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sezione I civile; sentenza 27 aprile 1988, n. 3174; Pres. Vela, Est. Favara, P.M. Amirante (concl.conf.); Fantini (Avv. Palatta, Gentili), c. Min. finanze (Avv. dello Stato Palatiello). ConfermaApp. Bologna 20 marzo 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 171/172-177/178Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183742 .
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PARTE PRIMA
Motivi della decisione. — Col primo motivo di ricorso i tre
consulenti denunziano la violazione dell'art. 101 c.p.c. in relazio
ne all'art. 360, n. 3, in quanto, senza il contraddittorio delle con
troparti interessate, non si sarebbe potuto modificare la statuizione
del presidente del tribunale sui soggetti tenuti a sopportare le spe
se della consulenza.
Il motivo è infondato, in quanto il debitore (qual era il calza
turificio di Varese rispetto ai tre consulenti per effetto del prov
vedimento del presidente del tribunale del 25 gennaio 1984) può
benissimo convenire in giudizio i suoi creditori o impugnare il
provvedimento emesso a favore di quest'ultimi per sentire dichia
rare inesistente o ridotto il loro credito senza che vi sia alcuna
necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei condebi
tori in solido, come chiaramente evincesi dall'art. 1306 c.c., se
condo cui la sentenza pronunciata tra il creditore e uno dei debitori
in solido non ha effetto contro gli altri debitori anche se essi,
volendo, possono opporla al creditore (salvo che sia fondata so
pra ragioni personali al condebitore). Col secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell'art.
11 preleggi, sostenendosi che, avendo il d.p.r. 14 novembre 1983
n. 820 (il quale consente la liquidazione dei compensi dovuti ai
consulenti secondo criteri variabili non legati necessariamente alle
vacazioni) carattere interpretativo della 1. 8 luglio 1980 n. 319,
esso, pur essendo entrato in vigore 11 12 febbraio 1984 per essere
stato pubblicato nella G.U. del 28 gennaio, aveva efficacia re
troattiva e, quindi, bene avrebbe dovuto essere applicato nella
specie. Anche questo secondo motivo di ricorso è infondato.
Invero l'art. 12 1. 8 luglio 1980 n. 319 espressamente stabilisce
che «Fino a che non siano emanati i decreti previsti dall'art. 2,
gli onorari per periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori
saranno determinati in base alle vacazioni di cui all'art. 4».
Il testo di tale norma, letteralmente inteso, sembra incompati
bile con qualsiasi tentativo di applicazione retroattiva delle tabel
le contenute nei decreti medesimi che i ricorrenti reclamano. È
ben vero che la rubrica del citato art. 12 qualifica «provvisoria» la determinazione degli onorari in base alle vacazioni, ma — a
prescindere dalla considerazione che le parole della rubrica del
l'articolo di legge non sono vincolanti per l'interprete quando
appaiono in contrasto con il testo dell'articolo stesso — intendere
come «provvisoria» la determinazione degli onorari in base alle
vacazioni cosi come disposto dall'art. 12 non implica affatto la
necessità di ritenere — come sostengono i ricorrenti — che gli onorari debbano essere liquidati due volte per ogni prestazione: una prima volta in base alle vacazioni e una seconda volta dopo l'emanazione dei decreti preannunciati nell'art. 2 1. n. 319 dell'80
per il conguaglio della differenza rispetto alla somma risultante
dall'applicazione dei nuovi criteri che trovano attuazione nelle
tabelle approvate coi decreti medesimi.
Molto più semplicemente la formulazione della rubrica dell'art.
12 può spiegarsi, infatti, nel senso che, quantunque già con la
predetta legge dell'80 siano stati previsti nuovi criteri per la deter
minazione degli onorari diversi da quello tradizionale basato sul
le vacazioni, tuttavia «provvisoriamente» si è voluto mantenere
in vigore il vecchio sistema fino a quando i nuovi criteri non
fossero concretamente applicabili: il che è avvenuto, appunto, solo
con la emanazione del d.p.r. 14 novembre 1983 n. 820 recante
le tabelle determinanti la misura dei medesimi, con la conseguen za che gli onorari si liquidano — come è del tutto normale che
avvenga — una sola volta: in base al vecchio sistema delle vaca
zioni per le prestazioni condotte a termine prima dell'entrata in
vigore del predetto d.p.r. (come è pacifico, il 12 febbraio 1984, essendo stato pubblicato nella G.U. del 28 gennaio 1984) e, in
base al nuovo sistema, per le prestazioni condotte a termine dopo tale data.
Tale interpretazione sembra più consona, oltreché alla lettera
del testo dell'art. 12 sopracitato («Fino a che non siano emanati, i decreti... gli onorari saranno determinati in base alle vacazio
ni...»), anche ai seguenti principi o constatazioni di carattere ge nerale: a) gli onorari al consulente debbono essere liquidati in
1980 n. 319: compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria, in Nuove leggi civ., 1981, 295; E. e M. T. Protetti', Spese dei consulen ti tecnici d'ufficio, in Nuovo dir., 1986, 515 ss.
Il Foro Italiano — 1989.
base alla tariffa vigente nel momento in cui la prestazione è stata
condotta a termine; b) una doppia liquidazione per ogni presta
zione (prima provvisoria e poi definitiva) è un fatto certamente
inovativo e fuori del comune, sicché è logico presumere che il
legislatore avrebbe dovuto prevederlo espressamente; c) la retroat
tività di una norma (quale nella specie il d.p.r. 14 novembre 1983)
è sempre un fatto eccezionale, sicché, nel dubbio, si deve sempre
propendere per l'irretroattività; d) il d.p.r. sopracitato non può ritenersi una norma interpretativa della 1. 319/80 per la semplice
ragione che detta legge prevedeva l'emanazione del decreto stesso
e, con la espressione contenuta nell'art. 12 qui più volte ricordata
(«Fino a che... ecc.»), ha previsto espressamente il criterio per stabilire quando sarebbe entrato in vigore.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 27 aprile
1988, n. 3174; Pres. Vela, Est. Favara, P.M. Amirante (conci,
conf.); Fantini (Aw. Palatta, Gentili), c. Min. finanze (Avv. dello Stato Palatiello). Conferma App. Bologna 20 marzo
1984.
Tributi in genere — Errori ed omissioni del contribuente — De
ducibilità — Termini di impugnazione (D.p.r. 26 ottobre 1972
n. 636, revisione della disciplina del contenzioso tributario, art.
16) Tributi in genere — Modifiche alla dichiarazione — Termine quin
quennale — Inapplicabilità (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, art.
16; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, disposizioni comuni in ma
teria di accertamento delle imposte sui redditi, art. 43) Tributi in genere — Ripetizione di imposte pagate — Azione di
ripetizione di indebito ed azione di arricchimento — Impropo nibilità (Cod. civ., art. 2033, 2041, 2042; d.p.r. 26 ottobre 1972
n. 636, art. 16).
Gli errori ed omissioni del contribuente devono essere dedotti sem
pre con impugnazione, nei termini di decadenza, dell'atto im
positivo o del ruolo, anche quando quest'ultimo sia meramente
ripetitivo della dichiarazione del contribuente. (1) Il contribuente non ha il potere di apportare modifiche alla sua
dichiarazione nel periodo di cinque anni concesso dall'art. 43,
3° comma, d.p.r. 600/73 in via esclusiva all'ufficio finanzia rio, una volta che il rapporto tributario sia divenuto definitivo
per il decorso dei termini di impugnazione. (2) Non è proponibile nei confronti della amministrazione finanzia
ria l'azione ordinaria di ripetizione d'indebito ex art. 2033 c.c.
né quella generale di arricchimento senza causa ex art. 2041,
per la ripetizione di imposte che si assumono indebitamente
pagate in forza di accertamento o iscrizione a ruolo divenuto
incontestabile. (3)
(1-3) La pronunzia applica a diverse fattispecie i principi costantemente affermati in tema di definitività del rapporto tributario e di improponibi lità di qualunque altra azione che valga a superarne gli effetti, con riferi mento alla efficacia delle pronunzie di illegittimità costituzionale di norme
tributarie, ai fini del rimborso delle imposte pagate: per ogni riferimento, v. Cass. 21 giugno 1988, n. 4223, Foro it., 1988, I, 2184, con nota di
richiami, che ha individuato con estrema chiarezza i limiti di proponibili tà dell'azione di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c. nel campo tribu tario in relazione ai principi che regolano questo processo ed agli oneri
imposti al contribuente dagli art. 16 d.p.r. 636/72 e 38 d.p.r. 602/73, nel senso che le decadenze maturate in forza di dette norme rendono definitivo ed incontestabile il rapporto e del tutto legittima la ritenzione
dell'imposta pagata da parte dell'amministrazione, cosi che non possa configurarsi alcun indebito, neppure sotto il profilo della azione residuale di arricchimento; il riferimento a quest'ultima azione non si rinviene espli citamente — a differenza di quel che accade nella sentenza in epigrafe — nelle altre pronunzie che hanno propugnato i principi in easme, tutta via non può esservi dubbio che le due azioni, ex art. 2033 e art. 2041
c.c., siano assoggettabili al medesimo regime nel campo dei rapporti tri butari e che, di più, per l'azione generale di arricchimento senza causa, la intervenuta definitività del rapporto per omessa attivazione nei termini delle azioni tipiche regolate dai cit. art. 16 d.p.r. 636/72 e 38 d.p.r.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — L'ufficio imposte dirette di Cese
na iscriveva nei ruoli del marzo 1978 il tributo Ilor dovuto per
l'anno 1975 dal contribuente Franco Fantini in lire 829.138, rela
tivamente al reddito imponibile derivante ad esso Fantini dalla
partecipazione alla s.n.c. Autocarrozzeria Artigiana; ciò sulla ba
se della dichiarazione fatta in data 13 maggio 1976 dallo stesso
contribuente nel quadro O del modello 740/75, contenente le di
chiarazioni dei redditi delle persone fisiche. In data 14 aprile 1978
veniva notificata al Fantini la cartella esattoriale per un importo
pari a quello dichiarato dal contribuente, il quale pagava l'impo
sta. Successivamente il Fantini, avvedutosi di avere erroneamente
compilato il quadro O e dichiarato come reddito di persona fisica
quello che invece era un reddito produttivo di imposta a carico
della società, chiedeva con atto 4 novembre 1978 il rimborso del
l'imposta pagata e impugnava poi il 16 febbraio 1979 davanti
alla Commissione tributaria di I grado di Forlì il silenzio rifiuto,
a norma dell'art. 16, 3° comma, d.p.r. n. 636 del 1972. La com
missione rigettava il ricorso, perché non proposto contro il ruolo
entro il termine di sessanta giorni previsto a pena di decadenza.
La commissione di II grado confermava poi tale pronunzia. Il
Fantini, decorso il termine per il ricorso davanti alla Commissio
ne tributaria centrale, proponeva impugnazione, ai sensi dell'art.
40 del citato d.p.r., davanti alla Corte d'appello di Bologna, con
atto di citazione del 15 aprile 1982. La corte di Bologna, con
sentenza in data 20 aprile 1984, respingeva l'impugnazione, os
servando: a) non essere esatto che nel caso in cui sia stato notifi
cato un ruolo pedissequamente ripetitivo della dichiarazione fatta
dal contribuente, mancando l'atto d'imposizione, si versi nell'i
potesi di cui all'art. 16, 3° comma, d.p.r. 636/72, con conse
guente esperibilità del ricorso avverso l'intimazione a provvedere
seguita da silenzio-rifiuto; e ciò in quanto l'iscrizione a ruolo è
sempre atto impositivo e mai atto esecutivo della dichiarazione
del contribuente; b) che nel sistema introdotto dal d.p.r. 636/72,
in materia di imposte dirette il contribuente ha l'onere di propor
re ricorso alle commissioni nel termine di sessanta giorni dalla
notificazione del ruolo, senza che abbia rilievo l'eventuale rico
noscimento da parte dell'amministrazione dell'erroneità dell'iscri
zione a ruolo e non ricorrendo le ipotesi di cui all'art. 16, 3°
comma, del testo originario stesso d.p.r., limitate ai soli due casi
di pagamento del tributo senza preventiva imposizione e di so
pravvenienza del diritto al rimborso; c) che nessuna di tali ipotesi
ricorreva nella specie, in quanto il preteso riconoscimento era in
tervenuto quando si era già verificata la decadenza dall'impu
gnazione. Il Fantini ricorre per cassazione avverso tale sentenza con tre
motivi. Resiste con controricorso l'amministrazione delle finanze
dello Stato, che ha anche presentato memoria.
Motivi della decisione. —■ Col primo mezzo di ricorso il Fanti
ni deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 16 d.p.r. 26
602/73, opera quale causa di improponibilìtà anche per la natura «resi
duale» della detta azione (sul principio della «sussidiarietà» dell'azione
di arricchimento e sui presupposti della sua ammissibilità nei confronti
della pubblica amministrazione, v. la nota di richiami a Cass. 6 settembre
1985, n. 4640, id., 1986, I, 1628; per altri riferimenti di carattere generale sulla azione ex art. 2041 c.c., v. E. Calò, La giurisprudenza come scienza
inesatta (in tema di prestazioni lavorative in seno alla famiglia di fatto), in nota a Cass. 17 febbraio 1988, n. 1701, id., 1988, I, 2306; sui presup
posti dell'azione di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c., v. la nota
di C. Mondatore a Cass. 20 luglio 1988, n. 4708, ibid., 3271).
Sulla potestà del contribuente di apportare rettifiche alla propria di
chiarazione le commissioni tributarie ritengono che, trattandosi di mani
festazione di scienza e non di volontà, quella potestà possa essere esercitata
anche in sede di ricorso di prima istanza contro il ruolo (Comm. trib.
centrale 17 luglio 1987, n. 5758, id., Rep. 1987, voce Tributi in genere,
n. 461; 18 maggio 1987, n. 3971, ibid., n. 462; 14 settembre 1985, n.
7557, ibid., n. 463), ma non necessariamente entro il termine ex art. 38
d.p.r. 602/73 e 16 d.p.r. 636/72, bensì entro il quinquennio ex art. 43
d.p.r. 600/73 (Comm. trib. II grado Udine 5 maggio 1987, ibid., n. 464;
Comm. trib. centrale 18 gennaio 1986, n. 394, id., Rep. 1986, voce cit.,
n. 430; Comm. trib. II grado Lecce 3 novembre 1984, ibid., n. 433; Comm.
trib. II grado Bari 28 marzo 1985, id., Rep. 1985, voce cit., n. 484;
in termini con la seconda massima, v., però, Comm. trib. centrale 18
novembre 1985, n. 9823, id., Rep. 1986, voce cit., n. 431; 26 marzo 1985,
n. 2937, ibid., n. 432; 25 febbraio 1984, n. 1863, id., Rep. 1985, voce
cit., n. 480, che ammette la rettifica del contribuente sempre che non
si siano verificate preclusioni o decadenze).
Il Foro Italiano — 1989.
ottobre 1972 n. 636 nella formulazione precedente alle modifiche
introdotte con d.p.r. 3 novembre 1981 n. 739 e sostiene che erro
neamente la Corte d'appello di Bologna ha ritenuto necessaria
la impugnazione del ruolo al fine di ottenere dall'amministrazio
ne finanziaria la restituzione di somme non dovute, versate all'e
rario in ottemperanza alla cartella esattoriale notificata,
considerando cosi inapplicabile il disposto del 3° comma dello
stesso articolo, che consente il ricorso alle commissioni tributarie
quando il pagamento del tributo ha avuto luogo senza preventiva
imposizione. Secondo il ricorrente, quando l'iscrizione a ruolo
e la conseguente notifica della cartella esattoriale venga effettua
ta dall'ufficio in modo pedissequamente ripetitivo dell'autoliqui
dazione contenuta nella dichiarazione dei redditi presentata dal
contribuente, non sussiste atto di imposizione, essendo l'iscrizio
ne atto meramente esecutivo della dichiarazione stessa e non atto
volitivo di determinazione dell'imposta, tanto più che ai sensi del
l'art. 43 dello stesso d.p.r. 600/73, essendo consentito al contri
buente, al pari che all'ufficio, la rettifica della propria dichiarazione
(che è manifestazione di scienza e non di volontà) fino al 31 di
cembre dell'anno successivo a quello in cui è stata presentata la
dichiarazione, il rapporto tributario fino a tale data è da conside
rare aperto ad accertamenti e rettifiche. Con il secondo motivo
poi il Fantini, deducendo appunto violazione anche di tale dispo
sizione, sostiene che erroneamente la corte di merito ha negato
detta facoltà di rettifica del contribuente circa la propria dichia
razione, al fine di ottenere cosi la eliminazione dell'errore e porre
in grado l'amministrazione di provvedere sull'indebito segnalato.
Col terzo motivo di ricorso, infine, il Fantini denuncia violazione
degli art. 2033 e 2042 c.c., per avere la corte di merito negato
rilevanza al riconoscimento del debito contenuto nelle osservazio
ni difensive presentate dall'ufficio davanti la commissione tribu
taria di secondo grado, sul presupposto che tale riconoscimento
sarebbe intervenuto in tempo successivo alla scadenza del termine
per l'impugnazione, quando cioè si era già verificata la decaden
za dall'impugazione del ruolo; e ciò in quanto, anche ad ammet
tere la necessità di proporre detta impugnazione nel termine
previsto dall'art. 16 d.p.r. 636/72, la decadenza da tale azione
non poteva precludere il diritto alla restituzione dell'indebito per
effetto del riconoscimento dell'errore da parte dell'amministra
zione che, ancorché avvenuto dopo la detta decadenza, sostitui
sce e rende superfluo l'accertamento giudiziale del vizio della
iscrizione a ruolo, cosicché la corte di Bologna avrebbe dovuto
ugualmente ordinare la restituzione della somma versata in più
da esso ricorrente.
Il ricorso, in tutti i suoi motivi, è privo di fondamento.
Nel sistema del contenzioso tributario introdotto con il d.p.r.
26 ottobre 1972 n. 636, prima delle modifiche apportate con d.p.r.
3 novembre 1981 n. 739, l'impugnazione a mezzo di ricorso alle
commissioni tributarie — in materia di imposte dirette e in caso
di imposizione effettuata mediante notificazione dell'avviso di ac
certamento, dell'ingiunzione, del ruolo (e cioè della cartella esat
toriale) o del provvedimento che irroga le sanzioni pecuniarie —
deve essere proposta entro sessanta giorni da detta notificazione
(art. 16, 1° e 2° comma). E pertanto qualsiasi errore che sia rile
vabile da uno degli indicati atti di concreta imposizione del tribu
to deve essere dedotto dal contribuente — prima che sia effettuato
il pagamento — mediante il descritto ricorso alle commissioni,
chiamate ad accertare il corretto ammontare dell'imposta. Nel
caso invece in cui il pagamento del tributo abbia avuto luogo
senza imposizione, qualora cioè manchi uno dei predetti atti di
accertamento e di imposizione e perciò il contribuente abbia prov
veduto al pagamento diretto del tributo, cosi come nel caso in
cui sia sopravvenuto il diritto al rimborso, l'art. 16, 3° comma
(nel testo antecedente alle modifiche apportate dal d.p.r. 739/81),
precisa che si considera imposizione il rifiuto di restituzione della
somma pagata, ovvero il silenzio dell'amministrazione per no
vanta giorni dall'intimazione a provvedere (alla restituzione), e
che il ricorso deve essere proposto, entro sessanta giorni, contro
il rifiuto di restituzione o contro il silenzio-rifiuto formatosi alla
scadenza dei novanta giorni. L'erroneo pagamento da parte del
contribuente di somme a titolo di imposta che si assumono non
dovute trova esito, in mancanza di ruolo o altro atto impositivo
da impugnare, e a pagamento già effettuato (per errore), in una
richiesta di restituzione della somma indebitamente pagata, al fi
ne di provocare un provvedimento (espresso di rigetto, o, implici
to, di silenzio-rifiuto) da impugnare, poi, davanti le commissioni.
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PARTE PRIMA
Ciò significa che, con riferimento alla disciplina contenuta nel
citato art. 16 prima delle modifiche introdotte col d.p.r. 739/81,
poteva dedursi l'indebito solo nell'ipotesi in cui non vi era stato
preventivo atto di imposizione, ovvero quando il diritto al rim
borso fosse sopravvenuto (rispetto al momento in cui il pagamen to era stato eseguito come dovuto); non anche nell'ipotesi in cui
fosse stato notificato al contribuente l'atto impositivo, cosi po nendolo in grado di rilevare l'errore e denunziarlo con l'opportu no ricorso alle commissioni, tuttavia entro il termine di decadenza
previsto dalla legge di sessanta giorni dalla notifica. E ciò in quanto la tempestiva impugnazione del ruolo, diretta ad evidenziare la
non debenza (in tutto o, in parte) del tributo, anche in conse
guenza di errore, commesso nella dichiarazione dallo stesso con
tribuente, consente di precisare — in tempi ragionevoli e tenuto
conto dell'esigenza di certezza correlata all'interesse dello Stato
(e degli altri enti muniti di potestà impositiva) di conoscere l'enti
tà delle entrate con le quali fare fronte alla spesa pubblica —
l'esatto ammontare del tributo dovuto evitando cosi pagamenti indebiti da parte del contribuente e successive sue richieste di rim
borso. Costituisce poi effetto legale della decisione sul ricorso
al giudice tributario, come della decadenza conseguente alla man
cata impugnazione (nelle ipotesi in cui è ammesso il ricorso), la
incontestabilità ed il consolidamento della pretesa tributaria (Cass. 8 novembre 1986, n. 6551, Foro it., Rep. 1987, voce Tributi in
genere, n. 767; 10 marzo 1982, n. 1544, id., 1982, I, 1591, per
tutte), stante la natura sostanziale, oltre che processuale, del ter
mine concesso per ricorrere contro l'iscrizione a ruolo (v. anche
Cass., sez. un., 16 gennaio 1986, n. 210, id., 1986, I, 1342). Al fine di escludere l'onere del contributente di dedurre l'erro
re di dichiarazione con l'impugnazione avverso il ruolo (quando, ai sensi dell'art. 11 d.p.r. 602/73, applicabile in virtù dell'art.
8 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 599 sull'Ilor, si sia proceduto all'i
scrizione nei ruoli principali dell'imposta dovuta in base alla di
chiarazione presentata dal contribuente) non vale sostenere che
il ruolo non è atto impositivo e può essere impugnato, ai sensi
dell'art. 16 d.p.r. 636/72, solo per vizi suoi propri, essendo inve
ce il ricorso ivi disciplinato anche, e anzi principalmente, inteso
a provocare, le possibili contestazioni della pretesa tributaria (Cass. 22 ottobre 1981, n. 5529, id., Rep. 1982, voce cit., n. 574), tra
le quali devono essere incluse quelle concernenti gli errori od omis
sioni commessi dal contribuente nella dichiarazione (Cass. 17 no
vembre 1981, n. 6095, ibid., n. 957), quando sia mancata una
preventiva comunicazione al contribuente dell'adesione dell'am
ministrazione a tale dichiarazione.
La distinzione perciò posta nell'art. 16 d.p.r. 636/72 tra rap
porti tributari conseguenti ad atto d'imposizione, mediante noti
ficazione di avviso di accertamento, di cartella esattoriale relativa
a iscrizione a ruolo o di provvedimento che irroga sanzioni pecu niarie (primi due commi) e rapporto tributario che si instaura
senza un preventivo atto d'imposizione, a seguito di pagamento diretto del tributo (3° comma), lascia intendere ben chiaramente
che nella prima ipotesi l'errore di dichiarazione deve essere de
dotto sempre e solo dinanzi alle commissioni mediante ricorso, entro il termine di decadenza di sessanta giorni dalla notifica del
l'atto impositivo e, in mancanza di ciò, non può essere più de
nunziato per essere il rapporto tributario divenuto incontestabile; mentre nella seconda ipotesi, a pagamento già effettuato dell'im
posta non dovuta, è possibile ricorrere alla procedura dell'impu
gnazione del silenzio-rifiuto o del provvedimento di rigetto solo
nel caso di imposta pagata senza preventiva imposizione, quando manchi cioè un accertamento o l'iscrizione del tributo nei ruoli
da parte dell'ufficio.
Sulla base di tali premesse, risulta evidente l'inconsistenza delle
tesi giuridiche svolte dal ricorrente. Al fine di superare la limita
zione che il 3° comma dell'art. 16 prevede, quanto alla possibilità di chiedere la restituzione delle somme indebitamente pagate, alle
sole ipotesi sopra ricordate del diritto sopravvenuto al rimborso
e della mancanza di preventiva imposizione, il Fantini col primo motivo di ricorso, ha cercato di sostenere, con riferimento a tale
seconda ipotesi, che la liquidazione d'imposta operata dall'ammi
nistrazione, seguita da conforme iscrizione a ruolo e da notifica
della cartella esattoriale sulla base della sola dichiarazione dei
redditi presentata dal contribuente e senza alcuna modificazione o rettificazione della stessa (in modo che egli perciò qualifica «pe
dissequamente ripetitivo» di questa), non costituisce atto di im
1l Foro Italiano — 1989.
posizione in quanto privo di autonomo contenuto volitivo ed avente
perciò carattere meramente esecutivo dell'autoliquidazione effet
tuata dallo stesso contribuente. Ma già la corte di Bologna ha
esattamente rilevato, senza che sul punto siano state dedotte nuo
ve argomentazioni in contrario, che costituisce atto di accerta
mento dell'imposta anche quello cui l'amministrazione perviene, nella fase di controllo della denunzia fiscale, quando fa proprio
l'imponibile dichiarato dal contribuente, perché al momento rite
nuto corretto, determinando in conformità l'ammontare del tri
buto. E l'iscrizione dell'imposta che conseguenzialmente viene fatta
nei ruoli costituisce, anche nel sistema antecedente al regime del
l'autotassazione poi introdotto, atto di imposizione promanante dall'amministrazione finanziaria e non mero atto esecutivo del
l'autoliquidazione fatta dal contribuente in via di cooperazione con l'amministrazione predetta, cui istituzionalmente è riservata
la facoltà impositiva. Ciò salvo la facoltà di rettificazione che, ai sensi dell'art. 43, 3° comma, d.p.r. 600/73, compete alla stessa
amministrazione quando venga a conoscenza di nuovi fatti impo
sitivi, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione dei redditi. Non è tuttavia
lecito (come il Fantini fa col secondo mezzo di ricorso) fare ri
chiamo a tale potere di rettificazione dell'ufficio al fine di arguire un corrispondente potere del contribuente di rettifica della pro
pria dichiarazione entro lo stesso termine, a prescindere dall'e
ventuale accertamento d'imposta nel frattempo compiuto
dall'amministrazione, anche se divenuto definitivo. In realtà, il
potere di rettificazione spettante agli uffici delle imposte, in sede
di controllo delle dichiarazioni presentate dai contribuenti, si giu
stifica, anche quanto all'ampiezza del termine concesso, per la
necessità di procedere al riscontro delle numerose dichiarazioni
che affluiscono ogni anno, in base alle quali l'imposta venne iscritta
a ruolo e che riflettono situazioni disparate, tutte ignote agli uffi
ci; laddove ben diversa è la posizione dei singoli contribuenti, i quali — come è lecito presumere — conoscono bene la propria situazione economica e possono in tempi brevi avvedersi della
erroneità dei dati indicati nella denuncia dei redditi, cosi come
possono agevolmente, dopo la notifica dell'atto impositivo, se
gnalare l'errore a mezzo dell'impugnazione alle commissioni, na
turalmente però entro i termini di decadenza all'uopo previsti. Non esiste dunque un potere del contribuente di apportare rettifi
che (cioè di correggere ed eliminare errori) alla dichiarazione dei
redditi nel periodo (di cinque anni) concesso dall'art. 43, 3° com
ma, in via esclusiva all'ufficio per effettuare accertamenti supple
tivi, dopo che sia decorso il termine per proporre ricorso alle
commissioni contro l'iscrizione a ruolo (o l'accertamento princi
pale o altra forma di atto d'imposizione). Né conseguentemente, è possibile, una volta intervenuta la decadenza da detta impugna zione e l'incontestabilità della pretesa fiscale, chiedere il rimbor
so di imposte per redditi erroneamente dichiarati e pagati quando l'errore non sia stato tempestivamente denunciato a mezzo di ri
corso contro il ruolo, come è confermato dagli art. 37 ss. d.p.r. 602/73, che per i redditi iscritti a ruolo (art. 39 e 40) fanno ri
chiamo al disposto dell'art. 16 d.p.r. 636/72 sopra riportato circa
la necessità del ricorso e prevedono rimborsi (salvo che nel caso
di omessa dichiarazione di ritenute d'acconto) solo in conseguen za della decisione delle commissioni tributarie favorevoli al con
tribuente, mentre per i versamenti diretti (art. 37 e 38) prescrivono
(conformemente alla disciplina dell'art. 16, 3° comma, d.p.r.
636/72) il ricorso alle commissioni solo contro il silenzio-rifiuto
formatosi sull'istanza di rimborso.
Parimenti priva di fondamento giuridico è la censura di cui
al terzo mezzo di ricorso, concernente il riconoscimento del debi
to che l'amministrazione avrebbe effettuato nelle osservazioni di
fensive presentate davanti alla commissione di secondo grado; la
proponibilità dell'azione di ripetizione d'indebito di cui all'art. 2033 c.c. (come pure l'azione generale di arricchimento senza causa
di cui al successivo art. 2041, azione peraltro nel presente giudi zio mai prima d'ora enunciata) è esclusa, per quanto sopra osser
vato, come rimedio di carattere generale extra ordinem rispetto al sistema del contenzioso tributario e in particolare rispetto ai rimedi di cui all'art. 16 d.p.r. 636/72 (nel testo antecedente alle
modifiche introdotte dal d.p.r. 739/81, non applicabili alla specie in esame) quando sia divenuto incontestabile l'accertamento o l'i
scrizione a ruolo per intervenuta decadenza dal ricorso al giudice tributario e data la inammissibilità di un nuovo giudizio, nei ter mini ordinari di prescrizione (art. 2946 c.c. sulla domanda di rim
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
borso), che implicherebbe un accertamento negativo circa la de
benza del tributo in contrasto non solo con quanto già accertato
in via definitiva e non più contestabile dal giudice tributario, ma
anche da parte di una diversa giurisdizione. Ciò a parte le pur
giuste considerazioni fatte dalla corte di Bologna in ordine al va
lore di un riconoscimento di debito che avrebbe dovuto desumer
si da scritti difensivi fatti dall'amministrazione davanti alla
commissione di secondo grado. Deve pertanto considerarsi corretta la dichiarazione di inam
missibilità dell'impuganzione per tardività, pronunciata dalle com
missioni di primo e secondo grado e confermata dalla Corte di
appello di Bologna. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 23 marzo
1988, n. 2530; Pres. Granata, Est. Favara, P. M. Lo Cascio
(conci, diff.); Cavalieri (Avv. D'Alessio, Formiconi) c. Men
goni e altri. Conferma Conc. Pitigliano 27 settembre 1985.
Procedimento davanti al pretore e al conciliatore — Sentenza del
conciliatore — Impugnazione — Ricorso per cassazione (Cod.
proc. civ., art. 339). Procedimento davanti al pretore e al conciliatore — Conciliatore
— Giudizio secondo equità — Questioni di rito — Esclusione
(Cod. proc. civ., art. 113).
Le sentenze del giudice conciliatore sono impugnabili solo me
diante il ricorso per cassazione. (1) Il giudice conciliatore sulle questioni di rito deve pronunciarsi
secondo diritto. (2)
(1) La Cassazione segue l'indirizzo espresso da Corte cost. 31 dicembre
1986, n. 301, Foro it., 1987, I, 2962, con nota di richiami, che ha respin to la questione di costituzionalità dell'art. 8 1. 399/84 (modifica dell'art.
339 c.p.c.) per aver sottratto al giudizio d'appello le sentenze del conci
liatore.
(2) Non constano precedenti della Cassazione nei termini esatti della
sentenza in epigrafe. Nello stesso senso, peraltro, v. Pret. Bologna 22 agosto 1987, Foro
it., 1988, I, 975, con osservazioni di Farnararo e con nota di Varano, Note in tema di giudizio di equità; Conc. Castellammare di Stabia 6 mar
zo 1987, id., Rep. 1987, voce Procedimento davanti al pretore e al conci
liatore, n. 6, e in Giur. it., 1987, I, 2, 387, ha applicato lo stesso principio con riferimento all'onere della prova; nello stesso senso Conc. Castellam
mare di Stabia 1° settembre 1985 (nella motivazione), Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 16, e in Giust. civ., 1985, I, 2914, con nota di Annunziata.
Parte della dottrina è orientata nel senso che le norme processuali deb
bano essere applicate secondo diritto; v. Varano, cit., 982; Grasso, Equità
(giudizio di), voce del Novissimo digesto, appendice, III, 445; Andrioli, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, I, 227 ss.
Qualche autore ritiene invece che nel giudizio di equità si abbia una
minore rigorosità nell'applicazione delle disposizioni di rito; v. De Mari
ni, Il giudizio di equità nel processo civile (premesse teoriche), Padova,
1959, 217 ss.; Nasi, Il giudizio di equità, voce dell' Enciclopedia del dirit
to, XV, 107 ss.; Verde, Profili del processo civile, Napoli, 1986, 115 ss.
Per quanto concerne l'onere della prova si conviene che tale principio,
pur dovendone affermare astrattamente l'applicabilità, finisce in concreto
di svuotarsi di contenuto, in quanto manca «l'obiettiva indicazione a priori di ciò che la parte è tenuta a provare», essendo la fattispecie determinata
«dai fatti cui il giudice attribuisce valore decisivo» (cosi Grasso, cit.; conf. Varano, cit., 984; Redenti, Diritto processuale civile, Milano, 1957,
II, 39; Micheli, L'onere della prova, Padova, 1966; De Marini, cit.,
222, secondo cui l'onere della prova si riduce al dover dare la prova dei fatti che si affermano; più radicale la posizione di Verde, cit., che
invece esclude l'applicazione dell'art. 2697 c.c. al giudizio d'equità. Per
ulteriori profili circa l'incidenza dell'equità sulla applicazione delle norme
processuali, v. Varano, cit., 982 ss.).
* * ♦
Prima di chiudere questa nota di richiami non possiamo fare a meno
di richiamare l'attenzione sui tempi irragionevolmente lunghi impiegati dalla Corte di cassazione per definire il giudizio che ha dato luogo alla
sentenza in epigrafe. La cronologia del procedimento è di per sé eloquente.
Il Foro Italiano — 1989.
Svolgimento del procèsso. — Con ricorso in data 24 giugno 1985 Domenico e Luigi Mengoni, Franca Piccini e Giuseppina
Drovandini, proprietari di un immobile ceduto in locazione a Fau
sto Cavalieri, convenivano quest'ultimo in giudizio davanti al Con
ciliatore di Pitigliano perché fosse dichiarato legittimo il loro
recesso dal contratto di locazione ai sensi degli art. 59, n. 1, e
56 1. 27 luglio 1978 n. 392, con condanna del Cavalieri al rilascio
assumendo di essere stati a loro volta sfrattati dall'immobile da
essi condotto in locazione, di proprietà di tali Caporossi. Il Cava
lieri eccepiva l'incompetenza del giudice adito, per essere funzio
nalmente competente il Pretore di Pitigliano, ai sensi dell'art. 8
c.p.c. Con provvedimento in data 27 settembre 1985 il Conciliatore
di Pitigliano dichiarava la propria incompetenza ai sensi dell'art.
38 c.p.c. e rimetteva gli atti al Pretore di Pitigliano, assegnando alle parti un termine per la riassunzione della causa davanti al
giudice dichiarato competente. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione
il Cavalieri, con unico motivo. Non hanno svolto attività difensi
va nella presente fase del giudizio i Mengoni, la Piccini e la Dro
vandini.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di ricorso il Ca
valieri, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 279
c.p.c. sostiene che il provvedimento del conciliatore — che per il suo contenuto avrebbe dovuto essere ammesso nella forma di
sentenza in quanto portante statuizione sulla competenza — sa
rebbe un provvedimento nullo e abnorme, non qualificabile come
sentenza perché privo dei requisiti essenziali previsti dagli art.
131, 133 c.p.c. e 118, 120 disp. att. stesso codice, quali i nomi
delle parti, l'intestazione, le conclusioni, un minimo di motiva
zione, una pronuncia sulle spese, cosi da potere poi essere deposi tato in cancelleria e comunicato o notificato alle parti.
Il ricorso è infondato. Il provvedimento impugnato dal conci
liatore, per il suo contenuto decisorio — in quanto contiene una
pronuncia definitiva sulla competenza — ha (come del resto assu
me lo stesso ricorrente) natura sostanziale di sentenza. Come tale
esso è un provvedimento impugnabile secondo gli ordinari mezzi
previsti nel vigente sistema processuale. A seguito della 1. 30 luglio 1984 n. 399, che ha modificato
(tra l'altro) il 3° comma dell'art. 339 c.p.c., le sentenze del conci
liatore sono sempre ricorribili per cassazione. Tale disposizione,
per quanto inserita in modo sistematicamente inappropriato da
una norma del codice di rito che regolava l'appellabilità delle
sentenze del conciliatore (nel capo II, titolo III), ha certamente
inteso sancire l'inappellabilità delle sentenze del conciliatore e il
loro assoggettamento in via generale al ricorso per cassazione,
quali sentenze emesse in unico grado (ai sensi dell'art. 360, 1°
comma, nel cui testo il legislatore peraltro ha omesso di disporre la soppressione dell'inciso «escluse quelle del concilitore», che cer
tamente avrebbe reso più chiara la loro ricorribilità per cassazio
ne). L'inappellabilità, pur se non sancita in via diretta ed espressa, si desume in modo non seriamente dubitabile dal complesso del
sistema introdotto con la 1. n. 399 del 1984, tenendo presenti le ragioni ispiratrici di tale legge, tendente a rivalutare e ridise
gnare la figura del conciliatore quale giudice onorario di prima istanza: l'art. 6, n. 1, eliminando dal testo dell'art. 341 c.p.c. il riferimento delle sentenze del conciliatore come provvedimenti
soggetti ad appello davanti al pretore (cosi come per le sentenze
del pretore e del tribunale, dichiarate nelle stesse norme appella bili rispettivamente davanti al tribunale e alla corte d'appello); e l'art. 8, cpv., che in via transitoria dispone che «l'appellabilità delle sentenze dei conciliatori publicate prima dell'entrata in vi
gore della presente legge resta regolata dalla legge anteriore», so
no certamente disposizioni del tutto chiare nel senso sopra
postulato. Non contrasta, se non in modo puramente apparente,
Il provvedimento impugnato reca la data del 27 settembre 1985; l'u
dienza di discussione è stata fissata il 17 giugno 1985; la pubblicazione è stata effettuata il 23 marzo 1988!
La eliminazione dell'appello dai rimedi impugnatori contro le sentenze
del giudice conciliatore doveva aver per fine quello di accorciare i tempi del processo, tale intento è stato chiaramente mancato, cosi che non sem
brano aver torto quanti hanno contestato la scelta del legislatore del 1984
(v., da ultimo, A. Proto Pisani, Il giudice di pace tra mito e realtà, in Foro it., 1989, V, 1, § 8). [M. Orsenigo]
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