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sezione I civile; sentenza 2 marzo 1988, n. 2196; Pres. Scanzano, Est. Favara, P.M. Di Renzo(concl. conf.); Cassa di risparmio delle province lombarde (Avv. Guidi, Vitale, Irti), c. Fall.Bristot (Avv. Casella, Abis). Conferma App. Cagliari 5 giugno 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 2289/2290-2295/2296Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181376 .
Accessed: 28/06/2014 08:52
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
re che la natura di detti danni è ben individuata sia dall'art. 1483 che dall'art. 1479 c.c. (restituzione del prezzo; rimborso della spesa e dei pagamenti legalmente fatti per il contratto; rimborso delle
spese necessarie e utili fatte per la cosa, rimborso delle spese so stenute per la denunzia della lite e di quelle che l'evitto abbia dovuto rimborsare all'attore) e che la prova dei medesimi era stata espressamente offerta con l'atto di chiamata in causa —
le cui richieste e conclusioni erano state ex professo riproposte c/o richiamate in sede di gravame — sollecitando l'ammissione di una consulenza tecnica volta a determinare, al fine della quan tificazione del danno risarcibile, il valore attuale dell'immobile, tenuto conto anche dei miglioramenti e lavori aggiuntivi, nonché
l'entità di tutti gli esborsi inerenti e conseguenti all'acquisto, tra cui le spese notarili.
Le esposte censure sono fondate nei termini appresso precisati.
Nell'ipotesi di evizione totale della cosa, la garanzia di cui al l'art. 1483 c.c. — che sanziona l'inadempimento del venditore
all'obbligazione di cui all'art. 1476, n. 2, c.c. — opera indipen dentemente dalla sussistenza della colpa del venditore medesimo, e quindi non è esclusa neppure dalla conoscenza, da parte del
compratore, della possibile causa di futura evizione, giacché gli effetti di tale garanzia conseguono al mero fatto obiettivo della
perdita del diritto acquistato, che, facendo venire meno la ragio ne giustificatrice della controprestazione, altera l'equilibrio del
sinallagma funzionale, con la conseguente necessità di porvi ri
medio col ripristino della situazione economica dell'acquirente qua le era prima dell'acquisto (cfr. Cass. 26 marzo 1980, n. 2005, id., Rep. 1980, voce Vendita, n. 57; 16 maggio 1981, n. 3249,
id., Rep. 1981, voce cit., n. 56; 6 gennaio 1982, n. 5, id., Rep. 1982, voce cit., n. 44; 6 novembre 1986, n. 6491, id., Rep. 1986, voce cit., n. 47).
La non rilevanza, ai fini della concreta operatività della garan zia per evizione, dell'eventuale colpa dell'acquirente vale peraltro solo per quanto concerne il diritto di quest'ultimo al ristoro del
danno nei limiti del c.d. interesse negativo, cui corrisponde una
serie di rimborsi, alcuni dei quali identici a quelli previsti per la vendita di cosa altrui (restituzione del prezzo; rimborso delle
spese utili e necessarie fatte per la cosa; rimborso delle spese fatte
per il contratto); altri propri della garanzia in parola, quali il
rimborso del valore dei frutti che il compratore debba restituire
a colui dal quale è stato evitto, nonché delle spese giudiziali so
stenute dal compratore stesso (cfr. sentenze sopra citate). Ove
poi si accerti che l'alienante abbia agito con dolo o colpa, l'ac
quirente ha invece diritto all'integrale risarcimento del danno, com
prensivo anche del lucro cessante, rappresentato dalla differenza
tra il valore della cosa al momento del contratto ed il maggior valore da essa eventualmente raggiunto al momento dell'evizione, restando per questa parte la pretesa risarcitoria «pur sempre con
nessa al diritto alla garanzia per evizione, la cui disciplina nel
concorso dell'elemento psicologico suddetto, resta solo integrata da quella dell'art. 1453 c.c.» (v. Cass. 16 maggio 1981, n. 3249,
cit., e, per l'affermazione del principio sull'estensione della ga ranzia al risarcimento del lucro cessante, anche Cass. 1494/71,
id., Rep. 1971, voce cit., n. 51; 5/82, cit.; 6491/86, cit.). Cosicché ai fini dalla responsabilità del venditore è irrilevante
che l'acquirente sia stato in grado di conoscere, mediante l'esame
dei registri immobiliari, l'esistenza di trascrizioni o iscrizioni pre
giudizievoli, quando l'alienante abbia espressamente garantito la
libertà del bene venduto, operando a suo favore il principio del
l'affidamento nella rilevanza negoziale delle dichiarazioni della
controparte (cfr. Cass. 7 settembre 1968, n. 2898, id., Rep. 1968, voce cit., nn. 46, 50; 25 marzo 1980, n. 1992, id., Rep. 1980, voce cit., n. 58; 29 luglio 1983, n. 5223, id., Rep. 1983, voce
cit., n. 56). Alla stregua dei principi sopra enunciati, ha erroneamente appli
cato l'art. 1483 c.c. la corte di merito disattendendo, in una fatti
specie di evizione totale, la pretesa risarcitoria avanzata dall'acqui rente nei confronti dell'alienante, sul rilievo — ritenuto di per sé
decisivo — che il danno lamentato avrebbe potuto essere evitato
se il creditore-danneggiato, facendo uso dell'ordinaria diligenza, avesse tempestivamente verificato l'esistenza di trascrizioni pregiu dizievoli (art. 1227, cpv., c.c.). Non ha quel giudice, cosi argomen
tando, considerato che la risarcibilità dei danni subiti dal compra tore evitto, nei limiti del c.d. interesse negativo, non è esclusa dal
l'eventuale colpa del medesimo e che tale colpa per quanto concerne
il diritto di risarcimento del lucro, cessante, non rileva nell'ipotesi in cui siano accertati il dolo o la colpa dell'alienante. (Omissis)
li Foro Italiano — 1988.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 2 marzo
1988, n. 2196; Pres. Scanzano, Est. Favara, P.M. Di Renzo
(conci, conf.); Cassa di risparmio delle province lombarde (Aw. Guidi, Vitale, Irti), c. Fall. Bristot (Aw. Casella, Abis). Con
ferma App. Cagliari 5 giugno 1984.
Fallimento — Credito fondiario — Ammissione al passivo degli interessi — Prelazione — Estensione (Cod. civ., art. 2855; r.d.
16 luglio 1905 n. 646, t.u. sul credito fondiario, art. 38, 41, 42, 45 , 48, 61, 62; r.d. 16 marzo 1942 n. 267 disciplina del
fallimento, art. 51, 52, 54, 55; 1. 17 agosto 1974 n. 397, norme
per la determinazione dei tassi di interesse per i finanziamenti
agevolati e del tasso di mora per i mutui fondiari, art. 2; d.p.r. 21 gennaio 1976 n. 7, norme relative alle emissioni obbligazio narie da parte degli enti di credito fondiario e all'adeguamento del regime giuridico dell'organizzazione e dell'attività dei pre detti enti, art. 14, 15).
Poiché il rapporto fra testo unico sui mutui fondiari e legge falli mentare non può essere inteso come rapporto fra legge speciale anteriore e legge generale posteriore, in caso di fallimento del
mutuatario, gli istituti di credito fondiario sono soggetti al con corso sostanziale, ditalché gli interessi sul debito capitale pos sono essere ammessi al passivo, in privilegio, con le limitazioni di cui agli art. 54 e 55 I. fall, e 2855, 3° comma c.c. (1)
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo di ricorso
l'istituto di credito fondiario deduce (in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell'art. 15 preleggi. Sostiene la erroneità dell'affermazione fatta nella sentenza impu
gnata secondo la quale, nel conflitto tra disciplina sul credito
fondiario e disciplina fallimentare, quest'ultima possa ritenersi
derogata solo nel caso in cui sia in essa prevista apposita riserva
di legge a favore degli istituti di credito; come avviene, secondo
la corte di merito, nell'ipotesi dell'art. 51 1. fall, (che consente, attraverso il richiamo alle eventuali diverse disposizioni di legge, di ritenere che detti istituti possono, ai sensi dell'art. 42 t.u. n. 646 del 1905, proseguire o intraprendere azione esecutiva indivi
duale sui beni ipotecati del debitore fallito) e non invece nell'ipo tesi, che interessa nel caso in esame, regolata dal successivo art.
54 1. fall., che tale riserva non contiene e che perciò trova appli cazione anche nei confronti dei predetti istituti.
Il ricorrente, pur dichiarandosi edotto della costante contraria
giurisprudenza di questa Suprema corte sul punto (giurispruden za alla quale espressamente si richiama la decisione impugnata)
ripropone nel presente giudizio argomentazioni e rilievi già in gran
parte sottoposti al vaglio di questa corte e non accolti. Sostiene
cosi: a) che in linea generale il rapporto tra legge sul credito fon diario (r.d. 16 luglio 1905 n. 646) e legge fallimentare non può essere inteso che come rapporto tra legge speciale anteriore e leg
(1) La Cassazione conferma il proprio orientamento in tema di rappor ti fra fallimento e legislazione speciale sul credito fondiario, riprendendo i medesimi argomenti già fatti propri nelle precedenti pronunce e in parti colare nelle recenti sentenze 3 dicembre 1986, n. 7148, Foro it., 1987, I, 39, alla cui nota redazionale, con osservazioni di G. Silvestri, si rinvia e 6 novembre 1986, n. 6487, ibid., 459.
Va segnalato, soltanto, che la decisione in rassegna affronta esplicita mente la questione della asserita portata innovativa del d.p.r. 7/76, per venendo alla conclusione che tale disciplina normativa non giuoca alcun ruolo nei rapporti fra fallimento e credito fondiario; contra Trib. Roma 15 ottobre 1980, id., 1981, I, 2565.
Sulle interferenze fra le due normative, da ultimo, con riferimento alla
prevalenza delle norme di cui agli art. 54 e 55 1. fall, e 2855 c.c. rispetto alle disposizioni speciali contenute nel t.u. del 1905, Trib. Monza 9 no vembre 1987, Fallimento, 1988, 491; con riferimento alla valutazione in termini meramente processuali del privilegio ex art. 51 1. fall, accordato
agli istituti di credito fondiario, Cass. 11 marzo 1987, n. 2532, Giur.
comm., 1987, II, 543; Trib. Milano 9 ottobre 1986, Fallimento, 1987, 1178; Trib. Torino 29 luglio 1986, ibid., 623.
In dottrina, entrambe le questioni, Villa, Istituto di credito fondiario: azione esecutiva individuale in pendenza di fallimento, id., 1987, 628; Lo Cascio, in Giust. civ., 1987, I, 291.
Sulla natura degli interessi e delle semestralità del credito fondiario, Cass. 8 luglio 1986, n. 4451, Foro it., Rep. 1986, voce Credito fondiario, n. 5.
Quanto ai rapporti fra interessi corrispettivi e moratori e ammissione al passivo in via privilegiata, Cass. 9 febbraio 1987, n. 1377, Fallimento, 1987, 609.
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2291 PARTE PRIMA 2292
ge generale posteriore, con conseguente applicabilità del principio lex posterioris generalis priori speciali non derogai, cosicché la
prevalenza della legge sul credito fondiario rispetto alla legge fal
limentare opererebbe indipendentemente dalla riserva di legge; ciò
tanto più in quanto l'inciso «salva diversa disposizione di legge» contenuto nell'art. 51 e non nell'art. 54 1. fall., si rinviene anche
in altre norme della stessa sezione II della legge fallimentare, co
me nell'art. 52, 2° comma; b) che non è esatto che la legge sul
credito fondiario ignorava le regole e le particolarità proprie del
la legge fallimentare e in specie del principio della par condicio
creditorum, sia perché tale principio e detti limiti non sono certo
una novità introdotta dalla attuale legge fallimentare, essendo già contenuti nel codice civile del 1865 e nel codice di commercio
del 1882, sia perché testualmente l'art. 42, 2° comma, t.u. 646/1905
dichiara applicabile tutta la normativa speciale «anche in caso
di fallimento del debitore» e perché tutte le norme della legge fallimentare che la giurisprudenza negativa contrappone alle di
sposizioni del t.u. del 1905 sono meramente ripetitive di quelle
già contenute nei codici abrogati preesistenti al detto t.u. e perciò inidonee ad abrogare le eccezioni a suo tempo apportate dalla
legge speciale; c) che l'art. 15 d.p.r. 21 gennaio 1976 n. 7, nel
disporre che «continuano» ad applicarsi le disposizioni di cui ai
titoli VII e Vili del t.u. del 1905 ha evidentemente supposto che
dette norme siano state sempre in vigore e che lo siano anche
attualmente.
Questa corte, con le sentenze 2734/73 (Foro it., 1974, I, 96), 5944/81 (id., 1982, I, 1343), e, più di recente, con la sentenza
n. 7148/86 (id., 1987, I, 39), ha già avuto modo di precisare che il rapporto esistente tra la legge sul credito fondiario e quella fallimentare non è un rapporto tra legge speciale e legge generale, ma un rapporto tra leggi entrambe speciali, perché anche la legge
fallimentare, pur se in modo organico, regola una determinata
materia, è cioè speciale intuitu materiae. Piuttosto che porsi un
astratto problema di successioni di leggi nel tempo e piuttosto che ipotizzare una non meno astratta gerarchia tra leggi speciali e generali o tra legge speciale e legge speciale (qualifiche che lo
stesso ricorrente, in memoria e nella discussione orale, riconosce
essere relative e mutevoli, perché una norma, speciale rispetto ad una, ben può essere generale rispetto ad altra, e viceversa), è bene esaminare le specifiche disposizioni che nell'una e nell'al
tra legge risultino in conflitto, cosi limitando anzitutto il proble ma al contrasto tra disposizioni dettate nella medesima materia, anche se emanate in tempi successivi e per finalità diverse. E ciò
sul presupposto, non seriamente discutibile, che ben può una leg
ge successiva, nel regolare diversamente e per finalità particolari una materia, interferire su rapporti disciplinati da norme prece denti e cosi incidere sugli stessi, modificandoli. Non meno evi
dente è che la legge nuova, nella parte in cui venga a regolare diversamente la medesima materia, possa delimitare l'ambito del
la propria portata innovativa, consentendo l'applicazione della normativa precedente solo in determinati casi ed escludendola in
tutti gli altri, proprio in virtù della stessa sua efficacia innovati
va. Ma a parte tale problematica (sulla quale peraltro il ricorren
te credito fondiario ha insistito nelle ultime difese scritte ed ora
li), più fruttuosamente va esaminata l'interferenza che è derivata
tra le due discipline speciali e la compatibilità tra le norme di
privilegio che l'istituto ricorrente invoca e quelle speciali che nel
concreto, e cioè con riferimento alla chiesta sottrazione del rap
porto per cui è causa alle norme della legge fallimentare, sono
state applicate dai giudici del merito. In linea generale, già con
la sentenza n. 2734 del 1973 questa Suprema corte avverti che,
rappresentando il processo esecutivo concorsuale un momento di
convergenza conflittuale di tutti i creditori, con la inevitabile fri
zione tra interessi privati e interessi della massa fallimentare, oc
corre usare estrema prudenza ove si voglia trasferire in esso nor
me dettate a favore di situazioni creditorie autonomamente con
siderate, rendendole opponibili a tutti i creditori; specie quando si tratti di principi, come quello della par condicio, che hanno
natura straordinaria (anche — va aggiunto — in ragione della
universalità del fallimento e della sua irripetibilità rispetto alla
massa dei crediti anteriori) e non solo vagamente speciale. Inol
tre, ha precisato la sentenza 7148/86 di questa corte, la disciplina del fallimento — che è legge speciale intuitu materiae rispetto alla legge processuale comune, anche quando questa si riferisca
a soggetti determinati stabilendo a loro favore (in via generale)
deroghe o esenzioni — nel regolare organicamente la materia del
la esecuzione concorsuale nei confronti del debitore insolvente
Il Foro Italiano — 1988.
ben può predisporre un sistema di riserve legali, cosi da consenti
re solo eccezionalmente l'osmosi tra le disposizioni della proce dura concorsuale e le norme generali speciali dell'ordinamento
comune. Determinante è perciò il confronto tra le norme conte
nute nel t.u. del 1905 e nella legge fallimentare nella materia in
considerazione. E del resto lo stesso credito fondiario ricorrente
finisce per accettare tale confronto, allorquando indica le norme
del t.u. che, a suo avviso, rivelerebbero la propria efficacia pre
ponderante e sarebbero perciò applicabili nonostante la disciplina introdotta dalla legge fallimentare, o quando crede di ravvisare
in quest'ultima una intendo diretta a far salvi i privilegi derivanti
dal detto t.u.
Questa corte ha tuttavia già esaminato, e disatteso, le singole
proposizioni che in cause consimili gli istituti che gestiscono il
credito fondiario hanno svolto e che il ricorrente riproduce anco
ra una volta nella presente causa. Per quanto ovvio, può essere
utile anzitutto osservare che la legge fallimentare tenne ben pre sente che all'epoca vigeva il t.u. n. 646 del 1905, contenente nor
me di privilegio, specie in tema di esecuzione individuale, a favo
re degli istituti di credito fondiario, stanti le note finalità pubbli che da questi perseguite, ispirate all'esigenza di una rapida realizzazione del credito per il collegamento che questo ha con
il prestito conseguente alla emissione delle cartelle fondiarie di
cui detti istituti sono creditori: basti ricordare la disposizione di
cui al 3° comma dell'art. 67 1. fall, (che accorda il privilegio del non assoggettamento a revocazione degli atti a titolo oneroso,
pagamenti e garanzie), e poi le stesse disposizioni che vengono richiamate nella presente causa, di cui agli art. 51 e 52, cpv., ove si fanno salve «le diverse disposizioni di legge», tra le quali anche da questa corte sono state ritenute comprese quella appun to di cui al t.u. 646/1905. Altre considerazioni sono state fatte, nella giurisprudenza di questa corte, sul problema in esame. An
zitutto, in ordine al disposto dell'art. 42, 2° comma, t.u. del 1905
(che è l'unica norma di tale legge che fa riferimento all'ipotesi del fallimento del debitore mutuatario), si è rilevato che tale nor
ma, nello statuire che «le disposizioni della legge e dei regola menti sul credito fondiario sono sempre applicabili anche in caso
di fallimento del debitore per i beni ipotecari agli istituti di credi
to fondiario», presenta un contenuto non sufficientemente speci fico per resistere alle singole disposizioni della legge organica sul
fallimento in cui non sia stabilita e riprodotta la deroga in favore
degli istituti di credito fondiario. Si è poi rilevato (Cass. 6487/86,
id., 1987, I, 459) che le norme che consentono l'esecuzione indi
viduale nonostante il fallimento del debitore (peraltro fatte salve
dall'art. 51 1. fall.) sono di natura strettamente processuale e non
possono quindi incidere sul contenuto del diritto, sostanziale, di
ipoteca e sulla efficacia della sua iscrizione, alterando i canoni
fondamentali del concorso dei creditori. Ed infatti, a parte la
riserva contenuta, a favore dei tributi pubblici, nell'art. 42 citato, dal coordinamento di questa norma con l'art. 55 deriva che l'isti
tuto mutuante, dopo avere realizzato il suo credito per effetto
dei suoi privilegi processuali, è tenuto a restituire a chi di ragione
«quel tanto coi rispettivi interessi per cui, in conseguenza della
graduazione, non risultasse utilmente collocato». Si è rilevato an
cora, con la sentenza 7148/86, che di fronte alla genericità del
l'art. 42, 2° comma, t.u. del 1905, esiste un rigoroso, ma limitato
(agli art. 51 e 52, cpv., 1. fall.) sistema di deroghe e di riserva
(o salvezza, verso le leggi speciali che abbiano diversamente di
sposto in materia, con un richiamo, sia pure implicito, anche al
t.u. 746/1905), tale che al di fuori di essi non è ipotizzabile alcun
ulteriore inserimento di dette leggi speciali nel corpo della legge
organica sul fallimento, specificamente per quanto riguarda an
che le disposizioni di cui agli art. 54 e 55 1. fall, che rilevano
nella presente controversia (e di cui ai successivi motivi di ricor
so). Si è concluso perciò che il fatto che l'art. 51 1. fall, faccia
salva l'applicazione delle leggi speciali in materia di accertamento
dei crediti esimendo in tal modo gli istituti predetti dalla proce dura di cui agli art. 92 ss. 1. fall., non autorizza certamente a
ritenere possibile l'inserimento in via generale nella legge falli
mentare di tutte le disposizioni di favore contenute nel t.u. n.
646 del 1905. Quanto poi al richiamo dell'art. 15 d.p.r. 7/76 (secondo cui
«Nei confronti dei debitori morosi . . . continuano ad applicarsi tutte le disposizioni disciplinanti il procedimento esecutivo di cui
ai titoli VII e Vili del t.u. delle leggi sul credito fondiario»), è agevole l'osservazione che proprio per il fatto che «continuano»
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ad applicarsi le disposizioni di cui ai titoli VII e Vili (concernenti il procedimento esecutivo) non può, dal citato art. 15, desumersi
l'esistenza di una norma generale o di una norma speciale che
detti nella materia in esame disposizioni diverse, tali da fare rite
nere esistenti i privilegi invocati dall'istituto ricorrente e non ope rante la diversa disciplina in materia portata dalla legge fallimen
tare. Ciò non senza rilevare che le disposizioni richiamate, pro
prio per la loro limitata portata e per il fatto che il d.p.r. 7/76
intendeva unicamente dare attuazione alla delega contenuta nella
1. 16 ottobre 1975 n. 492 diretta ad assicurare agli istituti esercen
ti il credito fondiario ed edilizio parità di regime giuridico orga nizzatorio e di condizioni per il ricorso al credito obbligazionario
rispetto agli altri enti esercenti il credito a medio e lungo termine
(come già affermò il tribunale senza che sul punto venisse solle
vata impugnazione dall'attuale ricorrente), non sono in grado di
apportare a loro volta modifiche alla legge fallimentare, nelle di
sposizioni concernenti il concorso dei creditori speciali e deroga torio (nel senso sopra visto) rispetto alla precedente normativa,
di favore ma generica, di cui al t.u. n. 646 del 1905. E non senza
aggiungere — ancora — il d.p.r. in parola, modificando il siste
ma dello stretto collegamento tra emissione di cartelle e mutui, ha riunito il valore del fondamentale argomento che i sostenitori
della tesi degli istituti di credito fondiario desumevano dalla ratio
legis. Risolto in tale modo il problema generale della compatibilità
tra t.u. del 1905 e legge fallimentare e (anticipando quanto si
aggiungerà in appresso) si deve perciò ritenere, in tema di esecu
zione concorsuale e per i riflessi che specificamente nella presente causa vengono in considerazione a proposito dell'applicabilità delle
norme di cui agli art. 54 e 55 1. fall, nei confronti degli istituti
di credito fondiario, che il coordinamento tra le due discipline va fatto in concreto e non in base ad astratti concetti di succes
sione tra leggi o di rapporti tra norme di rango e/o di grado
uguale o diverso, generali o speciali, antecedenti o successivi; e
che per quanto riguarda la specie in esame, l'art. 54 1. fall, non
prevede alcuna riserva o salvezza e perciò non concede alcuna
posizione di favore agli istituti di credito fondiario per quanto
riguarda l'estensione del diritto di prelazione agli interessi, quale
regolata in via generale dagli art. 2788 e 2855 c.c., cosi come
l'art. 55 successivo, parimenti privo di riserve non consente la
invocata continuazione del mutuo concesso dai predetti istituti
in deroga al disposto del 2° comma di detto articolo.
Il primo motivo di ricorso deve essere pertanto respinto. 2. - Con il secondo mezzo di ricorso, denunciando difetto di
motivazione e violazione degli art. 41, 3° e 5° comma, 45, 3°
comma, 48, 2° comma, 61 e 62 t.u. n. 646 del 1905, degli art.
2, 1° comma, lett. a), 7, 2° comma, 14, 1° e 2° comma, e 15
d.p.r. 7/76 nonché degli art. 55, 1° e 2° comma, e 54, 3° com
ma, 1. fall, e 2855 c.c., l'istituto di credito fondiario, sul presup
posto della natura speciale del mutuo «fondiario» e assumendo
che il credito degli istituti di credito fondiario, per la particolare normativa in materia, è un credito di «rata» o «semestralità»
equiparabile a «capitale» e nel quale non è ravvisabile un'auto
noma componente dell'elemento «interessi», sostiene che la rata
di ammortamento costituisca un credito unitario principale e omo
geneo di capitale, come si desumerebbe dalle disposizioni sopra richiamate dal t.u. 646/1905 e del d.p.r. 7/76. Aggiunge — con
evidente riferimento alla domanda principale avanzata in prime cure — che l'inadempimento del debitore non provoca la risolu
zione del rapporto e non esclude quindi la maturazione di tutte
le restanti semestralità convenute, fino alla scadenza del contrat
to, tutte privilegiate sulle rendite e sui frutti e, per la parte even
tualmente non coperta, sull'immobile ipotecato; e ciò anche nel
l'ipotesi di fallimento del debitore-mutuatario poiché, ai sensi del
l'art. 42, 1° comma, del detto t.u., è fatto obbligo al curatore
di versare frutti e rendite all'istituto creditore. Inoltre, sempre
secondo il ricorrente, una conferma dell'esattezza di tale tesi può trovarsi nel disposto dell'art. 61 t.u. 646/1905 dato che se il deli
beratario, in caso di vendita forzata degli immobili ipotecari, può
profittare del mutuo concesso al debitore espropriato purché pa
ghi le semestralità scadute, gli accessori e le spese, ciò significa
che il contratto di mutuo non si estingue alla data della dichiara
zione del fallimento, non potendo rivivere un rapporto giuridico ormai estinto.
Questa corte, con le già citate sentenze ed anche con la senten
za 2 febbraio 1978, n. 458 (id., Rep. 1978, voce Fallimento, n.
227) e, di recente, con la sentenza 6 novembre 1986, n. 6487,
Il Foro Italiano — 1988.
cit. (oltre che in varie altre precedenti) ha costantemente afferma
to il principio secondo cui l'art. 54, ultimo comma, 1. fall., il
quale estende per il credito di assistiti da ipoteca la prelazione
agli interessi nei limiti contemplati dagli art. 2788 e 2855, 2° e
3° comma, c.c., trova applicazione anche nei riguardi del credito
discendente da mutuo fondiario e soggetto alla disciplina del r.d.
16 luglio 1905 n. 646, atteso che le disposizioni di tale ultima
normativa restano operanti nonostante il fallimento del mutuata
rio ed in relazione alla riserva contenuta nell'art. 511. fall., ove
si prevede la facoltà del mutuante di procedere ad esecuzione for
zata individuale ovvero di riscuotere anticipatamente le rendite
dell'immobile, ma non interferiscono sui principi che regolano il concorso dei creditori posti dalla legge fallimentare senza alcun
rinvio, o riserva di diversa disposizione di legge. E pertanto, in
tendendosi in virtù di dette norme equiparata alla dichiarazione
del fallimento al pignoramento, l'iscrizione di un credito per ca
pitali al passivo concorsuale fa bensì' collocare nello stesso grado anche il credito per interessi maturato dopo il compimento del
l'annata in corso alla data del pignoramento, ma soltanto nella
misura legale e fino alla data della vendita; a tale principio non
facendo eccezione le norme sul credito fondiario contenute negli art. 38 e 42 t.u. del 1905 che non riguardano la misura degli interessi e la scadenza degli stessi né l'estensione del diritto di
prelazione ai c.d. fattori accessori (interessi di mora, diritti di
commissione, provvigioni speciali e simili). Le disposizioni citate dal ricorrente (art. 41, 42, 45, 48 t.u.
646/1905) a sostegno della propria tesi riguardano tutte l'esecu
zione individuale promossa dall'istituto mutuante e trovano fon
damento appunto nella natura speciale del credito ad essi spet
tante; ma non risolvono il problema della compatibilità con le
norme valide per le procedure concorsuali e non si confrontano
con queste. Dal fatto che ai sensi dell'art. 42, 1° comma, «il
curatore è tenuto a versare all'istituto creditore le rendite dei beni
ipotecati a favore del medesimo dedotte le spese di amministra
zione e i tributi pubblici» (e l'art. 42 è almeno una norma che
tiene conto della evenienza fallimento), non è poi lecito trarre
l'illazione che, sol perché il curatore deve pagare le semestralità
maturate, le ulteriori semestralità continuano a maturare nei sen
si voluti dall'istituto anche in corso della procedura fallimentare.
Anzi proprio detta limitazione rende chiaro che il contratto di
mutuo è ormai definitivamente estinto lasciando impregiudicato il diritto a conservare in sede concorsuale le riscossioni — e salvo
sempre quanto dispone il citato art. 55 — effettuate in costanza
di fallimento (Cass. 2734/73, id., 1974, I, 96). Quanto al richia mo agli art. 61-62 del t.u., questa corte, con la sentenza 5944/81,
cit., ha osservato che tali norme non possono trovare ingresso
nella procedura fallimentare e che pertanto il subentro dell'aggiu dicatario («deliberatario») nel contratto di mutuo avviene secon
do le norme generali (art. 508, 585 c.p.c.) cosicché nessun incon
veniente può verificarsi sul piano sistematico. Cadono cosi tutte
le ragioni di diritto positivo che il ricorrente adduce a sostegno della affermata estensione della prelazione ipotecaria e si rivela
priva di consistenza anche la tesi della unicità della rata o seme
stralità di mutuo, tanto più che lo stesso art. 55 t.u. 646/1905
distingue tra capitale, accessori e spese. La formazione delle varie
rate o semestralità, nella misura composita predeterminata attie
ne ad una modalità dell'adempimento del debitore finalizzata al
la graduale estinzione del mutuo e non può eliminare, o radical
mente modificare, la realtà del relativo contratto, che ha pur sem
pre ad oggetto un capitale, produttivo di interessi; né elimina
quindi, nell'ambito della stessa rata, l'autonomia delle sue varie
componenti. E quanto al richiamo agli art. 14 e 15 d.p.r. 7 del
1976 valga quanto già sopra osservato (al n. 1) circa la irrilevan
za di tale normativa rispetto alle disposizioni qui applicabili.
Con altro profilo di censura poi l'istituto ricorrente si duole
per il fatto che il giudice del merito ha negato la prelazione ipote
caria anche al credito relativo all'indennizzo dovuto dal mutuata
rio per l'anticipata estinzione dell'obbligazione derivante da mu
tuo, in violazione della disposizione dell'art. 55 t.u. 646 (che fa
riferimento agli «accessori e spese», al pari dei successivi art. 57
e 60) e comunque delle norme generali, non derogate dalla legge
fallimentare che nulla dispone al riguardo, circa la necessità di
ritenere compreso nel credito tutti i suoi accessori. Soccorre in
proposito quanto già affermato da questa corte con la citata sen
tenza n. 2734 del 1973, secondo cui la risoluzione della questione
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2295 PARTE PRIMA 2296
principale relativa ai limiti di estensione della garanzia ipotecaria
agli interessi, trascina con sé quella relativa alla sorte dei crediti
per gli accessori ulteriori agli interessi, in quanto la deroga della
par condicio creditorum può essere riconosciuta per cause stabili
te dalla legge ed espressamente indicate e non può invece ritenersi
estesa per implicito. In ogni caso va osservato (ed anche a pre
scindere dal rilievo di fatto mosso dal fallimento circa il calcolo
debitamente effettuato ed incluso sotto la voce «scarto obbliga
zioni», ammessa in via ipotecaria) che l'anzidetta voce di credito,
specifica in materia di mutuo fondiario e di risoluzione anticipata
di questo, può trovare fondamento e titolo solo quale accessorio
del credito per interessi, non certo quale voce autonoma di credi
to al pari del capitale mutuato, rendendo cosi applicabile il di
sposto dell'art. 54 1. fall, col suo richiamo all'art. 2788 c.c. Sul
punto la sentenza impugnata ha fornito anche adeguata motiva
zione, nell'accomunare il credito derivante da diritti di commis
sione, provvigioni speciali e simili a quello relativo agli interessi
legali maturati fino alla data della vendita, tattandosi di una mag
giorazione di questi dovuta alla speciale natura del credito da
anticipata risoluzione del contratto di mutuo fondiario.
3. - Col terzo mezzo di ricorso l'istituto deduce difetto di moti
vazione e violazione degli art. 38, 2° comma, t.u. 646/1905, 14,
2° e 3° comma, d.p.r. n. 7 del 1976, 2, 1° comma, 1. 17 agosto
1974 n. 397 e degli art. 1284 e 2855 c.c. e si duole che la corte
di merito abbia esaminato la questione degli interessi compensati
vi e non anche quella degli interessi moratori maturandi, confon
dendo e cumulando il problema della loro collocabilità in via pri
vilegiata con quello se tali interessi possano ritenersi comunque
garantiti autonomamente, ai sensi dell'art. 2855, 3° comma, c.c,
indipendentemente cioè dalla semestralità cui ineriscono; ciò tan
to più in quanto si tratta di interessi da corrispondersi ad un
saggio del tutto speciale, indicato nell'art. 2 1. 397/74 e in deroga
all'art. 1284 c.c.
Mentre su tale secondo punto il fallimento fondatamente ecce
pisce la novità della deduzione, non formulata con l'atto di ap
pello (con conseguente preclusione all'accertamento di interessi
in misura diversa da quella richiesta in precedenza), sulla questio
ne generale va rilevato in primo luogo che sugli interessi (com
pensativi) maturati dopo il compimento dell'annata in corso alla
data del pignoramento (o fallimento), dovuti nella misura legale
fino alla data della vendita, non sussistono problemi circa l'ap
plicabilità dell'art. 54 1. fall, e degli art. 2788 e 2855 da esso
richiamati, tanto più che in punto di fatto la curatela esattamente
fa rilevare che la voce «interessi di mora» risultava compresa nel
l'elenco di voci di credito per il cui ammontare totale l'esecuzione
venne iniziata. Non è poi possibile ritenere che detti interessi sia
no assistiti da autonoma garanzia ipotecaria, in deroga al dispo
sto dell'art. 2855 c.c. richiamato dall'art. 54 1. fall., sol perché
le su citate leggi speciali assicurano un saggio di interesse diverso
da quello legale, come tale inidoneo ad essere parificato a que
st'ultimo quale «fattore accessorio»: a parte il rilievo anche qui
della novità della prospettazione che vale anche per i riflessi che
si pretende di trarre ai fini delle estensione del diritto di prelazio
ne, devesi ritenere che il fatto stesso che il saggio d'interesse,
sia pure in misura diversa da quella prevista dal 1284 c.c. (5%
per anno), sia determinabile in virtù di criteri prefissati dalla leg
ge (tasso ufficiale di sconto maggiorato di quattro punti: art. 2
1. 17 agosto 1974 n. 397) consente di qualificare anche tale tasso
come fattore accessorio; con conseguente applicabilità dei princi
pi e dei criteri ricordati dalla costante giurisprudenza di questa
corte nelle sentenze di sopra citate.
Anche il terzo motivo di ricorso va dunque rigettato. 4. - Con il quarto mezzo si deduce infine nullità della sentenza
per violazione dell'art. 112 c.p.c., nonché violazione degli art.
54, 55 e 57 1. fall, e 2855 c.c. e carenza di motivazione (art.
360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.), per avere la corte di merito omesso
di pronunziare e decidere sulla domanda subordinata di ammis
sione al passivo del maggior credito (di lire 50.947.952) compren sivo di tutte le semestralità scadute e da scadere fino al 31 dicem
bre 1998, oltre interessi moratori al tasso speciale del credito fon
diario. E ciò sul presupposto che, ai sensi dell'art. 55, 2° comma,
1. fall., il debito pecuniario del fallito relativo alle ulteriori seme
stralità doveva considerarsi scaduto alla data del fallimento con
servando tuttavia la fisionomia — di debito di semestralità —
e la portata derivante dal contratto di mutuo.
Anche tale mezzo non ha fondamento.
Premesso che la mancata espressa statuizione del giudice su
Il Foro Italiano — 1988.
una richiesta della parte non è sufficiente a integrare il vizio di
omessa pronunzia, quando la decisione adottata, in contrasto con
la pretesa fatta valere dalla parte, comporti il rigetto di tale pre
tesa, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito, deve ritenersi che nel caso in esame l'accoglimento della tesi con
tenuta dal fallimento, che aveva portato al rigetto della domanda
principale, rendeva inutile la riaffermazione degli stessi principi
per la domanda subordinata che era stata fondata sul medesimo
presupposto di diritto. Avendo infatti l'istituto dedotto, anche
a sostegno della domanda subordinata, che il debito del mutuata
rio verso l'istituto di credito fondiario è un debito di rata, cioè
di capitale, comprensivo nella sua globalità di tutte le semestrali
tà dovute fino alla scadenza finale del contratto di tutti gli acces
sori, secondo le previsioni del contratto originario, e da conside
rare scaduto, a norma dell'art. 55 1. fall., alla data della dichiara
zione di fallimento, ed avendo invece la corte di Cagliari rigettato
tale tesi, ritenendo che anche il predetto credito degli istituti fon
diari scade bensì' con la dichiarazione di fallimento, ma con le
conseguenze stabilite dagli art. 54 1. fall, e 2878 e 2855 c.c. ai
fini della estensione delia garanzia ipotecaria, è di tutta evidenza
che l'accoglimento di tale tesi, incompatibile anche con la do
manda subordinata su di essa fondata, rendeva irrilevante la rei
terazione della medesima pronunzia anche per tale domanda. La
quale domanda — debitamente ricordata dalla detta corte nelle
conclusioni epigrafate e nella narrativa dell'impugnata sentenza — deve ritenersi implicitamente respinta. Non ricorre perciò il
dedotto vizio di omessa pronunzia. Il ricorso va pertanto rigettato, perché totalmente infondato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 1° marzo
1988, n. 2144; Pres. Mattieiao, Est. Schermi, P. M. Di Ren
zo (conci, conf.); Balestra (Avv. Salberini) c. Scanga e altri
(Avv. Barenghi, De Camelis). Conferma App. Roma 26 set
tembre 1984.
Professioni intellettuali — Responsabilità del medico dipendente
(Cod. civ., art. 2236; d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, statuto degli
impiegati civili dello Stato, art. 22, 23; d.p.r. 20 dicembre 1979
n. 761, stato giuridico del personale delle unità sanitarie,
art. 28).
I medici, anche se dipendenti da enti ospedalieri pubblici, sono
responsabili come i professionisti privati per i danni subiti dai
pazienti a seguito di interventi sanitari negligenti. (1)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 25 novembre 1970 Giovanni Scanga conveniva davanti al Tri
bunale di Roma l'istituto superiore di odontoiatria George Ea
stman e Marcello Balestra.
Esponeva: che il 17 gennaio 1969 egli si era recato all'istituto
Eastman per sottoporsi ad una cura dentaria e, avviato al reparto
chirurgico estrazioni, il medico incaricato, prof. Marcello Ba
(1) Medici pubblici dipendenti responsabili come liberi professionisti?
1. - Il tema della responsabilità medica sarà, ancora per molto tempo,
oggetto di dibattito e di discussione, non soltanto per la vigenza di leggi mal coordinate e spesso contraddittorie, ma e anche soprattutto perché si avvertono spinte di segno contrario che rendono difficile all'interprete
qualsiasi scelta operativa. L'obbligo di iscrizione all'albo professionale,
quale condizione necessaria per accedere al ruolo sanitario alle dipenden ze delle unità sanitarie locali, fa emergere l'esigenza del pari trattamento
tra medici che esercitano la libera professione e medici dipendenti. Sog
getto al controllo preventivo e successivo degli ordini e dei collegi profes
sionali, l'esercizio dell'attività medica è caratterizzato dall'autonomia per sonale della prestazione — disegnata con termine convenzionale discre
zionalità tecnica — oltre che dal rispetto delle norme deontologiche.
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