sezione I civile; sentenza 8 giugno 1988, n. 3881; Pres. Vela, Est. Favara, P.M. Amirante (concl.conf.); Soc. Italmobiliare (Avv. Buglielli, Ardito, Casella) c. Inzana (Avv. Melandri, Strina).Conferma App. Milano 6 maggio 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2925/2926-2937/2938Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184231 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
che se una persona ha scelto al mattino di lavorare per guadagna re e, a tal fine, si è recato presso la centrale per ritirare la radio, da riconsegnare la sera, nel corso della giornata trascuri di com
piere quelle attività (risposte alle chiamate) che, sole, possono
assicurargli un compenso, . . .».
Non vale, per escludere l'esistenza di un rapporto di lavoro
subordinato, invocare il fatto che il lavoro, nella maggioranza dei casi, dura soltanto pochi giorni o pochi mesi, ragione per cui mancherebbe la «continuità in senso tecnico che costituisce
elemento indispensabile del rapporto di lavoro» (Trib. Milano 10
ottobre 1987, Foro it., 1989, I, 2632). Invero la «lunga durata» non sembra, in base all'ordinamento
vigente, costituire elemento indispensabile di un rapporto di lavo
ro subordinato, ben potendo anche un rapporto durato pochi giorni essere considerato di tipo subordinato.
Il Tribunale di Milano, nella sentenza indicata, dopo aver fatto
riferimento alla giurisprudenza della Suprema corte in materia
di subordinazione e di individuazione dei suoi elementi costituti
vi, scrive: «Può aggiungersi che questi principi assumono parti colare rilevanza in presenza di imprese che ... si
propongono ... di comprimere nella misura massima possibile i costi fissi e le spese di gestione, specie quelle connesse alla inter
mittenza della domanda di mercato e, pertanto, cercano di dar
vita ad una struttura organizzativa ridotta all'essenziale e di av
valersi di collaboratori esterni facendo leva sulla considerevole
offerta di lavoro precario». Le imprese che si propongono di comprimere nella misura mas
sima possibile i costi fissi e le spese di gestione e che fanno, a
tal fine, leva sulla «considerevole offerta di lavoro precario» non
sembrano invece a questo giudicante meritevoli di particolare tu
tela, della quale, se mai, sono molto più meritevoli le imprese che non fanno leva sul lavoro precario e che inquadrano i loro
dipendenti in regolari rapporti di lavoro. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 8 giugno
1988, n. 3881; Pres. Vela, Est. Favara, P.M. Amirante (conci,
conf.); Soc. Italmobiliare (Avv. Buglielli, Ardito, Casella)
c. Inzana (Avv. Melandri, Strina). Conferma App. Milano
6 maggio 1983.
Società — Delibera assembleare — Impugnazione per nullità —
Interesse ad agire — Qualità di socio al momento della doman
da — Necessità — Qualità di socio al momento della delibera — Necessità — Esclusione (Cod. civ., art. 1421, 2379; cod.
proc. civ., art. 100). Società — Bilancio — Impugnazione per nullità — Violazione
dell'obbligo di chiarezza e precisione — Interesse ad agire —
Condizioni — Fattispecie (Cod. civ., art. 2379, 2423; cod. proc. civ., art. 100).
Nell'esercizio dell'azione di nullità di una delibera assembleare
da parte di un socio, quando l'interesse ad agire sia connesso
con la qualità di socio, tale qualità deve sussistere al momento
della proposizione della domanda e permanere durante tutto
il giudizio sino alla decisione della controversia, non essendo
invece necessaria la preesistenza di tale qualità al momento di
formazione della delibera assembleare impugnata. (1)
(1-2) Un breve riassunto dei termini nei quali la controversia è stata
sottoposta alla corte si rende necessario per la comprensione di questa sentenza per alcuni versi non chiara. Un socio impugna per nullità la
delibera di approvazione del bilancio della società convenuta, sotto il profilo della violazione del principio di chiarezza e precisione; l'attore è socio
sin da data antecedente l'adozione della delibera, ma in corso di causa
sostituisce la propria originaria partecipazione di 500 azioni con altra par
tecipazione di 200 azioni; la corte di merito, sull'eccezione della società
convenuta che eccepiva, tra l'altro, la carenza di legittimazione e dell'in
teresse ad agire dell'attore, ne afferma l'interesse concreto ed attuale al
l'impugnazione della delibera stante la rilevanza economica della posta
di bilancio contestata, una cui diversa sorte avrebbe potuto influire
Il Foro Italiano — 1989.
Vi è concreto pregiudizio per gli interessi dei soci o di terzi e
quindi sussiste il loro interesse ad agire con azione di impugna
zione della delibera assembleare che approva il bilancio, quan do essi siano indotti in errore dall'inesatta informazione fornita sulla consistenza patrimoniale e sull'efficienza economica della
società, o quando per l'alterazione o incompletezza della espo sizione dei dati da riportare nel bilancio, tali da generare gravi
sospetti di irregolarità, derivi o possa derivare un pregiudizio economico concreto circa il valore della partecipazione aziona
ria o circa l'entità degli utili da ripartire (nella specie, la corte
ha ritenuto la sussistenza dell'interesse ad agire del socio, nella
presenza in bilancio della voce passiva di rilevante importo «co
sto indicizzazione prestiti a medio rimborsati» senza alcuna pre
cisazione circa l'entità degli interessi pattuiti e circa l'onere
derivato dalla indicizzazione). (2)
sulla misura degli utili riferibili alle singole azioni e perciò di riflesso
sul valore delle stesse e dichiara che ai fini della procedibilità della do manda era sufficiente verificare l'esistenza dell'interesse ad agire al mo
mento della decisione e quindi la qualità di socio dell'attore a tale momento,
precisando comunque che, nel caso di specie, doveva ritenersi provata la sussistenza della qualità di socio anche alla data di proposizione della
domanda e per tutto il processo sulla base della documentazione prodotta. Con il ricorso l'attore lamenta l'erronea interpretazione delle risultanze
processuali tenuto conto dei principi in materia di onere della prova e di data certa che non avrebbero consentito di ritenere provata la qualità di socio al momento della domanda, mentre doveva ritenersi errata l'af
fermazione principale della corte di merito che l'interesse ad agire da
verificarsi al momento della decisione, fosse desumibile dalla qualità di
socio pure riferita al momento della decisione.
La Cassazione, pur respingendo il ricorso sotto il profilo della pretesa carenza di prova circa la sussistenza della qualità di socio al momento della domanda, modifica parzialmente la motivazione della corte d'appel lo affermando che la qualità di socio deve ricorrere necessariamente al
momento della domanda (mentre è irrilevante che tale qualità sussista
prima) perché, quando chi impugna è un socio, «la legittimazione all'a
zione (in se concettualmente distinta dall'interesse ad agire) che si ricon
netta allo status di socio coincide con l'interesse ad agire, nel senso che
l'interesse ad agire diviene requisito di legittimazione e quindi condizione
di proponibilità della domanda».
La sentenza appare cosi non chiara perché potrebbe far ritenere che
essa voglia riconnettere, operando una commistione tra i concetti di legit timazione ed interesse ad agire, allo status di socio l'interesse ad agire sufficiente per impugnare per nullità la delibera di approvazione del bi
lancio. In altra parte della sentenza la corte specifica, peraltro, che l'azio
ne di nullità non è, di regola, rimedio diretto ad un fine generale al regolare
svolgimento del rapporto sociale e nell'esaminare l'esistenza o meno del
l'interesse ad agire dell'impugnante si richiama ai principi già enunciati
in precedenti decisioni, come desumibili nella seconda massima, per cui, tenuto conto della concreta fattispecie, sembra doversi ritenere che per
questa sentenza, nel caso in cui l'interesse ad agire di chi impugna per nullità sia collegato con la qualità di socio, tale qualità deve sussistere
al momento della proposizione della domanda e per tutto il giudizio, e non solo al momento della decisione, mentre è irrilevante che sussista
prima della proposizione della domanda, ferma restando comunque la
necessità di dimostrazione dell'effettiva esistenza di un interesse ad agire concreto ed attuale.
La sentenza è annotata da F. Corsi, in Società, 1988, 810.
Sullo specifico punto del momento in cui il socio debba dimostrare
la propria qualità quando la qualificazione del suo interesse all'impugna zione per nullità si riconnetta con tale status, non constano precedenti
negli esatti termini.
Nella diversa ipotesi di impugnazione per annullamento di delibere as
sembleari, la prevalente giurisprudenza e dottrina ritengono che il deposi to di un titolo azionario ai sensi dell'art. 2378 c.c. (non necessario per l'azione di nullità) non costituisca presupposto processuale ma costituisca
formalità diretta a dimostrare una condizione dell'azione essendo attinen
te alle legimatio ad causam, la cui prova va tuttavia acquisita all'inizio
del processo perché deve presumersi per tutto il giudizio (Cass. 15 marzo
1984, n. 1757, Foro it., Rep. 1984, voce Società, n. 517; Trib. Milano
5 novembre 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 346; contra, App. Bologna 29 gennaio 1977, id., Rep. 1977, voce cit., n. 284, secondo la quale il
deposito è possibile sino al momento della sentenza).
Ritengono, invece, che il deposito dell'azione costituisca un presuppo sto processuale della domanda, che deve sussistere fin dal momento della
notificazione della citazione e permanere, ininterrottamente, sino alla sen
tenza definitiva, Cass. 27 giugno 1961, n. 1553, id., 1961, I, 1454 e,
in dottrina, da ultimo, Ferri, Le società, Torino, 1985, 618. Circa la
necessità della sussistenza dell'interesse ad agire, al momento della deci
sione, Cass. 6 aprile 1983, n. 2406, Foro it., Rep. 1983, voce Procedi
mento civile, n. 89; in dottrina, Liebman, Manuale di diritto processuale
civile, Milano, 1980, 135. Sulla differenza fra interesse ad agire del socio
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2927 PARTE PRIMA 2928
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 13 gennaio
1988, n. 181; Pres. Falcone, Est. Borruso, P.M. Zema (conci,
conf.); Trasmondi (Avv. Zaccaria) c. Soc. coop. Cantina so
ciale Colli Albani (Aw. Piccarozzi). Conferma App. Roma
27 settembre 1983.
Società — Delibera assembleare — Impugnazione — Socio esclu
so — Ammissibilità — Condizioni (Cod. civ., art. 1421, 2377, 2379, 2516; cod. proc. civ., art. 100).
Il socio escluso, pur dopo la sua uscita dalla società, può impu gnare la delibera assembleare adottata a! tempo in cui egli era
ancora socio, tutte le volte in cui un suo diritto astrattamente
configurabile nei confronti della società in relazione alla sua
passata partecipazione ad essa dipenda dall'accertamento della
legittimità della delibera assembleare presa quando egli era an
cora socio. (3)
per impugnare una delibera assembleare e legittimazione ad agire, Car
nelutti, Legittimazione ed interesse ad impugnare una deliberazione del l'assemblea degli azionisti, in Riv. dir. proc., 1960, 510; Jaeger, Legittimazione e interesse ad impugnare il bilancio, in Giur. comm., 1975, II, 46.
In giurisprudenza, affermano espressamente che la semplice qualità di socio non determina la sussistenza dell'interesse ad agire per l'azione di nullità (anche se la qualità di socio rende la prova più agevole ed in
larga misura ricavabile mediante presunzioni), Cass. 18 marzo 1986, n. 1839, Foro it., 1987, I, 1232; 27 febbraio 1985, n. 1699, id., 1985, I, 2661; Trib. Lanciano 25 novembre 1985, id., 1986, I, 1062, alle cui note di richiami si rinvia. Recentemente, in due casi, si è negato l'interesse ad agire con l'azione di nullità, al socio che aveva ceduto integralmente la propria partecipazione in corso di causa: Trib. Milano 23 giugno 1988, Società, 1988, 1159; 18 aprile 1988, ibid., 723.
Sulle condizioni per il riconoscimento dell'esistenza dell'interesse ad
agire con l'azione di nullità da parte del socio o di terzi, in presenza della violazione del principio di chiarezza e precisione, nel medesimo sen so della seconda massima, oltre alle pronunce citate in motivazione, Cass. 16 dicembre 1982, n. 6942, Foro it., 1984, I, 1067.
La più recente giurisprudenza «milanese», ritiene, invece, tutt'ora, che l'azionista abbia interesse ad impugnare la delibera dell'assemblea con la quale viene approvato il bilancio non chiaro e preciso, indipendente mente dai riflessi di tale violazione nella determinazione dell'utile di eser cizio, rivestendo la violazione del principio di chiarezza autonoma rilevanza; si segnalano, in particolare, Trib. Milano 13 gennaio 1983, id., 1984, I, 1068 con nota di richiami; Trib. Milano 24 marzo 1983 id., 1983, I, 2280, confermata da App. Milano 25 marzo 1986, id., 1987, I, 583.
In dottrina, v., da ultimo, F. Galgano, Sulla validità delle deliberazio ni assembleari di approvazione del bilancio, in Contratto e impresa, 1988, 1, che critica l'orientamento milanese.
Per una rassegna della dottrina e della giurisprudenza sull'argomento, v. P.G. Jaeger, Il bilancio di esercizio delle società per azioni, Milano, 1980, 20 e Problemi topici del bilancio di esercizio, in Giur. comm., 1986, I, 984.
(3) La decisione riveste particolare interesse, perché sembrerebbe rico noscere la legittimazione dell'ex socio ad impugnare una delibera assem bleare anche per annullamento ex art. 2377 c.c., a condizione che il diritto fatto valere dall'ex socio sia pregiudicato dalla delibera impugnata e che egli abbia un interesse ad agire attuale e concreto per ottenere l'annulla mento; nel caso di specie peraltro, la corte, pur modificando nel senso suindicato (ai sensi dell'art. 384, 2° comma, c.p.c.) la motivazione della corte di merito, ha respinto il ricorso non riconoscendo nell'impugnante la sussistenza di un interesse ad agire perché non ha ravvisato in fatto un nesso causale tra l'eventuale accoglimento dell'impugnazione ed il ri storo del diritto dell'attore che impugnava una delibera sulla base della quale era stato successivamente escluso dalla società.
La sentenza è annotata da E. Protetti, in Società, 1988, 350 e L. Delle Vergini, in Nuova giur. comm., 1988, 635. Non constano prece denti negli esatti termini.
In giurisprudenza ha ritenuto possibile l'impugnazione del bilancio di una cooperativa da parte di soci receduti App. L'Aquila 17 ottobre 1981, Foro it., Rep. 1983, voce Cooperativa, n. 45 e in Giur. comm., 1983, I, 638, che non chiarisce tuttavia se ciò sia ammissibile per l'azione di nullità o di annullamento; una lontana sentenza della Cassazione (sent. 13 luglio 1957, n. 2849, Foro it., Rep. 1957, voce Società, n. 469 e in Foro padano, 1958, I, 28, con nota di Giannantonio) ammette la possi bilità di impugnazione del bilancio di una cooperativa anche se regolar mente approvato dall'assemblea da parte dell'ex socio allo scopo di pervenire ad un'esatta valutazione della quota che deve essergli rimborsa ta, ma qualifica l'azione non come impugnativa della delibera ai sensi dell'art. 2377 c.c., ma come normale azione di accertamento, che sarebbe
Il Foro Italiano — 1989.
I
Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 13 novem
bre 1979 Giuseppe Inzana conveniva in giudizio davanti al Tribu
nale di Milano la s.p.a. Italmobiliare e chiedeva che fosse dichiarata
nulla, o comunque annullata, la delibera adottata il 30 luglio 1979
dall'assemblea ordinaria della società, con la quale era stato ap
provato il bilancio al 31 marzo 1979. A sostegno di tale domanda
l'attore deduceva che non soddisfaceva il diritto dei soci alla cor
retta informazione, né l'esigenza di evitare ogni possibile devia
zione della causa del contratto costitutivo della società, la mancata
esauriente risposta degli organi amministrativi alla richiesta di chia rimenti sull'appostazione in bilancio di lire 110.443.225.000, fi gurante nel conto economico fra le perdite sotto la voce «costo
indicizzazione prestiti a medio rimborsati»; ciò tanto più in quanto nei precedenti bilanci a partire dal 1972 il maggior onere derivan
te dall'indicizzazione (di un prestito di 50 miliardi di durata set
tennale indicizzato al franco svizzero) non era stato indicato,
quanto meno relativamente agli interessi. L'Inzana deduceva al
tresì che l'immotivato rifiuto opposto alle sue richieste di infor
mazioni e di esame della documentazione relativa all'operazione, della quale non vi era cenno neanche nella relazione illustrativa
del bilancio 1972-73, impediva qualsiasi controllo sulla veridicità
del bilancio impugnato in ordine ad una posta essenziale per la
sua notevole entità. A seguito delle contestazioni mosse dalla con
venuta s.p.a. Italmobiliare all'atto della costituzione in giudizio, circa la legittimazione e l'interesse ad agire (nonché circa la tardi
vità della domanda di annullamento, perché proposta oltre il ter
mine di tre mesi, decorrente dalla data della delibera), I'Inzana
precisava che aveva acquistato il 18 aprile 1979 500 azioni della
Italmobilialre, come risultava dall'allegato fissato bollato; che in
virtù di esse egli era stato ammesso a partecipare all'assemblea; che la decadenza non poteva concernere l'azione di nullità della
delibera da lui proposta. Replicava la convenuta che l'attore ave
va prodotto un certificato relativo ad una sola azione; che, in
ogni caso, non aveva dimostrato il suo interesse concreto ed at
tuale, dato che aveva perso la qualità di socio per aver venduto
le 500 azioni, qualità che, a tutto concedere, aveva riacquistato soltanto dopo la delibera impugnata; che, infine, come azionista
I'Inzana non aveva dimostrato un suo pregiudizio patrimoniale
per diminuito valore di titoli in suo possesso. Con sentenza non definitiva del 19 novembre - 21 dicembre
1981, il tribunale dopo aver dato atto che l'attore aveva limitato
le proprie domande inziali a quella di declaratoria di nullità della
deliberazione per falsità o comunque per assoluta mancanza di
chiarezza del bilancio 31 marzo 1979, disattendeva le eccezioni
di inammissibilità e improcedibilità sollevate dalla convenuta.
La s.p.a. Italmobiliare proponeva appello avverso tale decisio
ne, ma il gravame veniva respinto dalla Corte d'appello di Mila
no con sentenza del 25 marzo - 6 maggio 1983. Osservava la corte che I'Inzana aveva proposto un'azione di nullità e non di
annullamento della delibera assembleare; che la legittimazione at
tiva, trattandosi di azione di accertamento di nullità che poteva essere proposta da chiunque vi avesse interesse, veniva a coinci dere con la sussistenza di tale interesse, cosi come previsto dal l'art. 100 c.p.c.; che vanamente la s.p.a. Italmobiliare aveva con
quindi svincolata dai termini dell'art. 2377 c.c. e non comporterebbe in caso di accoglimento l'annullamento delle delibera.
In dottrina, ritiene che l'ex socio possa impugnare la delibera di appro vazione del bilancio solo per nullità, A. Trentacarlini, Sul recesso del socio dalla cooperativa e sull'impugnazione del bilancio per la valutazio ne della quota in Giur. comm., 1983, II, 638, cit.; per la fattispecie ine rente la possibilità per il socio che recede da una società per azioni ai sensi dell'art. 2437 c.c. di impugnare la delibera riguardante il cambia mento dell'oggetto o il trasferimento di sede che determina il recesso, F. Ferrara, Gli imprenditori e le società, Milano, 1987, 559, ritiene l'im
pugnativa possibile se il socio se ne sia riservata la possibilità nella dichia razione di recesso; P. Ferro Luzzi, Vizi del bilancio e vizi della delibera di approvazione, in Giur. comm., 1982, I, 817, ritiene che in caso di
impugnazione per nullità da parte del socio receduto ex art. 2437 della delibera di approvazione del bilancio sulla base del quale è avvenuta la
liquidazione della quota, si darebbe luogo ad un accertamento incidentale della causa di nullità finalizzato alla determinazione della liquidazione della quota, più che ad un'autonoma dichiarazione di nullità. [S. Dindo]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
testato la sussistenza dell'interesse ad agire dell'Inzana, il quale aveva invece un interesse concreto ed attuale all'impugnazione della delibera, dal momento che, considerata l'incidenza econo
mica negativa dell'operazione per la sua ingente entità, una di
versa sorte della medesima, ove l'operatività del bilancio fosse
rimasta travolta per effetto della denunciata nullità, avrebbe in
fluito sulla misura degli utili riferibili alle singole azioni e perciò, di riflesso, sul valore delle stesse. La corte riteneva pertanto suf
ficiente ai fini dell'interesse all'impugnativa che l'Inzana fosse
attualmente titolare di azioni della società, anche se non fossero
ipotizzabili effetti negativi con riferimento al momento in cui egli ebbe ad acquistare le 500 azioni, essendo rilevante che un pregiu dizio esistesse al momento della riscossione dei dividendi e dell'e
ventuale negoziazione dei titoli; con la conseguenza che doveva
ritenersi sufficiente, ai fini dell'ammissibilità e procedibilità della domanda, l'esistenza dell'interesse ad agire al momento della de
cisione,, a sua volta desumibile dal fatto che a tale epoca egli risultava titolare delle 200 azioni di cui ai certificati di acquisto n. 0120565 e 0120566. Riteneva inoltre la corte che quand'anche si fosse ritenuto necessario che detto requisito sussistesse anche
al momento della domanda e per tutto il corso del processo, le
conclusioni non erano diverse perché dalla allegata e non conte
stata lettera del Credito varesino era risultato che «da prima della
deliberazione impugnata, e ininterrottamente, all'Inzana appar tenne un certo numero di azioni», anche se queste erano nel tem
po cambiate (alle 500 iniziali erano state sostituite le 200 acquistate
successivamente) e perché i riflessi negativi sopra menzionati ope ravano tanto per le une quanto per le altre.
Ricorre per la cassazione di questa sentenza la s.p.a. Italmobi
liare, sulla base di unico motivo. L'Inzana resiste con controri
corso e propone a sua volta ricorso incidentale. Entrambe le parti
hanno presentato memoria.
Motivi della decisione. — Preliminarmente va disposta la riu
nione tra il ricorso principale proposto dalla s.p.a. Italmobiliare
e il ricorso incidentale condizionato proposto, avverso la medesi
ma sentenza, dall'Inzana (art. 335 c.p.c.). Con l'unico motivo del ricorso principale la società Italmobi
liare, denunciando omessa e contraddittoria motivazione su pun
to decisivo e violazione e falsa applicazione degli art. 2697, 2704,
2727, 2729 c.c., 115 e 132, n. 4, c.p.c., nonché degli art. 1421,
1344 e 2379 c.c. e 100, 81 e 111 c.p.c., sostiene che erroneamente
la corte di merito ha ritenuto sussistente la legittimazione e l'inte
resse ad agire dell'Inzana in relazione all'azione di nullità della
delibera assembleare 30 luglio 1979, da lui proposta ai sensi del
l'art. 2379 c.c. Ciò in quanto, sebbene l'Inzana avesse ammesso
in giudizio di avere alienato in corso di causa le 500 azioni posse
dute al momento della delibera e non avesse provato di avere
contestualmente acquisito 200 nuove azioni nel dicembre 1979,
la corte di Milano ne aveva ugualmente ritenuto sussistente la
legittimazione e l'interesse ad agire sol perché egli risultava pos
sessore delle duecento nuove azioni al momento della decisione
giudiziale sull'impugnativa; ed aveva aggiunto, in aperta contrad
dizione logica, che, se anche avesse voluto aversi riguardo al mo
mento della proposizione della domanda, sussisteva prova documentale (lettera inviata all'Inzana dal Credito varesino, pro
dotta in causa e ritenuta opponibile ad essa società) o comunque
presuntiva, che il predetto era rimasto ininterrottamente nel pos sesso di azioni dell'Italmobiliare e perciò legittimato all'azione,
anche al momento della proposizione della domanda. Cosi opi
nando, la corte di Milano ha, secondo la ricorrente società, da
un canto disapplicato i principi fondamentali in materia di onere
della prova, di opponibilità delle dichiarazioni rese da un terzo
e di certezza della data, e dall'altro è incorsa in contraddittorietà
di motivazione.
La società ricorrente censura inoltre la stessa concezione del
l'interesse ad agire che ha indotto la corte di merito a dare in
gresso all'azione di nullità ex art. 2379 c.c., sostenendo che non
basta, il mero interesse economico, tanto meno se questo soprav
venga nel corso del giudizio e che in nessun caso può essere dato
rilievo ad una legittimazione strumentalmente ottenuta mediante
l'acquisto di azioni effettuato successivamente alla delibera al fi
ne di promuovere il giudizio d'impugnazione della stessa.
La censura è infondata. Nel vigente sistema delle impugnazioni
delle delibere assembleari delle società per azioni di cui agli art. 2377-2379 c.c., l'impugnazione per nullità, disciplinata nell'art. 2379 c.c. mediante un rinvio agli art. 1421-1423 stesso codice in
materia di nullità del contratto, è circoscritta alle sole ipotesi di
Il Foro Italiano — 1989.
nullità per impossibilità o per illiceità dell'oggetto della delibera.
Rispetto all'impugnazione di cui ai precedenti art. 2377 e 2378, che tende all'annullamento della delibera assembleare per vizi (me no gravi) attinenti alla fase procedimentale e alle modalità di for
mazione della volontà dell'ente (Cass. 9 febbraio 1979, n. 906,
Foro it., Rep. 1979, voce Società, n. 257; 13 marzo 1975, n.
938, id., 1976, I, 197; 7 aprile 1972, n. 1032, id., 1972, I, 1565), l'impugnazione per nullità si caratterizza per il fatto che la legitti mazione non è limitata agli amministratori, ai sindaci e ai soci
dissenzienti o assenti, ma estesa (come inequivocalbilmente risul
ta dal richiamo fatto nell'art. 2379 all'art. 1421 c.c.) a chiunque vi abbia interesse. Non è poi previsto per l'azione di nullità il
termine di decadenza di tre mesi dalla data della delibera, né è
imposto il deposito in cancelleria di almeno un'azione quando
l'impugnazione sia proposta da un socio.
La generalità dell'azione di nullità prevista dall'art. 2379 in
relazione all'art. 1421 c.c. non esime tuttavia il soggetto che la
propone dal dimostrare in concreto la sussistenza di un proprio interesse ad agire, secondo le norme generali e con riferimento
all'art. 100 c.p.c. e cioè l'interesse, attuale e concreto, ad evitare
la lesione di un suo diritto, per il timore che dalla delibera impu
gnata per impossibilità o illiceità dell'oggetto possa derivargli un
danno alla propria sfera giuridica (Cass. 27 giugno 1961, n. 1553,
id., 1961, I, 1454). L'azione di nullità non è, di regola, rimedio diretto ad un fine generale al regolare svolgimento del rapporto sociale. Pur se la legittimazione all'impugnativa per nullità spetta anche a soggetti diversi da quelli indicati come legittimati all'a
zione di annullamento (spetta in particolare anche ai soci che fu
rono presenti e non espressero dissenso nell'assemblea che adottò
la delibera, poiché tuttavia normalmente il pregiudizio derivante
da una delibera sociale colpisce di regola chi opera nell'ambito
della società, e cioè in prevalenza i soci, sono costoro i soggetti
solitamente interessati all'impugnazione. E si intende che in tale
ipotesi la legittimazione all'azione (in sé concettualmente distinta
dall'interesse ad agire) che si riconnetta allo status di socio coin
cide con l'interesse ad agire, nel senso che l'interesse ad agire
(e cioè ad impugnare di nullità la delibera) diviene requisito di
legittimazione e quindi condizione di proponibilità della doman
da giudiziale. La qualità di socio, pertanto, con il connesso interesse ad agi
re, quando sia il socio a chiedere l'intervento del giudice al fine
di evitare, attraverso la dichiarazione di nullità della delibera,
la lesione (anche potenziale) della sua sfera giuridica e alleghi il timore di un pregiudizio attuale e concreto derivante da detta
delibera, deve ricorrere, necessariamente (in quanto si tratta ap
punto di una condizione per la proponibilità dell'azione), al mo
mento in cui l'impugnativa per nullità viene proposta, non essendo
dall'art. 2379 c.c. specificamente richiesta, sia pure in modo indi
retto o implicito, la partecipazione all'assemblea che adottò la
delibera impugnata o il voto contrario, né la preesistenza ad essa
della qualità di socio (come invece per l'azione di annullamento,
che riserva a determinati soggetti della società l'impugnativa en
tro un termine breve, al fine di conseguire, a termine scaduto,
la stabilizzazione delle delibere sociali inficiate da meri vizi pro
cedimentali). La qualità di socio anche al momento della delibera, se indub
biamente può essere rivelatrice di un interesse ad agire insorto
già in tale momento (ma si tenga presente che — come s'è accen
nato — anche il socio che ha votato a favore della delibera può
poi impugnarla per nullità, quando l'interesse ad agire, e cioè
il pregiudizio attuale e concreto alla sua sfera giuridica, si esplica
o si evidenzia in epoca successiva) non è tuttavia essenziale quale
requisito di legittimazione all'azione di cui all'art. 2379 c.c. che,
come si è sopra ricordato, spetta anche a chi è estraneo alla so
cietà. Deve perciò considerarsi sufficiente, proprio perché trattasi
di una condizione dell'azione, che l'interesse ad agire collegato
alla qualità di socio (non importa se esistente già al momento
della delibera impugnata) sussista al momento della proposizione
dell'impugnativa per nullità e perciò che la prova di tale qualità
sia fornita con riferimento alla data di proposizione dell'impu
gnazione. Tale prova è solitamente fornita — quando chi agisce
fa valere la qualità di socio — attraverso l'esibizione delle azioni
di cui l'istante è titolare, anche di una sola di esse, all'atto del
l'instaurazione del giudizio d'impugnazione della delibera, dalla
cui nullità si assuma essere derivato il pregiudizio allegato, attua
le e concreto in detto momento.
L'art. 2379 c.c. non richiede, a differenza di quanto dispone
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2931 PARTE PRIMA 2932
l'art. 2378 per l'azione di annullamento proposta dal socio (as sente o dissenziente), il deposito agli atti del processo di almeno
un'azione, al fine di comprovare detta sua qualità già al momen to della delibera e poi al momento della domanda e per tutta la durata del processo; cosicché la qualità di azionista è richiesta ai fini dell'instaurazione del giudizio d'impugnazione a dimostra zione dell'interesse ad agire quale socio (non quale amministrato
re, sindaco o terzo estraneo alla società) e per consentire di
riscontrare la sussistenza in quel momento del pregiudizio dedot
to, collegato alla titolarità di una o più azioni della società. Re stano conseguentemente irrilevanti le eventuali negoziazioni dei
titoli, da parte di chi era socio anche al momento della delibera, effettuate nel tempo compreso tra questa e l'impugnativa per nullità e certamente non è a ritenersi necessario per tale periodo il pos sesso ininterrotto delle azioni attestanti la qualità di socio all'e
poca della delibera.
L'interesse ad agire deve poi sussistere, naturalmente, non solo al momento della proposizione dell'impugnazione ex art. 2379
c.c., ma anche durante il corso del processo conseguente all'im
pugnativa, cosi da poter essere riscontrato come presente nel mo
mento, parimenti essenziale, della decisione. Neppure occorre che il socio conservi le stesse azioni, o lo stesso numero di azioni, di cui inizialmente era in possesso, sempreché egli dimostri il per durare del suo interesse ad agire e la sua qualità di azionista nel momento della decisione. E perciò eventuali negoziazioni di tito
li, o modificazioni della consistenza del pacchetto azionario nel corso del giudizio, restano prive di rilevanza, trattandosi di ri scontrare solo la legittimazione e non di correlare o di quantifica re il danno allegato al numero di azioni o alla durata del possesso di queste.
Alla stregua di tali premesse, risulta evidente l'infondatezza delle
argomentazioni addotte dalla ricorrente società contro la decisio ne della corte di Milano che ha ritenuto sussistente l'interesse ad agire dell'Inzana per il fatto che questi, proprietario (come da certificato n. 160118) inizialmente (al momento della delibera) di 500 azioni, aveva depositato e lasciato allegata agli atti del
giudizio un'azione singola ed aveva comunque dimostrato di es sere al momento della decisione proprietario di 200 azioni (come da certificati n. 0120565 e 0120566): la legittimazione alla impu gnativa e l'interesse ad agire perché fosse dichiarata nulla la deli bera di approvazione del bilancio, che l'Inzana ricollega anche alla sua qualità di socio al momento della delibera, erano certa mente sussistenti e documentati al momento della proposizione della domanda e al momento della decisione. La cessione di 300 delle 500 azioni, che per l'infrazionabilità del certificato nel quale l'operazione di acquisto risultava annotata venne attuata median te alienazione di quel gruppo di azioni e l'acquisto di 200 nuove azioni nel dicembre 1979, il cui certificato venne esibito in corso di causa, mai valse ad escludere la legittimazione originaria del l'Inzana alla impugnativa già attestata in ogni caso dal possesso dell'unica azione esibita in giudizio; con la conseguenza che di venta irrilevante accertare il momento in cui le operazioni di ven dita delle 500 azioni e di acquisto delle 200 avvennero e se vi fu contestualità tra le stesse, una volta stabilito che vi fu possesso della qualità di socio da parte dell'Inzana dal momento della do manda fino a quello della decisione.
La corte di merito, nel porsi il problema della sussistenza della
legittimazione dell'Inzana anche per il tempo antecedente alla de cisione della controversia, ha correttamente ritenuto che l'interes se sostanziale alla impugnativa era da ricollegarsi al fatto che l'Inzana era stato sempre proprietario di un certo numero di azioni. E ciò ha desunto, oltre che per il periodo (non essenziale ai fini della legittimazione) antecedente alla domanda, anche per il pe riodo compreso tra questa e la decisione, dal fatto che l'acquisto delle 200 nuove azioni era avvenuto nel dicembre 1979 in coinci denza con la vendita delle 500 originarie e cioè in corso di causa. La mancata contestazione della contestualità di tali operazioni da parte dell'Italmobiliare, allorquando affermò che era irrile vante la prova per testi dedotta sul punto ex adverso (diversa cosa è invece l'opponibilità del trasferimento a chi, come la so
cietà, non fu parte della compravendita dei titoli) giustifica la
conclusione, tratta dalla corte di merito, secondo cui l'Inzana doveva considerarsi proprietario, al momento della domanda, delle 500 azioni, al di là della conferma che si fosse voluta desumere dal certificato del Credito varesino, la cui efficacia probatoria comunque investiva non tanto il punto concernente il possesso delle 500 azioni al momento della domanda giudiziale quanto la
Il Foro Italiano — 1989.
coincidenza temporale tra acquisto e vendita dei titoli che la so cietà aveva impugnato, solo sotto il profilo della improponibilità ad essa della prova sulla data della vendita. Non esiste pertanto la contraddittorietà di motivazione denunciata dalla ricorrente,
poiché l'indagine sulla legittimazione nel periodo antecedente al
momento della decisione certo non escludeva quella sull'interesse ad agire in detto momento finale, anche se — per quanto sopra detto — non era essenziale accertare che l'Inzana fosse stato,
per di più ininterrottamente, proprietario di azioni nel periodo
compreso tra la data della delibera impugnata e quella della
domanda.
Non è, pertanto, esatto che la corte di merito abbia equivocato tra interesse «legittimante» (richiesto cioè quale titolo di legitti mazione all'azione di nullità) e interesse perseguito dalla parte attraverso il giudizio (che potrebbe sopravvenire anche nel corso di questo), né è esatto che sia stato dato ingresso ad un'azione di nullità in base ad una legittimazione solo sopravvenuta: è co
munque è da rilevare che non costituisce motivo di impugnazione la circostanza ritenuta dal giudice del merito secondo cui la non
ancora avvenuta annotazione delle duecento azioni sul registro dell'emittente (ove figuravano invece annotate le 500 originarie) non impediva, per il solo fatto dell'inopponibilità del trasferi mento all'emittente ai sensi dell'art. 2023, di far valere i diritti fondati sul titolo azionario e di dedurre il pregiudizio derivante dalla delibera nulla. Il possesso di un cospicuo numero di azioni
per tutto il periodo di tempo considerato dimostra infine quanto sia infondata l'argomentazione della società ricorrente secondo cui vi sarebbe stato un acquisto «strumentale», e perciò fraudo
lento, di azioni al solo fine di precostituirsi una legittimazione o di dimostrare l'interesse ad agire nel momento della decisione
sull'impugnativa. Per quanto concerne, da ultimo, la qualificazione dell'interesse
ad agire in materia di impugnazione di delibere assembleari di
approvazione del bilancio, nella concreta enunciazione fattane dal l'Inzana (violazione dell'obbligo di chiarezza e precisione nella redazione del bilancio: art. 2423 c.c.), va ricordato che questa corte, specificamente per l'ipotesi in esame, ha avuto modo di
precisare (Cass. 9 febbraio 1979, n. 906, id., Rep. 1979, voce
cit., n. 257; 27 febbraio 1985, n. 1699, id., 1985, I, 1661; 18 marzo 1986, n. 1839, id., 1987, I, 1232) che sussiste concreto
pregiudizio per gli interessi tutelati dei soci o dei terzi quando questi siano indotti in errore dall'inesatta informazione ad essi fornita sulla consistenza patrimoniale e sull'efficienza economica della società, o quando per l'alterazione o l'incompletezza della
esposizione dei dati da riportare nel bilancio, tali da ingenerare gravi sospetti di irregolarità, derivi o possa derivare un pregiudi zio economico concreto circa il valore della partecipazione azio naria o circa l'entità degli utili da ripartire. E nel caso in esame, si sostiene appunto che dopo la stipulazione, nel 1972, da parte della società Italmobiliare di un mutuo settennale di 50 miliardi indicizzato al franco svizzero, nel bilancio 31 marzo 1979 appro vato con la delibera impugnata risultava annotata nel conto eco
nomico, fra le perdite, sotto la voce «costo indicizzazione prestiti a medio rimborsati», l'appostazione passiva di lire 110.443.225.000, senza alcuna precisazione (che sarebbe stata rifiutata poi anche alla richiesta di chiarimenti inoltrata dal socio) circa l'entità degli interessi pattuiti e circa l'onere derivato dall'indicizzazione, tenu to conto del fatto che anche nei bilanci precedenti (dal 1972 al
1976) e nella relazione illustrativa al bilancio 1972-73 mancava
ogni chiarimento circa l'entità degli interessi e il maggior onere derivato dall'indicizzazione. Sicché il pregiudizio economico del l'Inzana è stato ravvisato nel fatto che, per la ingente entità della
posta contabile che aveva dato origine alla contestazione, la man canza di chiarimenti sui punti sopra ricordati determinava incer tezza sulla consistenza economica della società e sospetti di
irregolare o incauta gestione, anche per il fatto che veniva porta to al passivo del bilancio 1979 un importo cosi rilevante (di oltre 110 miliardi) senza distinzione tra capitale, interessi e oneri di
indicizzazione; inoltre ne risultavano condizionati anche la misu ra degli utili riferibili a ciascuna azione e, di riflesso, il valore delle medesime, in conseguenza della dedotta nullità della delibe ra impugnata, destinata a travolgere l'operatività del bilancio.
La situazione prospettata dalla parte e ritenuta dalla corte di Milano deve quindi ritenersi senza dubbio idonea a fondare l'in teresse ad agire per la dichiarazione di nullità della delibera as
sembleare, ai sensi dell'art. 2379 c.c. E non vale, come sostiene la società ricorrente, parlare di danno già scontato all'atto del
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
l'acquisto delle azioni o di vantaggi economici conseguiti con la
vendita anticipata di parte del pacchetto azionario, posto che og
getto di esame è la legittimazione e l'interesse ad agire del socio
titolare di azioni per la suscettività dell'invalidità denunziata a
determinare il pregiudizio, sia pure attuale e concreto, dedotto
in giudizio; pregiudizio la cui entità dovrà poi essere riscontrato
nella sua effettiva esistenza ed entità, alla stregua dei vari ele
menti di fatto prospettati. Il ricorso principale deve essere pertanto rigettato. Va conse
guentemente dichiarato assorbito il ricorso incidentale condizio
nato, con il quale l'Inzana insisteva per l'accertamento della sua
legittimazione quale socio anche ai fini dell'azione di annulla
mento ex art. 2377 c.c.
II
Svolgimento del processo. — Il 20 dicembre 1970 l'assemblea
della società cooperativa a.r.l. Colli Albani deliberava di contrar
re un mutuo agevolato per la realizzazione di un certo piano di
produzione agricola (fondo europeo agricolo di orientamento e
garanzia) di lire 252.740.000 e per ottenere, ai sensi della 1. 27
ottobre 1966 n. 910 un altro mutuo agevolato di lire 105.000.000
a copertura delle passività della cooperativa previa sottoscrizione
da parte di tutti i soci di una garanzia fideiussoria personale.
Inoltre, nella medesima assemblea si prevedeva al rinnovo delle
cariche sociali.
Nel corso dell'assemblea il socio Trasmondi chiedeva la nomi
na di una commissione di inchiesta per indagare sui bilanci già
approvati (in particolare su quello 68/69) che assumeva falsi e
cosi dichiarava (fra l'altro): «firmerò la procura per il rilascio
della fideiussione . . . quando mi avranno fatto vedere dove sono
andati a finire i soldi». Il 22 dicembre 1970 il consiglio di amministrazione della coo
perativa escludeva il Trasmondi dalla cooperativa stessa.
Il provvedimento di esclusione del Trasmondi dalla cooperati
va — come poi accerterà la Corte d'appello di Roma con senten
za del 1980 — era fondato su due motivi: A) l'accertato
inadempimento del socio che, contravvenendo all'art. 17, lett. A
dello statuto sociale, si era rifiutato di prestare la garanzia fi
deiussoria deliberata dall'assemblea il 20 dicembre 1970; B) il com
portamento assunto pubblicamente dallo stesso Trasmondi che,
contravvenendo all'art. 17, lett. B, del predetto statuto, aveva
arrecato, con l'accusa di irregolarità e falsi contabili rivolta con
tro gli amministratori della società, un rilevante danno morale
alla medesima, fomentando dissidi all'interno di essa.
Alla estromissione il Trasmondi reagiva con due atti distinti:
il 19 gennaio 1971 proponeva ricorso al collegio dei probiviri, alla cui decisione arbitrale i soci erano tenuti, ai sensi dello statu
to, a devolvere anche le controversie insorte in materia di esclu
sione dalla cooperativa; il 21 gennaio 1971 proponeva citazione
avanti al Tribunale di Velletri.
Il collegio dei probiviri, con lodo arbitrale del 10 luglio 1971,
rigettava l'impugnazione e il provvedimento di esclusione veniva
trascritto sul libro dei soci della cooperativa il 7 settembre 1971.
Il Trasmondi impugnava per nullità la sentenza arbitrale, ma
la Corte d'appello di Roma, con sentenza del 1973, non accoglie va detta impugnazione.
Il Trasmondi ricorreva per cassazione, ma la Suprema corte,
con sentenza del 1976 (.Foro it., Rep. 1976, voce Arbitrato, nn.
14, 33, 37), rigettava il ricorso.
Allora il Trasmondi, nel 1977, impugnava per revocazione il
lodo arbitrale e la sentenza del 1973 della corte d'appello, in quanto in un giudizio penale svoltosi avanti al Pretore di Albano, era
rimasta accertata la falsità della perizia svolta dal consulente tec
nico dott. Paganelli cui i probiviri avevano affidato l'incarico
di accertare la fondatezza delle accuse di irregolarità contabili
che il Trasmondi aveva rivolto agli amministratori della coope
rativa.
La Corte d'appello di Roma, con sentenza del 1980, rigettava
la predetta domanda di revocazione in base alle seguenti conside
razioni: 1) l'estromissione del Trasmondi dalla cooperativa era
stata riconosciuta corretta dal collegio arbitrale in primo luogo
perché egli si era rifiutato di ottemperare a taluni obblighi scatu
renti da delibere legittimamente adottate dagli organi sociali e,
soltanto in secondo luogo, perché si era fatto promotore di talu
ne iniziative che, per il modo stesso in cui erano state attuate,
Il Foro Italiano — 1989.
inducevano a qualificare come gravemente scorretto il suo com
portamento di socio: in altre parole anche se le sue ragioni fosse
ro state fondate, egli avrebbe dovuto farle valere con mezzi meno
clamorosi, senza innescare — come invece aveva tentato di fare — un pericoloso processo di lacerazione del tessuto sociale; 2) la falsa perizia del dott. Paganelli aveva esercitato un'influenza
appena marginale soltanto sul secondo dei motivi posti a soste
gno del lodo arbitrale.
Contro tale decisione della corte d'appello il Trasmondi propo neva ricorso per cassazione, ma questa corte, con sentenza del
1982 (id., Rep. 1982, voce Arbitrato, n. 90 e voce Revocazione, n. 4), lo rigettava.
A prescindere dai giudizi proposti dal Trasmondi per reagire al provvedimento di estromissione dalla cooperativa, egli, l'8 feb
braio 1971, citava la cooperativa per l'annullamento della delibe
ra assembleare del 20 dicembre 1970 relativa al rinnovo delle
cariche sociali, all'accensione di due mutui sociali e all'obbligo di ciascun socio di garantirli con fideiussione personale.
L'impugnativa di tale delibera veniva da lui basata su numero
si vizi di forma e di sostanza.
In particolare deduceva che: 1) avevano preso parte alla vota
zione anche gli amministratori e i sindaci, in violazione dell'art.
2373 c.c.; 2) l'assemblea aveva nominato gli amministratori per tre anni, in violazione dello statuto (art. 39) che prevedeva il li
mite massimo di un biennio; 3) era stato nominato membro del
consiglio d'amministrazione una persona che non era socia della
cooperativa; 4) gli ordini del giorno relativi alla accensione dei
mutui e sui quali si era votato non erano stati inclusi tra gli argo menti da trattare indicati nell'invito di convocazione 5) nel verba
le assembleare uno di detti ordini del giorno (quello che prevedeva la sottoscrizione da parte dei soci di una garanzia fideiussoria)
risultava approvato all'unanimità, mente sia esso Trasmondi e
altri sei soci avevano votato contro; 6) e 7) la natura dell'oggetto
della delibera e, in particolare, della assunzione di fideiussione
era in contrasto con le norme regolatrici delle società cooperative
a r.l.; 8) gli ordini del giorno erano stati votati per alzata di
mano, cioè con un sistema che non consentiva un rigido control
lo dei votanti, data la presenza in assemblea di estranei alla coo
perativa; 9) avevano partecipato alla votazione anche soci non
iscritti nel registro dei soci da almeno tre mesi e altri iscritti con
retrodatazione; 10) la relazione del consiglio di amministrazione
depositata in tribunale risultava difforme da quella letta in as
semblea e sia l'una che l'altra erano in netto contrasto con la
relazione fatta in sede di approvazione del bilancio precedente. La cooperativa resisteva negando la sussistenza e/o la rilevan
za dei suesposti motivi di impugnazione della delibera del 20 di
cembre 1970.
Il Trasmondi replicava chiedendo, altresì, che il giudizio fosse
riunito agli altri due pendenti tra le stesse parti dinanzi al Tribu
nale di Velletri ed aventi ad oggetto l'uno la delibera del 22 di
cembre 1970 con cui egli era stato escluso dalla società (e di cui
si è già detto in precedenza), l'altro l'impugnazione di altra deli
bera del 31 gennaio 1971 con cui era stato approvato il bilancio
69/70. Il Tribunale di Velletri, con sentenza depositata il 17 marzo
1973, respinta l'istanza di riunione con gli altri due processi sia
perché detta istanza non era stata riproposta nelle conclusioni
finali, sia perché, mentre la causa de qua appariva matura per
essere decisa nel merito, gli altri due processi venivano sospesi
come da separate ordinanze in pari data, rigettava o dichiarava
irrilevanti o comunque inammissibili i motivi della impugnazione
suddetta.
Il tribunale in motivazione premetteva che il Trasmondi — seb
bene escluso, nelle more, dalla cooperativa — era legittimato a
proporre l'impugnazione oggetto del presente giudizio, sia perché
aveva partecipato all'assemblea del 20 dicembre 1970, sia perché
il provvedimento di esclusione, al momento della notifica della
citazione, non aveva ancora effetto, essendo stato annotato sul
libro dei soci soltanto in un secondo tempo e, cioè, il 7 settembre
1971, successivamente all'udienza di precisazione delle conclusioni.
Il Trasmondi proponeva gravame, ma la Corte d'appello di
Roma, con sentenza depositata il 27 settembre 1983, lo rigettava
per difetto di legittimazione sostanziale in ordine alle allegate ra
gioni di annullabilità e per difetto di interesse di agire per le de
dotte ragioni di nullità. La motivazione addotta si può cosi riassumere: 1) i motivi di
impugnazione proposti dal Trasmondi contro le delibere del 20
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2935 PARTE PRIMA 2936
dicembre 1970 stigmatizzavano ipotesi diverse e precisamente: ipo tesi di annullabilità ex art. 2377 e 2378 c.c. (richiamati per le
cooperative dall'art. 2516) per violazione di legge o dell'atto co
stitutivo della cooperativa; ipotesi di nullità ex art. 2379 c.c. per essere state prese dette delibere col voto di persone il cui inter
vento era precluso e, quindi, adottate con un numero insufficien
te di voti; 2) il diritto di impugnazione ex art. 2377, 2378, 2516 c.c. presuppone la qualità di socio e se tale qualità, pur presente al momento della partecipazione all'assemblea, viene successiva
mente meno, viene meno (come può argomentarsi dalla formalità
essenziale prevista nell'art. 2378 del deposito in giudizio di una
azione) anche la legittimazione del socio escluso ad insistere nel
l'impugnazione proposta per motivi di annullabilità, perché viene
meno l'interesse ad ottenere un qualche risultato utile e giuridica mente apprezzabile a favore dell'ex socio.
Alla data della precisazione delle conclusioni definitive in pri mo grado (assunte con il verbale del 16 maggio 1972 e non già in una udienza antecedente il 7 settembre 1971 come erroneamen
te ritenuto dal tribunale) il Trasmondi aveva già perso la qualità di socio per essere divenuta operante la delibera della sua esclu
sione dalla cooperativa a seguito dell'annotazione avvenuta ap
punto il 7 settembre 1071 sul libro dei soci; d'altra parte, l'esecuzione di tale delibera non risultava essere stata sospesa, ai sensi dell'art. 2527 c.c., dal Tribunale di Velletri presso cui
era stato incardinato un giudizio per impugnare detta delibera
di esclusione, giudizio di cui si ignorava l'esito.
In tale situazione tutte le richieste di annullamento avanzate
dal Trasmondi andavano rigettate per difetto di legittimazione
sostanziale; 3) quanto alle ipotesi di nullità ex art. 2379 c.c. delle
delibere del 20 dicembre 1970, la relativa impugnazione non era
soggetta alle limitazioni previste per l'impugnazione ex art. 2377
e 2378; tuttavia, per insistere in una impugnazione per nullità, occorre pur sempre la persistenza dell'interesse ad agire per tutta
la durata del giudizio sino alla pronuncia definitiva: di un inte
resse cioè concreto ed attuale che, invece, il Trasmondi aveva
perso con la perdita della qualità di socio a seguito della delibera
della sua esclusione dalla cooperativa. Ed invero: A) l'obbligo di prestare fideiussione per i mutui
da contrarre nell'interesse sociale non era più ovviamente ope rante per il Trasmondi, socio escluso; B) la partecipazione al con
siglio d'amministrazione di persona incompatibile con tale ufficio
non poteva ritenersi determinante per inficiare la successiva deli
bera del consiglio d'amministrazione di escluderlo dalla coopera
tiva; C) l'asserita influenza del voto espresso da non aventi diritto
non contrastava con interessi generali trascendenti l'interesse im
mediato e diretto dei singoli soci.
Anche avverso quest'ultima sentenza della Corte d'appello di
Roma il Trasmondi ha proposto ricorso per cassazione in base
a tre motivi. Resiste con controricorso la cooperativa chiedendo
il rigetto del ricorso avversario. La cooperativa ha anche presen tato memoria illustrativa.
Motivi della decisione. — Col primo motivo di ricorso il Tra smondi denunzia la violazione degli art. 2516, 2377 e 2378 c.c.
in relazione agli art. 99 e 360 c.p.c., sostenendo che l'interesse
ad impugnare ex art. 2377 una delibera assembleare per motivi
di annullabilità permane anche quando in corso di giudizio si
sia perduta la qualità di socio, sia perché il termine «socio» ri
chiamato dall'art. 2377 c.c. vuol significare che tale qualità è so
lo condizione per la proposizione iniziale dell'azione, sia perché il permanere anche successivo di tale qualità non sarebbe necessa
rio, dato che gli effetti pregiudizievoli delle delibere invalide pos sono perpetuarsi anche in seguito.
Col secondo motivo di ricorso il Trasmondi denunzia violazio
ne dell'art. 2379 c.c. in relazione agli art. 100 e 360 c.p.c. soste
nendo che il suo interesse alla riforma delle delibere prese dalla
cooperativa il 20 dicembre 1970 (tra le quali quella di imporre a tutti i soci l'obbligo di prestare fideiussione per i mutui sociali) non poteva essere negato in quanto la revocazione del giudizio sulla validità della delibera di esclusione del Trasmondi dalla coo
perativa fu negata nel 1980 dalla medesima corte d'appello pro
prio sul decisivo rilievo che tale esclusione era stata deliberata,
più che per le accuse d'irregolarità contabile rivolte dal Trasmon
di agli amministratori della cooperativa e oggetto di una perizia dichiarata falsa, per il suo aperto rifiuto di prestare la predetta fideiussione.
Con il terzo motivo il ricorrente invoca gli art. 3 e 24 Cost,
sostenendo che essi risulterebbero violati qualora gli art. 2377,
Il Foro Italiano — 1989.
2378 e 2379 c.c. dovessero essere interpretati nel senso che con
la perdita della qualità di socio venga meno in ogni caso l'interes
se all'annullamento della delibera, interesse che, invece, nella spe
cie, era evidente in quanto, la sua esclusione dalla cooperativa
poteva ritenersi legittima solo qualora legittime fossero state rite
nute le delibere prese dalla cooperativa due giorni prima e da
lui impugnate col presente giudizio. I tre motivi suesposti di ricorso — che possono esaminarsi con
giuntamente in quanto sono tutti e tre incentrati su un'unica que stione di fondo e, cioè, sulla legittimazione dell'ex socio alla
impugnazione delle delibere assembleari della società prese quan do egli era ancora socio — sono infondati, anche se per effetto
delle particolarità obiettive della fattispecie emergenti dalla sen
tenza impugnata e non per l'automaticità della perdita della qua lità di socio, come erroneamente ritenuto dalla corte di merito,
la cui decisione, quindi, non è soggetta a cassazione in quanto il dispositivo risulta pur sempre conforme al diritto (art. 384, 2° comma, c.p.c.).
Invero, tutte le volte in cui un diritto astrattamente configura bile dell'ex socio nei confronti della società in relazione alla sua
passata partecipazione ad essa dipenda dall'accertamento della
legittimità di una delibera assemblerare presa quando egli era an
cora socio, negargli la possibilità di impugnarla significherebbe
negargli la possibilità concreta di far valere quel diritto medesi
mo, con evidente compromissione del più elementare senso di
giustizia. Ciò appare particolarmente vero in due casi.
A) Nel caso di recesso o di esclusione del socio dalla società
cooperativa egli ha diritto, a mente dell'art. 2529 c.c., alla liqui dazione della quota o al rimborso delle azioni sulla base del bi
lancio dell'esercizio in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente al socio.
Negare al socio uscente la possibilità di contestare la delibera
assembleare con cui tale bilancio sia stato approvato significhe rebbe impedirgli inammissibilmente di contestare il quantum spet
tantegli.
B) Qualora l'esclusione del socio dalla società, in conformità
di quanto previsto nello statuto sociale (art. 2286 c.c.), abbia luo
go per inadempienza delle obbligazioni derivanti da delibere as
sembleari, l'incontestabile diritto del socio escluso ad aprire un
giudizio sulla legittimità della sua esclusione non può precludere al socio medesimo anche il diritto di contestare la legittimità della
delibera assembleare che quell'obbligazione da lui inadempiuta
impose. È ben vero che la ratio dell'art. 2378 c.c. — secondo cui per
impugnare una delibera assembleare di società per azioni l'oppo nente deve depositare in cancelleria almeno una azione — deve
rinvenirsi nell'interesse del socio a che la vita futura della società
non sia pregiudicata da determinate decisioni interne e, quindi, nella dimostrazione della permanente partecipazione dell'oppo nente alla società (partecipazione venendo meno la quale viene
anche logicamente meno l'interesse al futuro della società) — tut
tavia proprio dall'analisi di siffatta ratio emerge che ad essa è
fuor di luogo richiamarsi quando l'esistenza o meno di un diritto
attuale dell'ax socio dipenda dalla sua passata partecipazione alla
società e il futuro di quest'ultima, invece, sia divenuto per lui
irrilevante.
In tali casi è evidente l'interesse dell'ex socio ad impugnare la delibera assembleare della società pur dopo la sua uscita dalla
medesima ed è sufficiente, quindi, che egli dia la prova di tale
interesse per legittimarsi all'esercizio della relativa azione.
Ma il Trasmondi — come esattamente ha finito col riconoscere
la corte di merito sia pure partendo da una premessa giuridica mente errata — non ha affatto fornito tale prova: emerge anzi
chiarissima la prova del contrario (cioè della mancanza di un in
teresse concreto ed attuale), non essendo dato scorgere in qual modo un eventuale annullamento della delibera assembleare della
società cooperativa «Colli Albani» presa il 20 dicembre 1970 po trebbe influenzare i diritti ancora esercitabili dal ricorrente nei
confronti della medesima società per effetto della sua passata par
tecipazione ad essa.
In quell'assemblea infatti — com'è pacifico — non si approvò alcun bilancio, né si prese alcuna altra decisione idonea a pregiu dicare la liquidazione della quota o il rimborso delle azioni spet tanti al socio uscente, o, comunque, a recargli, almeno in via
diretta, alcun danno patrimoniale e neppure semplicemente morale.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
È bensì vero che in quell'assemblea si decise di imporre a tutti
i soci una determinata prestazione personale e che tale decisione
fu certamente — come poi accertò in altro giudizio la Corte d'ap
pello di Roma con sentenza del 1980 passata in giudicato — una
delle concause, sia pure indirette, della successiva espulsione del
Trasmondi dalla cooperativa (disposta due giorni dopo quell'as semblea anche per il proposito da lui manifestato di non voler
adempiere quella prestazione personale ivi deliberata), tuttavia nep
pure l'omessa considerazione di tale circostanza nella motivazio
ne dell'impugnata sentenza può portare ora alla sua cassazione,
non trattandosi di circostanza decisiva, tale, cioè, da poter presu mere che, se fosse stata presa in considerazione, avrebbe potuto
capovolgere l'esito del giudizio. Dalle carte processuali, invero, già risulta irrefutabilmente che:
A) l'espulsione fu motivata anche per una ragione diversa ed
autonoma rispetto all'inadempimento del Trasmondi alle obbli
gazione derivantigli dalla delibera del 22 dicembre 1970, e cioè
per avere egli tenuto in assemblea un contegno eccessivamente
aggressivo, come tale intollerabile a prescindere dalla fondatezza
delle tesi sostenute per aver «innescato un pericoloso processo
di lacerazione del tessuto sociale»;
B) l'espulsione è stata già oggetto di un apposito giudizio, chiu
sosi definitivamente in sfavore del Trasmondi a seguito delle sen
tenze di questa stessa corte del 1976 e del 1982 emesse l'una in
relazione all'impugnazione per nullità e l'altra a quella per revo
cazione del lodo arbitrale del 10 luglio 1971.
Orbene, anche a voler ammettere la possibilità per il Trasmon
di di impugnare il predetto lodo nuovamente per revocazione in
base a motivi diversi da quelli in precedenza fatti valere, deve
considerarsi che in forza dell'art. 831 c.p.c. la sentenza arbitrale
è soggetta a revocazione soltanto nei casi indicati nei nn. 1, 2,
3 e 6 dell'art. 395 c.p.c. (cioè, rispettivamente, quando la senten
za sia effetto del dolo di una delle parti ovvero quando, dopo
la sentenza, siano stati trovati uno o più documenti decisivi ri
spetto alle questioni trattate nel giudizio non potuti produrre pri
ma per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario ovvero
quando la sentenza sia effetto del dolo del giudice) e che l'even
tuale accertamento compiuto ora dell'illegittimità della delibera
assembleare del 20 dicembre 1970 non rientrerebbe in nessuno
dei casi di revocazione sopra-indicati.
CORTE D'APPELLO DI PERUGIA; decreto 14 giugno 1988; Pres. Battistacci, Rei. Morani; Iaconisi e Biscarini (Avv. di
Gravio, Laureati), Adriani (Avv. Bellingacci), Paloni (aw.
Cesarini) c. Giovannini (Avv. Gatti, Pazzaglia).
CORTE D'APPELLO DI PERUGIA;
Fallimento — Società di capitali — Socio sovrano — Estensione
— Esclusione (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del falli mento, art. 147).
Il socio che assume, all'interno di una società di capitali, la posi
zione di detentore del pacchetto di maggioranza della società
in modo da essere arbitro delle scelte sociali ovvero di chi uti
lizza lo schermo della struttura societaria per l'esercizio della
propria attività economica, nel caso in cui sia dichiarato il fal
limento dell'ente sociale, non è assoggettabile alla procedura
concorsuale. (1)
(1) La sentenza, affrontando sommariamente il tema dell'estensione del
fallimento sociale al socio-padrone, si inserisce nel più rigoroso filone
interpretativo, secondo il quale le elaborate nozioni del socio-sovrano e
del socio-tiranno (Bigiavi, L'imprenditore occulto, Padova, 1954 e Re
sponsabilità illimitata de! socio tiranno, in Foro it., 1960, I, 1180) riman
gono prive di pratica applicazione, dovendosi escludere la configurabilità
del fallimento del socio nell'ipotesi di fallimento sociale, posto che non
vi sarebbe alcun modo per superare lo schermo della personalità giuridica
(Cass. 9 dicembre 1982, n. 6712, id., Rep. 1982, voce Società, n. 285;
7 ottobre 1982, n. 5143, id., 1982, I, 2410, con nota di G. Silvestri,
cui acide, Trib. Genova 12 febbraio 1986, id., Rep. 1987, voce Fallimen
to, n. 121; Trib. Roma 6 luglio 1984, id., Rep. 1986, voce Società, n.
Il Foro Italiano — 1989.
Diritto. — (Omissis). Non sembra da condividere — in secon
do luogo — neppure l'altra tesi che i reclamanti sviluppano sui
tre profili del rapporto sociale apparente, del rapporto sociale
occulto e del socio sovrano o tiranno.
Assolutamente indimostrata, anzitutto, è la qualità di socio di
fatto dei soggetti dichiarati falliti attribuita al Giovannini. Come è noto, la società apparente — la cui configurabilità,
ammessa dalla giurisprudenza dominante è respinta da gran parte della dottrina — è quella che si rivela esistente nei confronti dei
terzi, pur non sussistendo alcuno effettivo vincolo sociale.
In applicazione del principio dell'apparenza (situazione di fatto
che manifesta come reale una situazione giuridica non reale), prin
312; Trib. Roma 2 agosto 1983, id., Rep. 1983, voce Fallimento, n. 121). Come è noto, contrariamente alle affermazioni della corte regolatrice, secondo la quale «la limitazione di responsabilità al capitale sociale me
diante la costituzione di una società avente personalità giuridica è scopo ritenuto perfettamente meritevole di tutela nel nostro ordinamento giuri
dico», ampi e autorevoli settori della dottrina, continuando la «batta
glia» di Bigiavi, insistono nel ritenere superabile lo schermo della struttu
ra societaria, quando nella conduzione della società si manifesta il totale
disprezzo delle regole che dovrebbero governare tale tipo di soggetti, con
un sistematico abuso della «rendita» di posizione costituita dalla dissocia
zione fra responsabilità legale e responsabilità di fatto (Galgano, Il falli mento delle società, in Trattato dir. comm. e dir. pubbl. econ., Padova,
1988, 84; Di Francia, Personalità giuridica di società di capitali, abusi
della stessa e fallimento del socio tiranno, in Giur. merito, 1985, 358). Secondo Galgano sono maturi i tempi per il superamento del diaframma
fra società aventi personalità giuridica e società di persone (sull'argomen to si rinvia anche alla nota a Cass. 14 dicembre 1988, n. 6810, Foro
it., 1989, 1, 1130), anche attraverso l'estensione analogica dell'art. 2362
c.c. dettato a proposito della responsabilità dell'unico azionista; recente
mente, Cass. 29 novembre 1983, n. 7152, id., Rep. 1983, voce Società, n. 384, afferma che l'art. 2362 c.c., lungi dal costituire una norma di
rango eccezionale, rappresenta, invece, il ritorno alla regola generale del
l'art. 2740 c.c.; la decisione apre, cosi, un varco a favore della tesi del
l'applicazione analogica della disposizione in tema di unico azionista, per tutti i casi in cui un socio (ancorché formalmente non unico) degradi la società a suo mero strumento. In questa ottica paiono muoversi Trib.
Ravenna 28 marzo 1987, Dir. fallim., 1988, II, 138, che ha dichiarato
il fallimento, in estensione, del socio titolare del 95% del pacchetto azio
nario (quando nel caso deciso da Cass. n. 5143/82, cit., era stato escluso
il fallimento del socio proprietario del 99,15% delle azioni) e App. Mila
no 23 settembre 1986, Giur. comm., 1988, II, 889, che ha reputato appli cabile l'art. 2362 c.c. — al di fuori del fallimento — al socio titolare
del 99,96% delle azioni e del controllo delle residue (quando, in un caso
consimile, Cass. 9 gennaio 1987, n. 73, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 547, ha escluso l'invocabilità di tale norma per l'appartenenza del 99%
del pacchetto azionario ad un unico socio). Per superare gli ostacoli frapposti dalla prevalente giurisprudenza, Bron
zini, «Dominus» di società a responsabilità limitata e suo fallimento per sonale: presupposti, in Dir. fallim., 1988, II, 138, ha osservato che il
fallimento del socio tiranno può essere dichiarato, previo accertamento
della simulazione della società mascherata; secondo Izzo, Il socio sovra
no e il socio tiranno: prospettive di superamento della tradizionale solu
zione del problema, in Fallimento, 1986, 432, si potrebbe pervenire al
fallimento del socio che comanda, considerando nulla la società, in quan to il contratto sociale sarebbe realizzato in frode alla legge.
Il richiamo delle tesi ora esposte, ai concetti di frode e di simulazione,
impone ulteriori osservazioni, per ricordare che, il tema in oggetto, si
correla, direttamente, alla questione della evaporazione del dogma della
personalità giuridica (Galgano, La società per azioni, in Trattato, cit.,
105; Marziale, Brevi note sul principio della responsabilità limitata nelle
società di capitali e sul suo superamento, in Foro it., 1982, I, 2898),
e, in particolare, a quella della configurabilità della simulazione delle so
cietà di capitali, su cui, di recente, Cass. 1° dicembre 1987, n. 8939,
id., Rep. 1987, voce Agricoltura, n. 137 (annotata, in senso critico da
D'Alessandro, Contratto sociale simulato e superamento della persona lità giuridica in una sentenza della Corte suprema, in Giust. civ., 1989,
I, 1201 e da Iozzelli, S.p.a. simulata e comunione dissimulata, in Giur.
comm., 1988, II, 495), affermando che è possibile la simulazione dell'at
to costitutivo, sembra rappresentare l'occasione per una «svolta coperni
cana» (al tema della simulazione nelle società, con specifico riferimento
alla prospettiva fallimentare, è dedicata parte della nota redazionale a
Trib. Verona 14 ottobre 1986, Foro it., 1987,1, 1903). Infine, ricordando
che, talora, per il coinvolgimento del socio-padrone, si è fatto ricorso
alla finzione dell'accertamento dell'esistenza di una società di fatto fra
società di capitali e persona fisica (lo ha escluso, espressamente, App.
Bari 26 aprile 1984, id.. Rep. 1984, voce Fallimento, n. 124), neppure
è estraneo al tema, il dibattito, tutt'ora assai aperto, sull'ammissibilità
di una partecipazione nelle società di persone da parte delle società di
capitali, su cui da ultimo, in senso negativo, Cass. 17 ottobre 1988, n.
5636, id., 1988, I, 3248, con osservazioni di Marziale.
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