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sentenza 7 aprile 1987, n. 107 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 15 aprile 1987, n. 16); Pres.La Pergola, Rel. Dell'Andro; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Vittoria) c. RegioneTrentino-Alto Adige (Avv. Pototschnig)Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 1477/1478-1493/1494Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181243 .
Accessed: 24/06/2014 21:59
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1477 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1478
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 7 aprile 1987, n. 107 (Gaz zetta ufficiale, la serie speciale, 15 aprile 1987, n. 16); Pres.
La Pergola, Rei. Dell'Andro; Pres. cons, ministri (Avv. del
lo Stato Vittoria) c. Regione Trentino-Alto Adige (Avv. Po
totschnig).
Trentino-Alto Adige — Unità sanitarie locali — Collegio dei re
visori — Mancata inclusione di rappresentante del ministero
del tesoro — Incostituzionalità (Cost., art. 119; 1. 23 dicembre
1978 n. 833, istituzione del servizio sanitario nazionale, art.
15; 1. 26 aprile 1982 n. 181, disposizioni per la formazione di
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria
1982), art. 13).
È illegittimo il 1° comma dell'art. 2 della legge riapprovata il
31 ottobre 1985 dal consiglio regionale Trentino-Alto Adige nella
parte in cui non prevede l'inclusione nel collegio dei revisori
delle unità sanitarie locali di un componente designato da! mi
nistero del tesoro, per violazione degli art. 8 dello statuto spe ciale della regione Trentino-Alto Adige e 119 Cost., in relazione
all'art. 15, 2° e 3° comma, I. 23 dicembre 1978 n. 833, come
modificato dall'art. 13 l. 26 aprile 1982 n. 181. (1)
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 5 marzo 1987, n. 74 (Gaz
zetta ufficiale, la serie speciale, 18 marzo 1987, n. 12); Pres.
La Pergola, Rei. Gallo; Province autonome Trento e Bolza
no (Avv. Pannunzio) e Regione Lombardia (Avv. Pototschnig) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Zagari). Conflitto di
attribuzioni.
Sanità pubblica — Prevenzione infortuni — Attività di omologa zione dell'lspesl — Assegnazione di personale di enti soppressi — Legittimità — Insussistenza del conflitto (L. 24 ottobre 1942
n. 1415, impianto ed esercizio di ascensori e di montacarichi
in servizio privato, art. 3; 1. 23 dicembre 1978 n. 833, art. 23,
72; d.p.r. 31 luglio 1980 n. 619, istituzione dell'istituto superio re per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, art. 3, 17, 20; 1. 12 agosto 1982 n. 597, conversione in legge, con modificazio
ni, del d.l. 30 giugno 1982 n. 390, recante disciplina delle fun
zioni prevenzionali ed omologative delle unità sanitarie locali
e dell'istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del
lavoro, art. 2, 3, 4).
Poiché lo Stato ha agito nell'esercizio dei poteri di normazione
primaria ad esso spettanti e nell'ambito delle competenze attri
buitegli dalla l. 833/78 e dal d.p.r. 619/80, non sussiste conflit to di attribuzioni fra i decreti ministeriali ed interministeriali
attuativi e le potestà delle province autonome di Trento e Bol
zano e della regione Lombardia in materia di attività di preven
zione infortuni e, conseguentemente, deve essere dichiarato che:
1) spettano allo Stato le attività di omologazione già svolte dai
soppressi enti Enpi e Ancc, anche quando, nel caso degli im
pianti, esse avvengano nei luoghi dove dovranno essere utiliz
zati; 2) spetta allo Stato attribuire all'Ispesl le funzioni di cui
sopra ed istituire dipartimenti periferici del detto istituto supe
riore; 3) spetta allo Stato di avvalersi delle Usi per autorizzarle
ad esercitare alcune attività omologative in nome e per conto
dell'lspesl; 4) spettano allo Stato, e per esso all'Ispesl, le ispe
zioni straordinarie di cui al 4° comma dell'art. 3 l. 24 ottobre
1942 n. 1415; 5) spetta allo Stato determinare provvisoriamente e definitivamente i contingenti del personale già in servizio presso
i soppressi Enpi e Ancc da assegnare all'Ispesl e alle Usi in
relazione alle funzioni e alle sedi di cui sopra, cosi come spetta
allo Stato provvedere ad assegnazioni provvisorie nell'ambito
dei detti contingenti, e ad eventuali comandi. (2)
(1-2) Ricorrenti e, sembrerebbe, inesauribili sorgono i contrasti fra Sta
to e regioni (e province autonome) nel campo dell'assistenza sanitaria
e della delimitazione delle rispettive sfere di autonomia: da un'analisi del
le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia emerge la con
vinzione della permanenza in capo all'amministrazione centrale di penetranti
poteri di intervento e della limitazione della sfera di autonomia degli enti
locali ad attività di dettaglio o esecutive, sia nella forma (cfr. sent. 107/87) che nella sostanza (cfr. sent. 74/87): per una panoramica dei conflitti
Il Foro Italiano — 1988.
I
Diritto. — 1. - Va anzitutto rigettata l'eccezione d'inammissi
bilità del ricorso in esame.
Il presidente del consiglio dei ministri non ha, invero, sollevato
questione di merito per contrasto di interessi tra Stato e regione Trentino-Alto Adige.
A parte il rilievo che, attribuendo alla nozione d'«interesse na
zionale» la più larga ed onnicomprensiva accezione, non esiste
rebbero questioni di legittimità costituzionale proponibili dallo
Stato nei confronti delle regioni (ogni questione d'illegittimità co
stituzionale sollevata dallo Stato si trasformerebbe in questione di merito, non essendo configurabili ricorsi dello Stato che non
si riferiscano alla predetta, onnicomprensiva nozione d'«interesse
nazionale») va rilevato che già nel telegramma del 24 luglio 1985
del dipartimento affari regionali della presidenza del consiglio dei
ministri non solo, letteralmente, si ribadisce che «permane l'ille
gittimità dell'art. 2, 1° comma», della delibera legislativa già rin
viata alla regione Trentino-Alto Adige, ma, pur affermandosi
l'illegittimità della norma regionale ora citata per il limite dell'in
teresse nazionale, immediatamente si precisa che «tale interesse
è 'correlato' ai profili della programmazione economico-finanziaria
che trova espressione nell'art. 13 1. n. 181 del 1982, ai fini del
coordinamento statale in tema di finanza pubblica integrata oltre
che il limite delle norme fondamentali delle riforme economico
sociali di cui all'art. 15 1. n. 833 del 1978, come modificato dal
citato art. 13 1. n. 181 del 1982». E l'atto con il quale il presiden te del consiglio dei ministri propone il ricorso in esame chiarisce,
in maniera inequivocabile, la natura della questione sollevata in
via principale dallo stesso presidente. Non trattandosi, pertanto, nella materia in discussione, di que
stione di merito per contrasto di interessi ma di questione di le
gittimità costituzionale dell'art. 2, 1° comma, della delibera
legislativa impugnata in riferimento agli art. 119, 1° comma, Cost,
e 4 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige, il
ricorso stesso non andava proposto, ex art. 55, 2° comma, dello
statuto speciale del Trentino-Alto Adige, dinanzi alle camere bensì,
ai sensi dello stesso art. 55 del citato statuto speciale, dinanzi
a questa corte.
2. - Nel merito la regione Trentino-Alto Adige contrasta la ri
chiesta di dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 2,
1° comma, della delibera legislativa regionale recante «norme con
cernenti i collegi dei revisori delle Usi», riapprovata dal consiglio
regionale nella seduta del 31 ottobre 1985, ricordando che la nor
ma censurata dal governo (istituzione del collegio dei revisori presso
le Usi con una composizione che non prevede il componente desi
gnato dal ministro per il tesoro) attiene ad una materia di compe
tenza primaria della regione (v. art. 4, n. 7, dello statuto speciale
sorti e della posizione della corte, v. sent. 31 dicembre 1986, n. 294, Foro it., 1987, I, 2346, e richiami ivi in nota, fra cui si segnala, per l'attinenza al caso deciso con la sent. 107/87 e per la declaratoria della
parziale incostituzionalità dell'art. 13, 5° comma, 1. 181/82 in quanto lesivo delle competenze delle province autonome di Trento e Bolzano, Corte cost. 7 luglio 1986, n. 177, ibid., 365.
Sull'Ispesl e le competenze in materia di prevenzione ed omologazione
dopo la riforma sanitaria, v. T.A.R. Piemonte, sez. II, 6 luglio 1985
n. 289, id., Rep. 1986, voce Infortuni sul lavoro, n. 406 (ove si afferma
che i funzionari delle Usi privi della qualifica di ufficiali di polizia giudi ziaria possano accedere ai locali aziendali «con funzioni di ausiliari di
polizia giudiziaria»); G. Ichino, La funzione ispettiva e di prevenzione
dopo la riforma sanitaria, in Riv. giur. lav., 1985, IV, 105; G. Pecorel
la, L'istituto della omologazione nei progetti e nella realtà, ibid., 151; M. Cicala, Sicurezza del lavoro e funzioni di polizia giudiziaria delle
Usi, in Giust. pen., 1984, III, 115; M. Ronca, L'istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (art. 23 l. n. 833 del 1978), in
Ammin. it, 1982, 1575; F. Aristodemo, Il nuovo istituto superiore della
prevenzione e della sicurezza del lavoro, in Sicurezza soc., 1981, 217 e
Riv. infortuni, 1980, I, 645; G. Pera, La sicurezza sul lavoro nella rifor ma sanitaria, in Riv. dir. lav., 1980, I, 240; R. Guariniello, I poteri
dell'ispettorato del lavoro dopo la riforma sanitaria (1. 23 dicembre 1978
n. 833), in Legislazione pen., 1981, 267; G. Rajani, Disciplina giuridica
dell'omologazione di sicurezza, in Securitas, 1981, 459; A. D'Angeli, La sicurezza del lavoro e la riforma sanitaria, in Riv. giur. lav., 1979,
IV, 305; E. M. Barbieri, Brevi note sul potere ispettivo delle unità sani
tarie locali, in Notiziario giur. lav., 1979, 867; R. D'Andrea, L'istituto
superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro nelle prospettive di realizzazione della riforma sanitaria, in Securitas, 1978, 475.
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1479 PARTE PRIMA 1480
della regione Trentino-Alto Adige). La medesima, pertanto, nella
normazione relativa alla predetta materia, incontra soltanto i li
miti derivanti dai principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, tra i quali non può certo esser annoverata la norma statale che
prevede la presenza, nel collegio dei revisori delle Usi, d'un com
ponente designato dal ministro per il tesoro.
Va dato atto, invero, che, ai sensi del n. 7 dell'art. 4 dello
statuto speciale, l'ordinamento degli enti sanitari ed ospedalieri costituisce materia sulla quale la regione Trentino-Alto Adige ha
potestà d'emanare norme legislative.
Va, tuttavia, osservato (a parte il rilievo, sul quale s'insisterà
oltre, in ordine alla necessità di considerare, almeno inizialmente, le innovazioni introdotte dall'art. 13 1. n. 181 del 1982 non singo larmente ma nel loro insieme) che la predetta regione ha potestà d'emanare norme legislative nelle materie di cui all'art. 4 dello
statuto speciale (fra le quali indubbiamente è annoverato l'ordi
namento degli enti sanitari ed ospedalieri) non soltanto «in armo
nia» con la Costituzione ed i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato ma anche «con il rispetto», fra l'altro, degli interessi
nazionali nonché «delle norme fondamentali delle riforme
economico-sociali della repubblica». L'art. 4 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adi
ge, infatti, nell'attribuire alla stessa regione potestà normativa, fra le altre, anche in materia di ordinamento degli enti sanitari
ed ospedalieri, espressamente impone, condizionando cosi l'eser
cizio della predetta potestà, una normazione regionale realizzata
«in armonia con la Costituzione ed i principi dell'ordinamento
giuridico dello Stato e con il rispetto degli obblighi internazionali
e degli interessi nazionali — tra i quali è compreso quello della
tutela delle minoranze linguistiche locali — nonché delle norme
fondamentali delle riforme economico-sociali della repubblica». Nessun dubbio, pertanto, esiste sul potere della regione Trentino
Alto Adige d'emanare norme legislative nella materia in discus
sione ma, del pari, nessun dubbio può esistere sulle condizioni, sui limiti ai quali, per il precitato art. 4 dello statuto speciale, è subordinata la legittimità della normazione regionale emanata
nell'esercizio del predetto potere. 3. - L'art. 2, 1° comma, della delibera legislativa regionale im
pugnata risulta costituzionalmente illegittimo per almeno due mo
tivi. Va avvertito che, sebbene un solo profilo d'illegittimità dello
stesso articolo sarebbe sufficiente a determinarne la relativa di
chiarazione, non è in questa sede possibile indicare uno solo dei
motivi d'illegittimità, trascurando l'altro, giacché i motivi stessi
interferiscono in tal maniera da rendere metodologicamente ne
cessario ricordarli entrambi. Ed infatti, il principio generale del
l'ordinamento dello Stato relativo al coordinamento della finanza
di tutti gli enti locali — principio del quale è espressione signifi cativa il 1° comma dell'art. 119 Cost. — risulta, nella materia
in esame, applicato in una norma fondamentale d'una riforma
economico-sociale. Sicché, lo stesso 1° comma dell'art. 2, non
rispettando l'art. 13 1. n. 181 del 1982, viola una legge fonda mentale della riforma sanitaria nazionale ed insieme non risulta in armonia con il principio, del pari fondamentale, dell'ordina mento giuridico dello Stato attinente al necessario coordinamento
della finanza pubblica (relativo alla programmazione economica
nazionale) ed alle imprescindibili sue implicazioni. 4. - Il primo motivo d'illegittimità costituzionale dell'art. 2 del
la delibera legislativa regionale impugnata è costituito dal manca to rispetto d'una disposizione fondamentale della riforma sanitaria di cui alla 1. n. 833 del 1978. L'art. 13 1. n. 181 del 1982, modifi
cando la predetta I. n. 833 del 1978, viene, infatti, a far parte
integrante di quest'ultima. L'art. 13 ora citato costituisce norma fondamentale della rifor
ma sanitaria nazionale già per la sola istituzione d'un importante
organo, il «collegio dei revisori», che s'inserisce in tutte le Usi
del territorio nazionale, come terzo ed ultimo organo delle mede
sime, accanto all'assemblea generale ed al comitato di gestione (col relativo presidente).
Sull'importanza del collegio dei revisori delle Usi, della quale è notevole e significativa eco nei lavori parlamentari che prece dettero l'approvazione dell'art. 13 qui in discussione e sulla gra vità, in materia, della lacuna della 1. n. 833 del 1978 (che il citato
art. 13 viene a colmare), lacuna indubbiamente non ultima causa o condizione del notevole disavanzo dei bilanci delle Usi nei pri mi anni della loro attività, non è davvero il caso, in questa sede, d'insistere.
Quel che vale sottolineare è l'impossibilità di separare l'istitu
II Foro Italiano — 1988.
zione dalla composizione del «nuovo» organo creato con l'art.
13 1. n. 181 del 1982. Non si può, invero, sostenere che è impor
tante, fondamentale, l'istituzione dell'organo ma non la sua com
posizione. Chi, infatti, ciò sostenesse (anche a prescindere dal
rilievo dell'impossibilità d'arbitrariamente scindere, in una nor
ma fondamentale d'una riforma economico-sociale, alcune da al
tre determinazioni) dimenticherebbe che già il fatto che il legislatore del 1982, nel momento stesso in cui ha per la prima volta istituito
il collegio dei revisori delle Usi, ne ha determinato, sia pure in
parte, la composizione, impone all'interprete di desumere che, almeno nella ratio della legge, nella sua «logica», le finalità che
s'intendevano raggiungere con la creazione dell'organo erano in
distinguibili dalla composizione del medesimo. In tanto il legisla tore ha prescritto, ha imposto di comporre l'organo «in quel
modo», in quanto ha ritenuto lo stesso «modo» essenziale al per
seguimento delle finalità per le quali l'organo stesso veniva isti
tuito. Compiti, attività e soggetti componenti l'organo del collegio dei revisori dei conti delle Usi costituiscono, pertanto (in quanto, esclusa ogni alternativa, imperativamente prescritti), momenti in
scindibili ai fini della funzionalità del collegio stesso: quest'ulti mo può rispondere alle esigenze per le quali è istituito perché è composto dai soggetti indicati nella legge e deve svolgere le
attività prescritte dalla stessa legge. 5. - I fini per i quali il collegio dei revisori in discussione è
stato istituito, e, pertanto, anche le ragioni per le quali la legge ha prescritto che lo stesso collegio annoveri, fra gli altri, un com
ponente designato dal ministro per il tesoro ed uno designato dalla regione, risultano chiarissimi ove si colleghi l'istituzione del
predetto collegio dei revisori a tutte le importantissime altre de
terminazioni contenute nell'art. 13 1. n. 181 del 1982.
Questo articolo è fondamentale non soltanto perché istituisce
il collegio dei revisori dei conti delle Usi, ma, prima ancora, per le determinazioni sostanziali imposte alle stesse unità. Ed è per la verifica ed il controllo dell'attuazione delle determinazioni as
sunte nel predetto articolo che è stato istituito, fra l'altro, anche
il collegio dei revisori. Questo collegio è, dunque, strumento di
controllo e verifica, anzitutto, dell'effettiva attuazione delle de
terminazioni sostanziali assunte nell'art. 13 della più volte citata
legge: determinazioni che costituiscono, pertanto, il principale ele
mento che rende lo stesso articolo tra i più importanti della rifor
ma sanitaria nazionale.
6. - Vero è che, per valutare appieno la legittimità costituziona
le della delibera legislativa regionale impugnata, occorre chiarire
a fondo la portata del complesso delle determinazioni assunte
con l'art. 13 1. n. 181 del 1982, insieme alle finalità che il legisla tore statale" si è proposto con l'emanazione di tutte le norme di
cui allo stesso articolo. Non può, infatti, intendersi compiuta mente la ragione dell'inclusione d'un componente designato dal
ministro per il tesoro nel collegio dei revisori dei conti delle Usi
senza valutare la predetta inclusione nel quadro di tutte le «inno
vazioni» che sono state apportate, appunto, attraverso l'art. 13 in esame, nella riforma sanitaria nazionale.
Ed invero, lo stesso articolo, a seguito d'una situazione finan
ziaria, non certo ottimale, nella quale notoriamente si dibatteva
no le Usi in tutto il territorio nazionale, ha inteso, nell'ambito
d'una complessa ed articolata manovra di contenimento della spesa sanitaria nazionale, che il governo contemporaneamente andava
realizzando, porre fine al disavanzo dei bilanci delle Usi attraver
so l'imposizione di particolari obblighi e di precise e rigorose mi
sure di controllo, interno ed esterno, sulla gestione finanziaria
delle stesse unità. L'articolo più volte citato, infatti, nello stimo
lare la responsabilità delle regioni in ordine alla spesa delle Usi, affida alle medesime penetranti poteri di controllo, ispettivo e
sostitutivo, teso ad impedire il maturarsi di disavanzi nelle gestio ni di competenza delle Usi e, nel caso di verificati disavanzi, teso
a riportare in equilibrio i predetti conti di gestione. Per gli stessi
scopi l'articolo in esame, nello stabilire il principio fondamentale
della «nullità di diritto» di qualsivoglia atto delle Usi «ove la
relativa spesa non trovi idonea copertura», concentra, in un'uni
ca sede, e cioè nei comitati regionali ex art. 55 1. 10 febbraio 1953 n. 62, il controllo sugli atti delle Usi e, finalmente, istituisce
(cosi colmando, come s'è già avvertito, un'indubbia e grave lacu
na della 1. n. 833 del 1978) il collegio dei revisori, inserendo un
componente designato dal ministro per il tesoro ed un compo nente designato dalla regione sia nei comitati regionali di control
lo sia nel collegio dei revisori.
Non v'è dubbio che tutte insieme (e non soltanto l'inclusione
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
d'un componente designato dal ministro per il tesoro nel collegio dei revisori) le misure adottate con l'articolo in esame costituisco
no il presupposto per una gestione economicamente corretta e
garantita del fondo sanitario nazionale, sul quale grava, in rile
vantissima misura, la spesa delle Usi.
7. - Le precedenti considerazioni chiariscono anche il perché il collegio dei revisori in esame viene investito, dallo stesso art.
13 1. n. 181 del 1982, di particolari incombenze: quali, ad esem
pio, quella di sottoscrivere i rendiconti di cui al 2° comma del
l'art. 50 1. n. 833 del 1978 e quella, davvero significativa, di
redigere una relazione trimestrale sulla gestione amministrativo
contabile delle Usi, da trasmettere, direttamente, alla regione ed
ai ministeri della sanità e del tesoro. Da ciò si desume che si
tratta d'un «particolare» collegio dei revisori, mediatore in mate
ria finanziaria, amministrativo-contabile, tra le Usi da una parte e le regioni e lo Stato dall'altra; tramite necessario d'informazio
ne e controllo della gestione, del flusso della spesa delle Usi.
8. - Tutto quanto sopra ricordato in ordine alle finalità, com
plesse ed unitarie, che il legislatore si è proposto con l'emanazio
ne dell'art. 13 della più volte citata 1. n. 181 del 1982 svela il
secondo motivo d'illegittimità del 1° comma dell'art. 2 della deli
bera legislativa regionale impugnata. Quest'ultimo articolo, nel
momento stesso in cui «non rispetta» una legge fondamentale
della riforma sanitaria nazionale, non è «in armonia» con un
principio fondamentale dell'ordinamento giuridico dello Stato, il
principio del coordinamento della finanza pubblica in sede di pro
grammazione economica nazionale: l'art. 13 1. n. 833 del 1982
è, infatti, attuazione puntuale, in tutte le sue determinazioni, di
tal principio e delle sue necessarie implicazioni. Ed il 1° comma
dell'art. 2 della delibera impugnata, impedendo la diretta, imme
diata, comunque tempestiva informazione sul flusso della spesa delle Usi, riduce la sfera del controllo dello Stato nell'adempi mento del suo obbligo di tempestivo, efficiente coordinamento
della finanza pubblica. In riferimento alla funzione statale d'indirizzo e coordinamen
to, in generale, delle attività regionali, questa corte ha, già, più
volte affermato (cfr., fra le altre, le sentenze n. 150/82 Foro it.,
1983, I, 603, e n. 177/86, id., 1987, I, 365) che tale funzione,
pur essendo espressamente configurata in leggi statali ordinarie,
«ha sicuro fondamento in Costituzione», nella necessità di tutela
re esigenze di carattere unitario, «insuscettive o scarsamente su
scettive» di frazionamento o localizzazione e nella necessità di
comporre in equilibrio le esigenze stesse con le istanze dell'auto
nomia. Nella materia in considerazione, che più specificatamente attiene alla spesa delle Usi, tale funzione statale trova il suo fon
damento non soltanto nell'art. 5, 1° comma, 1. n. 833 del 1978
ma direttamente, trattandosi di coordinamento sul versante della
spesa, nel 1° comma dell'art. 119 Cost.
Non v'è dubbio che esigenze di carattere unitario, anche in
riferimento ad obiettivi di programmazione economica nazionale,
vincolano il legislatore ordinario alla realizzazione del coordina
mento della spesa delle Usi: l'art. 13 1. n. 181 del 1982 costitui
sce, appunto, chiara attuazione d'un vincolo costituzionalmente
determinato.
Si noti, poi, che alla funzione statale d'indirizzo e coordina
mento, in generale, non sono soggette soltanto le regioni a statu
to ordinario ma, come più volte ha ribadito questa corte, anche
le regioni a statuto speciale; e ciò non solo relativamente alle
materie di competenza ripartita ma in tutto l'ambito dei poteri
ad esse costituzionalmente garantiti, non rilevando, di fronte alla
necessità di soddisfare esigenze unitarie, le distinzioni fra statuto
speciale e statuto ordinario e fra tipi e gradi di competenze degli
enti autonomi (cfr. le sentenze di questa corte n. 340/83, id.,
1984, I, 1466, e n. 177/86, cit.); né l'art. 119, 1° comma, fa
distinzione tra regioni a statuto ordinario ed a statuto speciale.
Mentre è da sottolineare che la sentenza di questa corte n. 243
del 1985 (id., 1986, I, 1235) dichiara che «. . . la disciplina regio nale dell'ordinamento dei comuni deve armonizzarsi con le «leggi
della repubblica» cui l'art. 119 Cost, impone di coordinare l'au
tonomia finanziaria regionale con la finanza dello Stato, delle
province e dei comuni medesimi. E non si può trascurare, in que
st'ultimo senso, il fatto che la finanza comunale si fonda assai
largamente — negli ultimi anni — sui trasferimenti statali; sic
ché, nel momento presente, il coordinamento finanziario rispon
de ad esigenze ancora più pressanti di quelle sottese alla Carta
costituzionale».
Il Foro Italiano — 1988.
9. - Senonché, occorre particolarmente insistere sulle implica zioni che tale obbligo costituzionale di coordinamento della spesa
degli enti locali comporta. A nulla varrebbe vincolare lo Stato al coordinamento della spesa
pubblica, a nulla varrebbe estendere i poteri di coordinamento, fino al punto di determinare anche «forme» e «limiti» della stes
sa autonomia finanziaria delle regioni (non si dimentichi che il
1° comma dell'art. 119 Cost., nel momento stesso in cui sancisce
l'autonomia finanziaria delle regioni, ne dichiara i limiti ad opera delle leggi statali di coordinamento) se lo Stato non venisse a
conoscenza, tempestivamente, della reale, effettiva, legittima spe sa degli enti locali. E ciò non soltanto ai fini del coordinamento
successivo sibbene anche a quelli, più penetranti, del coordina
mento preventivo, teso a garantire il regolare flusso della spesa
e, pertanto, ad impedire ante factum gli eccessi di spesa.
L'obbligo del coordinamento finanziario degli enti locali, im
posto dalla Costituzione allo Stato, comporta, pertanto, un ob
bligo di conoscenza e verifica della spesa degli enti locali, al fine
dell'attuazione d'un serio, accorto e tempestivo coordinamento
della finanza pubblica. Titolare di questo secondo obbligo, ap
punto perché strumentale all'adempimento del primo, non può che essere lo stesso titolare dell'obbligo di coordinamento, e cioè
lo Stato: ed è ad esso che spetta scegliere i modi d'attuazione
dell'obbligo di conoscenza e verifica.
A questo proposito vale sottolineare che anche l'adempimento
dell'obbligo da ultimo ricordato è non soltanto vincolato nell'an,
ma, sia pur parzialmente, nel quomodo: v'è, infatti, una stretta
cornice entro la quale lo Stato è tenuto a scegliere i modi di co
noscenza e verifica della spesa pubblica degli enti locali, superata la quale cornice, non avendo più le indispensabili garanzie sulla
verità delle notizie in ordine al flusso della stessa spesa, lo Stato
verrebbe ad essere impedito o grandemente limitato nel puntuale,
tempestivo adempimento dell'obbligo di coordinamento finan
ziario.
La verifica della regolarità contabile della spesa degli enti loca
li deve anzitutto avvenire nel rispetto delle inderogabili norme
tecniche e d'esperienza: i soggetti chiamati a tale verifica, pertan
to, devono possedere un'adeguata competenza tecnico-scientifica
ed essere forniti di sicura esperienza. Occorre, poi, che lo Stato
garantisca a se stesso la conoscenza dell'effettiva, puntuale verità
sul flusso della spesa: e ciò non può avvenire chiamando a verifi
care la contabilità dell'ente locale, la cui spesa dev'essere coordi
nata con quella statale, delle province e dei comuni, soggetti esclusivamente designati dall'ente stesso. La confusione tra con
trollori e controllati non darebbe, certo, sufficienti garanzie d'o
biettività alle informazioni: queste devono risultare conformi a
verità, pena, diversamente, un errato coordinamento finanziario
da parte dello Stato. E neppure è possibile rimettere totalmente
alle regioni interessate la verifica in discussione, chiamando, ad
esempio, all'effettuazione della medesima soggetti designati uni
camente dalle stesse regioni. Non può disconoscersi, infatti, che
ogni regione, impegnata ad assicurare il miglior servizio nel pro
prio territorio, è titolare d'un interesse difficilmente conciliabile
con quello, generale, dello Stato e non può, pertanto, garantire
sufficientemente quest'ultimo nella realizzazione del suo interesse
all'informazione secondo verità in ordine al flusso delle spese sot
toposte al controllo regionale. D'altra parte vale osservare che
l'art. 13 1. n. 181 del 1982, assegnando alle regioni ulteriori com
piti ispettivi, e finanche sostitutivi, in relazione alle spese delle
Usi, fa sorgere anche nella regione un interesse alla verifica della
contabilità delle predette unità da parte d'un proprio designato
(donde si spiega l'obbligo della presenza di quest'ultimo sia nel
comitato di controllo sia nel collegio dei revisori) ma non fa ve
nir meno la necessità dello Stato d'avere anche un proprio rap
presentante nell'organo di controllo contabile delle Usi appunto
al fine dell'adempimento del suo obbligo di coordinamento di
tutta la finanza pubblica, compresa quella delle regioni.
Né può esser dimenticato che lo Stato deve essere informato
«tempestivamente» del flusso della spesa delle Usi, allo scopo
d'un adeguato, tempestivo intervento teso a provvedere al neces
sario coordinamento, come s'è già avvertito, anche preventivo.
Di queste esigenze l'art. 13 1. n. 181 del 1982, in tutte le sue
determinazioni (ivi compresa, l'inclusione d'un rappresentante dello
Stato nel collegio dei revisori) è puntuale attuazione. Il rappre
sentante dello Stato, oltre ad adempiere alle normali attività at
tribuite all'organo dei revisori (cosi garantendo il raggiungimento
delle finalità dell'organo stesso) assolve anche alla personale fun
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1483 PARTE PRIMA 1484
zione d'intermediario, di tempestivo informatore dello Stato: e
ciò già prima che a quest'ultimo giungano le burocratiche rela
zioni trimestrali dell'intero collegio sulla gestione amministrativo
contabile delle Usi.
È facile rilevare, infatti, che, con l'articolo in esame, lo Stato
(rispettando peraltro, in pieno, la riserva di legge ex art. 119, 1° comma, Cost.) ha, certamente, impegnato le regioni al con
trollo ispettivo e sostitutivo, al quale si è fatto più volte riferi
mento; ma non si è spogliato delle responsabilità e poteri di
ulteriori coordinamenti tra la propria finanza e quella delle regio
ni, delle province e dei comuni. Sicché, mentre ha attribuito par ticolari funzioni di controllo alle regioni in attuazione dei precitati
poteri di coordinamento, ha provveduto, attraverso l'inclusione
d'un suo rappresentante nel collegio dei revisori, anche a sceglie re il modo più adeguato per esercitare successivi, tempestivi inter
venti di coordinazione, legislativi ed amministrativi: ha, cioè,
garantito a sé la tempestiva conoscenza del reale andamento della
gestione finanziaria delle Usi, senza della quale conoscenza è ov
viamente impedita ogni sollecita, effettiva realizzazione dei preci tati costituzionali poteri di coordinamento in materia finanziaria.
In questo quadro si scorge agevolmente la necessità dell'inclu
sione d'un rappresentante del ministro per il tesoro sia nei comi
tati regionali di controllo sia nei collegi dei revisori dei conti delle
Usi, anche a prescindere dal complesso delle misure di conteni
mento della spesa pubblica delle stesse unità, adottate con l'art.
13 1. n. 181 del 1982.
10. - Certo, può anche assumersi che esistano altri modi, altre
misure per conseguire le predette finalità d'informazione e verifi
ca, ma l'esistenza di diverse misure, che ugualmente potrebbero
raggiungere gli stessi scopi, non esclude, peraltro, che «misure»
adeguate debbano essere adottate: e, in generale, sempre, ogni misura adottata può assumersi come «non necessaria», «non in
dispensabile», tenuto conto delle altre, alternativamente ipotizzate. Nella specie, non è accoglibile neppure la tesi secondo la quale
a garantire allo Stato la conoscenza del flusso della spesa delle
Usi sarebbe bastata la già citata relazione amministrativo-contabile,
che, trimestralmente, i revisori dei conti sono tenuti a trasmette
re, direttamente, alla regione ed ai ministeri della sanità e del
tesoro. Anzitutto, è indispensabile, allo scopo dell'effettiva rea
lizzazione dei poteri di cui al 1° comma dell'art. 119 Cost., che
10 Stato «immediatamente», ed in ogni caso «tempestivamente»,
venga a conoscenza dei movimenti di spesa delle Usi: ma, di più, a cosa servirebbe la cognizione dei predetti movimenti quando i medesimi fossero verificati da un collegio costituito esclusiva
mente da componenti designati dagli stessi enti soggetti alla veri
fica oppure dalle regioni, per se stesse, singolarmente, non
interessate al contenimento della spesa sanitaria nazionale ed alle
quali, singolarmente, non può, comunque, farsi carico del peso
dell'unitario, inscindibile interesse nazionale al coordinamento, fra l'altro, anche della finanza regionale con la finanza statale?
Né può assumersi che, prevista la presenza, nel collegio in di
scussione, del componente designato dal ministro per il tesoro, risulta superflua la già citata relazione trimestrale sui movimenti
amministrativo-contabili delle Usi: è agevole, invero, rilevare che, sia per la regione interessata sia per i ministeri della sanità e del
tesoro, è certamente necessaria anche la conoscenza del parere dell'intero collegio dei revisori sull'andamento del flusso della spesa delle Usi, sempre ai fini del controllo regionale e del coordina
mento statale.
11. - Va, a questo punto, notato che il collegio dei revisori
non è organo d'amministrazione attiva, e che, pertanto, l'inclu
sione, nel collegio stesso, d'un componente designato dal mini
stro per il tesoro certamente non incide sull'autonomia delle
decisioni delle Usi né sull'autonomia delle decisioni regionali: e
non può, comunque, esser taciuto che la maggioranza dei com
ponenti il collegio dei revisori in discussione (due su tre) è sempre detenuta dai rappresentanti degli enti locali e che l'art. 13 1. n.
181 del 1982 prevede, come si è più volte notato, anche la presen za, nello stesso collegio, di almeno un componente designato dal la regione, appunto ai fini del controllo attribuito alla regione stessa dal predetto articolo. In questo modo lo Stato ha legitti mamente composto esigenze unitarie con quelle dell'autonomia
degli enti locali. 12. - Dubbi sull'applicabilità dell'art. 119 Cost, anche alla re
gione Trentino-Alto Adige non possono esistere. Non è, infatti, fondato invocare l'art. 116 Cost., allo scopo di sottrarre la regio ne resistente dall'applicabilità del 1° comma dell'art. 119 Cost.
11 Foro Italiano — 1988.
Nell'art. 116 Cost, è, infatti, previsto che anche alla regione Trentino-Alto Adige sono attribuite forme e condizioni particola ri di autonomia, secondo il relativo statuto speciale. Non risulta,
tuttavia, che, in materia di coordinamento finanziario, siano sta
te emanate nei confronti della regione Trentino-Alto Adige nor
me derogatorie dell'art. 119 Cost.; né la difesa della regione indica
in quali delle norme dello statuto speciale sia stato risolto il pro blema del coordinamento dell'autonomia finanziaria della regio ne Trentino-Alto Adige, e degli enti locali operanti nel suo
territorio, con la finanza dello Stato.
Né, infine, rileva il fatto che alle Usi operanti nel territorio
del Trentino-Alto Adige (essendo, nello stesso territorio, i compi ti di vigilanza e tutela sugli enti locali di competenza delle giunte
provinciali) non si applichi la norma, posta dallo stesso art. 13
1. 26 aprile 1982 n. 181, che prevede l'integrazione d'un rappre sentante del ministro per il tesoro nel comitato regionale di con
trollo, di cui all'art. 55 1. 10 febbraio 1953. Il controllo «sugli atti» delle Usi, operato dai relativi comitati regionali, è certamen
te diverso dal controllo amministrativo-contabile sulla spesa, ef
fettuato dai revisori dei conti: non può, pertanto, dall'esclusione
d'un rappresentante del ministro per il tesoro dal comitato regio nale di controllo sugli atti delle Usi operanti nel territorio della
regione Trentino-Alto Adige (esclusione determinata dalle parti colari disposizioni, in materia di vigilanza e tutela sugli enti loca
li, dello statuto speciale della predetta regione) dedursi una non
necessaria inclusione d'un componente designato dal ministro per il tesoro nel collegio dei revisori dei conti delle Usi operanti nel
territorio della stessa regione. Potrebbe, invece, osservarsi che, a fortiori l'esclusione di un componente designato dal ministro
per il tesoro dal comitato regionale di controllo renda ancor più necessaria la presenza d'un componente designato dallo stesso mi
nistro nel collegio dei revisori: diversamente, mancherebbe ogni
mediazione, ogni collegamento tra lo Stato, titolare dei poteri d'indirizzo e coordinamento di cui si è sopra discusso, e le Usi.
13. - In conclusione, il 1° comma dell'art. 2 della delibera legis lativa regionale impugnata è costituzionalmente illegittimo, nella
parte in cui non prevede la presenza d'un componente designato dal ministro per il tesoro nel collegio dei revisori di cui al 2°
comma dell'art. 15 1. n. 833 del 1978 (come modificato dall'art.
13 1. n. 181 del 1982) perché viola una norma fondamentale della
riforma sanitaria nazionale ed insieme perché, impedendo che al
lo Stato giunga diretta, tempestiva informazione sul flusso della
spesa delle Usi, limita i poteri dello stesso nell'adempimento del
suo obbligo di coordinamento della finanza pubblica. Il predetto 10 comma dell'art. 2 della delibera legislativa impugnata non adem
pie, infatti, a due delle condizioni (rispetto delle norme fonda
mentali delle riforme economico-sociali della repubblica e dovere
di armonizzazione della potestà legislativa regionale con i princi
pi dell'ordinamento giuridico dello Stato) alle quali l'art. 4 dello
statuto della regione Trentino-Alto Adige subordina la legittimità della normativa regionale nelle materie di cui allo stesso art. 4
dello statuto speciale ora citato.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale del 1° comma dell'art. 2 della delibera legislativa,
riapprovata dal consiglio regionale del Trentino-Alto Adige in data
31 ottobre 1985 (norme concernenti i collegi dei revisori delle Usi) nella parte in cui non prevede l'inclusione nel collegio dei revisori
delle Usi operanti nel territorio della regione Trentino-Alto Adige d'un componente designato dal ministro per il tesoro.
II
Diritto. — 1. - Tutti i ricorsi, per conflitti di attribuzione, ben
ché prodotti da parti diverse e in tempi successivi, si riferiscono
tuttavia agli stessi decreti ministeriali e propongono identiche que
stioni, anche se taluna sotto profili diversi.
I giudizi possono, pertanto, essere riuniti per essere decisi con
unica sentenza.
2. -1 ricorsi stessi, poi, in relazione al loro oggetto, si suddivi
dono in due grandi gruppi, per certi aspetti strettamente connessi.
Un primo gruppo investe i decreti che hanno per oggetto le
strutture create in conseguenza della soppressione dei due enti,
Enpi e Ancc, nonché l'attribuzione ad esse di talune attività. Si
tratta di doglianze sollevate esclusivamente dalla regione Lom
bardia e dalla provincia autonoma di Bolzano.
Un secondo gruppo che, sempre in conseguenza della detta sop
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
pressione, investe invece i decreti che dispongono in tema di per
sonale, vuoi per determinare i contingenti che dovranno essere
assegnati alle nuove strutture oppure alle regioni o ai comuni, vuoi per disporre «comandi» o «assegnazioni provvisorie». A que sto gruppo appartengono anche i ricorsi della provincia autono
ma di Trento.
E poiché, ad eccezione dei ricorsi di quest'ultima provincia, le doglianze nei confronti dei decreti riguardanti il personale si
fondano anche sui vizi denunziati nei ricorsi contro i decreti con
cernenti le nuove strutture e le attività a queste conferite, è op
portuno trattare innanzitutto del primo gruppo. 3. - Esso è rappresentato dal ricorso n. 6/83 della provincia
autonoma di Bolzano, e dal ricorso n. 7/83 della regione Lom
bardia che investono i seguenti decreti interministeriali:
A) 23 dicembre 1982 concernente «istituzione dei dipartimenti
periferici per l'attività omologativa dell'Ispesl»;
B) 23 dicembre 1982 concernente «identificazione delle attività
omologative, già svolte dai soppressi Enpi e Ancc, di competenza
dell'Ispesl»;
Q 23 dicembre 1982 concernente «autorizzazione alle Usi ad
esercitare attività omologative di primo o nuovo impianto». La
regione Lombardia inoltre, con ricorso n. 6/84, impugnava altresì:
D) il decreto interministeriale 4 febbraio 1984 recante «modifi
cazione all'autorizzazione alle Usi ad esercitare attività omologa tive di primo o nuovo impianto, in nome e per conto dell'Ispesl»: un decreto, cioè che — come appare evidente dall'intitolazione — modificava quello elencato sub C).
3.1. - Per quanto si riferisce al decreto sub A) sostengono le
ricorrenti non esservi dubbio che le cosiddette attività di «omolo
gazione» sono riservate allo Stato dell'art. 6, lett. ri), 1. 833/78
(istituzione del servizio sanitario nazionale), ed è anche vero che
l'art. 2, 1° comma, d.l. 30 giugno 1982 n. 390 ha attribuito all'I
spesl le dette funzioni statali.
Ma — secondo le ricorrenti — il decreto interministeriale, er
roneamente interpretando la definizione del concetto di «omolo
gazione» data dal 2° comma del d.l. n. 390/82 ora citato, ne
estende indebitamente il contenuto fino a ricomprendervi opera zioni che si effettuano fuori dal luogo di produzione delle mac
chine o degli impianti: operazioni, cioè, che, lungi dal limitarsi
a verificare la corrispondenza di un determinato prototipo alle
caratteristiche stabilite dalla legge, o del prodotto al tipo omolo
gato (che costituisce l'autentica attività di omologazione), mirano
a controllare il corretto inserimento e funzionamento del singolo
prodotto omologato in un reale processo produttivo o in un par ticolare ambiente di lavoro o di vita. Ebbene, affermano le ricor
renti che queste ultime sono attività di collaudo, e non di
omologazione, come tali riservate alle Usi ex art. 11-14 e soprat tutto 20 1. 833/78, e perciò alle regioni o — nel territorio Trentino
Alto Adige — alle province autonome nel cui ambito le Usi in
discussione sono costituite ed operano e al cui controllo sono
sottoposte. Il decreto, pertanto, sarebbe invasivo della sfera di attribuzioni
della regione e della provincia autonoma ricorrenti.
La provincia di Bolzano, anzi, lamenta in particolare che l'at
tribuzione all'Ispesl di funzioni di collaudo viola anche l'art. 1
delle norme d'attuazione dello statuto Trentino-Alto Adige (d.p.r. 28 marzo 1975 n. 475) che ha trasferito alle province autonome
le attribuzioni che in materia di sanità erano prima esercitate dal
lo Stato e poi dalla regione Trentino-Alto Adige, segnatamente con riferimento alla prevenzione degli infortuni sul lavoro che
l'art. 1 delle norme d'attuazione integrative (d.p.r. 26 gennaio 1980 n. 197) espressamente ricomprende fra quelle funzioni. D'altra
parte — aggiunge la provincia — l'art. 80 1. 833/78 conferma
in modo esplicito le attribuzioni proprie delle province autono
me, con espresso riferimento, perciò, alla materia sanitaria.
Ma i ricorsi non sono fondati. Va detto fin da ora, anche per
l'applicazione alle doglianze che saranno prese in esame più in
nanzi, che effettivamente la distinzione fra le attività di omologa
zione, da una parte, e quelle di collaudo e verifica dall'altra, è
posta nettamente già nella legge istitutiva del servizio sanitario
nazionale (1. 833/78). Questa, infatti, prevede l'omologazione al
punto 18 dell'art. 24, mentre disciplina al punto 6 collaudi e veri
fiche periodiche. La stessa legge, poi, mentre riserva la prima allo Stato (art. 6, lett. ri), afferma con chiarezza, usando nell'art.
20 proprio le espressioni tecniche di cui s'è detto, che i compiti di prevenzione, attribuiti alle Usi nell'art. 14, sono realizzati me
li Foro Italiano — 1988.
diante «collaudi e verifiche» anche di impianti prodotti, installati
o utilizzati nel territorio delle Usi.
Orbene, la definizione normativa di «omologazione» di cui al
2° comma dell'art. 2 d.l. 30 giugno 1982 n. 390 (convertito, con
modificazioni che non riguardano il punto, nella 1. 12 agosto 1982
n. 597) è bensì' sostanzialmente quella sostenuta dalle ricorrenti, ma viene da questa trascurata un'importante sequenza della nor ma che esclude la risolutiva conclusione che ne è stata tratta.
È vero, infatti, che la legge riferisce il procedimento tecnico
amministrativo dell'omologazione alla verifica della rispondenza del tipo o del prototipo di un prodotto industriale a specifici re
quisiti tecnici prefissati ai fini prevenzionali dalla 1. 833/78: veri
fica che deve avvenire prima della riproduzione e della immissione
sul mercato. E da ciò è facile effettivamente arguire che si tratta
di operazioni che necessariamente devono avvenire sul luogo stes
so della produzione del tipo, e perciò prima che esso venga ripro dotto e il risultato della riproduzione immesso sul mercato.
Ma si trascura che la detta condizione («prima della riprodu zione e dell'immissione sul mercato») non riguarda il «primo o
nuovo impianto» che dall'inciso precedente è separato dalla di
sgiuntiva «ovvero». Beninteso, non si tratta di un'interpretazione
puramente letterale, ché anzi sono proprio quella logica e teleolo
gica a sostenere tale considerazione. Infatti, se per «impianto» deve intendersi, anche secondo il lessico letterario, un insieme
di strutture, apparecchi, attrezzature, congegni, ecc., collegati in
unico assemblaggio e concorrenti ad uno stesso scopo, sembra
evidente la ratio della disposizione. Il legislatore, cioè, si è preoc
cupato delle ipotesi più frequenti: quelle in cui la complessità
dell'impianto è tale da renderne indispensabile il montaggio sul
luogo stesso in cui dovrà poi essere utilizzato nel processo pro duttivo o in un particolare ambiente di vita o di lavoro.
Non può essere, quindi, essenziale, sul piano definitorio, la
distinzione fra attività che si svolgono nel luogo di produzione e attività che riguardano quello di utilizzazione: ciò che conta
è, invece, la sostanza dell'intervento che, nell'ipotesi dell'omolo
gazione, tende a verificare la conformità del tipo ai requisiti di
legge e quella del prodotto di serie al tipo, mentre nel caso del
collaudo è diretto ad accertare la rispondenza del singolo prodot to di serie alle finalità cui è destinato nello specifico ambiente
di lavoro o di vita, ovvero nel particolare processo produttivo nel quale viene inserito, ai fini della prevenzione infortuni e della
sicurezza del lavoro.
Se cosi è, è evidente allora — per tornare ai ricorsi in esame — che non può avere alcuna importanza che nella tabella, allega ta all'impugnato decreto, si faccia menzione di apparecchi ed im
pianti di sollevamento per persone e materiali, di apparecchi ed
impianti a pressione di vapore, ecc., che — ad avviso delle ricor
renti — sarebbero oggetto di attività di collaudo e di verifica
riservate alle Usi, giacché sugli stessi oggetti cade sicuramente, ed anzi preventivamente, anche l'attività di omologazione riser
vata allo Stato e, per esso, all'Ispesl. Ciò che importa è che le
due attività siano tenute ben distinte: e difatti la tabella si riferi
sce esclusivamente e chiaramente alle «attività omologative» che
vengono riconosciute di competenza dell'Ispesl. La sfera delle reciproche attribuzioni costituzionalmente garan
tite è, perciò, rispettata dal decreto.
3.2. - Il decreto interministeriale sub b) istituisce trentatré di
partimenti periferici dell'Ispesl in corrispondenza di altrettante
sedi dei due enti soppressi, fra i quali anche i dipartimenti di
Milano e Bolzano.
Insorgono le due ricorrenti sostenendo che la legge delegata istitutiva dell'Ispesl (d.p.r. 31 luglio 1980 n. 619) non aveva af
fatto previsto i dipartimenti: e ciò in perfetta coerenza con la
natura dell'istituto che, come risulta dall'art. 23 1. 833/78, dove
va avere esclusivamente compiti di ricerca, di studio, di proposta e di consulenza, ma non attività operativa. Si dolgono, pertanto, le ricorrenti che, mediante tale espediente, lo Stato si riprenda,
sotto nuovo nome, l'esercizio di quelle stesse mansioni che prima
esercitavano gli enti soppressi e alle quali, salvo quelle scientifi
che, lo Stato aveva rinunziato proprio con quella soppressione. Cosi facendo, però, si violerebbe il disposto degli art. 117 e
118 Cost., nonché, per quanto si riferisce alla provincia di Bolza
no, le norme di attuazione statutarie già citate sotto il numero
precedente. Ma anche questa doglianza è frutto di equivoco. Una volta
che lo Stato ha deciso di affidare ad un istituto superiore statale
(l'Ispesl è inquadrato nel ministero della sanità) la funzione di
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1487 PARTE PRIMA 1488
«omologazione» che dello Stato stesso è di pertinenza (combina to disposto dagli art. 6, lett. n, 1. 833/78 e art. 2, 1° comma, d.l. 390/82), non può essere negato il discrezionale potere dello Stato di articolare i suoi istituti nel modo che ritiene più adegua to al raggiungimento dei fini istituzionali e all'espletamento delle
funzioni ad essi conferite. Anche qui ciò che conta, nel contesto della doglianza mossa, è che i dipartimenti non oltrepassino quel le funzioni di omologazione che loro spettano e che, con la loro
istituzione, si rende più facile eseguire nei luoghi di produzione (dei prototipi e dei prodotti di serie) sorgenti nel territorio di cia scuno di essi.
E poiché il decreto impugnato si limita ad istituire i diparti menti, e non c'è il minimo elemento (se non la mera congettura) che s'intenda con ciò violare le attribuzioni di spettanza della
regione Lombardia e della provincia autonoma i ricorsi devono essere respinti.
3.3. - In ordine al decreto sub B), osservano le ricorrenti che le attività asseritamente omologative elencate dal decreto sono, in realtà, attività di prevenzione di piena e diretta competenza regionale e provinciale. Poiché i ricorsi rimandano in proposito a quanto esposto in relazione al decreto sub A), deve ritenersi che anche qui si arguisca il carattere, collaudativo anziché omo
logativo delle attività, dalla specie dei macchinari o degli impianti menzionati. Si è, però, già detto in quell'occasione che, potendo gli stessi impianti essere oggetto di ambo le attività, e non rile vando ai fini definitori il fatto che essi si trovino già installati in ambienti di lavoro o di vita anziché essere ancora nello stabili mento che li produce, è decisivo, agli effetti del sollevato conflit
to, che il decreto limiti la funzione che viene affidata alle Usi in nome e per conto dell'Ispesl, all'attività propria dello Stato, vale a dire a quella omologativa.
Soggiungono, però, in subordine le ricorrenti che, tuttavia, se fosse ritenuto dalla corte — come in realtà si ritiene — che le attività conferite alle Usi sono proprio quelle omologative perti nenti allo Stato, allora vi sarebbe quanto meno violazione del l'art. 118, 2° comma, Cost., perché si delegano alle Usi funzioni statali senza l'osservanza delle forme e delle procedure costituzio nali previste. Ma anche questa doglianza non è fondata, perché nella specie in realtà non c'è stata alcuna delega: si tratta soltan to dell'ipotesi in cui lo Stato si avvale di uffici dell'apparato re
gionale. Proprio l'art. 118, che si assume violato nel 2° comma, porta nell'ultimo un esempio di segno contrario alla tesi delle ricorrenti. Come questa corte ha già rilevato in passato, sarebbe, infatti, «assurdo ritenere che quanto può la regione disporrre nei confronti di enti pur forniti di autonomia, come le province e i comuni, non possa lo Stato nei confronti di essa» (sent. 1° marzo 1972, n. 35, Foro it., 1972, I, 1197).
C'è, però, infine, un'ulteriore doglianza, avanzata dalle ricor
renti, secondo cui il decreto avrebbe quanto meno violato l'auto nomia finanziaria della regione Lombardia e della provincia autonoma di Bolzano in relazione all'art. 119 Cost., avendo in cluso nel bilancio delle Usi le spese d'esercizio dell'attività che viene loro accollata in nome e per conto dell'Ispesl: e ciò anche in considerazione del fatto che l'art. 4 del decreto stesso fa obbli
go alle Usi di riversare nelle casse dell'erario quanto versato dagli utenti per tariffe d'esercizio. In tali condizioni — si sostiene —
dovevasi allora assicurare la corrispondente entrata. Nemmeno questo diverso profilo può essere accolto. Il finan
ziamento del servizio sanitario nazionale è disciplinato dagli art. 51 e 52 1. 833/78: ed alcuni criteri sono anche dettati da numero se disposizioni degli art. 53 (3° comma, lett. b, c, d,) 55 (2° comma in particolare), 56 (lett. a). Dal complesso di tale norma tiva risulta evidente che l'intero carico del servizio sanitario na
zionale, esercitato dalle Usi su tutto il territorio della repubblica, grava sul bilancio dello Stato che ne determina annualmente il fondo con la legge di approvazione del bilancio. Le somme cosi stanziate vengono poi ripartite, con delibera del Cipe, fra tutte le regioni, tenuto conto delle indicazioni dei piani sanitari nazio nali e regionali: e le regioni, a loro volta, provvedono a ripartire fra le Usi e a trasferire ad esse, la quota loro assegnata per il finanziamento delle spese correnti, riservandone un'aliquota, fi no al 5%, per interventi imprevisti. Sempre sullo Stato, pertanto, viene a gravare anche la spesa d'esercizio relativa alle funzioni che lo Stato stesso affida alle Usi in nome e per conto dell'Ispesl: e la legge ha già disciplinato l'ipotesi di un intervento imprevisto, per il quale si provvede mediante l'aliquota di riserva.
Il Foro Italiano — 1988.
4. - Il decreto interministeriale 4 febbraio 1984 è impugnato — come si è detto più sopra — soltanto dalla regione Lombardia con ricorso dell'aprile 1984 n. 6.
Si assume che il decreto avrebbe violato gli art. 117 e 118 Cost., anche in relazione agli art. 17, 27 e 32 d.p.r. 24 luglio 1977 n.
616, e agli art. 11, 14, 20, 22, 23 e 72 1. 833/78 nonché all'art. 2 d.l. 30 giugno 1982 n. 390, convertito nella 1. 2 agosto 1982
n. 597.
Secondo la regione, richiamate le censure già mosse con il pre cedente ricorso al decreto 23 dicembre 1982, il decreto ora impu gnato che lo modifica, sarebbe addirittura peggiorativo, in quanto dispone che sia di spettanza dell'Ispesl persino «il collaudo del
l'impianto di ascensori e montacarichi per il rilascio della licenza di esercizio e, per i generatori di calore, l'accertamento della con formità dell'impianto al progetto approvato» (art. 1 del decreto).
Inoltre, assume poi la regione che, pur dichiarandosi nell'art. 2 del decreto che le residue funzioni ivi elencate «restano di com
petenza delle Usi», in realtà non si tratterebbe di un tardivo rico
noscimento delle effettive attribuzioni proprie delle Usi, ma soltanto della conferma che queste funzioni restano affidate alle Usi in nome e per conto dell'Ispesl. Ciò si dovrebbe desumere — ad avviso della ricorrente — dalla natura di quest'ultimo de
creto, il quale, essendo modificativo del precedente, che aveva ad oggetto l'autorizzazione alle Usi ad esercitare le ricordate fun zioni in nome e per conto dell'Ispesl, avrebbe mantenuto fermo il carattere originario di quell'affidamento.
Va detto subito che, per quanto si riferisce a questo secondo
profilo concernente l'art. 2, l'interpretazione che la ricorrente ne dà non sembra attendibile.
Il decreto usa l'espressione dall'indubitabile significato tecnico «restano di competenza delle Usi»: e, d'altra parte, il precedente decreto non aveva affatto ricompreso le dette funzioni fra quelle che venivano affidate alle Usi in nome e per conto dell'Ispesl, perché, anzi, come si è già precisato nel numero che precede, quel decreto si è riferito esclusivamente ad attività di omologa zione. E, in realtà, proprio per il fatto che il decreto che qui si esamina ribadisce la competenza dell'Ispesl per le ispezioni straordinarie, usando ancora una volta la stessa espressione tec
nica, non è a dubitarsi che ispezioni ordinarie e verifiche periodi che siano riconosciute di propria ed esclusiva competenza delle Usi. In tal senso, comunque, ritiene la corte che l'art. 2 debba essere interpretato.
Più delicato è, invece, il profilo prospettato per l'art. 1 e, per qualche riguardo, anche quello concernente le ispezioni straordi narie previste nell'ultimo comma dell'art. 2.
Non può negarsi, infatti, che nel 1° comma il decreto consente
esplicitamente all'Ispesl di esercitare «il collaudo dell'impianto per il rilascio della licenza d'esercizio»: attività questa che, di
norma, è sicuramente riservata alla specifica competenza delle Usi come risulta — giusta quanto si è più sopra rilevato — dal com binato disposto degli art. 14, 3° comma, lett. f), e 20, 1° comma, lett. a), della legge fondamentale 23 dicembre 1978 n. 833. Ma altrettanto deve dirsi per quanto si riferisce a quell'«accertamen to della conformità dell'impianto al progetto approvato», di cui si parla nel 2° comma dell'art. 2 che, come ogni giudizio concer nente il rapporto intercorrente fra opera compiuta e progetto, sembrerebbe caratteristica attività di collaudo.
Senonché, si rende trasparente, a più attenta lettura, quale sia stato lo spirito che ha indotto i ministri autori del decreto a prov vedere in tal senso. Richiamando, per il 1° comma, quanto più sopra si è osservato a proposito degl'impianti, e trattandosi evi dentemente di omologazione che viene eseguita «negli uffici pub blici o privati» dove ascensori e montacarichi sono «installati», le operazioni descritte nel 2° e 3° comma 1. 1415/42 vengono virtualmente a coincidere. Per constatare, infatti, se l'ascensore o il montacarichi, già installato per l'uso, corrisponda al tipo d'impianto progettato in conformità alle regole di sicurezza pre fissate dalla legge, occorre necessariamente verificare il buon fun zionamento nella particolare situazione edilizia in cui è inserito e in relazione all'uso che ne viene fatto. Si che, in definitiva, per queste ipotesi particolari, il rilascio della licenza d'impianto comporta necessariamente anche quello della licenza d'esercizio, attesa la qualità delle verifiche che vengono contestualmente
eseguite.
Tuttavia, la corte intende sottolineare che si tratta di ipotesi limite, che non troverebbero legittimazione al di fuori delle preci
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
se condizioni indicate dal decreto, cosi come or ora sono state
messe in evidenza.
Quanto, poi, al caso del 2° comma, la simiglianza che sembra
mostrare con l'attività di collaudo è soltanto apparente. A ben
guardare, infatti, l'accertamento della conformità dell'impianto
al progetto approvato, significa in realtà accertamento della sua
rispondenza alle norme del d.m. 1° dicembre 1975, e perciò, in
definitiva, vera e propria attività di omologazione: e ciò perché
il progetto — come espressamente esige il dato testuale del decre
to — per essere approvato deve mostrare rispondenza a dette nor
me, che sono appunto le regole prefissate ai fini di sicurezza.
Restano le ispezioni straordinarie, di cui al 4° comma dell'art.
3 1. 24 ottobre 1942 n. 1415, che l'impugnato decreto dichiara
di voler mantenere alla competenza dell'Ispesl. In proposito, dev'essere subito allontanato un equivoco che sem
bra annidarsi negli assunti delle ricorrenti: equivoco che viene
particolarmente utilizzato proprio in tema di «ispezioni straordi
narie», le quali — si sostiene — «fuoriescono per definizione dal
le vere e proprie omologazioni, per rientrare invece nella
prevenzione, di piena competenza regionale» (ricorso n. 6 della
regione Lombardia).
Ora, che l'attività di omologazione differisca nettamente da quel
la di collaudo s'è già detto, e si tratta, perciò, volta per volta,
d'identificare l'una o l'altra tenendo conto delle definizioni nor
mative, ma è da escludere che la differenza passi sul piano della
prevenzione. Basta richiamare il disposto di cui al 2° comma dell'art. 2 d.l.
390/82 per convincersi che i requisiti tecnici prefissati, sui quali
dev'essere orientato il giudizio di conformità che contraddistin
gue l'omologazione, sono dettati proprio «ai fini prevenzionali».
Il che, del resto, si evinceva già dalla legge fondamentale (833/78),
particolarmente dalla generale ispirazione della delega contenuta
nell'art. 24.
D'altra parte, se le norme concernenti l'omologazione mirano
ad impedire che siano riprodotti, ed immessi nel mercato, esem
plari che non corrispondono a specifici requisiti tecnici prefissati,
è evidente che il legislatore mira con esse a «prevenire» l'insor
genza di situazioni di pericolo sui luoghi di lavoro e di vita, dove
i prodotti dovranno essere utilizzati.
Deve ritenersi, perciò, che ambo le attività, di omologazione
e di collaudo, rientrino nel campo della prevenzione. D'altra parte, è ancora una volta proprio la legge fondamenta
le (833/78) ad escludere che le ispezioni straordinarie rientrino,
assieme ai collaudi, fra le attività che l'art. 2 attribuisce alla pre
venzione affidata alle Usi. L'art. 2, infatti, allude genericamente
a «collaudi e verifiche»: ma là dove l'art. 24 instaura quella netta
distinzione fra attività di omologazione e attività di collaudo, di
cui già si è parlato, non può non rilevarsi che alla lett. b) del
n. 6, dove appunto si prevede la disciplina del collaudo, sono
insieme richiamate anche testualmente le «verifiche periodiche».
Sono, perciò, assimilate dalla legge all'attività di collaudo, e quindi
affidate alle Usi, soltanto quelle verifiche che, avendo carattere
periodico, rientrano fra le ordinarie ispezioni: mentre, per l'argu
mentum a contrario, deve ritenersi che le verifiche o ispezioni
non periodiche, e perciò straordinarie, restino di competenza del
l'Ispesl, come appunto dispone il decreto impugnato.
Del resto, tale è lo spirito stesso dell'art. 3 1. 24 ottobre 1942
n. 1415 che, mentre subordina il rinnovo della licenza di esercizio
all'esito favorevole delle ispezioni periodiche, cosi collegando queste
ultime al «collaudo» dell'impianto previsto nell'ultimo comma
dell'art. 2, rimette invece alla competenza del prefetto (e, perciò,
ad un organo statale) le ispezioni straordinarie, collegandole an
che alle «modificazioni dell'impianto» o ad importanti riparazio
ni degli organi di sollevamento o di sicurezza che abbiano messo
ascensore o montacarichi temporaneamente fuori servizio: vale
a dire a situazioni che incidono su quella conformità alle regole
prefissate di sicurezza che contraddistinguono l'attività di omolo
gazione, e quindi le attribuzioni dello Stato e, oggi, dell'Ispesl.
Per quanto, infine, si riferisce alle particolari motivazioni che
la provincia autonoma di Bolzano aggiunge in relazione alle nor
me dello statuto speciale e all'art. 80 1. 833/78, si rimanda a
quanto sarà subito detto nei numeri che seguono a proposito dei
ricorsi contro i decreti riguardanti il personale, dove le dette ar
gomentazioni vengono ampiamente utilizzate.
5. - Esaminando ora il secondo gruppo di ricorsi, rileva la cor
te che esso comprende — come si è detto — tutte le doglianze
concernenti i decreti ministeriali che dispongono circa il persona
li. Foro Italiano — 1988.
le già in servizio presso gli enti soppressi Enpi e Ance.
Si tratta: A) del decreto 23 dicembre 1982 che determina il
contingente del personale dei due enti soppressi da adeguare all'I
spesi e alle Usi. Decreto investito dal ricorso 26 febbraio 1983
n. 6/83 della provincia autonoma di Bolzano (già esaminato per
la parte concernente gli aspetti dell'altro gruppo), del ricorso 26
febbraio 1983 n. 5/83 della provincia autonoma di Trento, e dal
ricorso 25 febbraio 1983 n. 7/83 della regione Lombardia (anche
questo già esaminato per gli altri aspetti).
B) Del decreto 29 dicembre 1982 che assegna provvisoriamente
il personale degli enti soppressi alle Usi e all'Ispesl, investito dai
ricorsi sopra richiamati della provincia autonoma di Bolzano e
della regione Lombardia, nonché dal ricorso 26 febbraio 1983
n. 5/83 della provincia autonoma di Trento.
C) Del decreto 30 dicembre 1982 che assegna concretamente
in via provvisoria il personale di cui sopra ai nuovi enti Usi e
Ispesl, investito soltanto dal ricorso 26 febbraio 1983 n. 5/83 del
la provincia autonoma di Trento.
D) Del decreto 23 febbraio 1983 che modifica la determinazio
ne dei contingenti del personale cosi come fissata dal predetto
decreto di cui alla lettera A), investito soltanto dal ricorso 14
giugno 1983 n. 22/83 della provincia autonoma di Trento.
E) Del decreto 22 gennaio 1985 che determina definitivamente
i contingenti del personale suddetto, investito dal ricorso 4 aprile
1985 n. 16/85 della provincia autonoma di Bolzano, e dal ricorso
stessa data n. 17/85 della provincia autonoma di Trento.
F) Del decreto 28 dicembre 1985 che dispone il «comando»
del personale suddetto in relazione ai contingenti definitivi stabi
liti dal decreto che precede, investito soltanto dal ricorso 7 marzo
1986 n. 16/86 della provincia autonoma di Bolzano.
È opportuno prendere subito in esame il ricorso della regione
Lombardia che — come si è accennato — ha un profilo partico
lare. La regione ricorrente, infatti, fonda le sue doglianze sui vizi
messi in luce nella critica ai decreti del primo gruppo. Poiché — si sostiene — i due decreti impugnati determinano i contingen
ti e dispongono l'assegnazione provvisoria del personale sul pre
supposto che all'Ispesl competano funzioni che la regione ha
contestato, ne deriverebbe l'invasività e la conseguente invalidità
dei decreti che negano alla regione personale adeguato all'eserci
zio delle proprie attribuzioni.
Ma poiché la corte non ha ravvisato la sussistenza dei denun
ziati vizi, non può nemmeno essere accolto questo profilo stretta
mente collegato alla doglianza nei confronti del secondo gruppo
di decreti.
Quanto poi alla lamentata inosservanza, per l'assegnazione prov
visoria, delle procedure previste dall'art. 67 in relazione all'art.
72 1. 833/78, va rilevato che, in realtà, l'assegnazione provvisoria
disposta dal decreto impugnato non è quella disciplinata dal cita
to art. .67 che si riferisce al personale non «comandato», e che
peraltro viene assegnato ai ruoli unici istituiti presso la presiden
za del consiglio. Il decreto impugnato, invece, dispone l'assegna
zione provvisoria alle Usi e all'Ispesl di quel personale dei soppressi
enti che già presso i detti enti era stato in precedenza comandato,
e lo fa — come spiegato nelle premesse del decreto — in forza
del 4° comma dell'art. 1 d.l. 30 aprile 1981 n. 169 che, per le
esigenze delle gestioni di liquidazione degli enti soppressi, auto
rizza l'utilizzazione di personale nell'ambito dei contingenti asse
gnati alle Usi e all'Ispesl. Con questo chiarimento si risponde anche al rilievo secondo
cui si tratterebbe di un provvedimento anomalo rispetto all'asse
gnazione provvisoria disciplinata dall'art. 67 1. 833/78: mentre
chiaramente anomalo non è rispetto al d.l. sopra richiamato. Inol
tre risulta poi evidente la ragione per cui non è stato apposto
un limite all'assegnazione provvisoria in quanto — come il decre
to esplicitamente avverte — trattasi di provvedimento disposto
«in attesa dell'assegnazione definitiva».
Il ricorso della regione, pertanto, dev'essere respinto anche nella
parte in cui investe i due decreti che dispongono del personale
degli enti soppressi. 6. - I ricorsi delle due province autonome contro i decreti di
cui si va parlando possono essere esaminati tutti assieme perché
si fondano su di una serie di argomentazioni comuni: salvo il
particolare profilo sollevato dalla provincia di Bolzano in tema
di proporzionale etnica e di conoscenza linguistica, di cui sarà
detto alla fine.
Sostanzialmente le ragioni delle doglianze possono essere cosi
sintetizzate.
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1491 PARTE PRIMA 1492
Gli art. 4, n. 7, 9, n. 10, e 16, 1° comma, dello statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige (d.p.r. 31 agosto 1972 n. 670) attribui
scono alla regione e alle province autonome potestà legislativa in materia sanitaria; e l'art. 1 delle norme d'attuazione (d.p.r. 28 marzo 1975 n. 474) trasferisce alle province autonome le attri
buzioni che, nella detta materia appartenevano prima allo Stato
o alla regione Trentino-Alto Adige. L'art. 1, poi, delle norme
d'attuazione integrative (d.p.r. 26 gennaio 1980 n. 197) precisa
che, fra quelle attribuzioni, è compresa anche la prevenzione de
gli infortuni sul lavoro.
L'art. 72 1. 833/78 ha successivamente trasferito alle regioni
(e per il Trentino-Alto Adige, quindi, alle province limitatamente
al rispettivo territorio) le funzioni concernenti le attività di pre venzione già di competenza degli enti soppressi: mentre all'Ispesl non può avere trasferito altro che quelle di studio e di ricerca
in aderenza ai compiti che la delega legislativa prevedeva per l'i
stituzione di detto ente (art. 32). Ciò, del resto, è confermato
dall'art. 3 d.p.r. 31 luglio 1980 n. 619 che, istituendo l'istituto, ne determina in tal senso i compiti. Infine, l'art. 80 della stessa
1. 833/78 ribadisce, proprio nel contesto della materia sanitaria
e della riforma, le prerogative proprie delle province autonome.
D'altra parte, poiché, l'art. 8, n. 1, del citato statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige prevede per le province autonome una
primaria potestà normativa in tema di «ordinamento degli uffici
provinciali e del personale ad essi addetto», e l'art. 10 1. 22 luglio 1975 n. 382 (norme sull'ordinamento regionale) ha disposto l'in
tegrale trasferimento alle province autonome del personale peri ferico degli enti pubblici nazionali, con fini istituzionali anche
sanitari, che vengono a cessare, le due province hanno già assun
to i provvedimenti conseguenziali al riportato importante com
plesso normativo.
Infatti, esse hanno riservato a loro stesse i compiti prima eser
citati dai soppressi enti, istituendo a tal fine un apposito diretto
servizio provinciale: come dimostrano per Trento, la 1. prov. 6
dicembre 1980 n. 33 (art. 4, lett. c, e nn. 3 e 4, e l'art. 32), la 1. prov. 21 aprile 1981 n. 7, in relazione all'art. 67 1. 833/78, e infine la 1. prov. 29 agosto 1983 n. 29 (art. 3, 48, 49 e 50);
e, per Bolzano, la 1. prov. 2 gennaio 1981 n. 1 (art. 6, n. 3, lett. b).
Intanto, va premesso che la potestà normativa delle province autonome in materia sanitaria discende dall'art. 9, n. 10, dello
statuto speciale Trentino-Alto Adige che richiama i limiti di cui
all'art. 5: il che significa che si tratta di una potestà soltanto
concorrente su cui prevale quella primaria dello Stato. Né su ciò
influisce l'art. 8, n. 1, dello statuto stesso che, in materia di ordi
namento degli uffici provinciali e del relativo personale, attribui
sce effettivamente alle province autonome potestà normativa
primaria. Infatti, queste ultime non potrebbero aggirare l'attribu
zione primaria dello Stato in materia sanitaria attraverso provve dimenti che riguardano l'istituzione di uffici provinciali o il trasferimento di personale.
Da ciò deriva che, quando una legge statale (come quella 833/78) affida a nuovi enti che istituisce (le Usi per l'ambito regionale e per quello delle province autonome, e l'Ispesl per quello nazio
nale) le funzioni in materia sanitaria (e quindi di prevenzione e
sicurezza del lavoro) che prima venivano esercitate da enti perife rici statali, non vi potrà mai essere, sotto alcun riflesso, invasione
di attribuzioni delle province autonome, perché lo Stato si avvale della potestà normativa primaria (e conseguentemente di quella amministrativa di pari grado) che lo stesso statuto Trentino-Alto
Adige gli riconosce. Sotto questo riflesso, pertanto, non vale in
vocare il disposto di cui agli art. 1 e 10 d.p.r. 28 marzo 1975
n. 474 (norme di attuazione per il Trentino-Alto Adige), secondo
cui il personale in servizio presso le sedi periferiche degli enti
pubblici a carattere nazionale, che hanno tra i loro fini istituzio
nali anche compiti in materia di igiene e sanità (la prevenzione infortuni è stata espressamente aggiunta all'art. 1 del testo in esa
me dall'art. 1 d.p.r. 26 gennaio 1980 n. 197), addetto alle attività
che cessano, dev'essere trasferito alle province di Trento e di Bol
zano. Non vale, perché la disposizione si riferisce evidentemente ad enti i cui fini istituzionali prevedono marginalmente la materia
igiene e sanità, ma non a quelli in cui la detta materia sostanzia in modo esclusivo tutta la finalità dell'ente, e per i quali sono
operativi i limiti di cui al combinato disposto degli art. 9 e 5
dello statuto Trentino-Alto Adige. È ben vero, poi, che la 1. 833/78 (art. 32) aveva previsto per
l'Ispesl compiti di natura scientifica e di consulenza, e che in
tal senso l'art. 3 della legge-delegata (d.p.r. 31 luglio 1980 n.
Il Foro Italiano — 1988.
619) aveva provveduto ma si è già rilevato che, con legge succes
siva (d.l. 30 giugno 1982 n. 390, art. 2, conv. in 1. 12 agosto 1982 n. 597), lo Stato ha attribuito al nuovo istituto superiore,
organo di un suo ministero, funzioni sue proprie, come quella
dell'omologazione, esercitando un potere discrezionale.
Da siffatta decisione, che implicava anche la possibilità — co
me si è visto più sopra — di istituire dipartimenti periferici dell'i
stituto (art. 4 legge ora citata), discendeva necessariamente la
conseguenza di una ripartizione del personale degli enti soppressi in aderenza alla nuova situazione che veniva cosi a determinarsi.
Certo, l'art. 80 1. 833/78 mantiene effettivamente ferme le com
petenze spettanti alle province autonome di Trento e Bolzano se
condo le forme e le condizioni particolari di autonomia definite
dallo statuto Trentino-Alto Adige, cosi come ribadisce la validità
delle procedure di trasferimento del personale previste dalle nor
me statutarie. Ma si è già sottolineato che le competenze norma
tive in materia sanitaria sono concorrenti, e perciò le leggi
provinciali non possono sovrapporsi ad una legge dello Stato in
materia sanitaria, sostituendo un servizio diretto della provincia a quello che lo Stato ha ritenuto di attribuire alle Usi e all'Ispesl: e, quanto alle procedure, una volta escluso — come questa corte
ha più sopra escluso — che sieno applicabili alla specie norme
di attuazione previste per situazioni diverse (istituti cessati le cui
finalità non sieno esclusivamente quelle della materia sanitaria), anche la necessità dell'intesa con la provincia interessata non è
riferibile ad una materia dove lo Stato, avvalendosi della sua pri maria potestà normativa, ha minuziosamente disciplinato i tem
pi, i modi, e i criteri per il graduale afflusso del personale ai
ruoli regionali delle Usi e a quelli dell'Ispesl (art. 67 1. 833/78, richiamato dall'art. 72, 4° comma).
Nemmeno i ricorsi delle due province esaminati in questo nu
mero possono, pertanto, trovare accoglimento. 7. - Resta, però, il profilo particolare sollevato dalla provincia
autonoma di Bolzano circa l'asserita invasività dei decreti in esa
me rispetto alle attribuzioni provinciali in materia di proporzio nale etnica e di conoscenza della lingua tedesca.
Si deve, in proposito, riconoscere che l'eccezione dell'avvoca
tura dello Stato (secondo cui non vi sarebbe invasività perché il personale trasferito già prestava servizio nella provincia) non
può ritenersi decisiva. Infatti, con il trasferimento nei ruoli regio nali di personale di lingua italiana, che già prestasse servizio negli enti periferici soppressi, ancor prima della promulgazione delle
norme del 1976, ben potrebbe in ipotesi verificarsi in quei ruoli
alterazione dell'equilibrio etnico o violazione del principio relati
vo alla conoscenza della lingua tedesca. La regola della perpetua no per coloro che già prestavano servizio in loco al momento
dell'entrata in vigore della normativa sulla proporzionale etnica
vale evidentemente nell'ambito della stessa amministrazione, ma
non per l'ipotesi di passaggio dall'una all'altra amministrazione
che vanificherebbe, altrimenti, lo spirito delle disposizioni. Senonché questo particolare profilo non può tuttavia essere preso
in considerazione per assoluto difetto di motivazione sul punto, dato che la ricorrente non ha indicato se l'inconveniente si sia
effettivamente verificato in concreto, mostrando dove, e per qua li trasferimenti, sia stato alterato il principio dell'equilibrio etni
co o violato quello della conoscenza della lingua tedesca.
Quanto, infine, alla richiesta, avanzata subordinatamente dalle
province autonome, affinché la corte abbia a sollevare innanzi
a se stessa talune questioni di legittimità costituzionale qualora si ritenesse che la lamentata invasività dei decreti impugnati aves
se a discendere dalle leggi di cui rappresentano attuazione, non
c'è che da rimandare alle motivazioni fin qui adottate: da esse
appare chiaramente che la corte non ha ravvisato alcun elemento
di dubbio che possa riflettersi sulla legittimità costituzionale delle
norme di legge su cui si fondano i provvedimenti impugnati. Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, 1)
dichiara che spettano allo Stato le attività di omologazione già svolte dai soppressi enti Enpi e Ancc, anche quando, nel caso
degli impianti, esse avvengano nei luoghi dove dovranno essere
utilizzati; 2) dichiara che spetta allo Stato attribuire all'Ispesl le
funzioni di cui sopra, ed istituire dipartimenti periferici del detto
istituto superiore; 3) dichiara che spetta allo Stato avvalersi delle
Usi per autorizzarle ad esercitare alcune attività omologative in
nome e per conto dell'Ispesl; 4) dichiara che spettano allo Stato, e per esso all'Ispesl, le ispezioni straordinarie di cui al 4° comma
dell'art. 3 1. 24 ottobre 1942 n. 1415; 5) dichiara che spetta allo
Stato determinare provvisoriamente e definitivamente i contin
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
genti del personale già in servizio presso i soppressi Enpi ed Ance
da assegnare all'Ispesl e alle Usi in relazione alle funzioni e alle
sedi di cui sopra, cosi come spetta allo Stato provvedere ad asse
gnazioni provvisorie nell'ambito dei detti contingenti, e ad even
tuali comandi; respinge conseguentemente i ricorsi interposti dalla
regione Lombardia e dalle province autonome di Trento e Bolza
no avverso i decreti ministeriali ed interministeriali indicati in
epigrafe.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 13 apri le 1988, n. 2925; Pres. Brancaccio, Est. Taddeucci, P. M.
Caristo (conci, parz. diff.); Rosace e altri (Avv. P. Federico,
Muggia, C. M. Barone) c. Soc. Mauro; Soc. Mauro (Avv.
Panuccio, Pennestri) c. Rosace. Cassa Trib. Reggio Calabria
7 marzo 1985.
CORTE DI CASSAZIONE:
Impugnazioni civili in genere — Sentenza di primo grado provvi soriamente esecutiva — Riforma in appello con sentenza non
passata in giudicato — Effetti (Cod. proc. civ., art. 336, 337;
1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e
dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sin
dacale nei luoghi di lavoro a norme sul collocamento, art. 18).
Lavoro (rapporto) — Licenziamento — Sentenza pretorile di con
danna alla reintegra riformata in appello — Obbligazione retri
butiva del datore di lavoro nel periodo intermedio tra sentenza
di primo grado e sentenza d'appello di riforma (Cod. civ., art.
2126; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 18).
La sentenza d'appello che riforma la sentenza di primo grado
provvisoriamente esecutiva non travolge, prima del suo passag
gio in giudicato, gli atti di esecuzione spontanea o coatta posti
in essere anteriormente alla riforma, ma impedisce che sulla
base della sentenza di primo grado possa essere iniziata o pro
seguita l'esecuzione. (1)
L'art. 18 dello statuto dei lavoratori, nel prevedere l'obbligo del
datore di lavoro (inottemperante all'ordine di reintegrazione con
tenuto nella sentenza pretorile dichiarativa dell'illegittimità del
licenziamento) di corrispondere al lavoratore le retribuzioni do
vutegli in virtù del rapporto di lavoro, equipara alla effettiva
utilizzazione delle energie lavorative del predetto la mera utiliz
zabilità di esse, stante la situazione di fatto caratterizzata dalla
disponibilità del lavoratore, se richiesto, in dipendenza di quel
l'ordine, a riprendere servizio; ne consegue: a) che, una volta
rimosso quell'ordine con sentenza d'appello di riforma (anche
non passata in giudicato), dichiarativa della legittimità del li
cenziamento, le retribuzioni relative a frazioni di tempo ante
riori alla rimozione possono essere richieste, anche in separato
giudizio, in forza del principio di cui all'art. 2126 c.c.; b) che,
per la frazione di tempo successiva alla rimozione, nessuna re
tribuzione è più dovuta, non essendo ulteriormente operativa
la equiparazione sopra ricordata; c) che, una volta passata in
giudicato la sentenza d'appello di riforma, potrà darsi luogo
alla restituzione delle retribuzioni, eventualmente corrisposte,
relative a periodi di tempo successivi alla pronuncia d'appello,
ma non anche alla restituzione delle retribuzioni relative al pe
riodo intermedio tra la sentenza pretorile dichiarativa dell'ille
gittimità del licenziamento e la pronuncia d'appello di
riforma. (2)
(1-2) I. - Con la decisione in epigrafe le sezioni unite civili della Corte
di cassazione ritornano sulla tormentata problematica dell'art. 336, 2°
comma, c.p.c., ed in particolare sulle conseguenze della riforma con sen
tenza non passata in cosa giudicata della sentenza pretorile dichiarativa
della illegittimità del licenziamento.
A distanza di appena sei anni dal precedente intervento sulla materia
(Cass., sez. un., 15 marzo 1982, n. 1669, Foro it., 1982, I, 985, con
osservazioni di A. Proto Pisani; in Giur. it., 1982, I, 1, 853, con nota
di Minzioni; in Giust. civ., 1982, 1, 1825, con nota di Franchi; in Orient,
giur. lav., 1982, 1027, con nota di Rampazzi; in Riv. dir. civ., 1982,
Il Foro Italiano — 1988.
Svolgimento del processo. — Felice Rosace, dipendente della società
in nome collettivo Mauro Demetrio e figli di Reggio Calabria in qualità di guardia giurata veniva licenziato in tronco, con lettera raccomandata
del 6 luglio 1979, per abbandono ingiustificato del posto di lavoro.
In accoglimento di ricorso del Rosace il Pretore di Reggio Calabria, con sentenza del 23 gennaio 1980 dichiarava illegittimo il licen
ziamento ed ordinava alla società di reintegrare immediatamente
il ricorrente nel posto di lavoro e di corrispondergli, co
li, 250, con nota di Cerino Canova, e in Riv. dir. proc., 1982, 572, con nota di Garbagnati; v. anche le coeve Cass., sez. un., 10 maggio 1982, nn. 2872, 2873 e 2874, Foro it., 1982, I, 1482), le sezioni unite
ribaltano, nel suo nucleo centrale, la soluzione precedentemente raggiun ta dopo un lungo ed ampio dibattito.
Il mutamento di orientamento era stato preannunziato da Cass. 7 feb
braio 1987, n. 1332 (id., 1987, I, 746, con osservazioni di A. Proto Pisa
ni; in Giur. it., 1987, I, 1, 1566, con nota di Vaccarella; in Giust.
civ., 1987, I, 1075, con nota di Luiso; in Riv. dir. proc., 1987, 437, con nota di Garbagnati; in Riv. it. dir. lav., 1987, 833, con nota di
Luiso) e da alcune decisioni successive richiamate nella motivazione della
sentenza che si riporta. Rinviando alle molte note di richiami alle pronunce sul tema riportate
sul Foro italiano (cui adde gli scritti di Dell'Olio, F. Mazziotti, D'An
tona, Magrini e Sassani, in Giornale dir. lav., 1987 , 423, 491, 607,
615, 622) per l'indicazione degli estremi del dibattito suscitato in dottrina
e giurisprudenza da Cass., sez. un., 1669/82, seguendo lo stesso metodo
adottato in occasione della pubblicazione di quest'ultima decisione, sem
bra fare cosa utile per il lettore ripercorrere l'iter logico seguito oggi dalle
sezioni unite evidenziandone i passaggi più importanti. II. - Dopo avere riassunto i principi enunciati da Cass. 1669 del 1982
(e dalle coeve nn. 2872, 2873 e 2874), la sentenza in epigrafe tenta di
ridurre la sua portata innovativa, ponendo con accuratezza in evidenza
(v. in particolare il punto 6 della motivazione) come «gli enunciati conte
nuti della sentenza n. 1669 del 1982 . . ., che costituiscono base fonda
mentale dell'inquadramento sistematico dei dibattuti problemi, non sono
stati mai revocati in dubbio dalla successiva elaborazione giurispruden
ziale, né hanno suscitato significativi, persuasivi dissensi in sede dottrina
le»; e tra tali enunciati della sentenza 1669 del 1982, cui la decisione
ora in esame reputa di aderire esplicitamente si ricorda: «la soggezione
degli atti esecutivi compiuti in virtù di clausola di provvisoria esecuzione
alla regolamentazione degli effetti espansivi esterni della sentenza di ri
forma di cui all'art. 336, 2° comma, c.p.c.; l'ambito di riforma di que st'ultima norma, non limitato ai soli atti o provvedimenti di esecuzione
forzata in senso stretto, ma comprensivo altresì' di qualsiasi atto sponta
neo, diretto o indiretto, di adeguamento della realtà fattuale al dictum
esecutivo; e soprattutto la sterilizzazione della clausola di provvisoria ese
cuzione, ovvero l'esaurimento della esecutorietà del comando del giudice di primo grado (quale fenomeno anticipatorio di una qualità della senten
za che non può vivere di vita autonoma senza l'accertamento della situa
zione giuridica sostanziale cui inerisce) in ragione della immediata efficacia
nel tempo del nuovo, opposto, accertamento contenuto nella sentenza
di riforma, e cioè il c.d. effetto sostitutivo di essa».
Consenso ancora è espresso al metodo cui è ispirata la pronuncia n.
1669 del 1982, e cioè «la ricerca di un sistema bilanciato il quale, da
un lato, valorizzi immediatamente il nuovo accertamento racchiuso nella
sentenza d'appello, in quanto impeditiva che quello precedente e contra
stante dato dalla sentenza riformata possa continuare a produrre effetti
esecutivi ulteriori a disciplina della situazione sostanziale in atto successi
vamente alla riforma; e, per altro verso, non consenta che la sentenza
riformatrice, prima del suo passaggio in giudicato produca effetti restitu
tori o ripristinatori di segno contrario ed inverso rispetto a quelli traenti
titolo dalla prima pronuncia: giusta le previsioni di cui agli art. 336 e 337».
III. - Precisati i consensi col precedente orientamento delle sezioni uni
te, la sentenza in epigrafe enuncia poi (v. fine del punto 6) gli aspetti ulteriori «in ordine ai quali elaborazione dottrinale e pratica giudiziaria,
esperienza e scienza (valori vivi perché in continuo divenire il cui rispetto deve essere conciliato con quello della stabilità della funzione orientatrice
di questa corte) sollecitano un meditato riesame». Questi aspetti «si con
densano attorno o due punti cruciali di verifica: a) il primo relativo alla
configurabilità di una 'autonoma fattispecie sostanziale' nella ripristina zione del rapporto di lavoro a seguito della sentenza del pretore ed in
forza della sua esecutorietà; b) il secondo attinente alla separabilità e
valutabilità differenziata, dal complesso delle prestazioni continuative del
lavoratore e del datore di lavoro, costituenti il contenuto del rapporto di durata, di un'attività iniziale, a carattere istantaneo e con effetti per
manenti, di reinserimento (totale o parziale) del lavoratore licenziato nel
l'organizzazione dell'azienda».
Dopo di che, anticipando le conclusioni dell'analisi che si andrà a com
piere, immediatamente si osserva: «in ordine ad entrambi questi due pun ti l'approfondimento critico svolto dalle sentenze n. 1328 e 1332 del 1987
si palesa convincente e meritevole di conferma».
Sul problema riassunto sub a la sentenza svolge (al punto 7) un (non
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