sezione I civile; sentenza 18 giugno 1987, n. 5351; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Sensale, P.M.Sgroi V. (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Mari) c. Pinzari. Conferma Comm. trib.centrale 7 luglio 1983, n. 1888Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 193/194-197/198Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181035 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
reclamatali nei confronti del medesimo soggetto passivo) — la
richiesta di pagamento del secondo, contenuta in atto di costitu
zione in mora, non può valere ad interrompere il termine prescri ziona in ordine al primo credito (vedi, in fattispecie in parte
analoghe Cass. n. 272 del 1964, id., Rep. 1964, voce cit., n. 59
e Cass. n. 100 del 1970, id., Rep. 1970, voce cit., n. 71, nella
motivazione). (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 18 giugno
1987, n. 5351; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Sensale, P.M. Sgroi V. (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato
Mari) c. Pinzari. Conferma Comm. trib. centrale 7 luglio 1983,
n. 1888.
Ricchezza mobile (imposta sulla) — Reddito presunto da reim
piego di somme ricavate dalla vendita di immobile — Imposi zione — Inammissibilità (Cod. civ., art. 2727, 2729; d.p.r. 29
gennaio 1958 n. 645, t.u. sulle imposte dirette, art. 86).
L'esistenza di un capitale derivante da compravendita non con
sente di invocare la presunzione che le somme, una volta perce
pite, siano impiegate in modo fruttifero, poiché a tale risultato
si perverrebbe sulla base di una duplice presunzione per sé inam
missibile: la prima, che ogni somma di danaro, anche se riscos
sa a titolo di corrispettivo nei contratti di scambio, debba pre sumersi impiegata; la seconda, che, da tale impiego, debba pre sumersi la percezione di un reddito tassabile ex art. 86 t.u.
29 gennaio 1958 n. 645. (1)
Svolgimento del processo. — L'ufficio distrettuale delle impo
ste dirette di Roma notificò a Serafino Pinzari un avviso di ac
certamento e, in rettifica del reddito da questo dichiarato per l'anno 1968, vi incluse il reddito presunto, prodotto dal reinvesti
mento di somme ricavate dalla vendita d'immobili.
Soccombente dinanzi alla commissione tributaria di secondo
grado, il contribuente propose ricorso alla Commissione tributa
(1) 11 principio espresso nella sentenza in epigrafe (coeva a Cass. 23
aprile 1987, n. 3929, e 5 giugno 1987, n. 4918), risulta pressoché consoli
dato. Negli stessi termini e per identiche fattispecie, v. Cass., sez. un., 9 maggio 1985, n. 2871, Foro it., Rep. 1985, voce Ricchezza mobile, n. 38; 24 ottobre 1985, n. 5250, ibid., n. 39; Comm. trib. centrale 9
ottobre 1984, n. 8667, ibid., voce Complementare sul reddito (imposta), n. 13; Cass. 26 aprile 1979, n. 2412, id., Rep. 1979, voce Ricchezza mo
bile, n. 118; Comm. trib. centrale 18 dicembre 1975, n. 16370, id., Rep.
1976, voce Complementare sul reddito (imposta), n. 11. Negli stessi ter
mini e per analoghe fattispecie, cfr. Comm. trib. centrale 22 febbraio
1982, n. 1850, id., Rep. 1983, voce Ricchezza mobile, n. 132. Per un
orientamento in parte difforme, cfr. Cass. 17 febbraio 1986, n. 934, id.,
Rep. 1986, voce Complementare sul reddito (imposta) n. 18 (e in Dir.
e pratica trib., 1986, II, 795, con osservazioni di G. Gentili), secondo
cui la presuzione di impiego di capitali al livello minimo del deposito bancario non integrerebbe una praesumptio de praesumpto.
Analoghe considerazioni si registrano per altre fattispecie; per esempio l'esistenza del capitale, derivante da indennità di espropriazione, non è
stata ritenuta sufficiente (da Comm. trib. centrale 26 febbraio 1986, n.
1685, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 23) a legittimare un suo presunto
impiego fruttifero. Anche l'iscrizione in bilancio di un debito verso terzi
non giustifica la presunzione che esso produca interessi: cfr. sul punto Cass. 4 marzo 1985, n. 1814, ibid., voce Ricchezza mobile, n. 45, nonché
Cass. 11 dicembre 1978, n. 5827 (id., Rep. 1979, voce cit., n. 113) secon
do la quale sarebbe ammissibile l'utilizzazione di criteri presuntivi anche
quando disancorati dalle risultanze formali del titolo. Per un orientamen
to di segno opposto, rispetto alla sentenza in epigrafe, v. Comm. trib.
centrale 26 aprile 1985, n. 3801, id., Rep. 1985, voce cit., n. 52.
Quanto alle ipotesi in cui le società, rinunciando agli interessi, anticipi no ai soci il rimborso delle obbligazioni, la Cassazione (sent. 4 marzo
1985, n. 1814, id., Rep. 1986, voce cit., n. 9) ha escluso la presunzione dell'esistenza di un reddito. Sul punto e, in particolare sulla presunzione di finanziamento dei soci a società, v., in dottrina, T. Bajardi, Finanzia
menti dei soci e presunzioni di interessi, in Società, 1985, 1207; G. Lau
rini, Il trattamento fiscale delle delibere assembleari relative alle anticipa zioni dei soci in conto capitale: una soluzione per un vecchio problema in Banca, borsa, ecc., 1980, I, 365; T. Corrado, La presunzione di frut tuosità nei finanziamenti dei soci e suoi limiti, in Comm. trib. centr.,
1976, II, 1194.
Il Foro Italiano — 1988 — Parte 1-4.
ria centrale deducendo la erroneità della tesi secondo la quale i capitali, ricavati da trasferimenti immobiliari e non immediata
mente reinvestiti, producono redditi tassabili: tesi che, secondo
il contribuente, si basa su una doppia presunzione, la prima che
nessuno trattiene capitali liquidi, ma li reinveste; la seconda che,
operato il reinvestimento, questo sia sempre fruttuoso e produtti vo di reddito tassabile (primo motivo). Il contribuente si doleva,
inoltre, che fosse stata disattesa la documentazione relativa al
l'avvenuto acquisto d'immobili (secondo e terzo motivo), anche
sulla base di errati riferimenti temporali (quarto motivo). La Commissione tributaria centrale ha accolto il primo motivo
e dichiarato assorbiti gli altri, osservando che, anche a voler con
cedere che la prima presunzione possa trovare ingresso, su di essa
non se ne può fondare una seconda, cioè quella della fruttuosità
degli investimenti effettuati.
Contro tale decisione l'amministrazione delle finanze ha pro
posto ricorso per cassazione in base a due motivi. Il Pinzari non
ha svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione. — 1) Con il primo motivo la ricorrente
denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 133, in rela
zione all'art. 86 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, e degli art. 2727
e 2729 c.c., nonché il vizio di mancanza, insufficienza e contrad
dittorietà di motivazione su un punto decisivo della controversia;
denuncia, inoltre, la violazione dell'art. 26 d.p.r. 26 ottobre 1972
n. 636.
L'amministrazione sostiene che il riconoscimento della presun zione di futtuosità postula, quanto meno, la possibilità che il reim
piego sia, a sua volta, ricostruibile induttivamente e che, alla stre
gua degli art. 2727 e 2729 c.c., sia a tale scopo utilizzabile la
considerazione che, essendo il denaro fruttifero per sua natura,
debba ritenersene il reimpiego da parte di chi ne abbia la disponi
bilità, specialmente se si tratti, come nel caso concreto, di un
operatore commerciale professionale. La decisione impugnata sarebbe, per ciò, censurabile per viola
zione di legge, se avesse inteso affermare che dalle disposizioni tributarie derivi la impossibilità di accertare presuntivamente il
reimpiego; sarebbe, invece, incorsa in un eccesso dai limiti della
propria competenza per aver preteso di rinnovare un accertamen
to di mero fatto attinente a valutazione estimativa, e nel vizio
di difetto e contraddittorietà di motivazione, se se ne dovesse
ricostruire il significato come accertamento di fatto della isuffi
cienza di elementi a dar corpo ad una presunzione di reimpiego di capitali.
Con il secondo motivo la ricorrente denunzia la mancanza, in
sufficienza e contraddittorietà della motivazione su un punto de
cisivo e la violazione dell'art. 19 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636,
censurando la decisione impugnata per aver ritenuto esistenti con
creti elementi tali da giustificare il convincimento che il contri
buente, con il capitale ricavato, avesse acquistato immobili.
La Commissione tributaria centrale non avrebbe considerato
l'esistente «scoordinamento temporale» tra l'acquisizione delle di
sponibilità finanziarie e gli acquisti immobiliari; né avrebbe tenu
to conto della contraria affermazione, da parte del contribuente,
di aver estinto con il denaro ricavato dalle vendite, precedenti
passività; né infine, avrebbe avuto presenti la irregolarità della
documentazione prodotta e la non corrispondenza tra l'importo dei pretesi reimpieghi e quello delle disponibilità finanziarie.
Le supposte censure, che, per connessione, devono essere esa
minate congiuntamente, sono infondate, pur se la motivazione
della decisione impugnata richiede la precisazione di taluni prin
cipi che vi sono presupposti più che esplicitamente enunciati, o
che non vi sono correttamente affermati.
2) Tale decisione si fonda sulla considerazione che dal possesso di capitali liquidi non può trarsi, con carattere di necessarietà,
la presunzione dell'impiego di tali capitali (i quali potrebbero ri
cevere una diversa destinazione) e che, anche ammessa questa
presunzione, su di essa non può innestarsi l'altra, avente ad og
getto la fruttuosità degli investimenti effettuati.
Occorre, innanzi tutto, rilevare che la decisione impugnata ri
solve la controversia tributaria con un'affermazione di principio
non implicante accertamenti di fatto relativi a valutazione esti
mativa. Non possono, quindi, trovare ingresso le censure, in tal
senso formulate dall'amministrazione ricorrente nel primo (in parte)
e nel secondo motivo e peraltro già disatteso, in analoga formu
lazione, dalle sentenze delle sezioni unite 9 maggio 1985, n. 2871
e 24 ottobre 1985, n. 5250 (Foro it., Rep. 1985, voce Ricchezza
mobile, nn. 38, 39).
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PARTE PRIMA
Queste, in applicazione dei principi enunciati in via generale nella sentenza delle stesse sezioni unite 13 ottobre 1983, n. 5960
(id., Rep. 1983, voce Tributi in genere, n. 623), hanno escluso che dia luogo a questione di fatto relativa a valutazione estimati va lo stabilire se, nell'ipotesi di riscossione del prezzo di una com
pravendita immobiliare, sia possibile invocare la presunzione che un capitale effettivamente impiegato sia fruttifero (art. 86 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645); ed hanno rilevato che trattasi di questio ne avente ad oggetto non la mera individuazione della base impo nibile nei suoi elementi costitutivi, bensì il presupposto di appli cabilità della norma citata e, quindi, il modo di operare della
presunzione da essa posta: e, in definitiva, la tassabilità, o meno, di un reddito, a seconda che esso possa presumersi, oppure no, in base alla disciplina contenuta nell'art. 86 t.u. 645/58. In altri termini — si è detto — lo stabilire se, accertata la vendita di un immobile, debba senz'altro presumersi un reddito d'interessi tassabile ovvero se sia necessario, perché operi tale presunzione, che risulti anche il reinvestimento della somma incassata è que stione che tende alla individuazione della esatta portata della nor ma da applicare; e gli accertamenti di fatto, eventualmente neces
sari, non possono, per ciò, dare luogo a questioni di fatto relati ve a valutazione estimativa nel senso precisato dalla sentenza n. 5960/83.
Le censure formulate dall'amministrazione, in relazione al rea le contenuto della decisione impugnata, non possono, quindi, es sere esaminate che nella contraria affermazione di principio in esse contenuto nel senso che sullo «stesso ed unico» fatto noto
(la naturale fecondità del denaro) sarebbe possibile fondare, col medesimo e contestuale procedimento induttivo, una duplice pre sunzione, quella del reimpiego del capitale e quella del reddito che da tale reimpiego deriva. Cosi prospettate, le censure propo ste dall'amministrazione sono infondate.
3) Occupandosi della questione con le citate sentenze n. 2871 e 5250 del 1985, le sezioni unite, che peraltro erano state investite di una questione di giurisdizione sollevata sotto un diverso profi lo, ritennero che l'art. 86 t.u. 645/58 pone una presunzione che non ha ad oggetto la esistenza del titolo dell'impiego di capitale, ma il reddito che non risulti (o risulti in maniera inferiore a quel la effettiva) dal titolo stesso, di cui deve, invece, dimostrarsi l'ef fettiva esistenza. In tal modo, risultò confermato l'indirizzo già affermato da questa sezione (sent. 2412/79, id., Rep. 1979, voce
Ricchezza mobile, n. 118, e 2294/83, id., Rep. 1983, voce cit., n. 237) e costantemente applicato dalla commissione tributaria centrale secondo cui l'ipotesi di un reddito derivante da capitale, tassabile ai fini della imposta di ricchezza mobile, si verifica, a norma degli art. 81 e 86 del citato t.u., solo quando risulti, come
presupposto del reddito, l'impiego di un capitale ovvero quando sia stata accertata l'esistenza di crediti liquidi ed esigibili, consi derati produttivi d'interessi, poiché in tali casi sorge una presun zione iuris tantum di produttività del denaro, mentre nel caso di riscossione del prezzo di una compravendita immobiliare non è possibile invocare la presunzione che un capitale effettivamente
impiegato sia fruttifero, poiché si tratterebbe di rendere operante una duplice presunzione, come tale non consentita, e cioè che
ogni somma di denaro, anche se introitata a titolo di corrispetti vo nei contratti di scambio, debba presumersi impiegata in qual che modo e che da tale impiego debba, inoltre, presumersi la
percezione di un reddito.
Le sezioni unite osservarono, inoltre, che tale indirizzo non è in contrasto con la precedente sentenza delle stesse sezioni unite n. 5827/78 (id., Rep. 1979, voce cit., n.140; erroneamente invo cata dall'amministrazione a sostegno della propria tesi), poiché detta sentenza — nell'affermare che, ai sensi dell'art. 86, il ricor so dell'amministrazione finanziaria a criteri presuntivi disancora ti dalle risultanze del titolo è consentito non soltanto per la quan tificazione, ma anche per l'accertamento dei redditi stessi e quin di dei cespiti che li producono — non ha inteso stabilire la possi bilità di ricorrere ad una doppia presunzione avente ad oggetto sia il titolo (cioè l'atto da cui risulta l'impiego di capitale) che il cespite (la somma reimpiegata) ed il reddito (gli interessi ricava ti dall'impiego), ma ha ritenuto che può presumersi non già il titolo (di cui, anzi, presuppone accertata l'esistenza), sibbene l'e sistenza di una somma impiegata, correlata a quel titolo, e del reddito da essa prodotto; ed ha quindi interpretato ed applicato l'art. 86 conformemente a quanto risulta dalle successive decisio ni della prima sezione dell'indirizzo confermato dalle sezioni uni te. Queste conclusero, quindi, che non è sufficiente la riscossione
Il Foro Italiano — 1988.
di una somma di denaro dalla vendita d'immobili per doverne
trarre la conseguenza dell'impiego di essa, senza svuotare di con tenuto l'art. 86, che distingue la provata esistenza di un titolo
dalla presunzione di un reddito, e senza incorrere nella violazione
dell'art. 2729 c.c., a norma del quale le presunzioni semplici non
possono ammettersi se non siano gravi, precise e concordanti.
4) Più recentemente questa sezione, con la sentenza n. 934 del 17 febbraio 1986 (id., Rep. 1986, voce cit., n. 18), senza tuttavia
dare atto del precedente indirizzo confermato dalle sezioni unite, ha espresso il diverso principio, secondo cui deve considerarsi
consentito, in difetto di verosimile ipotesi contraria, presumere
l'impiego di capitali, almeno al livello minimo del deposito ban
cario, e quindi il percepimento dei relativi interessi, fondandolo sulle seguenti argomentazioni: a) in tema di prova per presunzio ne, non occorre che i fatti, su cui la presunzione si fonda, siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come l'unica con
seguenza possibile dei fatti accertati in giudizio secondo un lega me di necessarietà assoluta ed esclusiva, bastando che l'operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di probabilità;
b) la fruttuosità dell'impiego del denaro non rappresenta, rispet to alla presunzione dell'impiego stesso, un'ulteriore ed autonoma inferenza presuntiva, costituendo, alla luce del principio della na turale fecondità del denaro, di cui all'art. 1282 c.c., un momento
dell'unica presunzione di reimpiego. Tale decisione offre lo spunto per talune precisazioni dell'indi
rizzo precedente, che deve, tuttavia, confermarsi con riguardo al la tesi qui sostenuta dall'amministrazione finanziaria, secondo la
quale sarebbe sufficiente, in base all'art. 86 t.u. 645/58, il pos sesso di capitali da parte del contribuente per esonerarla dall'ac
certamento del titolo del reimpiego (1° comma della norma cita
ta) e di avvalersi della presunzione di reddito, secondo il titolo
accertato (art. 86, cpv.). È proprio dal contenuto della norma tributaria (sulla quale la
decisione n. 934/86 non sembra essersi sufficientemente soffer
mata) che occorre prendere le mosse per dedurne quali siano i
poteri dell'amministrazione nell'accertamento dei redditi derivan
ti dal possesso di capitali, nonché gli oneri di prova a suo carico e quelli a carico del contribuente.
Tale norma cosi dispone: i redditi di capitali dati a mutuo o altrimenti impiegati in modo che ne derivi un reddito in somma definita e le rendite perpetue sono valutati nella misura risultante dai relativi titoli e senza alcuna detrazione (1° comma). Si può accertare l'esistenza del reddito e valutarlo anche se dal titolo non appare stipulato alcun interesse ovvero appare indicato un interesse in misura inferiore a quella effettiva.
Il riferimento alla (effettiva) dazione a mutuo o ad un altro
(effettivo) impiego di capitali, in una alla menzione della rendita
perpetua (cioè ad una ipotesi contrattuale tipica e definitiva e la previsione della valutazione dei conseguenti redditi nella misu ra risultante dai relativi titoli, lasciano chiaramente intendere che la norma abbia attribuito all'amministrazione il potere — e im
posto il dovere — di accertare, quando non sia indicato dal con
tribuente, lo specifico titolo del reimpiego. Ciò, tradotto sul pia no probatorio, vuol dire avere consentito all'amministrazione me desima di fornire la prova, ad essa incombente, con i normali mezzi consentiti dall'ordinamento e, quindi, anche in base a pre sunzioni, nella disciplina e nel modo di operare di questo mezzo di prova secondo le norme di diritto comune contenute nel codice civile. Peraltro, il risultato della utilizzazione dei mezzi di prova consentiti deve consistere nella individuazione, in relazione alla
fattispecie concreta, di un titolo non già ipotetico o meramente
possibile, ma accertato nella sua specificità; e, solo quando dal l'amministrazione sia stato dimostrato il fatto costitutivo della
pretesa tributaria, il contribuente può e deve, a sua volta, conte starlo oppure opporre e dimostrare i fatti modificativi o estintivi della pretesa medesima.
È vero che, secondo la disciplina comune nella interpretazione che questa corte ne ha dato (v. sent. 21 maggio 1984, n. 3109, id., Rep. 1984, voce Prescrizione e decadenza, n. 2), ai fini della
prova per presunzioni, utilizzabili anche nell'ambito del 1° com ma dell'art. 86 t.u. 645/58, è sufficiente che l'inferenza dal fatto noto al fatto ignoto sia effettuata alla stregua di un canone di
probabilità e che il convincimento del giudice può fondarsi anche su una sola presunzione. Occorre, però, che questa sia grave e
precisa, e che il grado di probabilità del fatto ignoto indotto dal fatto noto si ponga con carattere di prevalenza rispetto agli altri
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
fatti ignoti che sulla base di esso possono ritenersi in astratto
esistenti, poiché, se cosi non fosse, si attribuirebbe al giudice il
potere di scegliere una qualsiasi tra le varie ipotesi possibili e
si valorizzerebbe una sorta di libero convincimento estraneo al
processo civile. Inoltre, la gravità e precisione dell'unica possibile
presunzione deve essere valutata in relazione alla fattispecie con
creta, poiché lo stesso fatto in un caso può essere sufficiente al
fine di fondarvi una presunzione e in un altro caso può non es
serlo e, conseguentemente, mal si presta ad una valutazione uni
forme per tutte le diverse ipotesi concrete nelle quali viene in
rilievo e deve essere apprezzato. Solo se sia identificato il titolo di reimpiego con i rilevati con
notati di specificità, secondo la previsione del 1° comma dell'art.
86, torna dunque applicabile la norma contenuta nel 2° comma, che postula la esistenza di un «titolo» e consente all'amministra
zione finanziaria di presumere (in tal senso è pacificamente tra
dotta l'espressione «si può accertare» contenuta nel 2° comma) l'esistenza del reddito non risultante dal titolo e la misura even
tualmente diversa da quella risultante dal titolo stesso. Si tratta
di una presunzione, consentita dalla norma tributaria per il solo
fatto dell'accertata esistenza del titolo: che si fonda, appunto, esclusivamente su tale esistenza e non (anche o invece) sul diverso
fatto noto che può fornire presuntivamente la prova del titolo
stesso.
Non sembra, quindi, potersi ritenere che la presunzione posta dal 2° comma costituisca un momento di un'unica presunzione, sia perché il titolo è oggetto della presunzione, utilizzabile come
qualsiasi altro mezzo di prova da parte dell'amministrazione per
acquisire la certezza della sua esistenza, il reddito è invece l'og
getto della presunzione posta dalla norma tributaria; sia perché la seconda opera in un momento logicamente e cronologicamente
successivo, postulando il positivo esaurimento dell'accertamento
del titolo; sia, infine, perché, a differenza della prima presunzio ne che può fondarsi su qualsiasi fatto noto (compreso il possesso del denaro, quando, secondo le circostanze del caso concreto,
consenta, come nella particolare ipotesi esaminata dalla sentenza
n. 934/86, la inferenza del fatto ignoto-reimpiego, con un grado di maggiore probabilità rispetto ad altre, parimenti possibili in
astratto, utilizzazioni del denaro), la seconda si fonda su un uni
co ed esclusivo fatto noto, perché accertato in concreto, che è
il titolo del reimpiego. La naturale fruttuosità del denaro consente, cioè, di presumere
che il denaro dato a mutuo o altrimenti impiegato e il capitale ceduto in rendita perpetua siano produttivi di reddito, ma postu la la esistenza di un titolo di reimpiego, che l'amministrazione
finanziaria deve innanzi tutto accertare e che costituisce — si ri
pete — l'unico fatto noto possibile su cui può fondarsi la presun zione di reddito.
Tale conclusione è, del resto, conforme alla previsione dell'art.
1282, 1° comma, c.c., il quale, salvo che la legge o il titolo stabi
liscano diversamente, collega la produzione d'interessi ai crediti
liquidi ed esigibili di somme di denaro, presupponendo, quindi, l'esistenza di un titolo costitutivo del diritto di credito, coerente
mente con l'epigrafe dell'articolo che ne enunzia il contenuto («in teressi sulle obbligazioni pecuniarie»),
5) Questa corte ritiene, dunque, di doversi uniformare all'indi
rizzo già affermato nella precedente giurisprudenza della prima sezione e confermato dalle sezioni unite, con le precisazioni che
precedono e che possono ritenersi già implicitamente contenute
in quella giurisprudenza, di cui ciò che si è in questa sede osser
vato costituisce l'ulteriore sviluppo; e, in particolare, con il rilie
vo che l'accertamento del titolo del reimpiego da parte dell'am
ministrazione finanziaria può essere compiuto attraverso qualsia si mezzo di prova e quindi anche mediante presunzioni, nel senso
sopra precisato.
Ritiene, inoltre, che nel senso medesimo va corretta la motiva
zione della decisione impugnata, giudicandone tuttavia conforme
al diritto in dispositivo in relazione alle censure in questa sede
formulate dall'amministrazione per sostenere che il possesso di
somme di denaro giustifica, in via di principio, la presunzione della percezione di un reddito, anche quando non sia accertato
lo specifico titolo del riempiego.
6) Pertanto, il ricorso, nei termini in cui è stato proposto, deve
essere rigettato.
Il Foro Italiano — 1988.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 6 giugno
1987, n. 4943; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Graziadei, P.M. Marinelli (conci, conf.); Basili ed altri. Regolamento di competenza d'ufficio.
Tributi in genere — Commissioni tributarie — Regolamento di
competenza d'ufficio — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art.
45; d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, revisione della disciplina del
contenzioso tributario, art. 39). Tributi in genere — Commissioni tributarie — Competenza terri
toriale — Ubicazione dell'ufficio finanziario (D.p.r. 26 ottobre
1972 n. 636, art. 2, 16).
L'istituto disciplinato dall'art. 45 c.p.c. trova applicazione anche
nel contenzioso tributario per dirimere i conflitti sulla riparti
zione di attribuzioni fra le commissioni tributarie di primo
grado. (1) Nel contenzioso tributario la competenza territoriale è soggetta
al criterio di collegamento dell'ubicazione dell'ufficio che ha
adottato il provvedimento impugnato, indipendentemente dal
domicilio fiscale dell'istante. (2)
Svolgimento del processo. — La commissione tributaria di pri mo grado di Ascoli Piceno, con pronuncia del 12 ottobre 1983, dichiarava la propria incompetenza per territorio a conoscere del
ricorso, in tema di Ilor per l'anno 1980, proposto da Franco Ba
sili, Gino Ballatori ed Agostino Onofri Bianchini, in qualità di
soci della s.n.c. ditta «Badibi» di Franco Basili & C.
La commissione tributaria di primo grado di Fermo, davanti
alla quale la controversia veniva riassunta, ritenendosi a sua vol
ta incompetente, con ordinanza del 2 aprile 1986 richiedeva il
regolamento d'ufficio, ai sensi dell'art. 45 c.p.c. Il ricorso della contribuente, rilevava detta commissione di Fer
mo, configurava impugnazione del «silenzio-rifiuto» opposto dal
l'intendenza di finanza di Ascoli Piceno su istanza di rimborso
afferente il predetto tributo, e, pertanto, ai sensi dell'art. 2, 2°
comma, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, la competenza territoriale
doveva essere determinata in base alla sede di detto ufficio.
Le parti non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione. — La richiesta di ufficio di regolamen to di competenza è ammissibile e fondata, come sostenuto dal
procuratore generale con le proprie conclusioni scritte.
Quanto all'ammissibilità, si osserva, in adesione al principio
enunciato dalle sezioni unite di questa corte con la sentenza n.
210 del 16 gennaio 1986 (Foro it., 1986, I, 1342) (in sede di oppo
sizione del contrasto insorto nei pregressi orientamenti delle se
zioni semplici), che l'istituto disciplinato dall'art. 45 c.p.c. trova
applicazione anche nel contenzioso tributario per dirimere i con
flitti sulla ripartizione di attribuzioni fra le commissioni di prima
istanza. Tale ripartizione, infatti, è regolata da criteri per territo
rio inderogabili e il rinvio alle norme del libro di primo del codi
ce di rito, in quanto compatibili, contenuto nell'art. 39 d.p.r.
26 ottobre 1972 n. 636, deve comprendere il citato art. 45, poten
dosi presentare, come nella specie si è presentata, la situazione
in esso contemplata (declinatoria di competenza da parte del giu
dice originariamente adito, translatio iudicii davanti al giudice
indicato come competente, esercizio da parte di quest'ultimo del
potere di rilevare d'ufficio il proprio difetto di competenza). Sul fondamento della richiesta, si osserva che l'art. 2, 2° com
ma, del predetto d.p.r. n. 636 del 1972 (nel testo fissato dall'art.
10 d.p.r. 28 novembre 1980 n. 787) devolve la decisione sul ricor
so del contribuente alla commissione del «luogo ove ha sede l'uf
ficio finanziario nei cui confronti il ricorso medesimo è propo
sto»; nel caso poi in cui esso venga avanzato contro uno dei «centri
di servizio» (istituiti con l'art. 8 1. 24 aprile 1980 n. 146), stabili sce che la competenza è della commissione «nella cui circoscrizio
ne è l'ufficio delle imposte di cui all'art. 31, 2° comma, d.p.r.
(1-2) In termini, v. Cass., sez. un., 16 gennaio 1986, n. 210, Foro it.,
1986, I, 1342, con nota di G. Albenzio, cui adde, in dottrina, Cipriani,
«Transatto iudicii» e regolamento di competenza nel processo tributario,
in Giur. it., 1986, I, 1, 999; R. Rossi, Sull'applicabilità del regolamento di competenza ai processi avanti le commissioni tributarie, in Giusi, civ.,
1986, I, 1361; P. Russo, Brevi considerazioni in tema di ammissibilità
del regolamento di competenza in seno al processo tributario e di indivi
duazione dell'oggetto di quest'ultimo, in Rass. trib., 1986, II, 391.
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