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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 3 giugno 1988, n....

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sezione I civile; sentenza 3 giugno 1988, n. 3782; Pres. F.E. Rossi, Est. Lipari, P.M. Donnarumma (conc. conf.); Prefetto di Pavia (Avv. dello Stato Siconolfi) c. Garini. Cassa Pret. Vigevano 24 novembre 1983 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1988), pp. 3293/3294-3301/3302 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181540 . Accessed: 28/06/2014 08:56 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.151 on Sat, 28 Jun 2014 08:56:56 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 3 giugno 1988, n. 3782; Pres. F.E. Rossi, Est. Lipari, P.M. Donnarumma(conc. conf.); Prefetto di Pavia (Avv. dello Stato Siconolfi) c. Garini. Cassa Pret. Vigevano 24novembre 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 3293/3294-3301/3302Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181540 .

Accessed: 28/06/2014 08:56

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

blicati sulla Gazzetta ufficiale da parte dei terzi devesi ritenere

una attività libera, consentita a tutti, perché avente ad oggetto un bene che, essendo di tutti, è accessibile a tutti con i mezzi

consentiti dalla tecnica moderna.

6. — L'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento

del secondo col quale si assume che la corte d'appello ha errato

nell'identificare in concreto il comportamento contrario alla cor

rettezza professionale e l'imitazione servile (art. 2598, nn. 1 e

3, c.c.). 7. - In definitiva, in accoglimento del ricorso, si impone la

cassazione dell'impugnata sentenza ed il rinvio della causa ad al

tro giudice che si designa in altra sezione della Corte d'appello di Roma la quale nel decidere la controversia si atterrà ai seguen ti principi di diritto:

«L'Istituto poligrafico dello Stato, quale ente pubblico non eco

nomico, in quanto svolge prevalentemente, in base alla legge di

riforma 13 luglio 1966 n. 559, attività pubblicistica rispetto all'at

tività di diritto privato, per il combinato disposto degli art. 2093

e 2201 c.c. è soggetto alla disciplina dlel'imprenditore commer

ciale limitatamente alle imprese da esso esercitate, con esclusione

dell'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta

dei libri contabili. «La stampa, la gestione e la vendita della Gazzetta ufficiale,

ai sensi dell'art. 2 1. 13 luglio 1966 n. 559, dell'art. 2 del regola mento di attuazione approvato con d.p.r. 24 luglio 1967 n. 806, rientrano tra i compiti che l'Istituto poligrafico dello Stato svolge nell'interesse pubblico mediante strumenti sottratti alla disciplina di diritto privato, inquadrandosi nell'ambito del procedimento pub blicistico che attiene alla pubblicazione delle leggi e dei provvedi menti normativi dello Stato, di cui tendono a rafforzare la

conoscibilità da parte dei destinatari.

«L'attività di fotocopiatura dei testi normativi pubblicati nella

Gazzetta ufficiale da parte dei terzi costituisce attività libera con

sentita a tutti, perché avente ad oggetto un bene che essendo di

tutti è accessibile a tutti, con i mezzi consentiti dalla tecnica

moderna».

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 3 giugno

1988, n. 3782; Pres. F.E. Rossi, Est. Lipari, P.M. Donnarum

ma (conc. conf.); Prefetto di Pavia (Avv. dello Stato Siconol

fi) c. Garini. Cassa Pret. Vigevano 24 novembre 1983.

Sanzioni amministrative e depenalizzazione — Depenalizzazione — Sopravvenienza di sanzione amministrativa alla contravven

zione depenalizzata — Disciplina (Cod. pen., art. 2; 1. 24 di

cembre 1969 n. 990, assicurazione obbligatoria della

responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a

motore e dei natanti, art. 32; 1. 24 novembre 1981 n. 689, mo

difiche al sistema penale, art. 1, 40).

A seguito della intervenuta depenalizzazione di un reato contrav

venzionale (nella specie, ex art. 32 l. 990/69 per circolazione

con veicolo senza assicurazione) per effetto della I. 24 novem

bre 1981 n. 689, al fatto commesso anteriormente all'entrata

in vigore della legge stessa si applica il novum ius, in forza del suo art. 40, senza che possano venire in considerazione i

principi generali della successione delle leggi nel tempo e, co

munque, la disciplina dettata dall'art. 2 c.p. (1)

(1-2) Sull'ambito di applicazione della 1. 689/81, cosi come delineato dalla disposizione transitoria ex art. 40, v. Pret. Verona 27 settembre

1985, Foro it., 1986, 1, 2943, con nota di richiami, ed anche Cass. 7

gennaio 1987, n. 7, id.. Rep. 1987, voce Sanzioni amministrative, n. 20

(che afferma l'immediata applicabilità delle nuove disposizioni ex 1. 689/81 in sostituzione di quelle di cui a leggi regionali difformi, senza necessità di una legge regionale di recezione).

Sul concorso tra disposizioni penali ed amministrative, v. Corte cost. 3 aprile 1987, n. 97, id., 1987, I, 3207, con nota di A. Ingroia; A. Tra

vi, Concorso di sanzioni penali ed amministrative e nuovi limiti alla legis

II Foro Italiano — 1988 — Parte I-62.

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 21 aprile 1988, n. 3080; Pres. Bologna, Est. A. Finocchiaro, P.M. Gros

si (conci, conf.); Provincia autonoma di Trento (Avv. Loren

zoni) c. Soc. salumificio Marsilli (Avv. Visonà). Conferma Pret.

Rovereto 22 gennaio 1985.

Sanzioni amministrative e depenalizzazione — Fatto punito da

legge penale e norma regionale o provinciale — Sanzione am

ministrativa — Inapplicabilità — Condizioni (Cost., art. 25; cod. pen., art. 15; 1. 10 maggio 1976 n. 319, norme per la

tutela delle acque dall'inquinamento, art. 21; 1. prov. Trento

18 novembre 1978 n. 47, norme per la tutela dell'aria e delle

acque dall'inquinamento, art. 17; 1. 24 novembre 1981 n. 689, art. 9).

Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale co

me reato e da una disposizione regionale o delle province auto

nome di Trento e Bolzano come illecito amministrativo, si

applica, ai sensi dell'art. 9, 2° comma, I. 24 novembre 1981

n. 689, la sola sanzione penale, senza alcuna possibilità di irro

gare la sanzione amministrativa regionale o provinciale, qualo ra la norma emanata da questi enti territoriali non stabilisca

diversamente. (2)

I

Motivi della decisione. — 1. - Al conducente di un autocarro,

sorpreso alla guida del veicolo non assicurato, in violazione del

l'art. 32 1. 24 dicembre 1969 n. 990, essendo stato accertato il

fatto anteriormente alla entrata in vigore della 1. 24 novembre

1981 n. 689 che ha depenalizzato la contravvenzione stessa, il

prefetto di Pavia ha applicato la sanzione amministrativa di lire

1.500.000, pari al massimo della previsione dell'art. 38, ultimo

comma, della legge di depenalizzazione citata (mentre la pena edittale per la contravvenzione era l'ammenda fino a lire 300.000, oltre all'arresto sino a tre mesi).

A seguito di opposizione dell'interessato, il Pretore di Vigeva

no, pur riconoscendo la responsabilità dell'opponente in ordine

alla violazione ascrittagli, ha ridotto l'ammontare della sanzione

a lire 150.000.

Ha ritenuto il pretore che poiché, ai sensi dell'art. 1 1. n. 689

del 1981, nessuno può essere assoggettato a sanzione amministra

tiva se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione, né punito con sanzione più

grave di quella in vigore al momento della violazione stessa, deve

ritenersi, quale imprescindibile corollario dell'enunciato principio di legalità, in analogia a quanto disposto dall'art. 2 c.p., che

quando la legge del tempo in cui la violazione è stata commessa

e quella posteriore sono diverse, si applica quella le cui disposi zioni risultano più favorevoli per il trasgressore; né rileva la cir

costanza che la successione di sanzione penale e sanzione

amministrativa fosse specificamente disciplinata dall'art. 40 1. n. 689 del 1981, rendendosi applicabili anche alle infrazioni ante

riormente commesse le nuove disposizioni in tema di sanzioni am

ministrative, dato che la regola dell'efficacia retroattiva del novum

ius opera solo nella parte più favorevole all'autore della violazio

ne, per il principio del favor rei.

Conseguentemente il pretore, avendo ritenuto la sanzione pe nale prevista per la contravvenzione più favorevole di quella con

templata per la violazione amministrativa, ha appellato la originaria normativa e calcolato entro il massimo di lire 300.000 la sanzione

amministrativa da irrogare, concretamente determinandola nel

l'importo già indicato. 2. - Ricorrendo per cassazione (e l'ammissibilità del ricorso è

assolutamente pacifica, e consacrata ora nell'art. 23 1. n. 689 del

1981) il prefetto di Pavia censura la soluzione adottata dal preto re che ha ritenuto operante l'efficacia retroattiva della sopravvenuta

lozione regionale, in Regioni, 1987, 1089; P. Barbieri, Il concorso di

sanzioni amministrative pecuniarie con particolare riguardo alle sanzioni

regionali ed alla potestà legislativa delle regioni, in Riv. giur. polizia loca

le, 1987, 5. Sul concorso formale di illeciti ammistrativi, v. Pret. Biella 10 gennaio

1984, Foro it., 1985, I, 2474, con nota di richiami.

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3295 PARTE PRIMA 3296

normativa solo nella misura in cui risulti più favorevole al con

travventore, richiamando al riguardo «per analogia» l'art. 2 c.p. Si osserva nel ricorso che tale applicazione analogica è scorret

ta, perché tale articolo riguarda esclusivamente la successione di

leggi penali nel tempo e perché nel caso considerato il fenomeno

successorio trova la sua precisa regolamentazione nella norma tran

sitoria di cui all'art. 40 1. 689 che non consente l'interpretazione

aggiuntiva operata. E si soggiunge che, comunque, la compara zione fra pena contravvenzionale e sanzione amministrativa non

è stata effettuata correttamente, dato che il pretore ha completa mente trascurato la circostanza che la circolazione con veicolo

non assicurato era punita con l'ammenda fino a lire 300.000 «con

giuntamente» all'arresto fino a tre mesi, sicché la comparazione avrebbe dovuto tener conto, a tutto concedere, anche dell'arresto

(attraverso, soggiunge il collegio, l'analogia con l'istituto della

conversione della pena pecuniaria in pena detentiva). 3. - Il ricorso è fondato.

La norma fondamentale cui avere riguardo, come non è sfug

gito al pretore, è l'art. 40 1. n. 689 del 1981 il quale contiene

una disposizione di diritto transitorio del seguente tenore: «Le

disposizioni di questo capo (vale a dire del capo I, comprendente

pure l'art. 23 che disciplina i poteri del pretore, in sede di opposi zione alle ordinanze-ingiunzione, di sindacare nel merito l'ordi

nanza, consentendogli di modificare l'ammontare della sanzione

irrogata) si applicano anche alle violazioni commesse anterior

mente all'entrata in vigore della presente legge che le ha depena

lizzate, quando il relativo procedimento penale non sia stato

definito». (Omissis) 4. - Il senso della disciplina transitoria è, pertanto, quello di

ricondurre nell'alveo della nuova legge tutti i fatti anteriormente

compiuti: sia che all'atto della commissione costituissero ancora

«reato», sia che già fossero stati depenalizzati, purché al riguar do non operi la preclusione da giudicato.

E poiché il fenomeno successorio in esame non riguarda la con

secuzione di leggi entrambe irrogatrici di pene, il richiamo all'art.

2 c.p. appare assolutamente un fuor d'opera, nemmeno nella cir

coscritta ottica, cui peraltro il pretore non si riferisce, della abro

gazione di norma penale incriminatrice che rende illecito il fatto,

giacché nella situazione contemplata si è tipicamente in presenza di un fenomeno di depotenziamento qualificatorio del fatto me

desimo che da illecito penale si trasforma in illecito amministrati

vo, Il pretore si riferisce, invece, al 3° comma dell'art. 2 c.p. e pretende di instaurare un parallelismo analogico fra la succes

sione di norme penali incriminatoci diversamente sfruttate quoad

poenam ed il fenomeno concretamente verificatosi di trasforma

zione della sanzione penale in sanzione amministrativa.

La successione di leggi che viene in considerazione non è quella fra leggi penali dal momento che sicuramente la sanzione ammi

nistrativa non costituisce pena; e se una analogia volesse a tutti

i costi ricercarsi si dovrebbe se mai fare riferimento al 2° comma

del predetto art. 2, il quale prevede appunto l'ipotesi della depe nalizzazione assoluta, stabilendo che nessuno può essere punito

per un fatto che, secondo una legge posteriore non costituisce

reato (e se vi è stata condanna ne cessano l'esecuzione e gli effetti

penali). Con l'avvertenza, tuttavia, che l'ipotesi considerata non

rende lecito il fatto, ma ne mantiene ferma l'illiceità con rilevan

za non più penalistica.

Quando il Garini commise il fatto questo costituiva reato con

travvenzionale; ma successivamente il reato è stato depenalizzato, assumendo consistenza di infrazione amministrativa; conseguen temente la sanzione relativa non è più applicabile al riguardo, e l'unico problema di successione consiste nello stabilire se si pos sa fare riferimento alla nuova disciplina, applicandola retroatti

vamente, ovvero se il fatto stesso debba restare immune da

sanzioni, in quanto commesso quando ancora la previsione della

sua illiceità meramente amministrativa non era stata introdotta

nell'ordinamento.

In questa prospettiva, se non fosse stata dettata la norma tran

sitoria dell'art. 40, avrebbe spiegato efficacia il principio della «legalità» della sanzione amministrativa, dettato in pieno paralle lismo con il principio della legalità della pena, secondo cui nessu

no può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in

forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commis

sione della violazione e conseguenzialmente nessuno può essere

punito con sanzione più grave di quella in vigore al momento

della commissione della violazione.

Il Foro Italiano — 1988.

Ma a ben vedere la norma transitoria non rappresenta una de

roga al principio della legalità della sanzione amministrativa (che

pure il legislatore avrebbe potuto introdurre, giacché la copertura costituzionale opera soltanto per le misure di sicurezza, come emer

ge dai commi 2° e 3° dell'art. 25 Cost., ma non anche per le

sanzioni amministrative), poiché nella specie si realizza una di

versa qualificazione del fatto già costituente reato depotenziato ad illecito amministrativo, sicché il precetto della cui violazione

si viene chiamati a rispondere non è successivo al fatto commes

so, venendo ad essere correlato, ora per allora, ad una diversa

sanzione, non più penale, ma amministrativa.

Anche alla stregua della interpretazione estensiva adottata dal

le sezioni unite di questa Corte di cassazione, il precetto mantiene

la sua identità, venendo in considerazione non più la dequalifica zione attuale, ma una dequalificazione già verificatasi, per depe nalizzazione anteriore, ovvero la diversa disciplina quantificativa della sanzione amministrativa in precedenza irrogata per effetto

della sistematica organizzazione dell'intera materia cui, rispetto

agli interventi normativi settoriali preesistenti, si è provveduto con

la legge organica del 1981.

Il problema della comparazione delle sanzioni, che presuppone ovviamente la loro omogeneità, si potrebbe porre residualmente

soltanto rispetto a fatti che al momento in cui vennero commessi

già costituivano illecito amministrativo, ma non certamente quando si pretenda, come il Pretore di Vigevano ha fatto, di mettere a

raffronto entità ontologicamente diverse e quindi costituzional

mente disomogenee, quali la «pena» da un lato e la «sanzione

amministrativa» dall'altro.

Se quindi un limite all'applicazione retroattiva dell'art. 40 si

voglia indiviudare, l'area dell'indagine risulta circoscritta al raf

fronto di tale norma non già con l'art. 2 c.p. ma con l'art. 1

della medesima 1. n. 689 del 1981, con riguardo alla comparazio ne fra regime sanzionatorio amministrativo preesistente a regime sanzionatorio sostitutivo, introdotto per lo stesso fatto dalla 1.

n. 689 del 1981.

Ma non è il caso di approfondire il punto e di verificare se

un'ipotesi siffatta in concreto si sia verificata, trattandosi di pro fili che esulano dalla materia del contendere.

Ai fini del decidere basta aver evidenziato l'errore del pretore che ha ritenuto di poter mettere a confronto precedenti sanzioni

penali e sanzioni amministrative retroattivamente applicabili per effetto della depenalizzazione, introducendo in via interpretativa, un limite restrittivo alla norma dell'art. 40 assolutamente ingiu stificato prima che sul piano esegetico su quello logico; essendo

veramente incongruo ipotizzare che la depenalizzazione aggravi la posizione dell'autore dell'illecito, prestando sicuramente il fianco

a censura di illegittimità una legge siffatta, pur astrattamente ipo

tizzabile, nel raffronto fra una lieve ammenda ed una sanzione

pecuniaria di gran lunga maggiore. 5. - Con riguardo alla situazione evidenziata la portata retroat

tiva dell'art. 40 è sicuramente proprio quella di consentire l'irro

gazione della sanzione amministrativa prevista dalla legge

depenalizzatrice a fatti che, nel momento in cui furono commes

si, costituivano reati, anche se la giurisprudenza, come si è accen

nato, l'ha intesa in senso estensivo, stabilendo che lo ius

superveniens si applichi alle violazioni già depenalizzate secondo

diverso regime sanzionatorio, o contemplate ab origine come vio

lazioni amministrative regolate diversamente da quanto sistemati

camente disposto dalla nuova legge n. 689.

Ed è in relazione a questa oscillazione interpretativa che deve

essere apprezzato l'unico precedente di questa corte in cui si fa

cenno all'art. 2 c.p.

Dopo aver premesso che le sanzioni amministrative non hanno

carattere di pena, sicché ad esse è applicabile l'art. 2, 2° comma,

c.p. in base al quale nessuno può essere punito per un fatto che,

secondo la legge posteriore, non costituisce reato (il che non esclu

de, peraltro, che un fatto non più previsto come reato possa esse

re sanzionato come illecito amministrativo), questa corte ne ha

tratto la conseguenza che la modificazione del sistema delle san

zioni amministrative di cui alla 1. n. 689 del 1981 non poteva

spiegare i suoi effetti su una fattispecie di violazione amministra

tiva già regolata da una precedente legge di depenalizzazione (la 1. 24 dicembre 1975 n. 706) non essendo applicabile alla specie la norma transitoria dettata solo per le ipotesi di depenalizzazio ne attuate in forza della medesima 1. n. 689 del 1981, né potendo

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

operare al riguardo i principi generali dell'art. 2 c.p. non trattan

dosi di successione di leggi penali. La richiamata sentenza, pur muovendo da una non condivisi

bile interpretazione restrittiva, superata dalle sezioni unite, rap

presenta un precedente puntuale per escludere la praticabilità del

criterio analogico ex art. 2 c.p.

Risulta, invero, enunciato con chiarezza, che l'unico parame tro per stabilire se debba o meno applicarsi a fatti anteriormente

commessi la disciplina innovativa dettata dalla legge organica n.

689 del 1981 è soltanto la norma transitoria in esame; venendo

a dipendere la misura della retroattività dall'ambito più o meno

largo che alla sfera di applicazione della disciplina transitoria sud

detta sì intenda attribuire. Resta esclusa, rispetto a una successio

ne di leggi sfociante in una sanzione amministrativa, l'applicazione del meccanismo che l'art. 2 c.p. detta esclusivamente per le ipote si in cui ad una legge penale succeda altra legge penale, oppure

venga esclusa la illiceità del fatto.

Ne quadro dell'art. 40, invece, alla sanzione penale succede

una sanzione amministrativa, ovvero la disciplina settoriale del

l'illecito amministrativo viene ad essere sostituita da una discipli na generale. Nella determinazione dell'ambito di questa norma

vi sono state oscillazioni, che peraltro, come dimostra chiaramente

la sentenza in esame n. 6318 del 1986 (Foro it., Rep. 1986, voce

Contravvenzione, n. 15), mai hanno comportato la messa in gio co dell'art. 2 c.p.

Di fronte alla intervenuta modifica della disciplina dell'illecito

amministrativo (tale divenuto per effetto di anteriore depenaliz

zazione) si trattava di stabilire se al fatto commesso anteriormen

te all'entrata in vigore della I. 689/81 si dovesse applicare o meno

la nuova disciplina. La richiamata decisione l'ha escluso ed ha

tenuto ferma la disciplina precedente giustamente negando che

per la successione temporale, retta dal principio generale del tem

pus regit actum potesse assumere rilievo la regola «speciale» det

tata dall'art. 2 c.p., il cui ambito applicativo riguarda esclusivamente le norme penali.

Né si obietti che nel caso in esame la successione di una legge

penale, diversamente dalla fattispecie prima considerata, viene pur

sempre in considerazione, giacché l'art. 32, 1° comma, 1. n. 990

del 1969 configurava lo stesso fatto come reato contravvenziona

le poiché, come si è appena rilevato, sfociando la consecuzione

delle leggi nella configurazione del fatto precedentemente previ sto come reato quale illecito amministrativo, non si verifica nes

suno dei casi contemplati dalla norma di diritto penale, insuscettibile di essere applicata analogicamente in settore diverso

da quello penalistico, e rispetto ad una disposizione di diritto

transitorio del tutto esaustiva (cosi come interpretata dalla giuri

sprudenza delle sezioni unite di questa corte nella puntualizzazio ne di casi di applicazione retroattiva della nuova disciplina).

6. - In effetti nel fenomeno del trapasso da reato a sanzione

amministrativa si intersecano il principio di legalità e quello di

retroattività.

Venuta meno la qualificazione del fatto come reato è assoluta

mente fuori discussione che per quel fatto non possa essere irro

gata alcuna pena; ma non è escluso che il fatto medesimo, anche

se anteriore all'entrata in vigore della legge di depenalizzazione,

possa essere sanzionato amministrativamente.

La norma dell'art. 40 viene a saldarsi con il precedente art.

I nel senso che il principio di legalità risulta rispettato, in quanto la sanzione viene irrogata per un fatto che al momento in cui

è stato commesso, pur non costituendo violazione amministrati

va, era pur sempre «vietata» dall'ordinamento come reato, sicché

attraverso la depenalizzazione non si introduce un nuovo divieto

rispetto alla cui inosservanza si applica retroattivamente la san

zione, ma si tiene fermo il divieto applicando alla relativa viola

zione una diversa e meno grave sanzione.

Che da questa «depenalizzazione» il contravventore, in linea

di principio, non possa che conseguire vantaggi dovrebbe essere

indiscutibile; peccherebbe sicuramente di irrazionalità il legislato re che depenalizzando finisse per aggravare la posizione del sog

getto che ha commesso il fatto sanzionato.

Tuttavia, non sembra al collegio che un comportamento siffat

to possa spiegare effetti sul piano ermeneutico, dovendo caso mai

sfociare in un incidente di legittimità costituzionale.

Quel che si deve escludere è la correttezza del richiamo al 3°

comma dell'art. 2 c.p. che il pretore compie per circoscrivere in

debitamente la portata dell'art. 40 1. 689 che in tanto avrebbe

II Foro Italiano — 1988.

efficacia retroattiva in quanto l'applicazione della sua disposizio ne si venga a tradurre nel favor rei (quantomeno quoad poenam).

L'errore che si annida nel ragionamento del pretore è duplice:

per un verso si ritiene di poter trasferire de plano una disciplina strettamente penalistica nel campo della sanzione amministrativa

con un procedimento esegetico non sorretto da alcun argomento tranne quello della invocata analogia; per altro verso si dimenti

ca, e l'omissione appare determinante, che il principio del favor rei si applica esclusivamente rispetto alla consecuzione di norme

penali, sicché l'analogia, a tutto concedere, potrebbe riguardare la successione nel tempo di norme irrogatrici di sanzioni ammini

strative risultando del tutto ingiustificata la comparazione che si

vorrebbe operare ratione temporis nella successione della sanzio

ne amministrativa depenalizzata alla sanzione penale. Ma anche se fosse possibile consentire con l'impostazione da

cui muove il pretore, lascia veramente perplessi il modus operan di seguito per affermare con sicurezza che la sanzione della previ

gente contravvenzione è meno grave della sanzione amministrativa

prevista dalla legge di penalizzazione. Nel procedere alla relativa comparazione viene, infatti, inspie

gabilmente trascurata una circostanza essenziale, attinente alla con

sistenza della sanzione prevista dall'art. 32, 1° comma, 1. n. 990

del 1969 che riguarda congiuntamente la sanzione pecuniaria del

l'ammenda (fino a 300 mila) e quella detentiva dell'arresto, fino

a tre mesi.

La comparazione viene effettuata soltanto sotto l'aspetto «pe

cuniario», risultando invero lapalissiano che la prospettiva di do

ver pagare al massimo lire 300.000, è più favorevole di quello di pagare quantomento lire 500.000, correndo il rischio di un esbor

so che potrebbe raggiungere tre milioni di lire.

Senonché l'effettivo rischio della originaria previsione contrav

venzionale era quello di dover scontare sicuramente almeno cin

que giorni di arresto.

Si vuol dire, cioè, che di fronte alla previsione di pena detenti

va il giudizio di comparazione che immotivatamente prescinde da tale componente particolarmente afflittiva è sicuramente non

condivisibile, ed è sicuramente censurabile sotto l'aspetto della

congruità della motivazione, perché non mette a raffronto i due

trattamenti sanzionatori da comparare assumendoli nella portata effettiva di ciascuno di essi.

Per completezza di motivazione deve osservarsi che non appare centrato l'addebito al pretore di avere irrogato nella misura di

lire 350.000 una sanzione sotto il minimo edittale.

In effetti, se tutto il ragionamento svolto nella sentenza fosse

esatto e la sanzione amministrativa si dovesse effettivamente li

mitare alla (sola!) ammenda ex art. 32 1. 990 del 1969, posto che la comminatoria era di lire 300.000 nel massimo, si sarebbe

potuto irrogare sul piano della «legittimità» una qualsiasi sanzio

ne nel rispetto del «minimo» del tipo, ponendosi tutt'al più un

problema di quantificazione dato che il veicolo sorpreso a circo

lare senza assicurazione non era una piccola utilitaria, ma un grosso camion.

7. - In conclusione il ricorso deve essere accolto cassando l'im

pugnata sentenza e rinviando la causa per nuovo esame al Preto

re di Corteolone, cui si ritiene opportuno demandare la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione, e che si uniforme

rà al seguente principio di diritto:

A seguito della intervenuta depenalizzazione di un reato con

travvenzionale per effetto della 1. 24 novembre 1981 n. 689 al

fatto commesso anteriormente all'entrata in vigore della legge stessa

si applica il novum ius per effetto della norma transitoria, che

puntualmente regola il fenomeno successorio dettata dall'art. 40

della cit. 1. n. 689 del 1981 estendendo retroattivamente la sfera

di applicabilità della nuova disciplina organica, salvo il limite della

definizione del relativo procedimento penale. Di fronte alla norma transitoria specifica non possono venire

in considerazione i principi generali della successione nella legge nel tempo, non lasciando tale norma spazi residuali da integrare facendo ricorso a tali principi.

L'integrazione comunque mai potrebbe operarsi con riferimen

to alla disciplina dettata dall'art. 2 c.p., la quale riguarda esclusi

vamente la consecuzione di leggi penali incriminatrici, e

modificatrici, ovvero abolitrice della incriminazione.

La trasformazione della fattispecie di reato in fattispecie di il

lecito amministrativo, non facendo venir meno il precetto, ma

incidendo soltanto sulla sanzione, rispetta il principio della legali

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3299 PARTE PRIMA 3300

tà e non retroattività della sanzione amministrativa, riferendosi

ad un comportamento vietato dall'ordinamento (perché addirit

tura previsto come reato) nel momento della commissione del fatto.

L'eventualità di un aggravamento della sanzione amministrati

va rispetto alla previgente sanzione penale (da ritenersi aberrante

e che comporterebbe eventualmente il sindacato di costituzionali

tà sulla legge depenalizzatrice per irragionevolezza) non potrebbe

quindi mai trovare rimedio ermeneutico nell'applicazione dell'art.

2 c.p. assolutamente estraneo alla fattispecie, esclusivamente re

golata dal cit. art. 40 1. n. 689 del 1981.

Comunque nel caso considerato di depenalizzazione del reato

contravvenzionale previsto dall'art. 32, 1° comma, 1. 24 dicem

bre 1969 n. 990 e punita con l'ammenda fino a lire 300.000 e

con l'arresto fino a tre mesi, nel raffronto con la sanzione da

lire 1.500.000 a lire 3.000.000 ex art. 38 1. n. 689 del 1981, la

comparazione non potrebbe ragionevolmente effettuarsi raffron

tando le sole sanzioni pecuniarie e prescindendo dalla pena de

tentiva congiuntamente prevista, che sicuramente comporta una

misura di più penetrante afflittività.

II

Svolgimento del processo. — Con provvedimento del 14 mag

gio 1984 il presidente della giunta provinciale di Trento applicava alla s.p.a. salumificio Marsilli la sanzione amministrativa di lire

1.502.000, a norma dell'art. 17 1. prov. 18 novembre 1978 n.

47, per immissione nel torrente Leno di acque di scarico caratte

rizzate da valori eccedenti i limiti di tollerabilità fissati dalla nor

mativa provinciale. Contro l'ordinanza-ingiunzione la s.p.a. salumificio Marsilli ha

proposto opposizione davanti al Pretore di Rovereto deducendo

che per il medesimo fatto davanti allo stesso giudice era pendente un procedimento penale per il reato di cui all'art. 21 1. n. 319

del 1976 e che, in base all'art. 9, 2° comma, 1. n. 689 del 1981, nel caso di concorso fra norma penale e norma regionale (o delle

province di Trento e di Bolzano) in rapporto di specialità doveva

applicarsi esclusivamente la norma penale. L'amministrazione opposta, nel costituirsi, ha rilevato che la

pendenza del procedimento penale non escludeva l'applicabilità della sanzione amministrativa ed insisteva per il rigetto dell'op

posizione. (Omissis) Motivi della decisione. — Con l'unico complesso motivo di

ricorso si deduce falsa applicazione dell'art. 9, 2° comma, 1. 24

novembre 1981 n. 689, anche in relazione agli art. 8 e 9 dello

statuto speciale per il Trentino-Alto Adige di cui al d.p.r. 31 ago sto 1972 n. 670, per avere il pretore escluso nell'interpretazione del citato art. 9 1. n. 689 del 1981 l'applicabilità delle sanzioni

amministrative regionali o provinciali qualora lo stesso fatto è

previsto da una disposizione penale, senza tener presente che l'o

peratività di quest'ultima non escludeva la contemporanea appli cabilità di quella amministrativa regionale o provinciale.

Secondo la ricorrente la tesi contrastata condurrebbe «ad un

azzeramento totale della potestà sanzionatoria delle regioni e del

le province e ciò anche nelle materie in cui — come quella in

esame — esse hanno potestà legislativa esclusiva»; con la conse

guente non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del citato art. 9, 2° comma, cosi interpretato in

relazione agli art. 8 e 9 dello statuto del Trentino-Alto Adige.

L'interpretazione che privilegia la contemporanea applicazione sia della sanzione penale che di quella amministrativa seppure contrasta con il principio del ne bis in idem non è costituzional

mente rilevante ex art. 3 Cost, per il fatto che in altre regioni o province che non abbiano previsto sanzioni amministrative in

proposito, lo stesso fatto sarebbe soggetto alla sola sanzione pe

nale, essendo ciò una conseguenza fisiologica di un sistema costi

tuzionale che consente a ciascuna regione di stabilire

autonomamente le sanzioni amministrative a presidio delle sue

norme.

«Quando i legislatori sono diversi» — conclude l'amministra

zione ricorrente — «e quando i rapporti tra i rispettivi ordina

menti sono tali dal rispettare l'autonomia di ciascuno, l'unica

soluzione costituzionalmente corretta è quella di assicurare che

la potestà sanzionatoria di entrambi possa svolgersi liberamente

nel proprio ambito senza condizionarsi a vicenda e senza che l'u

na possa annullare l'altra; laddove, invece, la tesi sostenuta dal

pretore oltre a non essere fondata, urta irrimediabilmente con

Il Foro Italiano — 1988.

principi costituzionali fondamentali che stanno alla base del siste

ma dei rapporti fra Stato e regioni». Nell'illustrare il motivo di ricorso con la memoria ex art. 378

c.p.c., la ricorrente ha richiamato la recente sentenza della Corte

costituzionale n. 97 del 1987 (Foro it., 1987, I, 3207), per la qua le l'art. 9 1. n. 689 del 1981 avrebbe passato indenne il controllo

di costituzionalità in riferimento all'art. 3 Cost., proprio perché «si è ammesso che nelle diverse fattispecie è possibile l'applica zione congiunta della legge penale e della legge regionale», ag

giungendo che lo stesso legislatore statale ha continuato, anche

dopo la 1. n. 689 a prevedere per uno stesso fatto sanzioni penali e sanzioni amministrative come nel caso del d.l. 12 settembre 1983

n. 463, convertito, in 1. 11 novembre 1983 n. 638, dove è prevista la contemporanea applicazione di sanzioni amministrative (statali).

Il motivo di ricorso è infondato. La questione sottoposta a

questa corte è duplice e consiste nello stabilire: a) se l'art. 9,

2° comma, 1. 24 novembre 1981 n. 689, nell'affermare l'applica

bilità della disposizione penale qualora uno stesso fatto è punito da una norma penale e da una disposizione regionale o delle pro

vince autonome di Trento e Bolzano, che preveda una sanzione

amministrativa, escluda la contemporanea applicabilità di que

st'ultima; ti) se, nell'ipotesi in cui si ritenga che l'applicazione

della sanzione penale escluda l'applicazione della sanzione ammi

nistrativa, la norma cosi interpretata sia incostituzionale.

Come è noto, in materia penale, allo scopo di risolvere i dubbi

che si presentano in tema di concorso apparente di disposizioni coesistenti è espressamente enunciato il principio di specialità, che

costituisce, come si afferma nella relazione ministeriale sul pro

getto definitivo del codice, la chiave di volta per risolvere le in

certezze per la detta interpretazione di moltissime norme penali,

e per il quale «quando più leggi penali o più disposizioni della

medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la

disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito» (art. 15 c.p.).

Il significato di tale principio è nel senso di escludere l'applica zione della norma generale quando fra due disposizioni, regolanti

la stessa fattispecie, esista un rapporto da genus ad speciem. Intervenuta la depenalizzazione di moltissimi reati, il legislato

re ha ritenuto necessario applicare analogo principio anche in ipo tesi di concorso fra norme penali e norme irroganti sanzioni

amministrative o fra norme tutte prevedenti una sanzione ammi

nistrativa, stabilendo che «quando uno stesso fatto è punito da

una disposizione penale e da una disposizione che preveda una

sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di sanzioni am

ministrative, si applica la disposizione speciale» (art. 9, 10 com

ma, 1. n. 689 del 1981), quasi a dimostrazione dell'esistenza di

un principio fondamentale dell'ordinamento che non vuole, salvo

che non sia diversamente stabilita, la contemporanea applicazio ne di due norme latamente punitive ad un medesimo fatto illecito.

La richiamata disposizione che applica il principio di specialità fra norme penali e norme sanzionatorie amministrative di fonte

statale o fra norme sanzionatorie amministrative a prescindere dalla fonte da cui promanano è però derogata nel caso di concor

so apparente fra norme penali e norme sanzionatorie amministra

tive emanate dalla regione o dalle province autonome di Trento

e Bolzano, in quanto il successivo 2° comma dello stesso art.

9 stabilisce che «tuttavia, quando uno stesso fatto è punito da

una disposizione penale o da una disposizione regionale o dalle

province autonome di Trento e di Bolzano che preveda una san

zione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione pe

nale, salvo che quest'ultima sia applicabile solo in mancanza di

altre disposizioni penali». La deroga non riguarda i presupposti della convergenza delle

norme, ma i criteri di soluzione del conflitto, dal momento che

si individua nella disposizione penale la norma prevalente, a pre scindere dal carattere speciale della norma amministrativa.

Tale deroga risponde all'esigenza di evitare che il legislatore

regionale incida direttamente sulla legislazione penale riducendo

ne la portata — limitatamente all'ambito regionale o provinciale — attraverso la predisposizione di fattispecie sanzionatorie am

ministrative fornite da connotati specializzanti che finirebbero per ledere il principio costituzionale che riserva alla legge dello Stato

l'utilizzo dello strumento penale, dal momento che l'art. 25, 2°

comma, Cost, preclude alle regioni (e alle province autonome) non solo di presidiare con sanzioni penali i propri precetti, ma

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

anche di rendere inoperante nel proprio territorio la legge penale dello Stato (cfr., in proposito, Corte cost. 12 maggio 1977, n.

79, id., 1977, I, 1341). L'affermata prevalenza della normativa penale non comporta

però, secondo la tesi dell'amministrazione, anche la possibilità della contemporanea applicazione, per lo stesso fatto, della san

zione amministrativa regionale (o provinciale) speciale e ciò non

solo perché la chiara formulazione della norma — cosi come in

terpretata anche dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 97

del 1987) — impedisce di accedere a tale interpretazione dal mo

mento che l'espressione «in ogni caso», contenuta nella norma, esclude che connotati di specialità della normativa regionale (o

provinciale) possano giustificare una applicazione cumulativa di

quest'ultima con la prima, ma anche perché, essendo la ratio di

tutto l'art. 9 1. cit., proprio quella di evitare l'applicazione di

una duplice sanzione per lo stesso fatto illecito, attraverso l'ado

zione di soluzioni variamente articolate, sarebbe incomprensibile ammettere tale concorso di norme in funzione della diversa fonte

da cui promanano. Né al fine di sostenere l'interpretazione qui contrastata vale

obiettare che se intenzione del legislatore fosse stata quella di

evitare l'applicazione della normativa regionale (o provinciale) lo

stesso avrebbe dovuto affermare che nei casi considerati si appli cava «soltanto» la disposizione penale.

Seppure l'uso dell'avverbio suggerito avrebbe evitato ogni di

scussione in proposito, l'espressione «in ogni caso», ricollegata al comma precedente, applicativo del principio di specialità, per

derogare allo stesso, permette di giungere alle medesime conclu

sioni, dal momento che la stessa vuole significare che anche nel

l'ipotesi in cui la norma regionale (o provinciale) abbia un

contenuto di specialità («in ogni caso») prevale la norma penale con esclusione di quella regionale.

Né tale interpretazione giustifica il dubbio di costituzionalità

avanzato dalla ricorrente e secondo il quale in questo modo si

finirebbe per azzerare la potestà sanzionatoria delle regioni (e delle

province autonome) anche nelle materie in cui le stesse hanno

potestà legislativa esclusiva.

Il principio di specialità enunciato in materia penale opera nel

presupposto della mancanza di una diversa disciplina legittima mente introducibile dal legislatore («salvo che non sia diversa

mente stabilito»: art. 15, ultimo inciso, c.p.). Tale possibilità di deroga, enunciativa della libertà del legisla

tore di risolvere in concreto, in modo diverso, il problema del

conflitto apparente di leggi, deve ritenersi consentito — malgra do il silenzio della norma — anche sulla base dell'art. 9 1. n.

689 del 1981, purché resti salva l'applicazione della norma penale.

Pertanto, qualora, come nella specie in esame, la norma san

zionatoria provinciale non preveda espressamente la sua applica bilità anche in presenza di una norma penale, il c.d. «azzeramento»

della potestà sanzionatoria dell'ente territoriale che ne deriva è

conseguenza della scelta di quest'ultimo e non anche dell'art. 9, 2° comma, 1. cit. che, pur prevedendo la prevalenza della norma

penale, non esclude, per quanto in precedenza osservato, la pos sibilità di una diversa soluzione del conflitto di norme: ciò è suf

ficiente per ritenere la manifesta infondatezza della questione di

costituzionalità sollevata.

Si deve, pertanto, concludere che quando uno stesso fatto è

punito da una disposizione penale come reato e da una disposi zione regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano

come illecito amministrativo, si applica, ai sensi dell'art. 9, 2°

comma, 1. 24 novembre 1981 n. 689, contenente modifiche al

sistema penale, la sola sanzione penale, senza alcuna possibilità di irrogare la sanzione amministrativa regionale o provinciale, qua lora la norma emanata da questi enti territoriali non stabilisca

diversamente. Tale interpretazione manifestamente non si pone in contrasto con le norme costituzionali che attribuiscono la po testà legislativa esclusiva (o concorrente) in determinate materie

alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano.

A questi principi si è attenuta la sentenza impugnata, che non

merita quindi alcuna censura.

Il Foro Italiano — 1988.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 19 mag

gio 1988, n. 3469; Pres. Brancaccio, Est. O. Fanelli, P.M.

Caristo (conci, conf.); Inadel (Avv. Vicini) c. Gualandri ed

altri. Cassa Trib. Genova 3 ottobre 1985.

Cassazione civile — Sezioni unite — Decisione di questione ac

cessoria a quella rientrante nella loro istituzionale funzione —

Autorità di precedente — Limiti (Cod. proc. civ., art. 374; r.d.

30 gennaio 1941 n. 12, ordinamento giudiziario, art. 65).

Impiegato degli enti locali — Indennità premio di servizio — Tar

divo pagamento — Interessi e rivalutazione — Decorrenza (Cod.

civ., art. 1183, 1218, 1219, 1224, 1282; 1. 8 marzo 1968 n. 152, nuove norme in materia previdenziale per il personale degli enti

locali, art. 1, 2; 1. 11 agosto 1973 n. 533, disciplina delle con

troversie individuali di lavoro e delle controversie in materia

di previdenza e di assistenza obbligatorie, art. 7; d.l. 31 agosto 1987 n. 359, provvedimenti urgenti per la finanza locale, art.

239; 1. 29 ottobre 1987 n. 440, conversione in legge, con modi

ficazioni, del d.l. 31 agosto 1987 n. 359).

Sulle questioni estranee alla specifica competenza delle sezioni unite

(questioni di giurisdizione, contrasti di giurisprudenza, questio ni di massima di speciale importanza), in quanto venute all'e

same delle stesse perché accedenti a questioni di giurisdizione

(e che quindi dovrebbero, se non fosse contrario all'economia

dei giudizi, essere restituite alla sezione semplice) sia le stesse

sezioni unite che la sezione semplice non sono astrette dal pre cedente nella stessa misura in cui lo sarebbero da pronuncia resa nell'esercizio della funzione tipica e propria di quel

collegio. (1) Nel caso di tardivo pagamento delle prestazioni previdenziali da

parte dell'Inadel spettano al pensionato gli interessi moratori

con decorrenza dal centoventesimo giorno dalla presentazione della richiesta all'istituto assicuratore, secondo la norma di cui

all'art. 7 l. 11 agosto 1973 n. 533, non caducata neppure in

seguito all'entrata in vigore dell'art. 23, 4° comma, d.l. 31 agosto 1987 n. 359, convertito in l. 29 ottobre 1987 n. 440. (2)

(1) Ad illustrazione della gravità dei problemi posti dalla funzione di

nomofilachia della Cassazione e in particolare dei rilievi esposti nella mo tivazione a giustificazione del carattere non rinforzato del precedente co

stituito da sez. un. 288/83 (su cui v. A. Proto Pisani, Su alcuni problemi

organizzativi della Corte di cassazione, in Foro it., 1988, V, 28, testo

e nota 1), si pubblica il testo della relazione svolta dal cons. Onofrio

Fanelli all'incontro di studi organizzato il 25 e 26 marzo 1988 dal Consi

glio superiore della magistratura su «Problemi attuali della Corte di cas

sazione».

* * *

La funzione nomofilattica della Corte di cassazione.

1. - La Cassazione è da qualche tempo al centro dell'attenzione, dello

studio, di dibattiti come forse non mai.

La base di partenza del complesso e ricco itinerario è stata il convegno organizzato dal Centro nazionale di studi di diritto del lavoro in Ostia

il 12-13 marzo 1982 (i cui atti sono raccolti nel volume Cassazione civile e contenzioso del lavoro, Giuffrè, Milano, 1984).

Sono seguiti gli utilissimi incontri di studio dedicati dal Consiglio supe riore della magistratura alla sezione lavoro della Suprema corte, ma sem

pre allargatisi alle problematiche generali, soprattutto organizzative, della

Cassazione civile (i relativi atti sono raccolti nel volume «Seminari in

materia di lavoro riservati ai magistrati della Corte di cassazione»: Grot

taferrata 3-5 novembre 1983, Castel Gandolfo 16-17 novembre 1984, Ro

ma 15 settembre 1985, in Quaderni del Consiglio superiore della

magistratura, 1986); un importante convegno su «Terzo grado alla supre ma giustizia (ovvero il ruolo della Corte suprema di cassazione negli anni

'80)», è stato organizzato dal Centro lunigianense di studi giuridici a Pon

tremoli dal 27 al 29 giugno 1986 (ed una delle relazioni è pubblicata in

Foro it., 1986, V, 313); è seguita la importante raccolta di scritti Per

la Corte di cassazione apparsi in Foro it., 1987, V, 205, e per una analo

ga iniziativa incentrata sui problemi della Cassazione penale (in questo

fascicolo, V, 441). Un incontro sul tema «Quale Cassazione?» si è tenuto a Roma 1*8

ottobre 1987 per iniziativa di Magistratura democratica.

Indi, riprendendo, ma su orizzonte più vasto, i temi dibattuti ad Ostia, il Centro studi di diritto del lavoro e la sezione della Corte di cassazione

dell'Associazione nazionale magistrati hanno organizzato a Roma il 13

e 14 novembre 1987 due giornate di studio su «Problemi della Cassazione

civile ed esperienze della sezione lavoro», alcune delle cui relazioni sono

pubblicate in Foro it., 1988, V, 1.

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