sentenza 7 aprile 1988, n. 423 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 13 aprile 1988, n. 15); Pres.Saja, Est. Casavola; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Pret. Pinerolo 2 maggio 1987 (G.U., 1 as.s., n. 32 del 1987)Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 2513/2514-2515/2516Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181415 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
prima ordinanza di rimessione, onde, per le stesse considerazioni
svolte relativamente ad essa, la questione è inammissibile.
Quanto infine al rilievo, pur contenuto nella seconda ordinan
za, che sembra ravvisare altro autonomo profilo di illegittimità
costituzionale dell'art. 261 cit., in relazione a quanto dispone l'art.
264 t.u. cit. (che prevede uno speciale procedimento amministra
tivo per l'accertamento delle responsabilità) — a parte che il man
cato esperimento preventivo a tale procedimento non sembra di
ostacolo all'azione giudiziaria (art. 265 t.u. cit.) a carico degli
impiegati pubblici, per danni recati commessi con dolo o colpa
grave (art. 261 t.u. cit.) — non è assolutamente dato di stabilire,
in base alla prospettazione fattane, quale attinenza la questione
cosi prospettata possa avere ai fini della definizione del giudizio
a quo. 6. - Anche sotto gli altri aspetti richiamati nelle due ordinanze
prospettate le questioni sono inammissibili.
Sviluppando un argomento esposto anche nella prima ordinan
za, ai fini della non manifesta infondatezza, si sostiene nella se
conda che la questione sollevata sarebbe rilevante, ai fini della
definizione del giudizio a quo, «poiché non è possibile emettere
un giudizio affermativo o negativo di responsabilità dei convenu
ti amministratori senza valutare in contraddittorio quella — che
può anche essere concorrente e perciò dar luogo a solidarietà nel
la eventuale condanna — del dipendente cui era connesso il com
pito delle operazioni di accertamento ed emissione dei titoli che
dovevano dare luogo alla riscossione delle entrate» e ciò anche
ai fini della applicazione del potere riduttivo proprio dei giudizi di responsabilità dinanzi la Corte dei conti.
L'assunto non può essere condiviso, perché devesi pur sempre
considerare che se le fattispecie previste dall'art. 254 non sono
ascrivibili, sul terreno del diritto sostanziale, agli impiegati per
ché configurano come illecito generatore di responsabilità com
portamenti tipici degli amministratori, ciò non impedisce alla Corte
dei conti — indipendentemente dalla possibilità della chiamata
in giudizio allo stesso titolo (perché non prevista) degli impiegati — la cognizione in via incidentale di tutti gli altri eventi, ivi com
preso il comportamento degli impiegati, che possono condurre
eventualmente ed escludere o ad attenuare la responsabilità degli
amministratori, in ordine ai comportamenti che essi erano tenuti
a porre in essere. Né, come sembra affermarsi, la comune chia
mata in giudizio sarebbe indispensabile ai fini della affermazione
della solidarietà, perché se alcuni soggetti non sono tenuti, in
base al diritto sostanziale, a certi comportamenti, non si vede
in base a quale titolo possa parlarsi di solidarietà fra chi è chia
mato a rispondere e chi non lo è.
Neppure è condivisibile l'assunto secondo cui l'accertamento
dei comportamenti produttivi di danno, posti in essere dagli im
piegati e non assumibili nella fattispecie tipica ed esclusiva degli
amministratori, non potrebbe avvenire se non in contraddittorio
con i primi. Se si considera che, come si è detto, l'accertamento
di tali comportamenti è di natura incidentale — perché diretto
solo a definire l'entità della responsabilità degli amministratori,
nei termini in cui essa è tipicamente configurata dall'art. 254 t.u.
cit. — esso non è certamente precluso alla Corte dei conti che
all'uopo può avvalersi dei normali mezzi probatori a sua disposi
zione per l'accertamento dei fatti.
Né potrebbe seriamente sostenersi l'esigenza della chiamata in
causa degli impiegati ai fini di tale accertamento, per assicurare
loro il diritto di difesa. È difatti proprio il carattere incidentale
di tale accertamento ad escludere l'esigenza del contraddittorio
perché, nei confronti degli impiegati, la sentenza del giudice con
tabile non farebbe in ogni caso stato, in occasione dell'eventuale
accertamento delle loro responsabilità, per dolo o colpa grave
(art. 261 t.u. cit.), dinanzi al giudice ordinario (art. 265 cit.): essi sono terzi rispetto al giudizio svoltosi dinanzi al giudice con
tabile nei confronti degli amministratori, per comportamenti qua
litativamente diversi da quelli ascrivibili a titolo di responsabilità
a carico degli impiegati. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissibi
li le questioni di legittimità costituzionale degli art. 254 e 261,
quest'ultimo anche in relazione agli art. 254 e 264 t.u. com. e
prov. approvato con r.d. 3 marzo 1934 n. 383, sollevate dalla
Corte dei conti in riferimento agli art. 3, 24, 28, 54, 97 e 103
Cost, con le ordinanze indicate in epigrafe (reg. ord. nn. 502
del 1985 e 350 del 1987).
Il Foro Italiano — 1988.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 7 aprile 1988, n. 423 (Gaz
zetta ufficiale, la serie speciale, 13 aprile 1988, n. 15); Pres.
Saja, Est. Casavola; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Pret.
Pinerolo 2 maggio 1987 (G.U., la s.s., n. 32 del 1987).
Azione penale tra congiunti nei delitti contro la proprietà — Fatti
commessi in danno del coniuge non legalmente separato — Non
punibilità — Convivente «more uxorio» — Mancata previsione — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 3; cod.
pen., art. 649).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 649,
n. 1, c.p., nella parte in cui, statuendo la non punibilità dei
reati patrimoniali commessi in danno del coniuge non legal
mente separato, non prevede l'estensione della medesima disci
plina anche per i fatti commessi in danno del convivente more
uxorio, in riferimento agli art. 2 e 3 Cost. (1)
Diritto. — 1. - Il Pretore di Pinerolo, con ordinanza del 2
maggio 1987 (r.o. n. 319/87), solleva questione di legittimità co
stituzionale, in riferimento agli art. 2 e 3 Cost., dell'art. 649,
n. 1, c.p. « nella parte in cui non prevede la non punibilità di
chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dal titolo XIII del
codice penale in danno del convivente more uxorio.
2. - La questione non è fondata.
La non punibilità, prevista dalla norma impugnata, si fonda
sulla presunzione che, ove i coniugi non siano legalmente separa
ti, sussista una comunanza di interessi che assorbe il fatto delit
tuoso. Tant'è che nella ipotesi di separazione legale la punibilità
ricorre, sia pure a querela della persona offesa. Siffatto regime
palesa che il legislatore rimette alla volontà del coniuge legalmen
te separato l'applicazione della legge penale, laddove esclude che
questa possa intervenire in costanza della convivenza coniugale.
Fattispecie tutt'affatto diversa è quella della convivenza more
uxorio, per sua natura fondata sulla affectio quotidiana — libe
ramente e in ogni istante revocabile — di ciascuna delle parti.
Nel caso che ha dato origine alla presente questione di costitu
zionalità, le denuncia-querela della persona offesa, nonché la sot
trazione di mobili suppellettili ed elettrodomestici dall'abitazione
comune ad opera della convivente, che li ha trasportati in altro
alloggio ove si è stabilita con il figlio nato dal rapporto con il
(1) Pret. Pinerolo 2 maggio 1987 si legge in Giur. costit., 1987, II, 614.
In precedenza, nel senso della manifesta infondatezza di una analoga
questione di legittimità costituzionale, Cass. 8 maggio 1980, Salviato (Fo ro it., Rep. 1982, voce Azione penate tra congiunti nei delitti contro la
proprietà, n. 1, e Cass, pen., 1982, 730, con osservazioni critiche di F.
Uccella), per la quale la particolare esimente prevista dall'art. 649, n.
1, c.p. sarebbe radicata nello specifico status familiare riservato al coniu
ge non separato legalmente, onde non sarebbe ravvisabile alcuna dispari tà di trattamento rispetto alla diversa figura del convivente more uxorio.
La sentenza in epigrafe, che per vero sembra respingere l'eccezione di
costituzionalità soprattutto facendo leva sulla inesistenza — nel caso sot
toposto all'esame del giudice di merito — dello stesso presupposto di
fatto della convivenza fra querelante e persona offesa (per cui più che
una pronuncia di infondatezza sarebbe apparsa forse più plausibile una
pronuncia di inammissibilità della questione per difetto di rilevanza), si
inscrive nel solco di un orientamento negativo che la Corte costituzionale
ha espresso ormai da tempo sul punto della possibile equiparazione fra
famiglia di fatto e rapporto di coniugio ai fini della operatività di una
causa di non punibilità. In proposito, cfr., da ultimo, Corte cost. 18
novembre 1986, n. 237, Foro it., 1987, I, 2353 (con nota di richiami
bibliografici e giurisprudenziali cui si rinvia), che ha ritenuto infondata
la questione di legittimità costituzionale degli art. 307, 4° comma, e 384,
1° comma, c.p., nella parte in cui non prevedono che l'operatività dell'e
simente di cui all'art. 384 si estenda altresì al convivente more uxorio.
Sull'ambito di applicazione e sulla natura giuridica della particolare causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 649 c.p., cfr. D'Am
brosio, in Giur. sist. di dir. pen., a cura di F. Bricola e V. Zagrebel
sky, parte speciale, Torino, 1984, II, 1385 ss.
Va segnalato, peraltro, che fuori dallo specifico settore del diritto pena
le, la famiglia di fatto sembra invece essere al centro di un processo di cre
scente valorizzazione della sua rilevanza: in questa direzione, cfr. da ulti
mo, Corte cost. 7 aprile 1988, n. 404, che segue con nota di richiami di Piom
bo, che ha dichiarato illegittimo l'art. 61. 392/78 nella parte in cui non pre
vede la successione nel contratto di locazione del convivente more uxorio
del conduttore; cfr. anche Cass. 17 febbraio 1988, n. 1701, Foro it., 1988,
I, 2306, con nota di E. Calò, La giurisprudenza come scienza inesatta (in
tema di prestazioni lavorative in seno alla famiglia di fatto).
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2515 PARTE PRIMA 2516
querelante, sono atti concludenti che attestano la revocazione del
1' affect io e dunque il venir meno della convivenza more uxorio.
Non sembrano pertanto ravvisabili nella norma impugnata in
occasione del giudizio di cui all'ordinanza del Pretore di Pinerolo
profili di contrasto con i valori costituzionali contenuti negli art.
2 e 3 Cost.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale dell'art. 649, n. 1, c.p.,
sollevata dal Pretore di Pinerolo con ordinanza del 2 maggio 1987
(r. o. n. 319/87) in riferimento agli art. 2 e 3 Cost.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 7 aprile 1988, n. 404 (Gaz
zetta ufficiale, la serie speciale, 13 aprile 1988, n. 15); Pres. Saja, Est. Casavola; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Pret.
Rodi Garganico 21 dicembre 1981 (G.U. n. 185 del 1982); Pret.
Cecina 21 maggio 1982 (G.U. n. 39 del 1983); Trib. Firenze 6 ottobre 1982 (G.U. n. 253 del 1983); Pret. Sestri Ponente
30 gennaio 1984 (G.U. n. 259 del 1984).
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad abitazione —
Morte del conduttore — Successione nel contratto — Soggetti
aventi diritto — Convivente «more uxorio» — Omessa previ
sione — Incostituzionalità (Cost., art. 2, 3; 1. 27 luglio 1978
n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 6). Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad abitazione —
Separazione dei coniugi — Successione nel contratto — Sepa
razione di fatto — Omessa previsione — Incostituzionalità
(Cost., art. 2, 3; 1. 27 luglio 1978 n. 392, art. 6).
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad abitazione —
Separazione dei coniugi — Successione nel contratto — Cessa
zione della convivenza «more uxorio» — Esistenza di prole na
turale — Omessa previsione — Incostituzionalità (Cost., art.
2, 3; 1. 27 luglio 1978 n. 392, art. 6).
È illegittimo, per violazione degli art. 3 e 2 Cost., l'art. 6, 1°
comma, l. 27 luglio 1978 n. 392, nella parte in cui non prevede
tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in
caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio. (1)
È illegittimo, per violazione degli art. 3 e 2 Cost., l'art. 6, 3°
comma, I. 27 luglio 1978 n. 392, nella parte in cui non prevede
la successione nella locazione relativa alla casa coniugale nell'i
potesi di separazione di fatto, se tra il conduttore ed il suo
coniuge si sia cosi convenuto. (2) È illegittimo, per violazione degli art. 3 e 2 Cost., l'art. 6 I. 27
luglio 1978 n. 392, nella parte in cui non prevede la successione
nel contratto di locazione al conduttore che abbia cessato la
convivenza more uxorio, a favore del già convivente, quando vi sia prole naturale. (3)
(1-3) I. - L'ordinanza di rimessione Pret. Sestri Ponente 30 gennaio
1984, che aveva sollevato la questione di costituzionalità di cui alla prima
massima, è riassunta in Foro it., 1985, I, 1880, con nota di richiami, e riportata pér esteso in Giur. merito, 1984, 793, con nota di A. Figone; Giur. it., 1984, I, 2, 746, con nota di G. Ferrando; Rass. dir. civ.,
1984, 1165, con nota di M. Aicardi; Giusi, civ., 1985, I, 2096, con nota
di M. Dogliotti. Delle altre ordinanze di rimessione, Pret. Cecina 21
maggio 1982, che aveva sollevato la medesima questione dell'art. 6, 1°
comma, 1. 392/78 con riferimento al caso del coniuge unito al conduttore
da matrimonio religioso non trascritto, è riassunta in Foro it., 1983, I,
2932; Pret. Rodi Garganico 21 dicembre 1981, riguardante la questione di cui alla seconda massima, id., Rep. 1982, voce Locazione, n. 858 (e
può leggersi per esteso in Rass. equo canone, 1982, 218, con nota di
C. Montesanto); Trib. Firenze 6 ottobre 1982, relativa alla terza massi
ma della sentenza in epigrafe, in Foro it., 1984, I, 1758.
II. - La estensione del campo di applicazione della successione ex lege nella locazione abitativa a parte conductors, operata dalla Corte costitu
zionale con la sentenza 404/88, si rivela particolarmente importante per due differenti ragioni: in primo luogo perché, attribuendo al convivente
more uxorio il diritto a succedere nel contratto non soltanto nel caso
di morte del conduttore, ma anche qualora questi si sia allontanato dal
l'alloggio comune per effetto della cessazione della convivenza (purché vi sia prole naturale), allinea la legislazione italiana a quella dei paesi
li Foro Italiano — 1988.
Diritto. — 1. - Le quattro questioni, di cui alle ordinanze in
epigrafe, riguardano l'art. 6 1. 27 luglio 1978 n. 392 («disciplina
delle locazioni di immobili urbani») e vanno decise con unica
sentenza.
2. - L'articolo suindicato è sospettato: a) dal Pretore di Rodi
Garganico, con ordinanza del 21 dicembre 1981 (r. o. n. 116/82),
di violare il principio d'eguaglianza di cui all'art. 3 Cost, «nella
parte in cui non prevede la successione dell'altro coniuge al con
che maggiormente tutelano in situazioni analoghe la famiglia di fatto (per riferimenti comparatistici v., tra gli altri, G. Ferrando, nota a Pret.
Sestri Ponente 30 gennaio 1984, in Giur. it., 1984, I, 2, 745; E. Roppo,
Convivenza extramatrimoniale, tutela della famiglia di fatto e diritto al
l'abitazione, in Foro it., 1980, I, 1214; G. Oberto, La famiglia di fatto nel diritto comparato, in Giur. it., 1986, IV, 108, il quale segnala che
solo Islanda, Svezia e Danimarca garantiscono, in considerazione di de
terminate circostanze, come la presenza di figli minori, il subentro del
convivente nella locazione, qualora la convivenza venga a cessare).
La seconda delle ragioni per le quali la pronunzia si segnala, è che
essa si fonda non già sul rilievo che la mancata equiparazione della fami
glia di fatto a quella fondata sul matrimonio viola (oramai) il principio di uguaglianza, bensì sul riconoscimento del rango costituzionale del di
ritto all'abitazione, ovvero sul riconoscimento di un «diritto sociale all'a
bitazione collocabile fra i diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 Cost.».
Si fa cosi un significativo passo avanti rispetto alla precedente posizione
assunta dalla Corte costituzionale con la sentenza 252/83 (Foro it., 1983,
I, 2628, con osservazioni di D. Piombo), la quale — come ricorda nella
motivazione la pronunzia in epigrafe — aveva si riconosciuto che l'abita
zione costituisce «un bene primario il quale deve essere adeguatamente ♦ e concretamente tutelato dalla legge», ma aveva peraltro escluso che l'a
bitazione stessa potesse configurarsi «come l'indispensabile presupposto dei diritti inviolabili previsti dalla prima parte dell'art. 2 Cost.».
Si noti, tuttavia, che nella decisione che si riporta il diritto all'abitazio
ne non viene in discussione in assoluto, ma in relazione all'interesse alla
conservazione di un tetto «fino alla normale consumazione della durata
quadriennale del rapporto, come stabilita ex lege»: situazione ben diver
sa, dunque, da quella presa in considerazione dalla testé citata sentenza
252/83, dove il diritto ad una stabile abitazione era invocato per delegitti mare la pretesa del locatore di far cessare a suo piacimento la locazione
alla scadenza stabilita, e quindi in una prospettiva di superamento della durata quadriennale (minima) del rapporto prevista dall'art. 1
1. 392/78. Sotto il profilo dell'art. 3 Cost., appariscente è poi il contrasto con
il precedente orientamento della corte, che, prendendo in esame l'esclu
sione del convivente more uxorio dall'ambito dei successibili del condut
tore ai sensi degli art. 2 bis 1. 351/74 eli. 253/50 (cioè ai fini della
proroga del contratto), aveva ritenuto tali disposizioni non collidenti con
l'anzidetta norma costituzionale, limitandosi a considerare la diversa po
sizione del convivente more uxorio rispetto a quella del coniuge e degli altri soggetti tassativamente indicati dalle norme impugnate; v. in propo sito: Corte cost. 14 aprile 1980, n. 45, id., 1980, I, 1564, con osservazioni
critiche di A. Jannarelli, e le successive ordinanze 23 luglio 1980, n.
128, id., Rep. 1981, voce cit., n. 428, e 29 settembre 1983, n. 280, id.,
Rep. 1984, voce cit., n. 516. Peraltro, a giustificazione della diversa opi nione ora espressa, la Corte costituzionale, premesso che la «minore com
pressione» del diritto del locatore attuata dal superamento del regime vincolistico consente «una più penetrante indagine» sui fini perseguiti dal
legislatore attraverso la norma impugnata, osserva come — a differenza
dalle previgenti disposizioni dianzi citate — l'art. 6, 1° comma, 1. 392/78
dimostri, con la sua formulazione, l'intenzione del legislatore di «tutelare
non la famiglia nucleare, né quella parentale, ma la convivenza di un
aggregato esteso fino a comprendervi estranei ...», in attuazione di «quel dovere di solidarietà sociale, che ha per contenuto l'impedire che taluno
resti privo di abitazione». Ed è appunto il contrasto con tale ratio legis che rende irrazionale l'omissione del convivente more uxorio nell'elenca
zione dei successibili del conduttore.
Come dimostrano anche altre recenti o recentissime pronunzie di per sé irrilevante continua invece ad essere, per la Corte costituzionale, la
mancata equiparazione tra conviventi more uxorio e coniugi; v. sent. 18
novembre 1986, n. 237, id., 1987, I, 2353, con nota di richiami (a propo ■ sito dell'esimente di cui all'art. 384, 1° comma, c.p.); 7 aprile 1988, n.
423, che precede (sulla mancata estensione al convivente more uxorio del
la causa di non punibilità prevista dall'art. 649, n. 1, c.p. ). III. - In tema di successione nel contratto di locazione nel caso di morte
del conduttore, la Cassazione aveva finora escluso il diritto a succedere
del convivente more uxorio (a meno che fosse erede), sul presupposto della tassatività della elencazione dei successibili di cui al 1° comma del
l'art. 6 1. 392/78, v. Cass. 12 dicembre 1986, n. 7392, id., Rep. 1986, voce cit., n. 595 (che si riferisce ad un caso di matrimonio religioso tra
scritto tardivamente dopo la morte del conduttore), e Cass. 28 novembre
1983, n. 7133, id., 1984, I, 2277. In senso contrario, v., invece, Pret.
Milano 30 novembre 1983, ibid., 2278, con nota di richiami; e succes
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