sezione I civile; sentenza 26 febbraio 1988, n. 2041; Pres. Vela, Est. Pannella, P.M. Visalli (concl.conf.); Germanetti (Avv. Ghia, Jaselli) c. Tazzari e altri (Avv. Cavasola, Maggiori). ConfermaApp. Torino 14 settembre 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 3345/3346-3347/3348Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181548 .
Accessed: 28/06/2014 12:56
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 46.243.173.29 on Sat, 28 Jun 2014 12:56:22 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 26 febbraio
1988, n. 2041; Pres. Vela, Est. Pannella, P.M. Visalli (conci,
conf.); Germanetti (Avv. Ghia, Jasexxi) c. Tazzari e altri (Avv.
Cavasola, Maggiori). Conferma App. Torino 14 settembre
1985.
Società — Società in accomandita semplice — Mancata registra zione — Socio accomandante — Responsabilità — Limiti (Cod.
civ., art. 2317, 2320).
Nelle società in accomandita semplice irregolari, il socio acco
mandante è responsabile illimitatamente per le obbligazioni so
ciali anche nell'ipotesi in cui, pur mancando un suo atto di
iniziativa autonoma nella gestione sociale, egli si limiti a parte
cipare in atti di amministrazione interna o di rappresentanza esterna della società intrapresi dal socio accomandatario e ciò
a prescindere dall'affidamento incolpevole del terzo. (1)
(1) Non risultano precedenti in termini. L'esame del contenuto del divieto di cui all'art. 2317 c.c. viene condot
to sulla base del suo collegamento concettuale con quanto disposto in
tema di società in accomandita semplice regolari. Con riferimento a queste ultime i contenuti del divieto di immistione
imposto al socio accomandante sono stati concordemente individuati. Per
giurisprudenza pacifica la preclusione riguarda sia gli atti di amministra zione interna che quelli di rappresentanza esterna, che si concludano op
pure no in negozi giuridici, e mentre è incondizionata per i primi è invece
derogabile per gli atti esterni solo in forza di procura speciale per i singoli affari, con la conseguenza che al di fuori di tali ipotesi gli atti di ammini
strazione e le operazioni gestorie sono consentite all'accomandante solo se si tratti di opera di collaborazione nel quadro di un rapporto di subor
dinazione all'accomandatario (Cass. 28 luglio 1986, n. 4824, Foro it.,
Rep. 1986, voce Società, n. 309; 15 dicembre 1982, n. 6906, id., Rep. 1983, voce cit., n. 221; 13 marzo 1982, n. 1632, id., Rep. 1982, voce
Fallimento, n. 529, la quale ammette che l'accomandante possa essere
dirigente dell'azienda della società quale dipendente di essa, purché non
assuma poteri institori); con l'ulteriore conseguenza che incorre nel divie
to l'accomandante che agisca in nome e per conto della società grazie ad una procura generale che gli attribuisca poteri decisionali (Cass. 6
dicembre 1984, n. 6429, id., 1985, I, 2698, con nota di richiami ai prece denti ed alla concorde dottrina. Contra, Cass. 17 giugno 1966, n. 1568, id., Rep. 1966, voce cit., n. 197). In tale quadro si è altresì' chiarito che, ad integrare ingerenza dell'accomandante nell'amministrazione sociale, non
è idoneo e sufficiente il compimento di atti riguardanti il momento esecu tivo dei rapporti obbligatori della società, essendo viceversa necessario
lo svolgimento di attività gestoria che si concretizzi nella direzione degli affari sociali ed implichi scelte che sono proprie dell'accomandatario (Cass. 14 gennaio 1987, n. 172, id., Rep. 1987, voce Società, n. 322; Trib. Biella 19 aprile 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 288; App. Firenze 24 marzo
1983, ibid., n. 285; Cass. 26 giugno 1979, n. 3563, id., Rep. 1979, voce
cit., n. 148, e in Giur. comm., 1980, II, 517, con nota di Jannucci; nel senso che il socio accomandante ingeritosi nella gestione sociale di venti solidalmente ed illimitatamente responsabile anche per le obbliga zioni sociali anteriori o posteriori alla sua ingerenza indipendentemente da ogni rapporto con questa, cfr. Cass. 19 dicembre 1978, n. 6085, Foro
it., 1979, I, 2092; contra, Cass. 11 novembre 1970, n. 2344, id., 1971, I, 164).
Se dunque i limiti dell'attività consentita all'accomandante nelle società in accomandita semplice regolari paiono sufficientemente chiariti, vice versa scarsa attenzione è stata fino ad ora dedicata dalla giurisprudenza al problema dell'interpretazione del termine «operazioni sociali» alla cui
partecipazione è collegato il venir meno delle limitazioni di responsabilità dell'accomandante nelle società non registrate.
Con la sentenza che si riporta e con quella dalla stessa confermata
(App. Torino 14 settembre 1985, id., 1986, I, 2901), la giurisprudenza affronta per la prima volta la questione cercando di stabilire quando si abbia partecipazione dell'accomandante alle operazioni sociali ai sensi del
l'art. 2317 c.c. Partendo dall'osservazione dell'ampiezza con la quale il
divieto di immistione è stato interpretato con riferimento a quanto dispo sto nell'ambito delle società regolari e ponendo a confronto le due dispo sizioni, la Cassazione prende le distanze dalla tesi più rigorosa espressa a tale proposito da quella parte della dottrina secondo la quale qualsiasi
partecipazione all'attività sociale, pur se consentita al socio accomandan te di una società regolare, comporterebbe responsabilità solidale ed illimi
tata del socio in una società irregolare (Salandra, Manuale di diritto
commerciale, Bologna, 1969, I, 197, secondo il quale sarebbe preclusa all'accomandante persino la partecipazione agli utili di bilancio; nello stesso
senso sembrano orientati Buonocore, Castellano, Costi, Casi e mate
riali di dir. comm., II, Società di persone, Milano, 1980, 891). Infatti la corte, nell'affermare che il divieto imposto al socio accoman
dante nelle società irregolari non può avere portata più ampia di quella imposta al socio di una società iscritta, mostra di ritenere che l'attività
non consentita è pur sempre quella che comporta una diretta ingerenza negli affari sociali con esclusione quindi dell'opera prestata sotto la dire
II Foro Italiano — 1988.
Motivi della decisione. — Con i due motivi che, data la loro
intima connessione, vanno esaminati congiuntamente, il ricorren
te, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 2317, 2° comma, e 2320 c.c., nonché omessa, insufficiente e contrad
dittoria motivazione su punti decisivi della controversia in rela
zione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., si duole innanzitutto che
il giudice del merito abbia concettualmente separato il disposto del 2° comma dell'art. 2317 c.c. dall'intero contenuto dell'art.
2320, estrapolando l'esegesi dell'enunciato «operazioni sociali»
dalle espressioni legislative «atti di amministrazione» e «trattare
o concludere affari in nome della società», in contrasto con il
vero significato di «operazione sociale» da intendersi «atto di am
ministrazione o di gestione di affari in rappresentanza della so
cietà» derivante da un «potere di gestione» proprio
deH'«amministratore», che assomma in sé i poteri esecutivi degli
organi societari deliberanti.
Sicché — aggiunge il ricorrente — ha errato il giudice quando ha inteso ravvisare, nella deposizione del teste Paolo Canavese, siffatti poteri attribuiti ad esso Germanetti che, viceversa, aveva
semplicemente compiuto una attività rientrante nei limiti consen
titi all'accomandante.
Si sostiene, inoltre, nel ricorso: a) che il giudice ha omesso
di esaminare e di attribuire il giusto rilievo alla circostanza, emer
gente dal processo, riguardante d'intervento del legale richiesto
dal Germanetti per ottenere dai soci gestori chiarimenti sulla ge stione industriale, contabile e finanziaria della società rispetto al
la quale egli era rimasto estraneo; ti) che il medesimo giudice ha errato nell'interpretare come atto di gestione l'intervento del
Germanetti in un contratto allo scopo di ottenere una riduzione
del prezzo e di impegnarsi personalmente al pagamento di esso;
c) che tale impegno altro non poteva significare che la prestazio
ne di una garanzia fideiussoria rientrante nelll'attività proprio del
l'accomandante; d) che la corte del merito da un lato, ha
erroneamente interpretato le esposizioni dei testimoni, dall'altro,
ha omesso di esaminare gli atti e i documenti del processo indica
tivi di elementi probatori contrastanti con il convincimento della
corte posto a base della decisione adottata; e) che neppure il Taz
zari aveva fatto affidamento sull'attività di gestione del Germa
netti, che egli nell'istanza di fallimento, dichiara di conoscere
soltanto come socio finanziatore della società Ma.be.fur.
La censura è destituita di fondamento, anche se nella parte iniziale di essa, là dove ravvisa il collegamento del 2° comma
zione altrui cosi' come dell'attività materiale e di semplice controllo, atti
vità permessa sia dall'art. 2317 che dall'art. 2320. Per parte sua la senten
za impugnata, partendo dallo stesso principio dell'irrilevanza del
compimento di operazioni non rientranti nell'attività di amministrazione, aveva chiarito che partecipare alle operazioni sociali altro non è se non
amministrare e compiere atti per la società quand'anche si tratti di singoli atti e sia pure in forza di procura speciale (in dottrina, concordano sul
punto F. Ferrara, Imprenditori e società, 1962, 329; F. Arnaboldi, in
Riv. società, 1956, 766; Ferri, Società, in Commentario Scialoja - Branca,
1981, 479), con ciò respingendo l'altra tesi estrema espressa da chi ha
ritenuto di identificare il contenuto dell'art. 2317 esattamente con quello dell'art. 2320 (cosi Bigiavi, La responsabilità dell'accomandante in una
società irregolare, in Dir fallim., 1943, I, 26 ss.; Simonetto, Responsabi lità e garanzia nel diritto delle società, 1959, 497 ss.; Ghidini, Società
personali, Padova, 1982, 769). In base a quest'ultima disposizione infatti il compimento di singoli af
fari può non assumere rilevanza presumendosi, qualora l'atto costitutivo
sia iscritto, che i terzi conoscano la qualità di accomandante del socio
che agisce. Al contrario, in mancanza di iscrizione la posizione del socio
si presume ignorata e di conseguenza, purché qualificabile come atto di
amministrazione, anche un singolo atto, pur compiuto in base a procura
speciale, può determinare l'affidamento del terzo. Solo in tale limitata
accezione viene dunque condivisa l'opinione per la quale la disposizione dell'art. 2317 debba essere di contenuto più ampio di quello dell'art. 2320.
Dalla combinata lettura delle due sentenze è dato pertanto rilevare come
la giurisprudenza, allontanandosi da entrambe le tesi estreme, sia propen sa a condividere la tesi intermedia che rinviene responsabilità degli acco
mandanti nelle società in accomandita semplice irregolari qualora questi
compiano atti di gestione, anche se si tratti di singoli affari e anche se
muniti di procura speciale, restando invece pienamente consentito di pre stare la loro opera sotto la direzione degli accomandatari nonché di eser
citare attività di controllo, dare pareri e autorizzazioni nei limiti in cui
l'atto costitutivo lo consenta (Ferri, cit., 479, e la maggioranza della
dottrina, per la quale cfr. la nota di richiami ad App. Torino 14 settem
bre 1985, cit.).
This content downloaded from 46.243.173.29 on Sat, 28 Jun 2014 12:56:22 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
3347 PARTE PRIMA 3348
dell'art. 2317 con l'art. 2320 c.c., fornisce lo spunto per una op
portuna chiarificazione in proposito. La giurisprudenza di questa corte sin da epoca non recente (sent.
18 giugno 1958, n. 2094, Foro it., 1958, I, 1087; 11 novembre
1970, n. 2344, id., 1971, I, 164) ha elaborato la esegesi delle di
sposizioni dell'art. 2320 c.c., riflettenti il divieto di immistione
dell'accomandante di una società in accomandita semplice rego lare nell'esercizio di gestione di essa, pena l'esclusione della limi
tazione della responsabilità nei limiti della quota di partecipazione di lui, nonché la necessità o meno dell'esteriorizzazione dell'atto
di gestione come elemento partecipativo dell'infrazione dell'indi
cato divieto.
Si è chiarito che dalla lettera e dalla ratio legis dell'art. 2320
emerge come il divieto di immistione riguarda due tipi di atti
distinti: «atti di amministrazione» e «atti diretti a trattare o con
cludere affari in nome della società».
I primi sono atti di amministrazione interna, i quali possono non avere carattere di negozi giuridici e non avere riflessi esterio
ri nei confronti di terzi.
I secondi sono atti di rappresentanza esterna della società, con
l'intento di attribuirle la titolarità attiva e passiva dei negozi giu ridici conclusi con i terzi.
Da tale distinzione consegue che non è sempre necesaria l'este
riorizzazione dell'atto di gestione, essendo sufficiente ogni atto
che in via diretta o indiretta tende a determinare in un modo
o nell'altro la condotta della società: ciò al fine evidente di proi bire all'accomandante, sicuro di non perdere nulla oltre alla pro
pria quota, di compiere attività nella direzione degli affari, pur
sempre rivestita di rischio commerciale.
A corollario di quanto sopra detto discende che la formula
dell'art. 2320 si presenta assai più estesa di quanto possa immagi narsi a prima lettura, essendo essa comprensiva del divieto di
ogni ingerenza negli affari sociali; anche se non abbia riflessi ob
bligatori verso terzi.
Da ciò la conseguente considerazione che il concetto di «opera zioni sociali» di cui al 2° comma dell'art. 2317 c.c. non può ave
re una significazione più lata rispetto a quella dell'indicata formula
dell'art. 2320 c.c., già di per sé molto estesa, come innanzi chiarito.
Se proprio una differenza volesse cogliersi fra le due disposi zioni: la prima (art. 2317, 2° comma, c.c.) riguardante la società
in accomandita semplice irregolare in quanto non iscritta nel re
gistro delle inprese; la seconda (art. 2320 c.c.) relativa alla società
in accomandita semplice regolare; andrebbe posto l'accento sul
verbo «partecipare» alle operazioni sociali adottato dalla prima
(norma) a differenza dei verbi «compiere» atti di amministrazio
ne e «trattare o concludere» affari, adottati dalla seconda (nor
ma), per ritenere che nel primo caso non occorrerebbe un atto
di iniziativa autonoma negli affari sociali, essendo sufficiente la
partecipazione in un atto di gestione intrapreso da altri (acco
mandatari). Tale interpretazione troverebbe giustificazione in un maggior
necessario rigore della prima disposizione, che, pur disciplinando la responsabilità dei soci di una società irregolare normalmente
collegata ai principi di solidarietà e di illimitatezza (art. 2267 e
2297 c.c.), tende eccezionalmente a limitarla entro la quota di
partecipazione degli accomandanti, in base alla concreta, reale
esistenza del patto sociale, costitutivo dell'accomandita semplice, sebbene non esteriorizzatasi per mancata registrazione.
A quest'ultima osservazione va correlata un'ulteriore conside
razione incidentale sul momento genetico della responsabilità del
l'accomandante, per rilevare che essa nasce non a causa
dell'affidamento incolpevole del terzo sull'atto di gestione di lui, ma solo in funzione e nel momento in cui l'atto viene ad esisten
za e realizza l'infrazione al divieto di ingerenza di cui si è detto.
Quanto sopra esposto trova riscontro anche nell'orientamento
più recente di questa corte (sent. 15 dicembre 1982, n. 6906, id.,
Rep. 1983, voce Società, n. 221), essendosi affermato che il divie
to agli accomandanti sia di trattare e di concludere affari in no
me della società, sia di compiere atti di amministrazione ha per
oggetto atti interni ed esterni e mentre è incondizionato per gli atti interni (di amministrazione) è derogabile solo per gli atti esterni
in forza di procura speciale per singoli affari, con la conseguenza
che, al di fuori di tale ipotesi, gli atti di amministrazione e le
operazioni gestorie sono consentite all'accomandante solo se si
tratta di opera di collaborazione nel quadro di un rapporto di
subordinazione dell'accomandante all'accomandatario.
Il Foro Italiano — 1988.
Alla luce dei principi suesposti, esaminando la motivazione della
sentenza impugnata, si rileva chiaramente come essa, fondando
il proprio convincimento sulle deposizioni dei testimoni ed in par
ticolare del teste Paolo Canavese, non merita i biasimi mossile
dal ricorrente.
Con ragionamento improntato a perfetta coerenza tra le pre messe e la conclusione e sulla base di fatti cosi come narrati dal
l'imprenditore Paolo Canavese, sentito come teste, nonché dagli altri testi indicati in narrativa, la corte torinese è giunta al con
vincimento che l'accomandante Germanetti aveva partecipato al
la gestione sociale con atti tanto interni quanto esterni.
Chiara è l'argomentazione della corte: onde si presenta suffi
ciente riportare quanto si legge a pag. 24 della sentenza impugna ta: «Essendosi Paolo Canavese, accordato con il Balducci ed il
Brugin per la compravendita di alcuni macchinari, quegli in occa
sione di una successiva visita presso la sede della società Ma.be.fur.
vi trovò il Germanetti e con questi concordò una riduzione del
prezzo che l'accomandante si impegnò a pagare personalmente». «Al momento della consegna delle macchine il Germanetti in
vitò il Canavese ed il Balducci a mettersi in giro per acquistare delle pelli: i due partirono e dopo non pochi spostamenti trovaro
no quanto faceva al caso presso la ditta Bolognesi di Vasto.
«Di li il Balducci telefonò al Germanetti per informarlo del
l'affare.
«Dal tenore del colloquio il Cavanese capi che il Germanetti
invitava a trattare sul prezzo, dando il suo assenso all'acquisto».
Nell'interpretazione degli indicati episodi cosi la corte del meri
to si è espressa: «La deposizione mette dunque in luce due distin
ti episodi in cui il Germanetti mostra di agire per la società: il
primo quando il Germanetti concordò col fornitore la riduzione
del prezzo della compravendita ed il secondo allorché invitò l'ac
comandatario Balducci ed il fornitore Canavese a svolgere un de
terminato incarico commerciale.
La prima vicenda va sussunta sotto il profilo di gestione ester
na; la seconda contiene in sé un aspetto parimenti esterno rivolto
al Canavese, ed uno meramente interno nei confronti del Balduc
ci, il cui operato, evidentemente, richiedeva il nulla osta dell'ac
comandante».
Contro tale interpretazione si erge il ricorrente sostenendo che — quanto alla prima vicenda — «concordare una riduzione del
prezzo ed impegnarsi a pagare personalmente» non costituiscono
atti di gestione di affari, tanto più se si riflette che l'assunzione
di un'obbligazione giuridica in proprio esula dai compiti degli amministratori degli accomandatari nei confronti dei terzi ai sen
si degli art. 2317 e 2320 c.c.
Aggiunge il ricorrente: ammessa la valida assunzione di un'ob
bligazione fideiussoria, questa essendo sussidiaria rispetto a quel la principale della società, non avrebbe potuto qualificare l'assuntore come esercente una attività di accomandatario ma,
piuttosto, come chi svolge un ruolo di garante: quale quello di
finanziatore proprio dell'accomandante.
Ebbene, è rilevante osservare che la gratuita esegesi surriporta ta non ha la minima possibilità di inficiare quella del giudice del
merito, della quale non riesce a dimostrare né illogicità né con
traddittorietà di motivazione.
E ciò è sufficiente per considerarla non idonea a raggiungere lo scopo voluto.
Del resto, è proprio essa che presenta non corrette e coerenti
osservazioni al fine di escludere che il Germanetti si sia compor tato come gestore di affari.
Basta riflettere che il socio che, nel corso della conclusione di
un affare sociale, si impegna anche personalmente a pagare par
tecipa alla realizzazione di esso, tale da travalicare i dati di una
normale trattativa e da attribuirgli un interesse particolare e di
retto alla gestione dell'operazione. Tale osservazione, trasferita nella fattispecie in esame, riflet
tente una società in accomandita semplice, prova come il Germa
netti mostrasse viva partecipazione alla realizzazione della
compravendita delle macchine e come, con la assunzione di un'ob
bligazione personale, realizzasse quanto previsto dagli art. 2317
e 2320 c.c.: l'assunzione solidale ed illimitata dell'obbligazione
propria della società, anche se sotto la forma apparente dell'e
spromissione e mai della fideiussione, della quale difettava un'e
spressa o significativa enunciazione di semplicemente garantire un debito altrui (art. 1937 c.c.). (Omissis)
This content downloaded from 46.243.173.29 on Sat, 28 Jun 2014 12:56:22 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions