicomprensiva nozione d'«interesse

nazionale») va rilevato che già nel telegramma del 24 luglio 1985

del dipartimento affari regionali della presidenza del consiglio dei

ministri non solo, letteralmente, si ribadisce che «permane l'ille

gittimità dell'art. 2, 1° comma», della delibera legislativa già rin

viata alla regione Trentino-Alto Adige, ma, pur affermandosi

l'illegittimità della norma regionale ora citata per il limite dell'in

teresse nazionale, immediatamente si precisa che «tale interesse

è 'correlato' ai profili della programmazione economico-finanziaria

che trova espressione nell'art. 13 1. n. 181 del 1982, ai fini del

coordinamento statale in tema di finanza pubblica integrata oltre

che il limite delle norme fondamentali delle riforme economico

sociali di cui all'art. 15 1. n. 833 del 1978, come modificato dal

citato art. 13 1. n. 181 del 1982». E l'atto con il quale il presiden te del consiglio dei ministri propone il ricorso in esame chiarisce,

in maniera inequivocabile, la natura della questione sollevata in

via principale dallo stesso presidente. Non trattandosi, pertanto, nella materia in discussione, di que

stione di merito per contrasto di interessi ma di questione di le

gittimità costituzionale dell'art. 2, 1° comma, della delibera

legislativa impugnata in riferimento agli art. 119, 1° comma, Cost,

e 4 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige, il

ricorso stesso non andava proposto, ex art. 55, 2° comma, dello

statuto speciale del Trentino-Alto Adige, dinanzi alle camere bensì,

ai sensi dello stesso art. 55 del citato statuto speciale, dinanzi

a questa corte.

2. - Nel merito la regione Trentino-Alto Adige contrasta la ri

chiesta di dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 2,

1° comma, della delibera legislativa regionale recante «norme con

cernenti i collegi dei revisori delle Usi», riapprovata dal consiglio

regionale nella seduta del 31 ottobre 1985, ricordando che la nor

ma censurata dal governo (istituzione del collegio dei revisori presso

le Usi con una composizione che non prevede il componente desi

gnato dal ministro per il tesoro) attiene ad una materia di compe

tenza primaria della regione (v. art. 4, n. 7, dello statuto speciale

sorti e della posizione della corte, v. sent. 31 dicembre 1986, n. 294, Foro it., 1987, I, 2346, e richiami ivi in nota, fra cui si segnala, per l'attinenza al caso deciso con la sent. 107/87 e per la declaratoria della

parziale incostituzionalità dell'art. 13, 5° comma, 1. 181/82 in quanto lesivo delle competenze delle province autonome di Trento e Bolzano, Corte cost. 7 luglio 1986, n. 177, ibid., 365.

Sull'Ispesl e le competenze in materia di prevenzione ed omologazione

dopo la riforma sanitaria, v. T.A.R. Piemonte, sez. II, 6 luglio 1985

n. 289, id., Rep. 1986, voce Infortuni sul lavoro, n. 406 (ove si afferma

che i funzionari delle Usi privi della qualifica di ufficiali di polizia giudi ziaria possano accedere ai locali aziendali «con funzioni di ausiliari di

polizia giudiziaria»); G. Ichino, La funzione ispettiva e di prevenzione

dopo la riforma sanitaria, in Riv. giur. lav., 1985, IV, 105; G. Pecorel

la, L'istituto della omologazione nei progetti e nella realtà, ibid., 151; M. Cicala, Sicurezza del lavoro e funzioni di polizia giudiziaria delle

Usi, in Giust. pen., 1984, III, 115; M. Ronca, L'istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (art. 23 l. n. 833 del 1978), in

Ammin. it, 1982, 1575; F. Aristodemo, Il nuovo istituto superiore della

prevenzione e della sicurezza del lavoro, in Sicurezza soc., 1981, 217 e

Riv. infortuni, 1980, I, 645; G. Pera, La sicurezza sul lavoro nella rifor ma sanitaria, in Riv. dir. lav., 1980, I, 240; R. Guariniello, I poteri

dell'ispettorato del lavoro dopo la riforma sanitaria (1. 23 dicembre 1978

n. 833), in Legislazione pen., 1981, 267; G. Rajani, Disciplina giuridica

dell'omologazione di sicurezza, in Securitas, 1981, 459; A. D'Angeli, La sicurezza del lavoro e la riforma sanitaria, in Riv. giur. lav., 1979,

IV, 305; E. M. Barbieri, Brevi note sul potere ispettivo delle unità sani

tarie locali, in Notiziario giur. lav., 1979, 867; R. D'Andrea, L'istituto

superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro nelle prospettive di realizzazione della riforma sanitaria, in Securitas, 1978, 475.

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1479 PARTE PRIMA 1480

della regione Trentino-Alto Adige). La medesima, pertanto, nella

normazione relativa alla predetta materia, incontra soltanto i li

miti derivanti dai principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, tra i quali non può certo esser annoverata la norma statale che

prevede la presenza, nel collegio dei revisori delle Usi, d'un com

ponente designato dal ministro per il tesoro.

Va dato atto, invero, che, ai sensi del n. 7 dell'art. 4 dello

statuto speciale, l'ordinamento degli enti sanitari ed ospedalieri costituisce materia sulla quale la regione Trentino-Alto Adige ha

potestà d'emanare norme legislative.

Va, tuttavia, osservato (a parte il rilievo, sul quale s'insisterà

oltre, in ordine alla necessità di considerare, almeno inizialmente, le innovazioni introdotte dall'art. 13 1. n. 181 del 1982 non singo larmente ma nel loro insieme) che la predetta regione ha potestà d'emanare norme legislative nelle materie di cui all'art. 4 dello

statuto speciale (fra le quali indubbiamente è annoverato l'ordi

namento degli enti sanitari ed ospedalieri) non soltanto «in armo

nia» con la Costituzione ed i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato ma anche «con il rispetto», fra l'altro, degli interessi

nazionali nonché «delle norme fondamentali delle riforme

economico-sociali della repubblica». L'art. 4 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adi

ge, infatti, nell'attribuire alla stessa regione potestà normativa, fra le altre, anche in materia di ordinamento degli enti sanitari

ed ospedalieri, espressamente impone, condizionando cosi l'eser

cizio della predetta potestà, una normazione regionale realizzata

«in armonia con la Costituzione ed i principi dell'ordinamento

giuridico dello Stato e con il rispetto degli obblighi internazionali

e degli interessi nazionali — tra i quali è compreso quello della

tutela delle minoranze linguistiche locali — nonché delle norme

fondamentali delle riforme economico-sociali della repubblica». Nessun dubbio, pertanto, esiste sul potere della regione Trentino

Alto Adige d'emanare norme legislative nella materia in discus

sione ma, del pari, nessun dubbio può esistere sulle condizioni, sui limiti ai quali, per il precitato art. 4 dello statuto speciale, è subordinata la legittimità della normazione regionale emanata

nell'esercizio del predetto potere. 3. - L'art. 2, 1° comma, della delibera legislativa regionale im

pugnata risulta costituzionalmente illegittimo per almeno due mo

tivi. Va avvertito che, sebbene un solo profilo d'illegittimità dello

stesso articolo sarebbe sufficiente a determinarne la relativa di

chiarazione, non è in questa sede possibile indicare uno solo dei

motivi d'illegittimità, trascurando l'altro, giacché i motivi stessi

interferiscono in tal maniera da rendere metodologicamente ne

cessario ricordarli entrambi. Ed infatti, il principio generale del

l'ordinamento dello Stato relativo al coordinamento della finanza

di tutti gli enti locali — principio del quale è espressione signifi cativa il 1° comma dell'art. 119 Cost. — risulta, nella materia

in esame, applicato in una norma fondamentale d'una riforma

economico-sociale. Sicché, lo stesso 1° comma dell'art. 2, non

rispettando l'art. 13 1. n. 181 del 1982, viola una legge fonda mentale della riforma sanitaria nazionale ed insieme non risulta in armonia con il principio, del pari fondamentale, dell'ordina mento giuridico dello Stato attinente al necessario coordinamento

della finanza pubblica (relativo alla programmazione economica

nazionale) ed alle imprescindibili sue implicazioni. 4. - Il primo motivo d'illegittimità costituzionale dell'art. 2 del

la delibera legislativa regionale impugnata è costituito dal manca to rispetto d'una disposizione fondamentale della riforma sanitaria di cui alla 1. n. 833 del 1978. L'art. 13 1. n. 181 del 1982, modifi

cando la predetta I. n. 833 del 1978, viene, infatti, a far parte

integrante di quest'ultima. L'art. 13 ora citato costituisce norma fondamentale della rifor

ma sanitaria nazionale già per la sola istituzione d'un importante

organo, il «collegio dei revisori», che s'inserisce in tutte le Usi

del territorio nazionale, come terzo ed ultimo organo delle mede

sime, accanto all'assemblea generale ed al comitato di gestione (col relativo presidente).

Sull'importanza del collegio dei revisori delle Usi, della quale è notevole e significativa eco nei lavori parlamentari che prece dettero l'approvazione dell'art. 13 qui in discussione e sulla gra vità, in materia, della lacuna della 1. n. 833 del 1978 (che il citato

art. 13 viene a colmare), lacuna indubbiamente non ultima causa o condizione del notevole disavanzo dei bilanci delle Usi nei pri mi anni della loro attività, non è davvero il caso, in questa sede, d'insistere.

Quel che vale sottolineare è l'impossibilità di separare l'istitu

II Foro Italiano — 1988.

zione dalla composizione del «nuovo» organo creato con l'art.

13 1. n. 181 del 1982. Non si può, invero, sostenere che è impor

tante, fondamentale, l'istituzione dell'organo ma non la sua com

posizione. Chi, infatti, ciò sostenesse (anche a prescindere dal

rilievo dell'impossibilità d'arbitrariamente scindere, in una nor

ma fondamentale d'una riforma economico-sociale, alcune da al

tre determinazioni) dimenticherebbe che già il fatto che il legislatore del 1982, nel momento stesso in cui ha per la prima volta istituito

il collegio dei revisori delle Usi, ne ha determinato, sia pure in

parte, la composizione, impone all'interprete di desumere che, almeno nella ratio della legge, nella sua «logica», le finalità che

s'intendevano raggiungere con la creazione dell'organo erano in

distinguibili dalla composizione del medesimo. In tanto il legisla tore ha prescritto, ha imposto di comporre l'organo «in quel

modo», in quanto ha ritenuto lo stesso «modo» essenziale al per

seguimento delle finalità per le quali l'organo stesso veniva isti

tuito. Compiti, attività e soggetti componenti l'organo del collegio dei revisori dei conti delle Usi costituiscono, pertanto (in quanto, esclusa ogni alternativa, imperativamente prescritti), momenti in

scindibili ai fini della funzionalità del collegio stesso: quest'ulti mo può rispondere alle esigenze per le quali è istituito perché è composto dai soggetti indicati nella legge e deve svolgere le

attività prescritte dalla stessa legge. 5. - I fini per i quali il collegio dei revisori in discussione è

stato istituito, e, pertanto, anche le ragioni per le quali la legge ha prescritto che lo stesso collegio annoveri, fra gli altri, un com

ponente designato dal ministro per il tesoro ed uno designato dalla regione, risultano chiarissimi ove si colleghi l'istituzione del

predetto collegio dei revisori a tutte le importantissime altre de

terminazioni contenute nell'art. 13 1. n. 181 del 1982.

Questo articolo è fondamentale non soltanto perché istituisce

il collegio dei revisori dei conti delle Usi, ma, prima ancora, per le determinazioni sostanziali imposte alle stesse unità. Ed è per la verifica ed il controllo dell'attuazione delle determinazioni as

sunte nel predetto articolo che è stato istituito, fra l'altro, anche

il collegio dei revisori. Questo collegio è, dunque, strumento di

controllo e verifica, anzitutto, dell'effettiva attuazione delle de

terminazioni sostanziali assunte nell'art. 13 della più volte citata

legge: determinazioni che costituiscono, pertanto, il principale ele

mento che rende lo stesso articolo tra i più importanti della rifor

ma sanitaria nazionale.

6. - Vero è che, per valutare appieno la legittimità costituziona

le della delibera legislativa regionale impugnata, occorre chiarire

a fondo la portata del complesso delle determinazioni assunte

con l'art. 13 1. n. 181 del 1982, insieme alle finalità che il legisla tore statale" si è proposto con l'emanazione di tutte le norme di

cui allo stesso articolo. Non può, infatti, intendersi compiuta mente la ragione dell'inclusione d'un componente designato dal

ministro per il tesoro nel collegio dei revisori dei conti delle Usi

senza valutare la predetta inclusione nel quadro di tutte le «inno

vazioni» che sono state apportate, appunto, attraverso l'art. 13 in esame, nella riforma sanitaria nazionale.

Ed invero, lo stesso articolo, a seguito d'una situazione finan

ziaria, non certo ottimale, nella quale notoriamente si dibatteva

no le Usi in tutto il territorio nazionale, ha inteso, nell'ambito

d'una complessa ed articolata manovra di contenimento della spesa sanitaria nazionale, che il governo contemporaneamente andava

realizzando, porre fine al disavanzo dei bilanci delle Usi attraver

so l'imposizione di particolari obblighi e di precise e rigorose mi

sure di controllo, interno ed esterno, sulla gestione finanziaria

delle stesse unità. L'articolo più volte citato, infatti, nello stimo

lare la responsabilità delle regioni in ordine alla spesa delle Usi, affida alle medesime penetranti poteri di controllo, ispettivo e

sostitutivo, teso ad impedire il maturarsi di disavanzi nelle gestio ni di competenza delle Usi e, nel caso di verificati disavanzi, teso

a riportare in equilibrio i predetti conti di gestione. Per gli stessi

scopi l'articolo in esame, nello stabilire il principio fondamentale

della «nullità di diritto» di qualsivoglia atto delle Usi «ove la

relativa spesa non trovi idonea copertura», concentra, in un'uni

ca sede, e cioè nei comitati regionali ex art. 55 1. 10 febbraio 1953 n. 62, il controllo sugli atti delle Usi e, finalmente, istituisce

(cosi colmando, come s'è già avvertito, un'indubbia e grave lacu

na della 1. n. 833 del 1978) il collegio dei revisori, inserendo un

componente designato dal ministro per il tesoro ed un compo nente designato dalla regione sia nei comitati regionali di control

lo sia nel collegio dei revisori.

Non v'è dubbio che tutte insieme (e non soltanto l'inclusione

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

d'un componente designato dal ministro per il tesoro nel collegio dei revisori) le misure adottate con l'articolo in esame costituisco

no il presupposto per una gestione economicamente corretta e

garantita del fondo sanitario nazionale, sul quale grava, in rile

vantissima misura, la spesa delle Usi.

7. - Le precedenti considerazioni chiariscono anche il perché il collegio dei revisori in esame viene investito, dallo stesso art.

13 1. n. 181 del 1982, di particolari incombenze: quali, ad esem

pio, quella di sottoscrivere i rendiconti di cui al 2° comma del

l'art. 50 1. n. 833 del 1978 e quella, davvero significativa, di

redigere una relazione trimestrale sulla gestione amministrativo

contabile delle Usi, da trasmettere, direttamente, alla regione ed

ai ministeri della sanità e del tesoro. Da ciò si desume che si

tratta d'un «particolare» collegio dei revisori, mediatore in mate

ria finanziaria, amministrativo-contabile, tra le Usi da una parte e le regioni e lo Stato dall'altra; tramite necessario d'informazio

ne e controllo della gestione, del flusso della spesa delle Usi.

8. - Tutto quanto sopra ricordato in ordine alle finalità, com

plesse ed unitarie, che il legislatore si è proposto con l'emanazio

ne dell'art. 13 della più volte citata 1. n. 181 del 1982 svela il

secondo motivo d'illegittimità del 1° comma dell'art. 2 della deli

bera legislativa regionale impugnata. Quest'ultimo articolo, nel

momento stesso in cui «non rispetta» una legge fondamentale

della riforma sanitaria nazionale, non è «in armonia» con un

principio fondamentale dell'ordinamento giuridico dello Stato, il

principio del coordinamento della finanza pubblica in sede di pro

grammazione economica nazionale: l'art. 13 1. n. 833 del 1982

è, infatti, attuazione puntuale, in tutte le sue determinazioni, di

tal principio e delle sue necessarie implicazioni. Ed il 1° comma

dell'art. 2 della delibera impugnata, impedendo la diretta, imme

diata, comunque tempestiva informazione sul flusso della spesa delle Usi, riduce la sfera del controllo dello Stato nell'adempi mento del suo obbligo di tempestivo, efficiente coordinamento

della finanza pubblica. In riferimento alla funzione statale d'indirizzo e coordinamen

to, in generale, delle attività regionali, questa corte ha, già, più

volte affermato (cfr., fra le altre, le sentenze n. 150/82 Foro it.,

1983, I, 603, e n. 177/86, id., 1987, I, 365) che tale funzione,

pur essendo espressamente configurata in leggi statali ordinarie,

«ha sicuro fondamento in Costituzione», nella necessità di tutela

re esigenze di carattere unitario, «insuscettive o scarsamente su

scettive» di frazionamento o localizzazione e nella necessità di

comporre in equilibrio le esigenze stesse con le istanze dell'auto

nomia. Nella materia in considerazione, che più specificatamente attiene alla spesa delle Usi, tale funzione statale trova il suo fon

damento non soltanto nell'art. 5, 1° comma, 1. n. 833 del 1978

ma direttamente, trattandosi di coordinamento sul versante della

spesa, nel 1° comma dell'art. 119 Cost.

Non v'è dubbio che esigenze di carattere unitario, anche in

riferimento ad obiettivi di programmazione economica nazionale,

vincolano il legislatore ordinario alla realizzazione del coordina

mento della spesa delle Usi: l'art. 13 1. n. 181 del 1982 costitui

sce, appunto, chiara attuazione d'un vincolo costituzionalmente

determinato.

Si noti, poi, che alla funzione statale d'indirizzo e coordina

mento, in generale, non sono soggette soltanto le regioni a statu

to ordinario ma, come più volte ha ribadito questa corte, anche

le regioni a statuto speciale; e ciò non solo relativamente alle

materie di competenza ripartita ma in tutto l'ambito dei poteri

ad esse costituzionalmente garantiti, non rilevando, di fronte alla

necessità di soddisfare esigenze unitarie, le distinzioni fra statuto

speciale e statuto ordinario e fra tipi e gradi di competenze degli

enti autonomi (cfr. le sentenze di questa corte n. 340/83, id.,

1984, I, 1466, e n. 177/86, cit.); né l'art. 119, 1° comma, fa

distinzione tra regioni a statuto ordinario ed a statuto speciale.

Mentre è da sottolineare che la sentenza di questa corte n. 243

del 1985 (id., 1986, I, 1235) dichiara che «. . . la disciplina regio nale dell'ordinamento dei comuni deve armonizzarsi con le «leggi

della repubblica» cui l'art. 119 Cost, impone di coordinare l'au

tonomia finanziaria regionale con la finanza dello Stato, delle

province e dei comuni medesimi. E non si può trascurare, in que

st'ultimo senso, il fatto che la finanza comunale si fonda assai

largamente — negli ultimi anni — sui trasferimenti statali; sic

ché, nel momento presente, il coordinamento finanziario rispon

de ad esigenze ancora più pressanti di quelle sottese alla Carta

costituzionale».

Il Foro Italiano — 1988.

9. - Senonché, occorre particolarmente insistere sulle implica zioni che tale obbligo costituzionale di coordinamento della spesa

degli enti locali comporta. A nulla varrebbe vincolare lo Stato al coordinamento della spesa

pubblica, a nulla varrebbe estendere i poteri di coordinamento, fino al punto di determinare anche «forme» e «limiti» della stes

sa autonomia finanziaria delle regioni (non si dimentichi che il

1° comma dell'art. 119 Cost., nel momento stesso in cui sancisce

l'autonomia finanziaria delle regioni, ne dichiara i limiti ad opera delle leggi statali di coordinamento) se lo Stato non venisse a

conoscenza, tempestivamente, della reale, effettiva, legittima spe sa degli enti locali. E ciò non soltanto ai fini del coordinamento

successivo sibbene anche a quelli, più penetranti, del coordina

mento preventivo, teso a garantire il regolare flusso della spesa

e, pertanto, ad impedire ante factum gli eccessi di spesa.

L'obbligo del coordinamento finanziario degli enti locali, im

posto dalla Costituzione allo Stato, comporta, pertanto, un ob

bligo di conoscenza e verifica della spesa degli enti locali, al fine

dell'attuazione d'un serio, accorto e tempestivo coordinamento

della finanza pubblica. Titolare di questo secondo obbligo, ap

punto perché strumentale all'adempimento del primo, non può che essere lo stesso titolare dell'obbligo di coordinamento, e cioè

lo Stato: ed è ad esso che spetta scegliere i modi d'attuazione

dell'obbligo di conoscenza e verifica.

A questo proposito vale sottolineare che anche l'adempimento

dell'obbligo da ultimo ricordato è non soltanto vincolato nell'an,

ma, sia pur parzialmente, nel quomodo: v'è, infatti, una stretta

cornice entro la quale lo Stato è tenuto a scegliere i modi di co

noscenza e verifica della spesa pubblica degli enti locali, superata la quale cornice, non avendo più le indispensabili garanzie sulla

verità delle notizie in ordine al flusso della stessa spesa, lo Stato

verrebbe ad essere impedito o grandemente limitato nel puntuale,

tempestivo adempimento dell'obbligo di coordinamento finan

ziario.

La verifica della regolarità contabile della spesa degli enti loca

li deve anzitutto avvenire nel rispetto delle inderogabili norme

tecniche e d'esperienza: i soggetti chiamati a tale verifica, pertan

to, devono possedere un'adeguata competenza tecnico-scientifica

ed essere forniti di sicura esperienza. Occorre, poi, che lo Stato

garantisca a se stesso la conoscenza dell'effettiva, puntuale verità

sul flusso della spesa: e ciò non può avvenire chiamando a verifi

care la contabilità dell'ente locale, la cui spesa dev'essere coordi

nata con quella statale, delle province e dei comuni, soggetti esclusivamente designati dall'ente stesso. La confusione tra con

trollori e controllati non darebbe, certo, sufficienti garanzie d'o

biettività alle informazioni: queste devono risultare conformi a

verità, pena, diversamente, un errato coordinamento finanziario

da parte dello Stato. E neppure è possibile rimettere totalmente

alle regioni interessate la verifica in discussione, chiamando, ad

esempio, all'effettuazione della medesima soggetti designati uni

camente dalle stesse regioni. Non può disconoscersi, infatti, che

ogni regione, impegnata ad assicurare il miglior servizio nel pro

prio territorio, è titolare d'un interesse difficilmente conciliabile

con quello, generale, dello Stato e non può, pertanto, garantire

sufficientemente quest'ultimo nella realizzazione del suo interesse

all'informazione secondo verità in ordine al flusso delle spese sot

toposte al controllo regionale. D'altra parte vale osservare che

l'art. 13 1. n. 181 del 1982, assegnando alle regioni ulteriori com

piti ispettivi, e finanche sostitutivi, in relazione alle spese delle

Usi, fa sorgere anche nella regione un interesse alla verifica della

contabilità delle predette unità da parte d'un proprio designato

(donde si spiega l'obbligo della presenza di quest'ultimo sia nel

comitato di controllo sia nel collegio dei revisori) ma non fa ve

nir meno la necessità dello Stato d'avere anche un proprio rap

presentante nell'organo di controllo contabile delle Usi appunto

al fine dell'adempimento del suo obbligo di coordinamento di

tutta la finanza pubblica, compresa quella delle regioni.

Né può esser dimenticato che lo Stato deve essere informato

«tempestivamente» del flusso della spesa delle Usi, allo scopo

d'un adeguato, tempestivo intervento teso a provvedere al neces

sario coordinamento, come s'è già avvertito, anche preventivo.

Di queste esigenze l'art. 13 1. n. 181 del 1982, in tutte le sue

determinazioni (ivi compresa, l'inclusione d'un rappresentante dello

Stato nel collegio dei revisori) è puntuale attuazione. Il rappre

sentante dello Stato, oltre ad adempiere alle normali attività at

tribuite all'organo dei revisori (cosi garantendo il raggiungimento

delle finalità dell'organo stesso) assolve anche alla personale fun

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Page 5: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 7 aprile 1987, n. 107 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 15 aprile 1987, n. 16); Pres. La Pergola, Rel. Dell'Andro;

1483 PARTE PRIMA 1484

zione d'intermediario, di tempestivo informatore dello Stato: e

ciò già prima che a quest'ultimo giungano le burocratiche rela

zioni trimestrali dell'intero collegio sulla gestione amministrativo

contabile delle Usi.

È facile rilevare, infatti, che, con l'articolo in esame, lo Stato

(rispettando peraltro, in pieno, la riserva di legge ex art. 119, 1° comma, Cost.) ha, certamente, impegnato le regioni al con

trollo ispettivo e sostitutivo, al quale si è fatto più volte riferi

mento; ma non si è spogliato delle responsabilità e poteri di

ulteriori coordinamenti tra la propria finanza e quella delle regio

ni, delle province e dei comuni. Sicché, mentre ha attribuito par ticolari funzioni di controllo alle regioni in attuazione dei precitati

poteri di coordinamento, ha provveduto, attraverso l'inclusione

d'un suo rappresentante nel collegio dei revisori, anche a sceglie re il modo più adeguato per esercitare successivi, tempestivi inter

venti di coordinazione, legislativi ed amministrativi: ha, cioè,

garantito a sé la tempestiva conoscenza del reale andamento della

gestione finanziaria delle Usi, senza della quale conoscenza è ov

viamente impedita ogni sollecita, effettiva realizzazione dei preci tati costituzionali poteri di coordinamento in materia finanziaria.

In questo quadro si scorge agevolmente la necessità dell'inclu

sione d'un rappresentante del ministro per il tesoro sia nei comi

tati regionali di controllo sia nei collegi dei revisori dei conti delle

Usi, anche a prescindere dal complesso delle misure di conteni

mento della spesa pubblica delle stesse unità, adottate con l'art.

13 1. n. 181 del 1982.

10. - Certo, può anche assumersi che esistano altri modi, altre

misure per conseguire le predette finalità d'informazione e verifi

ca, ma l'esistenza di diverse misure, che ugualmente potrebbero

raggiungere gli stessi scopi, non esclude, peraltro, che «misure»

adeguate debbano essere adottate: e, in generale, sempre, ogni misura adottata può assumersi come «non necessaria», «non in

dispensabile», tenuto conto delle altre, alternativamente ipotizzate. Nella specie, non è accoglibile neppure la tesi secondo la quale

a garantire allo Stato la conoscenza del flusso della spesa delle

Usi sarebbe bastata la già citata relazione amministrativo-contabile,

che, trimestralmente, i revisori dei conti sono tenuti a trasmette

re, direttamente, alla regione ed ai ministeri della sanità e del

tesoro. Anzitutto, è indispensabile, allo scopo dell'effettiva rea

lizzazione dei poteri di cui al 1° comma dell'art. 119 Cost., che

10 Stato «immediatamente», ed in ogni caso «tempestivamente»,

venga a conoscenza dei movimenti di spesa delle Usi: ma, di più, a cosa servirebbe la cognizione dei predetti movimenti quando i medesimi fossero verificati da un collegio costituito esclusiva

mente da componenti designati dagli stessi enti soggetti alla veri

fica oppure dalle regioni, per se stesse, singolarmente, non

interessate al contenimento della spesa sanitaria nazionale ed alle

quali, singolarmente, non può, comunque, farsi carico del peso

dell'unitario, inscindibile interesse nazionale al coordinamento, fra l'altro, anche della finanza regionale con la finanza statale?

Né può assumersi che, prevista la presenza, nel collegio in di

scussione, del componente designato dal ministro per il tesoro, risulta superflua la già citata relazione trimestrale sui movimenti

amministrativo-contabili delle Usi: è agevole, invero, rilevare che, sia per la regione interessata sia per i ministeri della sanità e del

tesoro, è certamente necessaria anche la conoscenza del parere dell'intero collegio dei revisori sull'andamento del flusso della spesa delle Usi, sempre ai fini del controllo regionale e del coordina

mento statale.

11. - Va, a questo punto, notato che il collegio dei revisori

non è organo d'amministrazione attiva, e che, pertanto, l'inclu

sione, nel collegio stesso, d'un componente designato dal mini

stro per il tesoro certamente non incide sull'autonomia delle

decisioni delle Usi né sull'autonomia delle decisioni regionali: e

non può, comunque, esser taciuto che la maggioranza dei com

ponenti il collegio dei revisori in discussione (due su tre) è sempre detenuta dai rappresentanti degli enti locali e che l'art. 13 1. n.

181 del 1982 prevede, come si è più volte notato, anche la presen za, nello stesso collegio, di almeno un componente designato dal la regione, appunto ai fini del controllo attribuito alla regione stessa dal predetto articolo. In questo modo lo Stato ha legitti mamente composto esigenze unitarie con quelle dell'autonomia

degli enti locali. 12. - Dubbi sull'applicabilità dell'art. 119 Cost, anche alla re

gione Trentino-Alto Adige non possono esistere. Non è, infatti, fondato invocare l'art. 116 Cost., allo scopo di sottrarre la regio ne resistente dall'applicabilità del 1° comma dell'art. 119 Cost.

11 Foro Italiano — 1988.

Nell'art. 116 Cost, è, infatti, previsto che anche alla regione Trentino-Alto Adige sono attribuite forme e condizioni particola ri di autonomia, secondo il relativo statuto speciale. Non risulta,

tuttavia, che, in materia di coordinamento finanziario, siano sta

te emanate nei confronti della regione Trentino-Alto Adige nor

me derogatorie dell'art. 119 Cost.; né la difesa della regione indica

in quali delle norme dello statuto speciale sia stato risolto il pro blema del coordinamento dell'autonomia finanziaria della regio ne Trentino-Alto Adige, e degli enti locali operanti nel suo

territorio, con la finanza dello Stato.

Né, infine, rileva il fatto che alle Usi operanti nel territorio

del Trentino-Alto Adige (essendo, nello stesso territorio, i compi ti di vigilanza e tutela sugli enti locali di competenza delle giunte

provinciali) non si applichi la norma, posta dallo stesso art. 13

1. 26 aprile 1982 n. 181, che prevede l'integrazione d'un rappre sentante del ministro per il tesoro nel comitato regionale di con

trollo, di cui all'art. 55 1. 10 febbraio 1953. Il controllo «sugli atti» delle Usi, operato dai relativi comitati regionali, è certamen

te diverso dal controllo amministrativo-contabile sulla spesa, ef

fettuato dai revisori dei conti: non può, pertanto, dall'esclusione

d'un rappresentante del ministro per il tesoro dal comitato regio nale di controllo sugli atti delle Usi operanti nel territorio della

regione Trentino-Alto Adige (esclusione determinata dalle parti colari disposizioni, in materia di vigilanza e tutela sugli enti loca

li, dello statuto speciale della predetta regione) dedursi una non

necessaria inclusione d'un componente designato dal ministro per il tesoro nel collegio dei revisori dei conti delle Usi operanti nel

territorio della stessa regione. Potrebbe, invece, osservarsi che, a fortiori l'esclusione di un componente designato dal ministro

per il tesoro dal comitato regionale di controllo renda ancor più necessaria la presenza d'un componente designato dallo stesso mi

nistro nel collegio dei revisori: diversamente, mancherebbe ogni

mediazione, ogni collegamento tra lo Stato, titolare dei poteri d'indirizzo e coordinamento di cui si è sopra discusso, e le Usi.

13. - In conclusione, il 1° comma dell'art. 2 della delibera legis lativa regionale impugnata è costituzionalmente illegittimo, nella

parte in cui non prevede la presenza d'un componente designato dal ministro per il tesoro nel collegio dei revisori di cui al 2°

comma dell'art. 15 1. n. 833 del 1978 (come modificato dall'art.

13 1. n. 181 del 1982) perché viola una norma fondamentale della

riforma sanitaria nazionale ed insieme perché, impedendo che al

lo Stato giunga diretta, tempestiva informazione sul flusso della

spesa delle Usi, limita i poteri dello stesso nell'adempimento del

suo obbligo di coordinamento della finanza pubblica. Il predetto 10 comma dell'art. 2 della delibera legislativa impugnata non adem

pie, infatti, a due delle condizioni (rispetto delle norme fonda

mentali delle riforme economico-sociali della repubblica e dovere

di armonizzazione della potestà legislativa regionale con i princi

pi dell'ordinamento giuridico dello Stato) alle quali l'art. 4 dello

statuto della regione Trentino-Alto Adige subordina la legittimità della normativa regionale nelle materie di cui allo stesso art. 4

dello statuto speciale ora citato.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale del 1° comma dell'art. 2 della delibera legislativa,

riapprovata dal consiglio regionale del Trentino-Alto Adige in data

31 ottobre 1985 (norme concernenti i collegi dei revisori delle Usi) nella parte in cui non prevede l'inclusione nel collegio dei revisori

delle Usi operanti nel territorio della regione Trentino-Alto Adige d'un componente designato dal ministro per il tesoro.

II

Diritto. — 1. - Tutti i ricorsi, per conflitti di attribuzione, ben

ché prodotti da parti diverse e in tempi successivi, si riferiscono

tuttavia agli stessi decreti ministeriali e propongono identiche que

stioni, anche se taluna sotto profili diversi.

I giudizi possono, pertanto, essere riuniti per essere decisi con

unica sentenza.

2. -1 ricorsi stessi, poi, in relazione al loro oggetto, si suddivi

dono in due grandi gruppi, per certi aspetti strettamente connessi.

Un primo gruppo investe i decreti che hanno per oggetto le

strutture create in conseguenza della soppressione dei due enti,

Enpi e Ancc, nonché l'attribuzione ad esse di talune attività. Si

tratta di doglianze sollevate esclusivamente dalla regione Lom

bardia e dalla provincia autonoma di Bolzano.

Un secondo gruppo che, sempre in conseguenza della detta sop

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Page 6: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 7 aprile 1987, n. 107 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 15 aprile 1987, n. 16); Pres. La Pergola, Rel. Dell'Andro;

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

pressione, investe invece i decreti che dispongono in tema di per

sonale, vuoi per determinare i contingenti che dovranno essere

assegnati alle nuove strutture oppure alle regioni o ai comuni, vuoi per disporre «comandi» o «assegnazioni provvisorie». A que sto gruppo appartengono anche i ricorsi della provincia autono

ma di Trento.

E poiché, ad eccezione dei ricorsi di quest'ultima provincia, le doglianze nei confronti dei decreti riguardanti il personale si

fondano anche sui vizi denunziati nei ricorsi contro i decreti con

cernenti le nuove strutture e le attività a queste conferite, è op

portuno trattare innanzitutto del primo gruppo. 3. - Esso è rappresentato dal ricorso n. 6/83 della provincia

autonoma di Bolzano, e dal ricorso n. 7/83 della regione Lom

bardia che investono i seguenti decreti interministeriali:

A) 23 dicembre 1982 concernente «istituzione dei dipartimenti

periferici per l'attività omologativa dell'Ispesl»;

B) 23 dicembre 1982 concernente «identificazione delle attività

omologative, già svolte dai soppressi Enpi e Ancc, di competenza

dell'Ispesl»;

Q 23 dicembre 1982 concernente «autorizzazione alle Usi ad

esercitare attività omologative di primo o nuovo impianto». La

regione Lombardia inoltre, con ricorso n. 6/84, impugnava altresì:

D) il decreto interministeriale 4 febbraio 1984 recante «modifi

cazione all'autorizzazione alle Usi ad esercitare attività omologa tive di primo o nuovo impianto, in nome e per conto dell'Ispesl»: un decreto, cioè che — come appare evidente dall'intitolazione — modificava quello elencato sub C).

3.1. - Per quanto si riferisce al decreto sub A) sostengono le

ricorrenti non esservi dubbio che le cosiddette attività di «omolo

gazione» sono riservate allo Stato dell'art. 6, lett. ri), 1. 833/78

(istituzione del servizio sanitario nazionale), ed è anche vero che

l'art. 2, 1° comma, d.l. 30 giugno 1982 n. 390 ha attribuito all'I

spesl le dette funzioni statali.

Ma — secondo le ricorrenti — il decreto interministeriale, er

roneamente interpretando la definizione del concetto di «omolo

gazione» data dal 2° comma del d.l. n. 390/82 ora citato, ne

estende indebitamente il contenuto fino a ricomprendervi opera zioni che si effettuano fuori dal luogo di produzione delle mac

chine o degli impianti: operazioni, cioè, che, lungi dal limitarsi

a verificare la corrispondenza di un determinato prototipo alle

caratteristiche stabilite dalla legge, o del prodotto al tipo omolo

gato (che costituisce l'autentica attività di omologazione), mirano

a controllare il corretto inserimento e funzionamento del singolo

prodotto omologato in un reale processo produttivo o in un par ticolare ambiente di lavoro o di vita. Ebbene, affermano le ricor

renti che queste ultime sono attività di collaudo, e non di

omologazione, come tali riservate alle Usi ex art. 11-14 e soprat tutto 20 1. 833/78, e perciò alle regioni o — nel territorio Trentino

Alto Adige — alle province autonome nel cui ambito le Usi in

discussione sono costituite ed operano e al cui controllo sono

sottoposte. Il decreto, pertanto, sarebbe invasivo della sfera di attribuzioni

della regione e della provincia autonoma ricorrenti.

La provincia di Bolzano, anzi, lamenta in particolare che l'at

tribuzione all'Ispesl di funzioni di collaudo viola anche l'art. 1

delle norme d'attuazione dello statuto Trentino-Alto Adige (d.p.r. 28 marzo 1975 n. 475) che ha trasferito alle province autonome

le attribuzioni che in materia di sanità erano prima esercitate dal

lo Stato e poi dalla regione Trentino-Alto Adige, segnatamente con riferimento alla prevenzione degli infortuni sul lavoro che

l'art. 1 delle norme d'attuazione integrative (d.p.r. 26 gennaio 1980 n. 197) espressamente ricomprende fra quelle funzioni. D'altra

parte — aggiunge la provincia — l'art. 80 1. 833/78 conferma

in modo esplicito le attribuzioni proprie delle province autono

me, con espresso riferimento, perciò, alla materia sanitaria.

Ma i ricorsi non sono fondati. Va detto fin da ora, anche per

l'applicazione alle doglianze che saranno prese in esame più in

nanzi, che effettivamente la distinzione fra le attività di omologa

zione, da una parte, e quelle di collaudo e verifica dall'altra, è

posta nettamente già nella legge istitutiva del servizio sanitario

nazionale (1. 833/78). Questa, infatti, prevede l'omologazione al

punto 18 dell'art. 24, mentre disciplina al punto 6 collaudi e veri

fiche periodiche. La stessa legge, poi, mentre riserva la prima allo Stato (art. 6, lett. ri), afferma con chiarezza, usando nell'art.

20 proprio le espressioni tecniche di cui s'è detto, che i compiti di prevenzione, attribuiti alle Usi nell'art. 14, sono realizzati me

li Foro Italiano — 1988.

diante «collaudi e verifiche» anche di impianti prodotti, installati

o utilizzati nel territorio delle Usi.

Orbene, la definizione normativa di «omologazione» di cui al

2° comma dell'art. 2 d.l. 30 giugno 1982 n. 390 (convertito, con

modificazioni che non riguardano il punto, nella 1. 12 agosto 1982

n. 597) è bensì' sostanzialmente quella sostenuta dalle ricorrenti, ma viene da questa trascurata un'importante sequenza della nor ma che esclude la risolutiva conclusione che ne è stata tratta.

È vero, infatti, che la legge riferisce il procedimento tecnico

amministrativo dell'omologazione alla verifica della rispondenza del tipo o del prototipo di un prodotto industriale a specifici re

quisiti tecnici prefissati ai fini prevenzionali dalla 1. 833/78: veri

fica che deve avvenire prima della riproduzione e della immissione

sul mercato. E da ciò è facile effettivamente arguire che si tratta

di operazioni che necessariamente devono avvenire sul luogo stes

so della produzione del tipo, e perciò prima che esso venga ripro dotto e il risultato della riproduzione immesso sul mercato.

Ma si trascura che la detta condizione («prima della riprodu zione e dell'immissione sul mercato») non riguarda il «primo o

nuovo impianto» che dall'inciso precedente è separato dalla di

sgiuntiva «ovvero». Beninteso, non si tratta di un'interpretazione

puramente letterale, ché anzi sono proprio quella logica e teleolo

gica a sostenere tale considerazione. Infatti, se per «impianto» deve intendersi, anche secondo il lessico letterario, un insieme

di strutture, apparecchi, attrezzature, congegni, ecc., collegati in

unico assemblaggio e concorrenti ad uno stesso scopo, sembra

evidente la ratio della disposizione. Il legislatore, cioè, si è preoc

cupato delle ipotesi più frequenti: quelle in cui la complessità

dell'impianto è tale da renderne indispensabile il montaggio sul

luogo stesso in cui dovrà poi essere utilizzato nel processo pro duttivo o in un particolare ambiente di vita o di lavoro.

Non può essere, quindi, essenziale, sul piano definitorio, la

distinzione fra attività che si svolgono nel luogo di produzione e attività che riguardano quello di utilizzazione: ciò che conta

è, invece, la sostanza dell'intervento che, nell'ipotesi dell'omolo

gazione, tende a verificare la conformità del tipo ai requisiti di

legge e quella del prodotto di serie al tipo, mentre nel caso del

collaudo è diretto ad accertare la rispondenza del singolo prodot to di serie alle finalità cui è destinato nello specifico ambiente

di lavoro o di vita, ovvero nel particolare processo produttivo nel quale viene inserito, ai fini della prevenzione infortuni e della

sicurezza del lavoro.

Se cosi è, è evidente allora — per tornare ai ricorsi in esame — che non può avere alcuna importanza che nella tabella, allega ta all'impugnato decreto, si faccia menzione di apparecchi ed im

pianti di sollevamento per persone e materiali, di apparecchi ed

impianti a pressione di vapore, ecc., che — ad avviso delle ricor

renti — sarebbero oggetto di attività di collaudo e di verifica

riservate alle Usi, giacché sugli stessi oggetti cade sicuramente, ed anzi preventivamente, anche l'attività di omologazione riser

vata allo Stato e, per esso, all'Ispesl. Ciò che importa è che le

due attività siano tenute ben distinte: e difatti la tabella si riferi

sce esclusivamente e chiaramente alle «attività omologative» che

vengono riconosciute di competenza dell'Ispesl. La sfera delle reciproche attribuzioni costituzionalmente garan

tite è, perciò, rispettata dal decreto.

3.2. - Il decreto interministeriale sub b) istituisce trentatré di

partimenti periferici dell'Ispesl in corrispondenza di altrettante

sedi dei due enti soppressi, fra i quali anche i dipartimenti di

Milano e Bolzano.

Insorgono le due ricorrenti sostenendo che la legge delegata istitutiva dell'Ispesl (d.p.r. 31 luglio 1980 n. 619) non aveva af

fatto previsto i dipartimenti: e ciò in perfetta coerenza con la

natura dell'istituto che, come risulta dall'art. 23 1. 833/78, dove

va avere esclusivamente compiti di ricerca, di studio, di proposta e di consulenza, ma non attività operativa. Si dolgono, pertanto, le ricorrenti che, mediante tale espediente, lo Stato si riprenda,

sotto nuovo nome, l'esercizio di quelle stesse mansioni che prima

esercitavano gli enti soppressi e alle quali, salvo quelle scientifi

che, lo Stato aveva rinunziato proprio con quella soppressione. Cosi facendo, però, si violerebbe il disposto degli art. 117 e

118 Cost., nonché, per quanto si riferisce alla provincia di Bolza

no, le norme di attuazione statutarie già citate sotto il numero

precedente. Ma anche questa doglianza è frutto di equivoco. Una volta

che lo Stato ha deciso di affidare ad un istituto superiore statale

(l'Ispesl è inquadrato nel ministero della sanità) la funzione di

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Page 7: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 7 aprile 1987, n. 107 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 15 aprile 1987, n. 16); Pres. La Pergola, Rel. Dell'Andro;

1487 PARTE PRIMA 1488

«omologazione» che dello Stato stesso è di pertinenza (combina to disposto dagli art. 6, lett. n, 1. 833/78 e art. 2, 1° comma, d.l. 390/82), non può essere negato il discrezionale potere dello Stato di articolare i suoi istituti nel modo che ritiene più adegua to al raggiungimento dei fini istituzionali e all'espletamento delle

funzioni ad essi conferite. Anche qui ciò che conta, nel contesto della doglianza mossa, è che i dipartimenti non oltrepassino quel le funzioni di omologazione che loro spettano e che, con la loro

istituzione, si rende più facile eseguire nei luoghi di produzione (dei prototipi e dei prodotti di serie) sorgenti nel territorio di cia scuno di essi.

E poiché il decreto impugnato si limita ad istituire i diparti menti, e non c'è il minimo elemento (se non la mera congettura) che s'intenda con ciò violare le attribuzioni di spettanza della

regione Lombardia e della provincia autonoma i ricorsi devono essere respinti.

3.3. - In ordine al decreto sub B), osservano le ricorrenti che le attività asseritamente omologative elencate dal decreto sono, in realtà, attività di prevenzione di piena e diretta competenza regionale e provinciale. Poiché i ricorsi rimandano in proposito a quanto esposto in relazione al decreto sub A), deve ritenersi che anche qui si arguisca il carattere, collaudativo anziché omo

logativo delle attività, dalla specie dei macchinari o degli impianti menzionati. Si è, però, già detto in quell'occasione che, potendo gli stessi impianti essere oggetto di ambo le attività, e non rile vando ai fini definitori il fatto che essi si trovino già installati in ambienti di lavoro o di vita anziché essere ancora nello stabili mento che li produce, è decisivo, agli effetti del sollevato conflit

to, che il decreto limiti la funzione che viene affidata alle Usi in nome e per conto dell'Ispesl, all'attività propria dello Stato, vale a dire a quella omologativa.

Soggiungono, però, in subordine le ricorrenti che, tuttavia, se fosse ritenuto dalla corte — come in realtà si ritiene — che le attività conferite alle Usi sono proprio quelle omologative perti nenti allo Stato, allora vi sarebbe quanto meno violazione del l'art. 118, 2° comma, Cost., perché si delegano alle Usi funzioni statali senza l'osservanza delle forme e delle procedure costituzio nali previste. Ma anche questa doglianza non è fondata, perché nella specie in realtà non c'è stata alcuna delega: si tratta soltan to dell'ipotesi in cui lo Stato si avvale di uffici dell'apparato re

gionale. Proprio l'art. 118, che si assume violato nel 2° comma, porta nell'ultimo un esempio di segno contrario alla tesi delle ricorrenti. Come questa corte ha già rilevato in passato, sarebbe, infatti, «assurdo ritenere che quanto può la regione disporrre nei confronti di enti pur forniti di autonomia, come le province e i comuni, non possa lo Stato nei confronti di essa» (sent. 1° marzo 1972, n. 35, Foro it., 1972, I, 1197).

C'è, però, infine, un'ulteriore doglianza, avanzata dalle ricor

renti, secondo cui il decreto avrebbe quanto meno violato l'auto nomia finanziaria della regione Lombardia e della provincia autonoma di Bolzano in relazione all'art. 119 Cost., avendo in cluso nel bilancio delle Usi le spese d'esercizio dell'attività che viene loro accollata in nome e per conto dell'Ispesl: e ciò anche in considerazione del fatto che l'art. 4 del decreto stesso fa obbli

go alle Usi di riversare nelle casse dell'erario quanto versato dagli utenti per tariffe d'esercizio. In tali condizioni — si sostiene —

dovevasi allora assicurare la corrispondente entrata. Nemmeno questo diverso profilo può essere accolto. Il finan

ziamento del servizio sanitario nazionale è disciplinato dagli art. 51 e 52 1. 833/78: ed alcuni criteri sono anche dettati da numero se disposizioni degli art. 53 (3° comma, lett. b, c, d,) 55 (2° comma in particolare), 56 (lett. a). Dal complesso di tale norma tiva risulta evidente che l'intero carico del servizio sanitario na

zionale, esercitato dalle Usi su tutto il territorio della repubblica, grava sul bilancio dello Stato che ne determina annualmente il fondo con la legge di approvazione del bilancio. Le somme cosi stanziate vengono poi ripartite, con delibera del Cipe, fra tutte le regioni, tenuto conto delle indicazioni dei piani sanitari nazio nali e regionali: e le regioni, a loro volta, provvedono a ripartire fra le Usi e a trasferire ad esse, la quota loro assegnata per il finanziamento delle spese correnti, riservandone un'aliquota, fi no al 5%, per interventi imprevisti. Sempre sullo Stato, pertanto, viene a gravare anche la spesa d'esercizio relativa alle funzioni che lo Stato stesso affida alle Usi in nome e per conto dell'Ispesl: e la legge ha già disciplinato l'ipotesi di un intervento imprevisto, per il quale si provvede mediante l'aliquota di riserva.

Il Foro Italiano — 1988.

4. - Il decreto interministeriale 4 febbraio 1984 è impugnato — come si è detto più sopra — soltanto dalla regione Lombardia con ricorso dell'aprile 1984 n. 6.

Si assume che il decreto avrebbe violato gli art. 117 e 118 Cost., anche in relazione agli art. 17, 27 e 32 d.p.r. 24 luglio 1977 n.

616, e agli art. 11, 14, 20, 22, 23 e 72 1. 833/78 nonché all'art. 2 d.l. 30 giugno 1982 n. 390, convertito nella 1. 2 agosto 1982

n. 597.

Secondo la regione, richiamate le censure già mosse con il pre cedente ricorso al decreto 23 dicembre 1982, il decreto ora impu gnato che lo modifica, sarebbe addirittura peggiorativo, in quanto dispone che sia di spettanza dell'Ispesl persino «il collaudo del

l'impianto di ascensori e montacarichi per il rilascio della licenza di esercizio e, per i generatori di calore, l'accertamento della con formità dell'impianto al progetto approvato» (art. 1 del decreto).

Inoltre, assume poi la regione che, pur dichiarandosi nell'art. 2 del decreto che le residue funzioni ivi elencate «restano di com

petenza delle Usi», in realtà non si tratterebbe di un tardivo rico

noscimento delle effettive attribuzioni proprie delle Usi, ma soltanto della conferma che queste funzioni restano affidate alle Usi in nome e per conto dell'Ispesl. Ciò si dovrebbe desumere — ad avviso della ricorrente — dalla natura di quest'ultimo de

creto, il quale, essendo modificativo del precedente, che aveva ad oggetto l'autorizzazione alle Usi ad esercitare le ricordate fun zioni in nome e per conto dell'Ispesl, avrebbe mantenuto fermo il carattere originario di quell'affidamento.

Va detto subito che, per quanto si riferisce a questo secondo

profilo concernente l'art. 2, l'interpretazione che la ricorrente ne dà non sembra attendibile.

Il decreto usa l'espressione dall'indubitabile significato tecnico «restano di competenza delle Usi»: e, d'altra parte, il precedente decreto non aveva affatto ricompreso le dette funzioni fra quelle che venivano affidate alle Usi in nome e per conto dell'Ispesl, perché, anzi, come si è già precisato nel numero che precede, quel decreto si è riferito esclusivamente ad attività di omologa zione. E, in realtà, proprio per il fatto che il decreto che qui si esamina ribadisce la competenza dell'Ispesl per le ispezioni straordinarie, usando ancora una volta la stessa espressione tec

nica, non è a dubitarsi che ispezioni ordinarie e verifiche periodi che siano riconosciute di propria ed esclusiva competenza delle Usi. In tal senso, comunque, ritiene la corte che l'art. 2 debba essere interpretato.

Più delicato è, invece, il profilo prospettato per l'art. 1 e, per qualche riguardo, anche quello concernente le ispezioni straordi narie previste nell'ultimo comma dell'art. 2.

Non può negarsi, infatti, che nel 1° comma il decreto consente

esplicitamente all'Ispesl di esercitare «il collaudo dell'impianto per il rilascio della licenza d'esercizio»: attività questa che, di

norma, è sicuramente riservata alla specifica competenza delle Usi come risulta — giusta quanto si è più sopra rilevato — dal com binato disposto degli art. 14, 3° comma, lett. f), e 20, 1° comma, lett. a), della legge fondamentale 23 dicembre 1978 n. 833. Ma altrettanto deve dirsi per quanto si riferisce a quell'«accertamen to della conformità dell'impianto al progetto approvato», di cui si parla nel 2° comma dell'art. 2 che, come ogni giudizio concer nente il rapporto intercorrente fra opera compiuta e progetto, sembrerebbe caratteristica attività di collaudo.

Senonché, si rende trasparente, a più attenta lettura, quale sia stato lo spirito che ha indotto i ministri autori del decreto a prov vedere in tal senso. Richiamando, per il 1° comma, quanto più sopra si è osservato a proposito degl'impianti, e trattandosi evi dentemente di omologazione che viene eseguita «negli uffici pub blici o privati» dove ascensori e montacarichi sono «installati», le operazioni descritte nel 2° e 3° comma 1. 1415/42 vengono virtualmente a coincidere. Per constatare, infatti, se l'ascensore o il montacarichi, già installato per l'uso, corrisponda al tipo d'impianto progettato in conformità alle regole di sicurezza pre fissate dalla legge, occorre necessariamente verificare il buon fun zionamento nella particolare situazione edilizia in cui è inserito e in relazione all'uso che ne viene fatto. Si che, in definitiva, per queste ipotesi particolari, il rilascio della licenza d'impianto comporta necessariamente anche quello della licenza d'esercizio, attesa la qualità delle verifiche che vengono contestualmente

eseguite.

Tuttavia, la corte intende sottolineare che si tratta di ipotesi limite, che non troverebbero legittimazione al di fuori delle preci

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Page 8: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 7 aprile 1987, n. 107 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 15 aprile 1987, n. 16); Pres. La Pergola, Rel. Dell'Andro;

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

se condizioni indicate dal decreto, cosi come or ora sono state

messe in evidenza.

Quanto, poi, al caso del 2° comma, la simiglianza che sembra

mostrare con l'attività di collaudo è soltanto apparente. A ben

guardare, infatti, l'accertamento della conformità dell'impianto

al progetto approvato, significa in realtà accertamento della sua

rispondenza alle norme del d.m. 1° dicembre 1975, e perciò, in

definitiva, vera e propria attività di omologazione: e ciò perché

il progetto — come espressamente esige il dato testuale del decre

to — per essere approvato deve mostrare rispondenza a dette nor

me, che sono appunto le regole prefissate ai fini di sicurezza.

Restano le ispezioni straordinarie, di cui al 4° comma dell'art.

3 1. 24 ottobre 1942 n. 1415, che l'impugnato decreto dichiara

di voler mantenere alla competenza dell'Ispesl. In proposito, dev'essere subito allontanato un equivoco che sem

bra annidarsi negli assunti delle ricorrenti: equivoco che viene

particolarmente utilizzato proprio in tema di «ispezioni straordi

narie», le quali — si sostiene — «fuoriescono per definizione dal

le vere e proprie omologazioni, per rientrare invece nella

prevenzione, di piena competenza regionale» (ricorso n. 6 della

regione Lombardia).

Ora, che l'attività di omologazione differisca nettamente da quel

la di collaudo s'è già detto, e si tratta, perciò, volta per volta,

d'identificare l'una o l'altra tenendo conto delle definizioni nor

mative, ma è da escludere che la differenza passi sul piano della

prevenzione. Basta richiamare il disposto di cui al 2° comma dell'art. 2 d.l.

390/82 per convincersi che i requisiti tecnici prefissati, sui quali

dev'essere orientato il giudizio di conformità che contraddistin

gue l'omologazione, sono dettati proprio «ai fini prevenzionali».

Il che, del resto, si evinceva già dalla legge fondamentale (833/78),

particolarmente dalla generale ispirazione della delega contenuta

nell'art. 24.

D'altra parte, se le norme concernenti l'omologazione mirano

ad impedire che siano riprodotti, ed immessi nel mercato, esem

plari che non corrispondono a specifici requisiti tecnici prefissati,

è evidente che il legislatore mira con esse a «prevenire» l'insor

genza di situazioni di pericolo sui luoghi di lavoro e di vita, dove

i prodotti dovranno essere utilizzati.

Deve ritenersi, perciò, che ambo le attività, di omologazione

e di collaudo, rientrino nel campo della prevenzione. D'altra parte, è ancora una volta proprio la legge fondamenta

le (833/78) ad escludere che le ispezioni straordinarie rientrino,

assieme ai collaudi, fra le attività che l'art. 2 attribuisce alla pre

venzione affidata alle Usi. L'art. 2, infatti, allude genericamente

a «collaudi e verifiche»: ma là dove l'art. 24 instaura quella netta

distinzione fra attività di omologazione e attività di collaudo, di

cui già si è parlato, non può non rilevarsi che alla lett. b) del

n. 6, dove appunto si prevede la disciplina del collaudo, sono

insieme richiamate anche testualmente le «verifiche periodiche».

Sono, perciò, assimilate dalla legge all'attività di collaudo, e quindi

affidate alle Usi, soltanto quelle verifiche che, avendo carattere

periodico, rientrano fra le ordinarie ispezioni: mentre, per l'argu

mentum a contrario, deve ritenersi che le verifiche o ispezioni

non periodiche, e perciò straordinarie, restino di competenza del

l'Ispesl, come appunto dispone il decreto impugnato.

Del resto, tale è lo spirito stesso dell'art. 3 1. 24 ottobre 1942

n. 1415 che, mentre subordina il rinnovo della licenza di esercizio

all'esito favorevole delle ispezioni periodiche, cosi collegando queste

ultime al «collaudo» dell'impianto previsto nell'ultimo comma

dell'art. 2, rimette invece alla competenza del prefetto (e, perciò,

ad un organo statale) le ispezioni straordinarie, collegandole an

che alle «modificazioni dell'impianto» o ad importanti riparazio

ni degli organi di sollevamento o di sicurezza che abbiano messo

ascensore o montacarichi temporaneamente fuori servizio: vale

a dire a situazioni che incidono su quella conformità alle regole

prefissate di sicurezza che contraddistinguono l'attività di omolo

gazione, e quindi le attribuzioni dello Stato e, oggi, dell'Ispesl.

Per quanto, infine, si riferisce alle particolari motivazioni che

la provincia autonoma di Bolzano aggiunge in relazione alle nor

me dello statuto speciale e all'art. 80 1. 833/78, si rimanda a

quanto sarà subito detto nei numeri che seguono a proposito dei

ricorsi contro i decreti riguardanti il personale, dove le dette ar

gomentazioni vengono ampiamente utilizzate.

5. - Esaminando ora il secondo gruppo di ricorsi, rileva la cor

te che esso comprende — come si è detto — tutte le doglianze

concernenti i decreti ministeriali che dispongono circa il persona

li. Foro Italiano — 1988.

le già in servizio presso gli enti soppressi Enpi e Ance.

Si tratta: A) del decreto 23 dicembre 1982 che determina il

contingente del personale dei due enti soppressi da adeguare all'I

spesi e alle Usi. Decreto investito dal ricorso 26 febbraio 1983

n. 6/83 della provincia autonoma di Bolzano (già esaminato per

la parte concernente gli aspetti dell'altro gruppo), del ricorso 26

febbraio 1983 n. 5/83 della provincia autonoma di Trento, e dal

ricorso 25 febbraio 1983 n. 7/83 della regione Lombardia (anche

questo già esaminato per gli altri aspetti).

B) Del decreto 29 dicembre 1982 che assegna provvisoriamente

il personale degli enti soppressi alle Usi e all'Ispesl, investito dai

ricorsi sopra richiamati della provincia autonoma di Bolzano e

della regione Lombardia, nonché dal ricorso 26 febbraio 1983

n. 5/83 della provincia autonoma di Trento.

C) Del decreto 30 dicembre 1982 che assegna concretamente

in via provvisoria il personale di cui sopra ai nuovi enti Usi e

Ispesl, investito soltanto dal ricorso 26 febbraio 1983 n. 5/83 del

la provincia autonoma di Trento.

D) Del decreto 23 febbraio 1983 che modifica la determinazio

ne dei contingenti del personale cosi come fissata dal predetto

decreto di cui alla lettera A), investito soltanto dal ricorso 14

giugno 1983 n. 22/83 della provincia autonoma di Trento.

E) Del decreto 22 gennaio 1985 che determina definitivamente

i contingenti del personale suddetto, investito dal ricorso 4 aprile

1985 n. 16/85 della provincia autonoma di Bolzano, e dal ricorso

stessa data n. 17/85 della provincia autonoma di Trento.

F) Del decreto 28 dicembre 1985 che dispone il «comando»

del personale suddetto in relazione ai contingenti definitivi stabi

liti dal decreto che precede, investito soltanto dal ricorso 7 marzo

1986 n. 16/86 della provincia autonoma di Bolzano.

È opportuno prendere subito in esame il ricorso della regione

Lombardia che — come si è accennato — ha un profilo partico

lare. La regione ricorrente, infatti, fonda le sue doglianze sui vizi

messi in luce nella critica ai decreti del primo gruppo. Poiché — si sostiene — i due decreti impugnati determinano i contingen

ti e dispongono l'assegnazione provvisoria del personale sul pre

supposto che all'Ispesl competano funzioni che la regione ha

contestato, ne deriverebbe l'invasività e la conseguente invalidità

dei decreti che negano alla regione personale adeguato all'eserci

zio delle proprie attribuzioni.

Ma poiché la corte non ha ravvisato la sussistenza dei denun

ziati vizi, non può nemmeno essere accolto questo profilo stretta

mente collegato alla doglianza nei confronti del secondo gruppo

di decreti.

Quanto poi alla lamentata inosservanza, per l'assegnazione prov

visoria, delle procedure previste dall'art. 67 in relazione all'art.

72 1. 833/78, va rilevato che, in realtà, l'assegnazione provvisoria

disposta dal decreto impugnato non è quella disciplinata dal cita

to art. .67 che si riferisce al personale non «comandato», e che

peraltro viene assegnato ai ruoli unici istituiti presso la presiden

za del consiglio. Il decreto impugnato, invece, dispone l'assegna

zione provvisoria alle Usi e all'Ispesl di quel personale dei soppressi

enti che già presso i detti enti era stato in precedenza comandato,

e lo fa — come spiegato nelle premesse del decreto — in forza

del 4° comma dell'art. 1 d.l. 30 aprile 1981 n. 169 che, per le

esigenze delle gestioni di liquidazione degli enti soppressi, auto

rizza l'utilizzazione di personale nell'ambito dei contingenti asse

gnati alle Usi e all'Ispesl. Con questo chiarimento si risponde anche al rilievo secondo

cui si tratterebbe di un provvedimento anomalo rispetto all'asse

gnazione provvisoria disciplinata dall'art. 67 1. 833/78: mentre

chiaramente anomalo non è rispetto al d.l. sopra richiamato. Inol

tre risulta poi evidente la ragione per cui non è stato apposto

un limite all'assegnazione provvisoria in quanto — come il decre

to esplicitamente avverte — trattasi di provvedimento disposto

«in attesa dell'assegnazione definitiva».

Il ricorso della regione, pertanto, dev'essere respinto anche nella

parte in cui investe i due decreti che dispongono del personale

degli enti soppressi. 6. - I ricorsi delle due province autonome contro i decreti di

cui si va parlando possono essere esaminati tutti assieme perché

si fondano su di una serie di argomentazioni comuni: salvo il

particolare profilo sollevato dalla provincia di Bolzano in tema

di proporzionale etnica e di conoscenza linguistica, di cui sarà

detto alla fine.

Sostanzialmente le ragioni delle doglianze possono essere cosi

sintetizzate.

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Page 9: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 7 aprile 1987, n. 107 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 15 aprile 1987, n. 16); Pres. La Pergola, Rel. Dell'Andro;

1491 PARTE PRIMA 1492

Gli art. 4, n. 7, 9, n. 10, e 16, 1° comma, dello statuto speciale

per il Trentino-Alto Adige (d.p.r. 31 agosto 1972 n. 670) attribui

scono alla regione e alle province autonome potestà legislativa in materia sanitaria; e l'art. 1 delle norme d'attuazione (d.p.r. 28 marzo 1975 n. 474) trasferisce alle province autonome le attri

buzioni che, nella detta materia appartenevano prima allo Stato

o alla regione Trentino-Alto Adige. L'art. 1, poi, delle norme

d'attuazione integrative (d.p.r. 26 gennaio 1980 n. 197) precisa

che, fra quelle attribuzioni, è compresa anche la prevenzione de

gli infortuni sul lavoro.

L'art. 72 1. 833/78 ha successivamente trasferito alle regioni

(e per il Trentino-Alto Adige, quindi, alle province limitatamente

al rispettivo territorio) le funzioni concernenti le attività di pre venzione già di competenza degli enti soppressi: mentre all'Ispesl non può avere trasferito altro che quelle di studio e di ricerca

in aderenza ai compiti che la delega legislativa prevedeva per l'i

stituzione di detto ente (art. 32). Ciò, del resto, è confermato

dall'art. 3 d.p.r. 31 luglio 1980 n. 619 che, istituendo l'istituto, ne determina in tal senso i compiti. Infine, l'art. 80 della stessa

1. 833/78 ribadisce, proprio nel contesto della materia sanitaria

e della riforma, le prerogative proprie delle province autonome.

D'altra parte, poiché, l'art. 8, n. 1, del citato statuto speciale

per il Trentino-Alto Adige prevede per le province autonome una

primaria potestà normativa in tema di «ordinamento degli uffici

provinciali e del personale ad essi addetto», e l'art. 10 1. 22 luglio 1975 n. 382 (norme sull'ordinamento regionale) ha disposto l'in

tegrale trasferimento alle province autonome del personale peri ferico degli enti pubblici nazionali, con fini istituzionali anche

sanitari, che vengono a cessare, le due province hanno già assun

to i provvedimenti conseguenziali al riportato importante com

plesso normativo.

Infatti, esse hanno riservato a loro stesse i compiti prima eser

citati dai soppressi enti, istituendo a tal fine un apposito diretto

servizio provinciale: come dimostrano per Trento, la 1. prov. 6

dicembre 1980 n. 33 (art. 4, lett. c, e nn. 3 e 4, e l'art. 32), la 1. prov. 21 aprile 1981 n. 7, in relazione all'art. 67 1. 833/78, e infine la 1. prov. 29 agosto 1983 n. 29 (art. 3, 48, 49 e 50);

e, per Bolzano, la 1. prov. 2 gennaio 1981 n. 1 (art. 6, n. 3, lett. b).

Intanto, va premesso che la potestà normativa delle province autonome in materia sanitaria discende dall'art. 9, n. 10, dello

statuto speciale Trentino-Alto Adige che richiama i limiti di cui

all'art. 5: il che significa che si tratta di una potestà soltanto

concorrente su cui prevale quella primaria dello Stato. Né su ciò

influisce l'art. 8, n. 1, dello statuto stesso che, in materia di ordi

namento degli uffici provinciali e del relativo personale, attribui

sce effettivamente alle province autonome potestà normativa

primaria. Infatti, queste ultime non potrebbero aggirare l'attribu

zione primaria dello Stato in materia sanitaria attraverso provve dimenti che riguardano l'istituzione di uffici provinciali o il trasferimento di personale.

Da ciò deriva che, quando una legge statale (come quella 833/78) affida a nuovi enti che istituisce (le Usi per l'ambito regionale e per quello delle province autonome, e l'Ispesl per quello nazio

nale) le funzioni in materia sanitaria (e quindi di prevenzione e

sicurezza del lavoro) che prima venivano esercitate da enti perife rici statali, non vi potrà mai essere, sotto alcun riflesso, invasione

di attribuzioni delle province autonome, perché lo Stato si avvale della potestà normativa primaria (e conseguentemente di quella amministrativa di pari grado) che lo stesso statuto Trentino-Alto

Adige gli riconosce. Sotto questo riflesso, pertanto, non vale in

vocare il disposto di cui agli art. 1 e 10 d.p.r. 28 marzo 1975

n. 474 (norme di attuazione per il Trentino-Alto Adige), secondo

cui il personale in servizio presso le sedi periferiche degli enti

pubblici a carattere nazionale, che hanno tra i loro fini istituzio

nali anche compiti in materia di igiene e sanità (la prevenzione infortuni è stata espressamente aggiunta all'art. 1 del testo in esa

me dall'art. 1 d.p.r. 26 gennaio 1980 n. 197), addetto alle attività

che cessano, dev'essere trasferito alle province di Trento e di Bol

zano. Non vale, perché la disposizione si riferisce evidentemente ad enti i cui fini istituzionali prevedono marginalmente la materia

igiene e sanità, ma non a quelli in cui la detta materia sostanzia in modo esclusivo tutta la finalità dell'ente, e per i quali sono

operativi i limiti di cui al combinato disposto degli art. 9 e 5

dello statuto Trentino-Alto Adige. È ben vero, poi, che la 1. 833/78 (art. 32) aveva previsto per

l'Ispesl compiti di natura scientifica e di consulenza, e che in

tal senso l'art. 3 della legge-delegata (d.p.r. 31 luglio 1980 n.

Il Foro Italiano — 1988.

619) aveva provveduto ma si è già rilevato che, con legge succes

siva (d.l. 30 giugno 1982 n. 390, art. 2, conv. in 1. 12 agosto 1982 n. 597), lo Stato ha attribuito al nuovo istituto superiore,

organo di un suo ministero, funzioni sue proprie, come quella

dell'omologazione, esercitando un potere discrezionale.

Da siffatta decisione, che implicava anche la possibilità — co

me si è visto più sopra — di istituire dipartimenti periferici dell'i

stituto (art. 4 legge ora citata), discendeva necessariamente la

conseguenza di una ripartizione del personale degli enti soppressi in aderenza alla nuova situazione che veniva cosi a determinarsi.

Certo, l'art. 80 1. 833/78 mantiene effettivamente ferme le com

petenze spettanti alle province autonome di Trento e Bolzano se

condo le forme e le condizioni particolari di autonomia definite

dallo statuto Trentino-Alto Adige, cosi come ribadisce la validità

delle procedure di trasferimento del personale previste dalle nor

me statutarie. Ma si è già sottolineato che le competenze norma

tive in materia sanitaria sono concorrenti, e perciò le leggi

provinciali non possono sovrapporsi ad una legge dello Stato in

materia sanitaria, sostituendo un servizio diretto della provincia a quello che lo Stato ha ritenuto di attribuire alle Usi e all'Ispesl: e, quanto alle procedure, una volta escluso — come questa corte

ha più sopra escluso — che sieno applicabili alla specie norme

di attuazione previste per situazioni diverse (istituti cessati le cui

finalità non sieno esclusivamente quelle della materia sanitaria), anche la necessità dell'intesa con la provincia interessata non è

riferibile ad una materia dove lo Stato, avvalendosi della sua pri maria potestà normativa, ha minuziosamente disciplinato i tem

pi, i modi, e i criteri per il graduale afflusso del personale ai

ruoli regionali delle Usi e a quelli dell'Ispesl (art. 67 1. 833/78, richiamato dall'art. 72, 4° comma).

Nemmeno i ricorsi delle due province esaminati in questo nu

mero possono, pertanto, trovare accoglimento. 7. - Resta, però, il profilo particolare sollevato dalla provincia

autonoma di Bolzano circa l'asserita invasività dei decreti in esa

me rispetto alle attribuzioni provinciali in materia di proporzio nale etnica e di conoscenza della lingua tedesca.

Si deve, in proposito, riconoscere che l'eccezione dell'avvoca

tura dello Stato (secondo cui non vi sarebbe invasività perché il personale trasferito già prestava servizio nella provincia) non

può ritenersi decisiva. Infatti, con il trasferimento nei ruoli regio nali di personale di lingua italiana, che già prestasse servizio negli enti periferici soppressi, ancor prima della promulgazione delle

norme del 1976, ben potrebbe in ipotesi verificarsi in quei ruoli

alterazione dell'equilibrio etnico o violazione del principio relati

vo alla conoscenza della lingua tedesca. La regola della perpetua no per coloro che già prestavano servizio in loco al momento

dell'entrata in vigore della normativa sulla proporzionale etnica

vale evidentemente nell'ambito della stessa amministrazione, ma

non per l'ipotesi di passaggio dall'una all'altra amministrazione

che vanificherebbe, altrimenti, lo spirito delle disposizioni. Senonché questo particolare profilo non può tuttavia essere preso

in considerazione per assoluto difetto di motivazione sul punto, dato che la ricorrente non ha indicato se l'inconveniente si sia

effettivamente verificato in concreto, mostrando dove, e per qua li trasferimenti, sia stato alterato il principio dell'equilibrio etni

co o violato quello della conoscenza della lingua tedesca.

Quanto, infine, alla richiesta, avanzata subordinatamente dalle

province autonome, affinché la corte abbia a sollevare innanzi

a se stessa talune questioni di legittimità costituzionale qualora si ritenesse che la lamentata invasività dei decreti impugnati aves

se a discendere dalle leggi di cui rappresentano attuazione, non

c'è che da rimandare alle motivazioni fin qui adottate: da esse

appare chiaramente che la corte non ha ravvisato alcun elemento

di dubbio che possa riflettersi sulla legittimità costituzionale delle

norme di legge su cui si fondano i provvedimenti impugnati. Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, 1)

dichiara che spettano allo Stato le attività di omologazione già svolte dai soppressi enti Enpi e Ancc, anche quando, nel caso

degli impianti, esse avvengano nei luoghi dove dovranno essere

utilizzati; 2) dichiara che spetta allo Stato attribuire all'Ispesl le

funzioni di cui sopra, ed istituire dipartimenti periferici del detto

istituto superiore; 3) dichiara che spetta allo Stato avvalersi delle

Usi per autorizzarle ad esercitare alcune attività omologative in

nome e per conto dell'Ispesl; 4) dichiara che spettano allo Stato, e per esso all'Ispesl, le ispezioni straordinarie di cui al 4° comma

dell'art. 3 1. 24 ottobre 1942 n. 1415; 5) dichiara che spetta allo

Stato determinare provvisoriamente e definitivamente i contin

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Page 10: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 7 aprile 1987, n. 107 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 15 aprile 1987, n. 16); Pres. La Pergola, Rel. Dell'Andro;

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

genti del personale già in servizio presso i soppressi Enpi ed Ance

da assegnare all'Ispesl e alle Usi in relazione alle funzioni e alle

sedi di cui sopra, cosi come spetta allo Stato provvedere ad asse

gnazioni provvisorie nell'ambito dei detti contingenti, e ad even

tuali comandi; respinge conseguentemente i ricorsi interposti dalla

regione Lombardia e dalle province autonome di Trento e Bolza

no avverso i decreti ministeriali ed interministeriali indicati in

epigrafe.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 13 apri le 1988, n. 2925; Pres. Brancaccio, Est. Taddeucci, P. M.

Caristo (conci, parz. diff.); Rosace e altri (Avv. P. Federico,

Muggia, C. M. Barone) c. Soc. Mauro; Soc. Mauro (Avv.

Panuccio, Pennestri) c. Rosace. Cassa Trib. Reggio Calabria

7 marzo 1985.

CORTE DI CASSAZIONE:

Impugnazioni civili in genere — Sentenza di primo grado provvi soriamente esecutiva — Riforma in appello con sentenza non

passata in giudicato — Effetti (Cod. proc. civ., art. 336, 337;

1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e

dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sin

dacale nei luoghi di lavoro a norme sul collocamento, art. 18).

Lavoro (rapporto) — Licenziamento — Sentenza pretorile di con

danna alla reintegra riformata in appello — Obbligazione retri

butiva del datore di lavoro nel periodo intermedio tra sentenza

di primo grado e sentenza d'appello di riforma (Cod. civ., art.

2126; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 18).

La sentenza d'appello che riforma la sentenza di primo grado

provvisoriamente esecutiva non travolge, prima del suo passag

gio in giudicato, gli atti di esecuzione spontanea o coatta posti

in essere anteriormente alla riforma, ma impedisce che sulla

base della sentenza di primo grado possa essere iniziata o pro

seguita l'esecuzione. (1)

L'art. 18 dello statuto dei lavoratori, nel prevedere l'obbligo del

datore di lavoro (inottemperante all'ordine di reintegrazione con

tenuto nella sentenza pretorile dichiarativa dell'illegittimità del

licenziamento) di corrispondere al lavoratore le retribuzioni do

vutegli in virtù del rapporto di lavoro, equipara alla effettiva

utilizzazione delle energie lavorative del predetto la mera utiliz

zabilità di esse, stante la situazione di fatto caratterizzata dalla

disponibilità del lavoratore, se richiesto, in dipendenza di quel

l'ordine, a riprendere servizio; ne consegue: a) che, una volta

rimosso quell'ordine con sentenza d'appello di riforma (anche

non passata in giudicato), dichiarativa della legittimità del li

cenziamento, le retribuzioni relative a frazioni di tempo ante

riori alla rimozione possono essere richieste, anche in separato

giudizio, in forza del principio di cui all'art. 2126 c.c.; b) che,

per la frazione di tempo successiva alla rimozione, nessuna re

tribuzione è più dovuta, non essendo ulteriormente operativa

la equiparazione sopra ricordata; c) che, una volta passata in

giudicato la sentenza d'appello di riforma, potrà darsi luogo

alla restituzione delle retribuzioni, eventualmente corrisposte,

relative a periodi di tempo successivi alla pronuncia d'appello,

ma non anche alla restituzione delle retribuzioni relative al pe

riodo intermedio tra la sentenza pretorile dichiarativa dell'ille

gittimità del licenziamento e la pronuncia d'appello di

riforma. (2)

(1-2) I. - Con la decisione in epigrafe le sezioni unite civili della Corte

di cassazione ritornano sulla tormentata problematica dell'art. 336, 2°

comma, c.p.c., ed in particolare sulle conseguenze della riforma con sen

tenza non passata in cosa giudicata della sentenza pretorile dichiarativa

della illegittimità del licenziamento.

A distanza di appena sei anni dal precedente intervento sulla materia

(Cass., sez. un., 15 marzo 1982, n. 1669, Foro it., 1982, I, 985, con

osservazioni di A. Proto Pisani; in Giur. it., 1982, I, 1, 853, con nota

di Minzioni; in Giust. civ., 1982, 1, 1825, con nota di Franchi; in Orient,

giur. lav., 1982, 1027, con nota di Rampazzi; in Riv. dir. civ., 1982,

Il Foro Italiano — 1988.

Svolgimento del processo. — Felice Rosace, dipendente della società

in nome collettivo Mauro Demetrio e figli di Reggio Calabria in qualità di guardia giurata veniva licenziato in tronco, con lettera raccomandata

del 6 luglio 1979, per abbandono ingiustificato del posto di lavoro.

In accoglimento di ricorso del Rosace il Pretore di Reggio Calabria, con sentenza del 23 gennaio 1980 dichiarava illegittimo il licen

ziamento ed ordinava alla società di reintegrare immediatamente

il ricorrente nel posto di lavoro e di corrispondergli, co

li, 250, con nota di Cerino Canova, e in Riv. dir. proc., 1982, 572, con nota di Garbagnati; v. anche le coeve Cass., sez. un., 10 maggio 1982, nn. 2872, 2873 e 2874, Foro it., 1982, I, 1482), le sezioni unite

ribaltano, nel suo nucleo centrale, la soluzione precedentemente raggiun ta dopo un lungo ed ampio dibattito.

Il mutamento di orientamento era stato preannunziato da Cass. 7 feb

braio 1987, n. 1332 (id., 1987, I, 746, con osservazioni di A. Proto Pisa

ni; in Giur. it., 1987, I, 1, 1566, con nota di Vaccarella; in Giust.

civ., 1987, I, 1075, con nota di Luiso; in Riv. dir. proc., 1987, 437, con nota di Garbagnati; in Riv. it. dir. lav., 1987, 833, con nota di

Luiso) e da alcune decisioni successive richiamate nella motivazione della

sentenza che si riporta. Rinviando alle molte note di richiami alle pronunce sul tema riportate

sul Foro italiano (cui adde gli scritti di Dell'Olio, F. Mazziotti, D'An

tona, Magrini e Sassani, in Giornale dir. lav., 1987 , 423, 491, 607,

615, 622) per l'indicazione degli estremi del dibattito suscitato in dottrina

e giurisprudenza da Cass., sez. un., 1669/82, seguendo lo stesso metodo

adottato in occasione della pubblicazione di quest'ultima decisione, sem

bra fare cosa utile per il lettore ripercorrere l'iter logico seguito oggi dalle

sezioni unite evidenziandone i passaggi più importanti. II. - Dopo avere riassunto i principi enunciati da Cass. 1669 del 1982

(e dalle coeve nn. 2872, 2873 e 2874), la sentenza in epigrafe tenta di

ridurre la sua portata innovativa, ponendo con accuratezza in evidenza

(v. in particolare il punto 6 della motivazione) come «gli enunciati conte

nuti della sentenza n. 1669 del 1982 . . ., che costituiscono base fonda

mentale dell'inquadramento sistematico dei dibattuti problemi, non sono

stati mai revocati in dubbio dalla successiva elaborazione giurispruden

ziale, né hanno suscitato significativi, persuasivi dissensi in sede dottrina

le»; e tra tali enunciati della sentenza 1669 del 1982, cui la decisione

ora in esame reputa di aderire esplicitamente si ricorda: «la soggezione

degli atti esecutivi compiuti in virtù di clausola di provvisoria esecuzione

alla regolamentazione degli effetti espansivi esterni della sentenza di ri

forma di cui all'art. 336, 2° comma, c.p.c.; l'ambito di riforma di que st'ultima norma, non limitato ai soli atti o provvedimenti di esecuzione

forzata in senso stretto, ma comprensivo altresì' di qualsiasi atto sponta

neo, diretto o indiretto, di adeguamento della realtà fattuale al dictum

esecutivo; e soprattutto la sterilizzazione della clausola di provvisoria ese

cuzione, ovvero l'esaurimento della esecutorietà del comando del giudice di primo grado (quale fenomeno anticipatorio di una qualità della senten

za che non può vivere di vita autonoma senza l'accertamento della situa

zione giuridica sostanziale cui inerisce) in ragione della immediata efficacia

nel tempo del nuovo, opposto, accertamento contenuto nella sentenza

di riforma, e cioè il c.d. effetto sostitutivo di essa».

Consenso ancora è espresso al metodo cui è ispirata la pronuncia n.

1669 del 1982, e cioè «la ricerca di un sistema bilanciato il quale, da

un lato, valorizzi immediatamente il nuovo accertamento racchiuso nella

sentenza d'appello, in quanto impeditiva che quello precedente e contra

stante dato dalla sentenza riformata possa continuare a produrre effetti

esecutivi ulteriori a disciplina della situazione sostanziale in atto successi

vamente alla riforma; e, per altro verso, non consenta che la sentenza

riformatrice, prima del suo passaggio in giudicato produca effetti restitu

tori o ripristinatori di segno contrario ed inverso rispetto a quelli traenti

titolo dalla prima pronuncia: giusta le previsioni di cui agli art. 336 e 337».

III. - Precisati i consensi col precedente orientamento delle sezioni uni

te, la sentenza in epigrafe enuncia poi (v. fine del punto 6) gli aspetti ulteriori «in ordine ai quali elaborazione dottrinale e pratica giudiziaria,

esperienza e scienza (valori vivi perché in continuo divenire il cui rispetto deve essere conciliato con quello della stabilità della funzione orientatrice

di questa corte) sollecitano un meditato riesame». Questi aspetti «si con

densano attorno o due punti cruciali di verifica: a) il primo relativo alla

configurabilità di una 'autonoma fattispecie sostanziale' nella ripristina zione del rapporto di lavoro a seguito della sentenza del pretore ed in

forza della sua esecutorietà; b) il secondo attinente alla separabilità e

valutabilità differenziata, dal complesso delle prestazioni continuative del

lavoratore e del datore di lavoro, costituenti il contenuto del rapporto di durata, di un'attività iniziale, a carattere istantaneo e con effetti per

manenti, di reinserimento (totale o parziale) del lavoratore licenziato nel

l'organizzazione dell'azienda».

Dopo di che, anticipando le conclusioni dell'analisi che si andrà a com

piere, immediatamente si osserva: «in ordine ad entrambi questi due pun ti l'approfondimento critico svolto dalle sentenze n. 1328 e 1332 del 1987

si palesa convincente e meritevole di conferma».

Sul problema riassunto sub a la sentenza svolge (al punto 7) un (non

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