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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 29 dicembre 1988,...

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sezione I civile; sentenza 29 dicembre 1988, n. 7083; Pres. Vela, Est. Vercellone, P.M. Paolucci (concl. conf.); Soc. Elni (Avv. Alessio) c. Soc. Sidermes; Soc. Sidermes (Avv. D'Amelio, Floridia, Ferrari) c. Soc. Elni. Cassa App. Milano 7 luglio 1984 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 689/690-699/700 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183842 . Accessed: 28/06/2014 09:25 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.163 on Sat, 28 Jun 2014 09:25:45 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 29 dicembre 1988, n. 7083; Pres. Vela, Est. Vercellone, P.M. Paolucci(concl. conf.); Soc. Elni (Avv. Alessio) c. Soc. Sidermes; Soc. Sidermes (Avv. D'Amelio, Floridia,Ferrari) c. Soc. Elni. Cassa App. Milano 7 luglio 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 689/690-699/700Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183842 .

Accessed: 28/06/2014 09:25

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

seguente nullità del ricorso in appello, assume che gli appellanti, in assenza della parte appellata, avrebbero dovuto chiedere al tri

bunale di rifissare altra udienza e di disporre quindi la rinnova

zione della notificazione del ricorso e del nuovo decreto di

fissazione, ai fini della legittima costituzione del contraddittorio, nella specie mancata. (Omissis).

Devesi esaminare anzitutto il secondo motivo concernente la

ritualità della costituzione del contraddittorio in appello, essendo

pregiudiziale agli altri relativi rispettivamente alla validità della

notificazione, successiva alla prima udienza, ed al merito.

Tale motivo è fondato. Nel procedimento di appello non sono

state osservate le norme che garantiscono il rispetto del principio del contraddittorio.

Gli appellanti, invero, non hanno affatto provveduto alla noti

ficazione del ricorso e del decreto presidenziale di fissazione del

l'udienza di discussione, ai sensi dell'art. 435, 2° comma, c.p.c., e il tribunale, nella fase preparatoria di quest'ultima, non ha ac

certato la regolarità del contraddittorio, ed anzi, presente una

soltanto delle parti — gli appellanti, appunto —, ha disposto un

mero rinvio dell'udienza di discussione, in violazione non moti

vata del divieto di udienze di mero rinvio, mentre avrebbe dovu

to, non già limitarsi a dare atto nella sentenza della contumacia

della appellata, ma, piuttosto, fissare in tale fase una nuova udien

za di discussione, tenendo conto del disposto dell'art. 435, 3°

comma, a tutela del diritto di difesa della controparte, e ordinare

contestualmente la notificazione del ricorso e del provvedimento

collegiale, a norma dell'art. 162 c.p.c., sempre che la impugna zione non fosse preclusa dalla decadenza per decorso del relativo

termine (v. Cass., sez. un., 1° marzo 1988, n. 2166, Foro it.,

1988, I, 2613). Invero, in conformità dei principi già enunciati da questa Su

prema corte in fattispecie analoghe (Cass. 22 ottobre 1987, n.

7818, id., Rep. 1987, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 452; 21 ottobre 1987, n. 7770, id., 1987, I, 3224; 16 ottobre

1987, n. 7680, id., Rep. 1987, voce cit., n. 436) devesi affermare

che nel giudizio di appello celebrato con il rito del lavoro i poteri

del presidente del tribunale si esauriscono con l'emanazione del

decreto di fissazione dell'udienza di discussione dell'appello, mentre

ogni altro potere influente sullo svolgimento del processo di se

condo grado è attribuito al collegio. Pertanto, in caso di inesi

stenza della notificazione del decreto suddetto, rientra nei poteri del collegio, e non già del presidente, l'emanazione di un provve dimento diretto a fissare la nuova udienza di discussione dell'ap

pello e a disporre la esecuzione della notificazione del ricorso

e del provvedimento collegiale.

Consegue che se il provvedimento di nuova fissazione dell'u

dienza di discussione non sia stato affatto emesso, come nella

specie, la notificazione del ricorso e del primo decreto presiden

ziale, senza disposizione alcuna del collegio e dovuta soltanto al

l'iniziativa della parte, devesi ritenere contra legem con la

conseguenza della nullità del giudizio, non sanata ovviamente dalla

costituzione dell'appellata nella specie rimasta assente.

A maggior ragione, attesa la competenza esclusiva del collegio

in materia, a nulla vale la notificazione del solo verbale di rinvio

ad altra data dell'udienza di discussione, tanto più che nell'ordi

nanza di mero rinvio non è in alcun modo configurabile neppure un implicito provvedimento di nuova fissazione di udienza.

D'altra parte, neppure sarebbe ravvisabile una qualsiasi effica

cia della spontanea notificazione del ricorso, del decreto presi denziale e del verbale dell'udienza di rinvio, in considerazione

della rilevata competenza esclusiva del collegio e dell'arbitrarietà

della iniziativa della parte, e, comunque, tale notificazione non

è verificata nella specie, posto che nella relazione dell'ufficiale

giudiziario si fa riferimento all'«atto» che precede, e cioè al solo

verbale relativo al mero rinvio della udienza, e non agli «atti»

che precedono, e cioè appunto al ricorso, al decreto presidenziale

ed al verbale dell'udienza di mero rinvio.

L'accertamento della fondatezza della seconda censura sulla re

golarità della costituzione del contraddittorio assorbe evidente

mente l'esame della prima sulla regolarità della notificazione

successiva alla violazione — non sanata — del principio del con

traddittorio e, a maggior ragione, quello della terza concernente

il merito della causa.

Dalla nullità dell'intero giudizio di appello e della sentenza che

10 ha definito consegue che devesi disporre la cassazione della

sentenza impugnata.

11 Foro Italiano — 1989.

A norma dell'art. 382, 3° comma, c.p.c. questa corte deve pe raltro cassare senza rinvio.

Invero, come recentemente hanno affermato le sezioni unite

(sent. 1° marzo 1988, n. 2166) la omissione della notificazione

del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione dell'udienza

costituisce vizio passibile di sanatoria mediante costituzione del

l'appellato o mediante «rinnovazione» disposta dal giudice, in

ogni caso, soltanto con effetto ex nunc, con salvezza cioè dei

diritti quesiti, e pertanto, se l'appellato non si costituisca, il giu

dice, qualora rilevi che, a causa del vizio predetto, l'atto di impu

gnazione sia divenuto inidoneo ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza, deve definire il giudizio con pronuncia di mero

rito, e cioè di inammissibilità del gravame, senza procedere al

l'ordine di «rinnovazione» dell'atto.

Nella specie, pertanto, è evidente il rilievo che, per la scadenza

del termine di impugnazione, il processo non può essere prose

guito, con conseguente preclusione della pronuncia nel merito,

per effetto della formazione della cosa giudicata. La complessità processuale della fattispecie ed il recente orien

tamento giurisprudenziale delle sezioni unite, rilevante quanto agli effetti del rilevato vizio di rito, consentono di dichiarare intera

mente compensate le spese fra le parti, anche per quanto riguar da quelle del giudizio di appello.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 dicem

bre 1988, n. 7083; Pres. Vela, Est. Vercellone, P.M. Pao

lucci (conci, conf.); Soc. Elni (Aw. Alessio) c. Soc. Sidermes; Soc. Sidermes (Avv. D'Amelio, Floridia, Ferrari) c. Soc. El

ni. Cassa App. Milano 7 luglio 1984.

Brevetti per invenzioni industriali — Invenzione di procedimento — Metodo di analisi — Attuazione nel corso di un procedi mento di lavorazione industriale — Brevettabilità (Cod. civ., art. 2585, 2586; 1. 29 giugno 1939 n. 1127, testo delle disposi zioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali, art. 12, 17).

Brevetti per invenzioni industriali — Invenzione di procedimento — Applicazione alla tecnica industriale di un principio scienti

fico — Brevettabilità limitata alla soluzione dello specifico pro blema indicata dall'inventore (Cod. civ., art. 2585, 2586; 1. 29

giugno 1939 n. 1127, art. 12, 17). Brevetti per invenzioni industriali — Soluzione di carattere inven

tivo — Irrilevanza del carattere inventivo dello strumento indi

cato per l'attuazione pratica del trovato (L. 29 giugno 1939

n. 1127, art. 14, 16).

È di per sé brevettabile la soluzione di un problema tecnico che

porti alla realizzazione di nuovo metodo di analisi della com

posizione di un semilavorato, analisi da attuarsi nel corso di

un procedimento di lavorazione industriale e che determini, a

seconda del suo risultato, successivi interventi per adeguare le

ulteriori fasi del procedimento alla realtà resa nota dall'a

nalisi. (1)

(1-3) «Sulla fine del secolo scorso», scriveva T. Ravà, Diritto indu

striale, II, Invenzioni industriali e modelli, a cura (e con i contributi) di M. Fabiani e P. Spada, Torino, 1988, 53-54, «il famoso Federico

Caprilli rivoluzionò la tecnica dell'equitazione ponendo le basi dell'equi tazione 'naturale' [. . .]. Tale nuova tecnica [. . .], sebbene sia dotata

di un valore pratico incontestabile [. . .] non sarebbe stata suscettibile

di formare oggetto di brevetto [. . .] per mancanza di industrialità, cioè

per il fatto di non poter essere applicata alla produzione ripetitiva di

beni e servizi». Poco più oltre, con la dovizia di riscontri che gli era

solita, l'a. aggiungeva che «neppure si sono ritenute brevettabili [le tecni

che] di analisi e controllo di procedimenti e materiali». Rilievo, questo, in piena sintonia con un orientamento giurisprudenziale che, con riguar do alle invenzioni di metodo e procedimento, aveva prima optato per una chiave di lettura affatto restrittiva (postulando la realizzazione di

un risultato tangibile, materiale, e mettendo in chiaro come la protezione non potesse estendersi oltre, appunto, la materia che costituiva oggetto della lavorazione industriale: cfr. Cass. 27 giugno 1956, n. 2345, Foro

it., Rep. 1956 voce Privative industriali, nn. 29, 84; e, per la dottrina,

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PARTE PRIMA

Possibile oggetto di brevetto, nel caso di soluzione nuova (ancor ché attuabile direttamente ed immediatamente con la sola ap

plicazione alla tecnica industriale di un principio scientifico) ad un problema tecnico, non è il principio scientifico in quanto tale ma la soluzione dello specifico problema tecnico industria

le che l'ideatore-inventore ha indicato come immediata applica

zione tecnica del principio scientifico da lui scoperto ed

elaborato. (2)

Quando: a) la soluzione del problema tecnico in cui consiste l'in

venzione è già insita nell'impostazione della determinazione del

mezzo per conseguire lo scopo voluto; b) per passare all'attua

zione in concreto non sono necessarie ulteriori innovazioni a

livello inventivo (perché vi si può giungere con strumenti o di

spositivi già noti oppure ancora ignoti ma realizzabili facendo ricorso a ciò che risulta in modo evidente allo stato della tecni

ca), l'invenzione è brevettabile se la soluzione ha di per sé ca

rattere inventivo, senza che abbia rilievo la presenza, o non,

di livello inventivo nello strumento o dispositivo indicato come

mezzo più o meno fungibile per l'attuazione pratica dell'in

venzione. (3)

M. Franzosi, L'invenzione, Milano, 1965, 184 ss.); e solo in parte aveva

poi provveduto a smussare siffatta rigidità con l'ammettere la sussistenza

del carattere dell'industrialità anche quando il processo non metteva capo ad un bene materiale, ma integrava altre utilità, quali risparmio di ener

gia, accelerazione di reazioni chimiche, abbreviazione dei tempi di lavora

zione, ecc. (v. Cass. 2 ottobre 1959, n. 2632, Foro it., Rep. 1959, voce

cit., n. 16; 14 marzo 1968, n. 821, id., 1968, I, 2213; 28 novembre 1968, n. 3835, id., 1969, I, 910, tutte menzionate in motivazione; in dottrina, F. Di Sabato e B. Lo Iudice, Innovazioni tecnologiche e diritto d'impre

sa, Napoli, 1982, 72, salvi i caveat dettati da G. Sena, I diritti sulle

invenzioni industriali e sui modelli, 2a ed., in Trattato fondato da Cicu

e Messineo, continuato da Mengoni, Milano, 1984, 110 ss.). Per ritrova

re le radici di una tale scelta, non si doveva certo scavare lontano: era

infatti dato rintracciarle, senza difficoltà, nella convinzione, assolutamente

maggioritaria, che la materialità fosse by-product irrinunziabile, per me

glio dire manifestazione necessaria dell'industrialità dell'invenzione, ri chiesta dall'art. 12 l.i. nella formulazione originaria ed ora, dopo la

«novella» del 1979, dall'art. 17 (le citazioni appaiono superflue [cfr. co

munque, riassuntivamente, P. Marchetti e L.C. Ubertazzi, Commen tario breve alla legislazione sulla proprietà industriale e intellettuale, Padova,

1987, 143-44]; si fa molto prima a fare la conta delle voci contrarie, che si riducono, in fin dei conti, a G. Ghidini, I programmi per «compu ters» fra brevetto e diritto d'autore, in Giur. comm., 1984, I, 251, che, con la corrosiva iconoclastia che gli è solita, denunciava il «macchini

smo» ottocentesco di cui è intrisa la riflessione dottrinaria in materia, e, forse, lo stesso Ravà, cit., 56, che rimarcava il carattere tutto somma to relativo del concetto di materialità, nella misura in cui se ne ammette va la sussistenza in difetto di modificazioni stricto sensu delle cose oggetto di lavorazione).

L'insofferenza nei confronti di un gioco intellettuale che dava ingresso alla brevettabilità dei procedimenti solo ove essi si identificassero con

«dispositivi», suscettibili per parte loro di esser prodotti e venduti, era emersa in una pronuncia di tre lustri fa — Trib. Bologna 21 maggio 1973, Giur. dir. ind., 1973, 670 — che aveva riconosciuto la brevettabili tà di un metodo per la ricerca di oggetti di ferro giacenti in profondità nel terreno; e aveva trovato eco anche più coesa, dieci anni dopo, nella

pronunzia di primo grado sulla controversia cui si riferisce la sentenza in epigrafe (Trib. Milano 13 giugno 1983, Foro it., Rep. 1985, voce Bre vetti per invenzioni industriali, n. 61, in extenso in Giur. dir. ind., 1983, 653), peraltro sùbito contrata in seconda istanza (la sentenza di appello è massimata in Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 50, e riportata per esteso in Giur. dir. ind., 1984, 534, vi si ribadiva, a mo' di ripristino di un'orto dossia violata, che, per non arenarsi nel limbo delle scoperte, l'invenzio ne di procedimento doveva tradursi in un dispositivo, caratterizzato di

per se stesso dai crismi della brevettabilità). Era evidente, però, che qualcosa si andava muovendo: non a caso,

posto che le «Guidelines for examination», emanate dall'ufficio europeo dei brevetti, non lasciavano dubbi circa la possibilità di coprire con priva tiva metodi di analisi e controllo, qualora servano «per il miglioramento o controllo di un dispositivo o procedimento che sia in sé suscettibile di applicazione industriale»; e che ad analoga conclusione era stato in dotto l'ufficio centrale brevetti, che l'aveva sancita con la circolare 13 dicembre 1986, n. 110 (cfr. G. Ghidini e S. Hassan, Diritto industriale.

Commentario, 2a ed., s.l., 1988, 36). L'odierna pronunzia sancisce, dunque, un meditato disentanglement dalla

vischiosità di formule consegnate alla tradizione più per forza d'inerzia che per avvertita riflessione scientifica. Essa rileva che: 1) ai fini della

brevettabilità, non conta che il sub-procedimento, in cui consiste il medo

II Foro Italiano — 1989.

Svolgimento del processo. — La spa Elni, dichiarandosi subli

cenziataria per l'Italia del brevetto italiano n. 840.240 di cui è

titolare la società statunitense Harris Muff ha convenuto in giu dizio dinanzi al Tribunale di Milano la srl Sidermes per asserita

contraffazione di quel brevetto. Il problema tecnico risolto se

condo il brevetto riguarda il metodo per ottenere nella ghisa ipe reuttetica (vale a dire con percentuale di carbonio equivalente

superiore a 4,5%) in fase di raffreddamento dopo la fusione e

prima della colata l'arresto isotermico, risultato utile industrial

mente perché dall'individuazione del momento in cui avviene tale

arresto si può operare il conteggio della quantità percentuale pre sente di carbonio. La soluzione del problema sta nella introdu

zione in un campione di ghisa da analizzare di un agente stabilizzatore del carburo che determina appunto il verificarsi di

tale arresto isotermico con modalità tali da consentire il conteg

gio. Il dispositivo o mezzo specifico adottato per concretizzare

la soluzione consiste in un crogiolo, per ricevere il campione di

ghisa fusa, sulle cui pareti è applicata una quantità di agente sta

bilizzatore.

La convenuta si è difesa: a) contestando l'asserita qualità di

sublicenziataria di parte attrice; tale contestazione, formulata nella

comparsa di risposta, non compare più in sede di precisazione delle conclusioni definitive, ma è stata riformulata in appello;

ti) eccependo la nullità del brevetto (trattasi di mera eccezione

e non di domanda riconvenzionale). In sostanza affermava che

il brevetto riguardava due invenzioni distinte: quella relativa al

procedimento o metodo di analisi, non brevettabile appunto per ché metodo di analisi e non di lavorazione industriale in senso

stretto; quella relativa al prodotto strumentale (di crogiolo), nul

la perché carente di novità e comunque di originalità; c) negando

comunque sussistere la contraffazione in quanto la sua produzio ne di crogioli, assai simili a quello descritto nel brevetto, aveva

per oggetto strumenti in parte diversi e soprattutto idonei, pro

prio per la loro diversità, a rendere possibili analisi della presenza di carbonio essenzialmente nella ghisa ipoeutettiche.

Il tribunale (sent. 13 giugno 1983, Foro it., Rep. 1985, voce

Brevetti, n. 61) non ha dovuto pronunciarsi sul punto se la Elmi

fosse o no licenziataria (sublicenziataria) in quanto, come si è

detto, la relativa eccezione era stata abbandonata in conclusioni

definitive. Ha accolto l'eccezione della Sidermes solo per quanto

riguarda il dispositivo (crogiolo), ritenendo trattarsi di strumento

attuabile, per la sua ovvietà, da chiunque e comunque da qualsia si esperto del ramo, sicché mancava del requisito del sufficiente

livello inventivo (art. 16 r.d. 1127/39). Ha invece ritenuto essere

invenzione brevettabile quella relativa al metodo di analisi (consi derato sostanzialmente come immediata applicazione all'industria

di un principio scientifico), irrilevante essendo che la soluzione

inventiva non avesse immediata consistenza materiale, determi

nante invece essendo che si trattasse di un sistema di analisi del

contenuto chimico della materia in un dato momento del proce dimento industriale. Ha accolto quindi la domanda della attrice

considerando che la fabbricazione e la vendita dei crogioli da

parte della convenuta costituisse violazione del brevetto: il fatto

che quei crogioli rappresentassero un perfezionamento rispetto al crogiolo descritto nel brevetto (o meglio, che la funzione di

quei crogioli fosse più ampia di quella del crogiolo descritto) non

escludeva la violazione del brevetto in quanto i perfezionamenti non sono liberamente utilizzabili senza il consenso del titolare

del brevetto principale o di base.

Su impugnazione principale della Sidermes ed incidentale della

Elni si è pronunciata la Corte d'appello di Milano, con sentenza

19 maggio - 7 luglio 1984 (id., Rep. 1986, voce cit., n. 50).

to d'analisi, porti da solo ad una modificazione della materia: importa, piuttosto, che valga ad accertarne uno stato, propiziando il successivo

svolgimento del processo che, nel suo complesso, plasma la materia: 2) l'esigenza di impedire che la privativa monopolizzi una scoperta scientifi ca rende storicamente ragione dell'enfasi riposta sull'applicazione prag matica del principio, ma non implica che la materialità sia «ontologicamente necessaria come titolo per la brevettabilità»; è semplicemente più corret

to, e diretto, trasferirne la funzione di garanzia alla «specificità» dell'og getto del monopolio, rigorosamente limitato alla specifica applicazione industriale prospettata dall'inventore; 3) l'originalità dell'invenzione va

apprezzata nella sua totalità, e non con riguardo al singolo dispositivo con cui si dà attuazione concreta all'idea di soluzione del problema tecni co. [R. Pardolesi]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

La corte ha ritenuto riproponibile in appello la eccezione già rinunciata in primo grado circa la qualità di sublicenziataria della

Elmi. Ma l'ha respinta esaminando il contenuto delle due con

venzioni, quella da brevettato (Harris Muff) a licenziatario (Leed & Northup) e quella da licenziatario e sublicenziatario (Elni). Ha

poi affrontato la questione di fondo.

La corte ha premesso che il procedimento brevettato è un me

todo di analisi per la determinazione della percentuale del carbo

nio equivalente nella ghisa ipereutettica. Ha affermato in linea

di principio che la brevettabilità delle invenzioni non di prodotto

(metodo, processo) sta se ed in quanto queste si realizzino in un

dispositivo che possa essere prodotto o venduto od utilizzato in

una data produzione o nella prestazione di un servizio destinato

a terzi. Come corollario logico ha ancora affermato che l'inven

zione consistente in un metodo di analisi è brevettabile, sotto il

profilo dell'industrialità, solo se caratterizzato da una idea inven

tiva sia il dispositivo necessario per l'attuazione dell'analisi.

Nel caso specifico ha quindi rivolto la sua attenzione al crogio lo rappresentato nelle descrizioni 15 e 16, dispositivo necessario

per l'utilizzazione nell'industria del metodo di analisi.

Ha ritenuto, come già il tribunale, che esso era l'espressione di conoscenze, esperienze e sperimentazioni note a tutti i tecnici

del ramo, dunque di per sé, come dispositivo, carente del requisi to dell'originalità o livello inventivo.

In sostanza, secondo la corte d'appello, originale è il metodo

di analisi in sé, che però, appunto preso in sé, non è una inven

zione brevettabile ma piuttosto una scoperta; brevettabile sarebbe

in astratto il dispositivo atto a rendere realmente operativo il nuovo

metodo di analisi, ma questo, nel caso di specie, manca dell'altro

requisito, cioè l'originalità. Di conseguenza, ha respinto tutte le

domande.

Contro questa sentenza la Elni propone ricorso, articolato su

tre motivi. Resiste con controricorso la Sidermes, la quale propo ne altresì ricorso incidentale che investe la decisione della corte

là dove ha ammesso la legittimazione attiva della Elni quale su

blicenziataria e là dove ha compensato totalmente le spese tra

le parti. La Elni, a sua volta, resiste al ricorso incidentale.

Motivi della decisione. — Il primo motivo del ricorso principa le denuncia violazione degli art. 2585 e 2586 c.c., nonché degli

art. 12 e 17 r.d. 1127/39. Sostiene la ricorrente che esattamente

il primo giudice aveva negato essere la c.d. «materialità» requisi

to necessario per le invenzioni di metodo o procedimento, essen

do sufficiente che l'idea inventiva sia suscettibile di applicazione

industriale, cioè di uso nel corso di una lavorazione industriale

(richiama in tal senso Cass. 2 ottobre 1959, n. 2632, id., Rep.

1959, voce Privative industriali, n. 16; 30 giugno 1971 n. 2061,

id., Rep. 1971, voce Brevetti, n. 23; 14 marzo 1968, n. 821, id.,

1968, I, 2213). Col secondo motivo si denunciano per altro verso nuovamente

violazione degli stessi articoli di legge ed insufficiente e contrad

dittoria motivazione. Ammettendo in tesi che davvero l'invenzio

ne di metodo o procedimento sia brevettabile solo se si concreta

in un dispositivo avente obiettiva materialità, la ricorrente conte

sta la correttezza del ragionamento del giudice di appello che,

esaminato il dispositivo di attuazione in via autonoma, ha esclu

so che questo, appunto in via autonoma, avesse il requisito della

originalità, da ciò deducendo che dunque l'invenzione nel suo

insieme non era brevettabile. In sostanza, si sostiene nel motivo

che i requisiti di brevettabilità vanno esaminati valutando nel suo

insieme l'invenzione che è appunto invenzione di metodo, per

attuare il quale è necessario uno strumento materiale, il quale

però non deve avere di per sé, autonomamente, gli specifici re

quisiti che si chiedono in relazione ad una invenzione di prodotto.

Col terzo motivo, infine (omessa ed insufficiente motivazione,

violazione degli art. 14 e 16 r.d. 1127/39), si afferma che comun

que il trovato «crogiolo» ha di per sé i requisiti della originalità

creativa e che comunque sul punto la corte di merito non ha

adeguatamente motivato.

I primi due motivi del ricorso possono essere esaminati con

giuntamente in quanto ambedue, sia pure da punti di vista diver

si, criticano la decisione per avere essa negato la brevettabilità

del trovato di cui al brevetto n. 840.240.

La decisione impugnata si fonda su due ragioni parallele che,

pur confluendo nel negare la brevettabilità, non hanno esatta

mente lo stesso fondamento: si tratta di due distinte rationes de

cidendi.

Il Foro Italiano — 1989.

Da un lato si afferma esplicitamente che un metodo di analisi

non può formare oggetto di brevetto. Si condivide quindi la tesi

preferita dalla attuale controricorrente e già a suo tempo accolta

da due decisioni della commissione dei ricorsi cui in seguito si

accennerà: non essere brevettabile un processo o metodo di con

trollo, ancorché utilizzabile nell'ambito di un ciclo produttivo, in quanto dà per risultato non la mutazione dello stato della ma

teria sulla quale si opera, ma la semplice conoscenza di tale stato.

Per corollario, si deduce che brevettabile sarebbe solo lo stru

mento o dispositivo col quale si attua il controllo, ma se ed in

quanto abbia esso, come prodotto-strumento, tutte le caratteristi

che di brevettabilità.

D'altro lato si sostiene la tesi della c.d. materialità necessaria

della invenzione, come requisito generale per ogni tipo di inven

zione, comprese quelle di procedimento o metodo o risultato in

dustriale. Si afferma che il requisito della industrialità della

invenzione ricorre se questa non operi soltanto sul piano della

conoscenza, ma, pur quando si tratti di invenzione di procedi mento o di metodo, si concreti in un soggetto materiale (un di

spositivo) «che possa essere prodotto o venduto od utilizzato in

una data produzione o nella prestazione di un servizio destinato

a terzi». Da questa affermazione si deduce come ulteriore corol

lario che questo necessario dispositivo materiale deve avere in

se e per se le caratteristiche di brevettabilità, in mancanza non

potendosi ritenere brevettabile l'invenzione.

Quanto alla prima ratio decidendi va ricordato che l'invenzio

ne di cui si tratta non è un metodo di controllo della qualità del prodotto finito: non serve ad un controllo-collaudo del pro dotto finito quando il processo di produzione è terminato e si

deve passare alla commercializzazione del prodotto stesso. Non

è nemmeno un metodo di controllo della materia prima da attua

re su questa avanti dell'inizio del procedimento di fabbricazione

(come nel caso di cui alla decisione 30 aprile 1958 della commis

sione dei ricorsi che negò la brevettabilità di un metodo di sele

zione delle patate da semina). È un metodo il cui uso si inserisce

durante la lavorazione e modificandone il procedimento: nel cor

so di questo, anziché attendere i risultati di esami spettrografici e chimici della ghisa, un campione di essa (tratta dalla massa

dopo la fusione) viene introdotto nel crogiolo dove stanno gli

agenti stabilizzatori del carburo.

Né la conoscenza ottenuta con quel metodo è fine a se stessa,

cioè l'invenzione non ha come scopo e come risultato il solo fatto

di conoscere la percentuale di carbonio equivalente. Il controllo

della percentuale di carbonio è necessario prima della colata, tan

t'è che si è sempre cercato di farlo con metodi diversi. In base

ai risultati di tale controllo si decide se e come intervenire sul

semilavorato, cioè sulla massa di fusione, per determinare le op

portune variazioni di composizione che portino alla produzione

del getto aventi le caratteristiche volute. Si tratta dunque di un

metodo che causa una modifica settoriale del procedimento (sot to quest'aspetto può parlarsi quindi di invenzione di subprocedi

mento), che si attua nel corso di una lavorazione industriale ed

ai fini di una lavorazione industriale.

Ora, perché si abbia invenzione brevettabile di metodo (o di

sub-procedimento) è necessario che il procedimento complesso nel

quale si inserisce il subprocedimento serva ad ottenere un prodot to industriale, che cioè il procedimento nel suo intero realizzi un

mutamento della materia quale preesisteva alla lavorazione (v.

art. 2586 c.c.). Non è invece necessario che il sub-procedimento

porti esso, da solo, ad una modificazione della materia sulla qua

le in un certo momento del procedimento si sta operando. È suf

ficiente che porti all'accertamento di uno stato di quella materia

quando dal risultato di quell'accertamento dipende se ed in che

direzione si aprirà una fase di ulteriore lavorazione per procedere

a variazioni di composizione e, più in generale, quando dal risul

tato di quell'accertamento dipende con quali modalità alternative

proseguirà il procedimento. Certo, ogni sistema di analisi di per

sé accerta e non influenza la composizione del semilavorato (in

specie la composizione della ghisa). Ma un metodo di analisi è direttamente «concernente» il pro

cesso di fabbricazione (cfr. ancora art. 2586 c.c.) quando, inseri

to in quel processo, ne determina pressoché automaticamente

adeguamenti e modificazioni in funzione appunto della notizia

che dà l'analisi. Codesti metodi più o meno sofisticati di analisi

fanno ora parte necessaria di ogni lavorazione industriale. La tec

nologia attuale non può più fidarsi della esperienza artigianale

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PARTE PRIMA

del buon operaio specializzato che ad occhio, o più in generale con i suoi sensi come unico strumento, stabilisca se e come conti

nuare la lavorazione. Questa è sempre più spesso fatta dalle mac

chine, è ora indispensabile il disporre di metodi che con minore

o maggiore automatismo diano alle macchine istruzioni e segnali

perché queste continuino o smettano di funzionare, perché fun

zionino in un modo o nell'altro: e tra questi metodi rientrano

certamente quelli di analisi o controllo qualitativo e quantitativo del semilavorato al quale sono collegati — sia pure potenzialmen te appunto perché in funzione del risultato del controllo — inter

venti di adeguamento o addirittura di sostanziale modificazione

delle fasi ulteriori di lavorazione. Altro è il discorso (contenuto nella decisione 16 gennaio 1970 della commissione dei ricorsi in

materia di brevetti, id., Rep. 1970, voce Privative industriali, n.

18), che fa leva sulla circostanza che un metodo di analisi attiene

di per sé al campo delle ricerche scientifiche, circostanza che po trebbe escludere la brevettabilità per evitare il monopolio di una

conoscenza. Qui ci si sposta sulla seconda ratio decidendi, quella che ha riguardo non già alla funzione della invenzione ma alla

natura di essa ed è argomento che di seguito verrà affrontato.

Ma per restare al primo aspetto della questione questo Supre mo collegio ritiene di potere formulare il seguente principio di

diritto: «È di per sé brevettabile la soluzione di un problema tec

nico che porti alla realizzazione di nuovo metodo di analisi della

composizione di un semilavorato, analisi da attuarsi nel corso

di un procedimento di lavorazione industriale e che determini, a seconda del suo risultato, successivi interventi per adeguare le

ulteriori fasi del procedimento alla realtà resa nota dall'analisi».

Si può ora passare all'esame della seconda ratio decidendi, che

fa leva non più sulla funzione dell'invenzione (metodo di analisi

e controllo), ma sulla natura di essa, cioè sul risultato della atti

vità dell'ingegno. Non è esatta la prima delle due affermazioni: essere necessario

che il metodo o procedimento si concreti in dispositivo materiale, che si veda, che si tocchi, cioè appunto in una res materiale.

È un fatto che un principio scientifico (termine usato nell'art.

2595 c.c. e che, per i fini di queste argomentazioni, si può consi

derare come comprensivo di scoperte, teorie scientifiche, metodi

matematici, termini questi usati nell'art. 12 r.d. 1127/39 testo

modificato) non è proteggibile di per sé. Oggetto di valida brevet

tazione può esere solo l'applicazione tecnica di un principio scien

tifico a condizione che dia immediati risultati industriali o, in

altre parole, il principio stesso non in quanto tale bensì come

fondamento scientifico di una innovazione tecnica atta ad avere

applicazione industriale. Si che si comprende l'atteggiamento di

chi vuole vedere il principio scientifico indicato nel brevetto (o nella domanda di esso) calato davvero nella realtà della tecnica

industriale (in senso lato): ed esige che si veda, si tocchi il muta

mento reale, concreto, che l'idea nuova determina nella specifica attività industriale che l'inventore ha indicato come l'ambito di

applicazione industriale della sua idea. In sostanza, la materializ zazione dell'idea in un dispositivo è vista come indizio del fatto che ciò che si vuol proteggere col brevetto non è un astratto prin

cipio scientifico da solo non atto ad applicazione industriale sen

za ulteriore attività davvero inventiva: ed altresì come certezza del fatto che la esclusiva avrà per oggetto proprio quella sola

applicazione tecnica (che si vede realizzabile col dispositivo) e non

tutte le indeterminate applicazioni che potrebbero derivare più o meno direttamente come corollari pratici della nuova conoscen za teorica apportata dall'ideatore.

Si spiega cosi la frequente affermazione — ripetuta anche nella

sentenza impugnata — secondo la quale anche le invenzioni di

metodo o di procedimento devono, per essere brevettabili, o con

durre alla produzione di un quid materiale o realizzarsi attraver

so l'uso di mezzi specifici, quale impianti o dispositivi.

Ma, se la c.d. materialità costituisce l'aspetto tipico delle in

venzioni di macchina, strumento, utensile, dispositivo, prodotto, se si può dire che la materialità è spesso ricorrente anche nelle

invenzioni di metodo e processo (spesso infatti nella rivendicazio ne di queste vi è anche quella che tende ad ottenere l'esclusiva sul dispositivo materiale atto a realizzare in concreto l'invenzio

ne), da ciò non si può trarre come corollario logico che codesta

materialità sia ontologicamente necessaria come titolo per la bre

vettabilità.

La disciplina legislativa è chiaramente in senso contrario.

A) A norma degli art. 2585 e 12 testo abrogato della 1. 1127/39

Il Foro Italiano — 1989.

(d'ora innanzi indicato come legge brevetti, abbreviato in l.b.)

l'applicazione tecnica di un principio scientifico può essere ogget to di brevetto «purché essa dia immediati risultati industriali».

Questa norma significa tre cose:

a) Non il principio scientifico in quanto tale è brevettabile, ma

la sua, quella sua specifica, applicazione industriale: è questo il

vero limite alla brevettabilità, che l'idea non resti nel mero ambi

to della scienza ma si cali nella tecnica, diventi scienza applicata alla industria.

b) Il brevetto non può essere dato se l'idea in sé non risolve

per intero il problema tecnico ma ancora occorre superare diffi

coltà tecniche, realizzare ulteriori innovazioni non alla portata di un normale tecnico del ramo in base allo stato della tecnica.

Il risultato industriale deve essere immediato, non «mediato» da

altra necessaria invenzione. Invenzione brevettabile si ha soltanto

quando è risolto l'intero problema tecnico, si che non si abbia

che da ripetere il meccanismo causale ormai noto per sicuramente

giungere al risultato concreto desiderato. È questo un principio

generale che vale anche al di fuori dell'ambito di questo speciale

tipo di invenzioni. Per quanto meritevole sia lo sforzo di chi sia

giunto per primo a concepire l'idea di soluzione fondamentale, il brevetto non spetterà a lui ma a chi avrà risolto i problemi tecnici che ancora si frapponevano alla realizzazione del risultato

tecnico voluto.

c) All'inverso, può darsi brevetto quando il risultato industria

le si abbia direttamente ed immediatamente come applicazione del principio scientifico e ciò avviene quando: 1) sia necessario

il tramite di strumenti ma questi siano già noti o, se non ancora

noti propri perché di essi non si sentiva la necessità in quanto ancora non era stata formultata l'idea di soluzione, siano facil

mente realizzabili da un tecnico medio del ramo, oppure: 2) il

risultato industriale si realizzi immediatamente in relazione di un

diretto rapporto di causalità per la mera applicazione da parte

dell'uomo, senza ricorrere ad ulteriori strumenti, del principio scientifico. Questa seconda è ipotesi assai meno frequente perché

pressoché ogni operazione umana si giova ormai di strumenti, dalla leva al computer; ma è prevista dal legislatore che altrimen

ti non avrebbe usato quell'oggettivo «immediati» che appunto

significa senza «media», cioè senza il tramite di alcunché.

B) L'art. 12 testo attuale si limita a porre la premessa generale

per cui l'invenzione deve essere atta ad avere una applicazione industriale. Altre limitazioni non pone, in specie non quella per cui una invenzione, per essere brevettabile, dovrebbe necessaria

mente concretarsi in qualcosa di materiale: e si noti che la tesi

della c.d. materialità necessaria doveva essere ben nota al legisla tore della riforma del 1979.

È ribadita espressamente la non brevettabilità delle scoperte, delle teorie scientifiche e dei metodi matematici, non brevettabili

tà che è sempre stata regola fin dagli inizi della disciplina brevet

tale e non solo in Italia.

Ma il 3° comma, seppure con altre parole, precisa la portata della regola nello stesso senso dell'art. 2585 c.c.

Solo le scoperte, le teorie, i metodi matematici in quanto tali

non sono brevettabili, perché quelle e questi sono patrimonio co

mune dell'umanità: il che significa (altrimenti tutto il comma sa

rebbe inutile) che è brevettabile la soluzione di un problema tecnico

industriale presentata nella domanda di brevetto come immediata

applicazione della scoperta, della teoria, del metodo matematico.

Unico vero limite, dunque, è quello già espressamente indicato

nell'art. 12 vecchio testo ma risultante chiaramente anche dal te

sto attuale: il brevetto è limitato ai soli risultati indicati dall'in

ventore. È l'unico limite. E ciò dimostra che la regola (la non

brevettabilità dei principi scientifici) si fonda non su una loro

supposta intrinseca incapacità di produrre concreti risultati prati

ci, bensì proprio, all'inverso, nella loro capacità di determinare

un insieme di applicazioni tecnologiche a larghissimo ventaglio,

pressoché indeterminato. Attribuendo all'autore della scoperta (o

più in generale allo scopritore del principio scientifico) la facoltà

di interdire l'attuazione pratica di tutte le innovazioni che altri

potranno portare alla tecnologia basandosi in tutto o in parte sulla conoscenza del principio scientifico scoperto davvero si giun gerebbe a paralizzare ogni progresso.

Come è stato affermato in dottrina, si può quindi concludere

nel senso che non la c.d. materialità è requisito della brevettazio

ne di invenzioni relative a metodi, ma la «specificità» dell'oggetto

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

del monopolio brevettuale: quella e solo quella immediata appli cazione industriale della regola scientifica è brevettabile.

La materialità necessaria non è qunque requisito necessario della

brevettabilità, né in genere né delle invenzioni che siano applica zioni tecniche di scoperte, teorie scientifiche, metodi matematici.

In senso contrario non giovano le osservazioni contenute nella

sentenza impugnata, ispirate ad una parte della dottrina, che fan

no riferimento alle disposizioni ex art. 52 e 81 ss. l.b.

È un fatto che la stragrande maggioranza delle invenzioni sono

di prodotto, compresi nel termine anche gli oggetti strumentali.

Si spiega per questo che ex art. 53 sia stabilito che non costituisce

attuazione dell'invenzione l'introduzione nello Stato di oggetti pro

dotti all'estero; che ex art. 81 ss. tra le misure strumentali e quel

le sanzionatone ne siano previste alcune che hanno per oggetto i prodotti fabbricati usando l'invenzione di cui si tratta. Ma ciò

non significa che se l'invenzione non si materializza in uno stru

mento o comunque in un oggetto materiale il titolare del relativo

brevetto non sia anch'egli tenuto ad attuare l'invenzione: l'onere

esiste sempre e ad esso si adempirà o attuando l'invenzione per

proprio conto, cioè usando il metodo inventato in una propria

attività industriale, o concedendo a terzi autorizzazioni o licenze

senza le quali codesti terzi non potrebbero servirsi del metodo

brevettato.

D'altra parte, per quanto riguarda la protezione del brevetto,

a certi rimedi il titolare non potrà ricorrere, certe sanzioni non

potrà richiedere contro il contraffattore, proprio per le caratteri

stiche particolari del suo trovato.

Ma questo non può significare che, dunque, è esclusa addirit

tura la protezione di quelle invenzioni.

Questa corte pertanto, seguendo d'altra parte un filone giuris

prudenziale costante ormai da circa trent'anni (cfr. Cass. 2632/59,

cit.; 821/68, cit.; 3835/68, id., 1969, I, 910; 208/72, id., Rep. 1972, voce Brevetti, n. 57) ribadisce il seguente principio di diritto:

«È brevettabile la soluzione nuova di un problema tecnico con

soddisfacimento di un interesse tipicamente industriale anche se

la soluzione stessa è attuabile direttamente ed immediatamente

con la sola applicazione alla tecnica industriale di un principio

scientifico (scoperte, teorie scientifiche e metodi matematici) sen

za il tramite di una specifica entità materiale quale supporto fisi

co. In tal caso è possibile oggetto di brevetto non il principio

scientifico in quanto tale ma la soluzione dello specifico proble

ma tecnico industriale che l'ideatore-inventore ha indicato come

immediata applicazione tecnica del principio scientifico da lui sco

perto od elaborato».

Per quanto sopra si è detto, ed a maggior ragione, è da ritene

re errata anche la seconda parte della affermazione su cui si basa

la seconda ratio decidendi della sentenza impugnata.

L'errore è il risultato di una non corretta operazione che ha

tagliato in due la sostanziale unità dell'invenzione di cui si tratta.

Il giudice di secondo grado ha affermato che il metodo di ana

lisi in questione è originale, ma costituisce di per sé esclusivamen

te una scoperta perché da solo non costituisce la soluzione del

problema tecnico industriale: non brevettabile dunque perché si

tratterebbe di scoperta «in quanto tale». Ha poi ritenuto che il

crogiolo (strumento indicato nella descrizione come idoneo a con

sentire l'esecuzione della operazione necessaria) non è dotato di

originalità perché espressione di conoscenza, esperienza e speri

mentazioni note a tutti i tecnici del ramo.

Giungendo dunque ad escludere la brevettabilità dell'invenzio

ne in sé ora sotto un aspetto ora sotto un altro.

L'errore logico è evidente.

La regola di fondo è quella già ricordata per cui si ha invenzio

ne brevettabile solo quando essa risolve l'intero problema tecni

co, nel senso che per ottenere il risultato concreto desiderato non

si ha che da ripetere il meccanismo causale indicato nel brevetto,

cioè nella descrizione allegata.

Ora, è pur vero che spesso il vero momento inventivo consiste

nella individuazione del modo in cui si attua la realizzazione con

creta della idea di soluzione, già nota ma appunto rimasta allo

stato di idea di soluzione perché ancora non era stato ideato il

modo per giungere alla relizzazione concreta: in questo caso bre

vettabile è soltanto l'ideazione della fase finale ed è su questa

che va condotto il controllo circa l'esistenza dei requisiti di bre

vettabilità.

Ma, a volte, l'invenzione si realizza già con la semplice propo

sizione della idea di soluzione e ciò avviene quando per passare

Il Foro Italiano — 1989.

da essa alla soluzione concreta dello specifico problema tecnico

non vi sono altre difficoltà da superare se non quelle che possono essere risolte da un esperto del ramo che conosca il relativo stato

della tecnica, quando cioè non v'è bisogno di ulteriori sforzi in

ventivi.

L'ipotesi più evidente è quella in cui la realizzazione in concre

to può avvenire usando strumenti già noto e di uso comune senza

nemmeno introdurvi modificazioni o adattamenti.

Ma è analoga l'ipotesi in cui la realizzazione in concreto può avvenire con l'allestimento di un dispositivo ad hoc, obiettiva

mente nuovo perché adatto ad una operazione nuova, cioè quella in cui consiste l'invenzione, ma non originale appunto perché age

volmente progettabile da qualunque medio tecnico del ramo sulla

scorta dello stato della tecnica. La sola differenza sta nella circo

stanza empirica che, in questa seconda ipotesi, il brevetto di re

gola contiene anche la indicazione del nuovo dispositivo, spesso indicato a titolo esemplificativo, con ciò mettendosi in evidenza

la sua relativa fungibilità con altri dispositivi, tutti egualmente funzionali.

In questi casi il controllo necessario ma sufficiente del livello

inventivo va fatto esclusivamente sulla idea di soluzione che si

presuppone essere già di per sé soluzione del problema tecnico.

Certo, anche lo strumento o dispositivo indicato va preso in con

siderazione. Ma la relativa indagine ha un altro scopo, quello di accertare che lo strumento o il dispositivo indicato giovino

davvero al conseguimento del risultato tecnico voluto. Ciò per

ché, ove si giunga ad una risposta negativa si potrebbe escludere

la brevettabilità in quanto rimarrebbe dubbio o addirittura si po trebbe escludere che l'idea di soluzione fosse davvero di per sé

risolutiva del problema, ipotizzandosi che sia invece rimasta allo

stadio preliminare di mera idea di soluzione lasciando da risolve

re ulteriori problemi inventivi relativi alla concreta attuazione.

Ma un controllo di livello inventivo (o di originalità) dello stru

mento o dispositivo è irrilenvante, anzi assurdo, proprio perché

l'accertamento negativo della originalità dello strumento indicato

sta a dimostrare che l'invenzione è più a monte, nell'idea di solu

zione, applicando direttamente la quale, con uno o più strumenti

noti o conoscibili, già si ottiene il risultato voluto e finallora mai

conseguito. Non si può dunque escludere la brevettabilità di una invenzio

ne, di cui si accerti la originalità della idea fondamentale di solu

zione e sia indiscussa la sua attuabilità come soluzione concreta

di un problema tecnico industriale con la mediazione degli stru

menti o dispositivi indicati, sotto il profilo della carenza di origi

nalità di tali strumenti o dispositivi. A tale esclusione invece è erroneamente giunto il giudice di

merito. Esso infatti ha stabilito che vi era livello inventivo nella

determinazione del mezzo per raggiungere lo scopo voluto: nel

caso la introduzione di agenti stabilizzatori del carburo in un cam

pione di ghisa ipereuttetica come fattore causante di arresto iso

termico, a sua volta fenomeno dal quale si può risalire alla

determinazione della quantità di carburo equivalente, determina

zione che rappresenta il problema tecnico risolto con l'invenzione.

Ha stabilito che il dispositivo indicato, vale a dire il crogiolo

dotato di termocoppia nel quale viene colato il campione di ghisa

fusa che entra in contatto con tellurio, indicato come agente sta

bilizzatore del mercurio, era funzionale ad ottenere il risultato

voluto, cioè la determinazione della quantità del carburo equi

valente.

Con ciò aveva compiuto gli accertamenti doverosi e sufficienti.

Ha invece proceduto ad un accertamento inutile, quello della ori

ginalità in sé dello strumento, il crogiolo, cosi appunto, come

si è accennato, erroneamente scindendo la sostanziale unità della

invenzione.

Su questo punto il collegio formula, pertanto, il seguente prin

cipio di diritto: «Quando la soluzione del problema tecnico in cui consiste l'in

venzione già è insita nella impostazione della determinazione del

mezzo per conseguire lo scopo voluto e per passare alla attuazio

ne in concreto non sono necessarie ulteriori innovazioni a livello

inventivo potendovicisi giungere con strumenti o dispositivi già

noti o ancora ignoti ma realizzabili facendo ricorso a ciò che

risulta in modo evidente dallo stato della tecnica, l'invenzione

è brevettabile se la soluzione ha di per sé carattere inventivo,

irrilevante essendo la presenza o assenza di livello inventivo nello

strumento o dispositivo indicato come mezzo più o meno fungi

bile per l'attuazione pratica della invenzione».

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PARTE PRIMA

Accogliendosi i primi due motivi del ricorso per le ragioni so

pra indicate, ne resta assorbito il terzo. La società ricorrente stes

sa lo ha considerato un motivo condizionato al non accoglimento dei primi due motivi; ed infatti non v'è più ragione di accertare

se il dispositivo (il crogiolo) abbia autonono requisito di origina lità una volta che si è escluso che tale autonomo accertamento

potesse o dovesse farsi al fine di stabilire la brevettabilità o no

dell'invenzione del suo complesso.

Quanto alle osservazioni fatte nel controricorso relativamente

al contenuto della esclusiva del brevetto in questione, se cioè tale

esclusiva sia o non sia violata dal comportamento della società

controricorrente, è questione che dovrà essere esaminata dal giu dice del rinvio, in quanto non affontata nella sentenza impugna ta, avendo questa accolto l'eccezione di nullità del brevetto.

V'è infine da dire del ricorso incidentale.

Il primo motivo di esso riguarda la legittimazione attiva della

ricorrente. Non si contesta il punto di diritto relativo alla legitti mazione attiva del licenziatario ed in specie del sub-licenziatario; ma si contesta che sia stata provata in causa tale qualità della

Elni spa. Preliminarmente va affermato che esattamente la corte di me

rito ritenne di potere esaminare l'eccezione proposta in appello. La stessa eccezione era stata proposta nella prima fase del proce dimento di primo grado ma poi addandonata. Di questa quindi non si occupò il primo giudice proprio perché non faceva più

parte della causa. In fase di appello era dunque una eccezione

nuova e come tale poteva essere proposta ex art. 345 c.p.c. Ma il motivo è infondato. La motivazione della sentenza impu

gnata si snoda, per questo punto, sulle seguenti affermazioni:

a) il contratto principale (licenza da Harris a Leeds) va interpre tato nel senso che era concessa licenza su ogni brevetto attuale

0 futuro relativo alla determinazione del carbonio equivalente nelle

ghise ipereuttetiche. Con quel contratto, dunque, fu concessa li

cenza anche sul brevetto n. 840.240 che pure ancora non era sta

to rilasciato né richiesto quando il contratto fu concluso; b) il

contratto di sub-licenza (da Leeds a Elni) è anch'esso contratto

onniconprensivo perché riguarda tutti i brevetti di cui era licen

ziataria la Leeds: comprendeva anche il brevetto n. 840.240, pur non menzionato espressamente.

Il ricorso incidentale, su questo punto, solleva due critiche.

Si sostiene, con la prima, che il giudice non ha tenuto conto

del fatto che la licenza principale riguardava solo i sistemi di ac

certamento dell'equivalente di carbonio in ghisa ipereuttetiche men

tre l'azione giudiziaria era tesa ad interdire l'uso di un metodo

di analisi del carbonio reale in ghise ipoeutettiche. È doglianza infondata. Per stabilire la legittimazione attiva di

chi agisce affermando che è stato violato il diritto esclusivo colle

gato ad un determinato brevetto è necessario ma sufficiente ac

certare che l'attore sia titolare o licenziatario del brevetto del quale chiede la protezione. È il giudice del merito — qui il giudice di

rinvio — che, data per scontata la legittimazione attiva, stabilirà se vi è stata violazione del diritto esclusivo accertando sia l'ambi to di esclusiva sia il comportamento della società convenuta.

La seconda critica investe la decisione là dove ammette che 1 due contratti abbiano efficacemente costituito la sublicenza. Da un lato la controricorrente sostiene che il contratto principale

(Harris-Leeds) era un preliminare con efficacia meramente obbli

gatoria (stipulare il successivo contratto di licenza quando il bre vetto fosse stato ottenuto); poiché questo secondo contratto non

risulta essere stato stipulato, non si è costituita la licenza in capo alla Leeds la quale pertanto non poteva efficacemente costituire la sublicenza in capo alla Elni. D'altro lato il secondo contratto

non contiene alcuna negoziazione espressamente riferita a ciascu no dei brevetti di cui era licenziataria la Leeds; si che, secondo

la ricorrente, non si sarebbe costituita una efficace sublicenza sullo

specifico brevetto n. 840.240.

Anche questa è doglianza infondata. Con interpretazione insin

dacabile in questa sede la corte di merito ha stabilito che il con

tratto di licenza aveva per oggetto la costituzione di licenza su tutti i brevetti presenti e futuri nell'ambito di una certa tecnolo

gia, che con quel contratto «sono state concesse» quelle licenze, non che con quel contratto la Harris si impegnava a costituire in futuro licenze, mediante apposito e successivo contratto, defi

nitivo rispetto al primo, da ritenersi preliminare. Logico quindi il corollario per cui quel contratto è stato sufficiente a determina

li, Foro Italiano — 1989.

re la costituzione della licenza anche in relazione al brevetto che

allora non era ancora da ottenere.

Ex art. 1472 c.c. nel caso di vendita di cosa futura l'acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza,

per effetto diretto ed immediato della vendita, senza che sia ne

cessario un successivo negozio di trasferimento da stipularsi quando la cosa viene ad esistenza. Questa regola è applicabile anche al

caso di costituzione di licenza di brevetto perché anche in questa

ipotesi non sono da richiedersi ulteriori atti di volontà, in quanto il venire ad esistenza del brevetto è condicio iuris di efficacia del

contratto, ma del contratto iniziale.

Quanto al contratto di sub-licenza (Leeds-Elmi), è sufficiente

ricordare che quando le parti intendono stipulare relativamente

ad un genus limitato di cose è sufficiente che inquadrino esatta

mente il genus (qui l'ambito della tecnologia cui si riferiscono

le licenze su cui costituire le sublicenze) perché quel contratto

s'intenda concernere tutte le species rientranti in quel genus (qui la sublicenza sul brevetto in questione). Ed è questione di inter

pretazione del contratto, insidacabile in questa sede, l'accerta

mento che quel contratto riguardasse proprio tutto quel genus limitato nel quale rientra anche la licenza sul brevetto n. 840.240.

Resta assorbito il motivo riguardante la compensazione delle

spese di secondo grado. Su queste dovrà pronunciare nuovamen

te il giudice di rinvio quando avrà deciso il merito della causa. La sentenza va, pertanto, cassata in accoglimento dei primi

due motivi del ricorso principale. Il giudice di rinvio, designato in altra sezione della stessa Corte d'appello di Milano, pronunce rà tenendo conto dei principi di diritto sopra esposti.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 dicem bre 1988, n. 7079; Pres. Bologna, Est. Carbone, P.M. Cece re (conci, parz. diff.); Di Martino (Avv. Schininà, Di Paola) c. Bagheri (Avv. Salerni, Borrometi). Cassa App. Catania 13 aprile 1985.

Espropriazione per pubblico interesse — Stima dell'indennità —

Giudizio di opposizione — Declaratoria d'incostituzionalità dei criteri di stima — Competenza in unico grado della corte d'ap pello (L. 22 ottobre 1971 n. 865, programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sull'espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni delle leggi 17 agosto 1942 n. 1150, 18 aprile 1962 n. 167, 29 settembre 1964 n. 847, ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore

dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata, art. 19). Edilizia popolare, economica e sovvenzionata — Espropriazione

per costruzione di alloggi popolari — Cooperativa — Stima dell'indennità — Giudizio di opposizione — Comune — Legit timazione passiva (L. 22 ottobre 1971 n. 865, art. 60).

La sopravvenuta declaratoria d'incostituzionalità del criterio del valore agricolo medio non ha intaccato la piena applicabilità dell'art. 19 I. 865/71, sulla devoluzione in unico grado alla cor te d'appello del giudizio di opposizione alla stima dell'in dennità. (1)

(1) Nihil sub sole novi, per quel che riguarda la possibilità di applicare l'art. 19 1. 865/71 anche in presenza della declaratoria d'incostituzionalità del criterio del valore agricolo, avvenuta con le ormai celebri sentenze 5/80 (Foro it., 1980, I, 273) e 223/83 (id., 1983, I, 2057). Per un raggua glio completo sulla situazione giurisprudenziale in riferimento all'articolo succitato, v. la nota di richiami a Cass. 18 giugno 1988, n. 4172 (in que sto fascicolo, I, cui adde Cass. 14 ottobre 1988, n. 5599, Foro it., 1989, I, 104). Nella motivazione della sentenza in epigrafe, sono inoltre richia mate Cass. 20 novembre 1985, n. 5710 (id., Rep. 1985, voce Contravven zione, n. 61); Corte cost. 3 aprile 1982, n. 69 (id., 1982, I, 1213) e 15 aprile 1981, n. 62 (id., 1981, I, 1497), che riaffermano la possibilità, per il legislatore ordinario, di prevedere casi di giudizi in cui si deroga al principio del doppio grado di giurisdizione (ciò che avviene anche nel giudizio di opposizione alla stima dell'indennità di esproprio): ma, anche su questo punto specifico, v. Cass. 4172/88, in nota.

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